Una dozzina
d’anni fa Berlusconi – o meglio i suoi seguaci – contrapposero alla
Costituzione formale la Costituzione materiale, suscitando la consueta
raffica di anatemi ed esorcismi degli intellos
di sinistra, che della costituzionale formale,
o meglio della loro interpretazione del testo normativo, avevano fatto il proprio
shibboleth. E avvertivano che il
richiamo a quella materiale rischiava
di rovinargli il giocattolo.
È appena il caso
di ricordare che il termine (non il concetto) di costituzione materiale era
opera di un acuto giurista come Costantino Mortati, membro dell’assemblea
costituente della Repubblica, in buona parte sviluppando quanto espresso quasi
un secolo prima da Ferdinand Lasalle nella nota conferenza “Über
Verfassungswesen”, ove il rivoluzionario riconduceva la costituzione agli
“effettivi rapporti di potere che sussistono in una data società”, alla forza
attiva “che determina le leggi e le istituzioni giuridiche”. Scriveva Lassalle che
“Gli effettivi rapporti di potere che sussistono in ogni società sono quella
forza effettivamente in vigore che determina tutte le leggi e le istituzioni
giuridiche di questa società, cosicché queste ultime essenzialmente non possono essere diverse da come sono” (il
corsivo è mio); ed elencava i relativi “pezzi di costituzione”: il potere del
re, quello dell’aristocrazia, della borghesia che comunque assicuravano un
ordine, effettivo e concreto, e con ciò la coesione sociale. Così la
costituzione è l’insieme - dei rapporti
di forza reali - ed organizzati – di una
comunità politica. E cos’è la Costituzione formale? Rispondeva Lassalle “Questi
effettivi rapporti di forza li si butta su un foglio di carta, si dà loro
un’espressione scritta, e, se ora
sono stati buttati giù, essi non solo
sono rapporti di forza effettivi, ma
sono anche diventati, ora, diritto,
istituzioni giuridiche, e chi vi
oppone resistenza viene punito”.
Riprendendo e
sviluppando la concezione di Lassalle, Mortati scriveva “Rimanendo nell’ordine
di idee per ultimo esposte di una raffigurazione della costituzione che
colleghi strettamente in sé la società e lo stato, è da ribadire quanto si è
detto sull’esigenza che la prima sia intesa come entità già in sé dotata di una
propria struttura, in quanto ordinata secondo un particolare assetto in cui
confluiscano, accanto ad un sistema di rapporti economici, fattori vari di
rafforzamento, di indole culturale, religioso ecc., che trova espressione in
una particolare visione politica, cioè in un certo modo d’intendere e di
avvertire il bene comune e risulti
sostenuta da un insieme di forze collettive che siano portatrici della visione
stessa e riescano a farla prevalere dando vita a rapporti di sopra e
sotto-ordinazione, cioè ad un vero assetto fondamentale che si può chiamare
«costituzione materiale» per distinguerla da quella cui si dà nome di «formale»”.
A questo è affidata una “funzione di rafforzamento delle garanzie di
conservazione della sottostante compagine sociale, non è tuttavia da
dimenticare che è in quest’ultima, nell’effettivo rapporto delle forze da cui è
sostenuta che deve trovarsi il vero supporto dell’ordine legale”[1] (il
corsivo è mio).
La Costituzione
materiale consiste essenzialmente nelle forze politiche e sociali che hanno
voluto e sostengono l’assetto fondamentale di poteri delineato da quella
formale in norme collocate “al sommo della gerarchia delle fonti".
