Sospende la
sorpresa per quanto accade all’Europarlamento, alcuni dei membri del quale sono
accusati - e trovati dagli inquirenti letteralmente
con le mani nel sacco – per aver caldeggiato, dietro compenso – il campionato
di calcio nel Qatar. Sorprende non solo perché tanti dimenticano quanto scritto
da Max Weber che, in genere i governanti non vivono solo per la politica, ma anche di politica
(con quel che ne può conseguire sotto il profilo penale); ma anche perché a
leggere Sallustio gli stessi mezzi erano adoperati da Giugurta per influire sulla decisione del
Senato e dei magistrati romani. Racconta Sallustio che più sulle capacità e
potenza militare del pur valoroso re numida, i romani dovettero guardarsi dalla
sua perizia di corruttore, attraverso la quale riusciva a conseguire ciò che
voleva e a evitare le conseguenze delle proprie azioni, alterando i processi
decisionali della repubblica egemone. Così un potentato medio-piccolo come
quello di Giugurta resistette per oltre sei anni alla potenza di Roma. Per cui orientare le decisioni politiche della
potenza superiore è, da almeno venti secoli, una risorsa da utilizzare
proficuamente dai potentati minori.
Ma quel che
maggiormente colpisce è che, nelle istituzioni europee usano i buoni propositi (diritti umani, migranti)
per occultare le cattive azioni (le
tangenti), come abitualmente e prevalentemente dalla sinistra italiana (e non
solo).
Anche questo è
un vecchio espediente. Ne diede una straordinaria rappresentazione Moliére nel Tartufo,
quasi quattro secoli fa. Nella commedia c’è in primo luogo, ma poco notato, un
aspetto politico evidenziato da Moliére stesso: il quale nella prefazione
scrive “L’ipocrita, è per lo Stato, un pericolo più grave di tutti gli altri”:
per lo Stato quindi, ancor più (o alla pari) che per la religione. Nel primo
“placet” rivolto al Re perché revocasse la proibizione di rappresentare in
pubblico la commedia, ribadiva che “l’ipocrisia è sicuramente uno dei vizi più
diffusi, dei più scomodi e dei più pericolosi”. Onde è un servizio descrivere “gli ipocriti…che vogliono far cadere in
trappola gli uomini con un falso zelo ed una sofisticata carità”. In effetti i
connotati di Tartufo sono i più pericolosi
per lo Stato. Gli ipocriti pubblici nascondono progetti ed intenzioni inutili
al pubblico interesse, e talvolta delittuose, finalizzate ai propri interessi
privati e personali, con il richiamo a opinioni ed interessi condivisi e
generali. I diritti umani, la pace, l’assistenza ai migranti sono le buone intenzioni usate per nascondere
interessi concreti.
Al riguardo
nella commedia Dorine (cioè la cameriera) commenta i discorsi edificanti di Tartufo
così: “come sa bene con modi traditori, farsi un bel mantello con tutto ciò che
è venerato”.
Il bello è che Tartufo
lo giustifica anche. Nel dialogo con Elmire, la moglie del di esso benefattore,
che vuole sedurre ma la quale gli fa notare che quanto desidera è contrario
alla legge divina, argomenta “Se non è che il cielo che viene opposto ai miei
desideri…, con lui si possono trovare degli accomodamenti… col rettificare la malvagità dell’azione con la
purezza della nostra intenzione”. Così l’intenzione buona “purifica” l’azione
cattiva. È un’assoluzione preventiva.
La quale svuota
la stessa azione politica, che è (soprattutto) una fase in virtù di risultati, e solo in seconda battuta un predicare del bene.
Così il criterio principale per giudicare se un’azione è politicamente proficua
o meno, non è verificare se corrisponde a buoni propositi, largamente
condivisi, ma se ottiene risultati positivi.
D’altra parte è
evidente che col richiamo continuo e prevalente alle buone intenzioni oltre che
assolversi dalle cattive opere, i
politici tendono ad assomigliare ai sacerdoti. Hobbes (tra i tanti) sosteneva
che funzione dei quali è predicare il bene (la parola di Cristo, oggi, per lo
più, quella più facilmente condivisa)
e non di comandare (e costringere).
E fin qui nulla di male. Ma se il bene predicato si converte in cattive azioni, la santità che dovrebbe produrre si converte in una via comoda per l’arricchimento a spese di chi paga. Cioè dei contribuenti, i quali contribuiscono, a differenza di chi spontaneamente dona il proprio per le buone cause, per il comando di chi predica. Volontario nel primo caso, frutto di coazione nell’altro.
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