Spesso si ripete
che l’Italia è un grande laboratorio politico dato che è la prima a
sperimentare novità: e, con altrettanta frequenza, questo è vero.
Uno dei casi è
proprio Forza Italia. Denominata partito personale,
leggero anche per contrapporlo a quelli della I repubblica connotati da
apparati assai più ideologizzati, professionalizzati e pervasivi.
Orsono
venticinque anni mi capitò di scrivere su Berlusconi e Forza Italia,
confrontandone l’allora breve esistenza politica con regole e parametri presi
da Machiavelli e da un acuto giurista tedesco, Rudolf Smend. Questi è rimasto
nella dottrina costituzionale come colui che ha valorizzato l’integrazione,
cioè il rapporto tra vertice e base come “divenire dinamico dell’unità
politica”, cioè (anche) come produzione di un idem sentire, che consolidasse e rendesse effettive unità e azione
politica. Scrive Rudolf Smend “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel
senso più lato. Questa, in prima analisi, consiste nella produzione o formazione di unità o totalità
a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più
della somma delle parti unificate”. E tra i gruppi sociali, quelli che più
necessitano di integrazione sono quelli a carattere politico, a cominciare dai
partiti fino allo Stato. Notavo che Forza Italia, data la forte personalità del
capo era cospicuamente dotata di integrazione personale (anche se difettava nei dirigenti intermedi).
A distanza di
oltre 5 lustri si può confermare che l’integrazione personale (tramite il leader)
è stato il principale fattore d’integrazione e probabilmente quella che ha
consolidato l’esistenza del partito. Lo dimostrano il numero enorme di
preferenze (nelle elezioni che le
consentivano) a Berlusconi, gli assai più modesti risultati nelle elezioni
locali, e comunque quando il cavaliere non si candidava, l’evidente ascendente
dello stesso sull’elettorato. E perfino il complotto anti-Berlusconi che ne ha
portato, tramite legge Severino, alla di esso privatizzazione: la (voluta) privazione del ruolo pubblico del
cavaliere dopo la condanna definitiva è stato probabilmente il fatto che ha
maggiormente contribuito al sorpasso della Lega su Forza Italia alle elezioni
politiche del 2018. Proprio per la preponderanza che aveva l’integrazione personale nella “tenuta” di Forza Italia
la tattica preferita dal centrosinistra è stata quella di attaccare il leader avversario sul piano personale (e “privato”).
Anche perché gli
altri due mezzi (tipi) d’integrazione individuati da Smend, in Forza Italia di
converso erano assai deboli. Nella vita di ogni struttura le procedure di
decisione e discussione sono – come scriveva Smend – “prevalentemente
indirizzate alla formazione della volontà
comune: così il gruppo realizza la propria unità come unità di volontà,
indirizzata a scopi comuni”. Ma da quanto risulta tale mezzo è stato sempre
poco praticato: i “congressi” di Forza Italia più che un modo per realizzare la
volontà comune e selezionare la dirigenza (almeno in parte), sembravano convention aziendali per promuovere i
prodotti offerti (in genere sono anche
questo, ma era la proporzione prevalente a minare, alla lunga, la solidità
dell’insieme).
Tra l’altro i
sistemi elettorali per lo più adoperati hanno ridotto la possibilità che la
selezione della dirigenza politica, in modo democratico, fosse “compensata” in
sede elettorale. Questo perché la collocazione in collegi e listini consente ai
vertici dei partiti un potere di designare gli eletti assai superiore alla
vecchia legge elettorale proporzionale con preferenza, così che si è parlato – correttamente
– per lo più di un parlamento di nominati.
Quanto
all’integrazione materiale, cioè
attraverso la comune adesione a “tavole di valori” comuni, all’inizio si
manifestava per lo più in negativo
cioè contrapponendosi al centrosinistra. Presentava il limite di essere in parte
nebulosa, in altra stemperata in più rivoli, ma soprattutto non ha retto il
confronto con le realizzazioni dei governi Berlusconi. I quali, malgrado
maggioranze parlamentari cospicue, realizzavano poco di quanto promesso. Certo
meglio di quanto avrebbe fatto il centrosinistra o i governi “tecnici” o
“simil-tecnici”, ma comunque modesto rispetto alle promesse ma soprattutto alle
aspettative dell’elettorato. Di guisa che circa due terzi del bacino elettorale
di Forza Italia si è riversato sulla Lega e Fratelli d’Italia, partiti che quindici
anni fa insieme avevano consensi pari a un terzo di quelli del partito di
Berlusconi.
E adesso? La
risposta è tutt’altro che facile e Tajani avrà un bel da fare. Venuto meno il
fattore Berlusconi, estremamente difficile a sostituirsi, non resta che puntare
sugli altri fattori d’integrazione e su mezzi di selezione del personale
politico meno “autocratico”.
Scriveva Michels
che la democrazia non è concepibile senza organizzazione. Nel caso di Forza
Italia vale anche l’inverso e l’organizzazione non è concepibile senza
democrazia. E così anche con la discussione a tutti i livelli
dell’organizzazione. Questa serve a selezionare i capi, come ad acquisire e
diffondere idee (anche) nuove. Serve sia all’integrazione funzionale che a quella materiale.
Così come alla coesione dell’insieme.
Riuscirà
l’impresa? È nuova, sicuramente per l’Italia, ma non mi risulta che sia stata
realizzata altrove, almeno in Europa. Non resta che fare gli auguri, ricordando
che il merito nel riuscirci è pari alle difficoltà da superare.