Ma cosa succede
se l’assetto delle forze politiche e sociali (cioè la costituzione materiale) cambia (com’è naturale) e
quella formale (cioè la regolamentazione
normativa) rimane la stessa? Il problema è ricorrente, dato che, come scriveva Hauriou,
un ordinamento giuridico è un agmen,
un esercito in marcia che adatta sempre la propria formazione alla situazione storica, pur conservando un assetto
ordinato. Se però il divario tra regole e assetto delle forze diverge, si apre
un dualismo che, nei casi estremi, conduce alla guerra civile, cioè all’“appello
a Dio” di Locke. Il quale così significava che non c’è potere (superiore) sulla
terra in grado di decidere un tale conflitto. Nella tarda modernità, nostra
contemporanea, è stato notato più volte – in tutt’altro contesto da quello
giuridico – che il divario tra élite
e popolo si è allargato (da Lasch a Laclau, a tanti altri). Così si costituisce
una situazione che prelude ad un nuovo insieme di rapporti di potere, che
riarmonizzi le due costituzioni: sostanziale e formale.
Qualcuno dirà
che non è vero che lo iato si sta allargando, che tutti vogliono la
costituzione più bella del mondo, e via salmodiando. Ma ad un pensiero realista
occorre riscontrare non tanto se quello iato è frutto di manipolazione (potrebbe
esserlo, almeno in parte) ma se esiste realmente un modo più sicuro o se
preferite, meno insicuro per accertare se esiste in una democrazia il consenso
soprattutto elettorale che aveva il sistema nel complesso e ancor più le “forze politiche e sociali”
che sostenevano il vecchio ordine e quello che hanno coloro che sostengono il
nuovo.
Applicando
questo criterio occorre ricordare che la Costituzione formale fu approvata dei
partiti del CLN, che avevano circa il 90% dei seggi alla costituente. Le
successive elezioni politiche del 18/04/1948 diedero al complesso dei partiti
ciellenisti oltre il 90% dei suffragi popolari. Con ciò la costituzione – e quello
che sarebbe stato poi l’arco costituzionale – otteneva un consenso “bulgaro”. Bella
o brutta che fosse il consenso c’era e non lo si può negare.
Fino agli anni
80 la situazione, pur nella divaricazione tra comunisti e non comunisti,
confermava un consenso ampio ai partiti dell’“arco costituzionale”. Ma il
crollo del comunismo incrinava prima e dissolveva poi il sistema dei partiti
della “prima Repubblica” e con esso il maggior sostegno della costituzione formale. Uscivano dal Parlamento tutti i
partiti laici, la DC si riduceva ad un quarto di quel che era e si spezzava in (almeno)
due tronconi, i comunisti perdevano
buona parte del loro elettorato ed erano costretti a cambiare nome. Diventavano
forze maggioritarie partiti che non facevano parte del CLN o ne erano stati
esclusi. Dal 1994 in poi quelli eredi dell’arco costituzionale ottengono
suffragi di una minoranza, ma la Costituzione formale è rimasta sostanzialmente
la stessa (tranne per le modifiche al titolo V e qualche altro ritocco,
apparente).
Negli ultimi
dieci anni poi, il divario si è allargato: crescita dei partiti anti-establishment ma che ha prima raggiunto e
poi passato regolarmente la maggioranza dei suffragi (v. elezioni dal 2018 in
poi).
La novità degli
ultimi mesi è che i tre maggiori partiti italiani (Lega, FdI e PD, a leggere i
sondaggi) sono in un testa a testa intorno al 20%, e pochi decimi di
percentuale (al massimo un punto pieno), indicano quale primo partito FdI, ossia
il partito erede degli esclusi dall’arco costituzionale, mentre il PD, il
partito (residuo) dell’arco, è più o meno sullo stesso livello di consensi.
Quasi tutti i
suffragi non attribuiti ai due partiti epigoni
(dell’arco e non dell’arco) sono espressi a partiti che ne stavano fuori per l’ovvia
ragione che non esistevano (Lega, 5Stelle, FI e vari minori); né sono credibili
le dichiarazioni ad usum delphini di
lealismo alla costituzione formale di qualche dirigente, e dall’altro perché
spesso i partiti suddetti caldeggiano riforme costituzionali incisive, un po’ perché quelle
professioni d’intenti sono strumentali ad obiettivi tattici (di lotta tra, ma ancor più, nei partiti).
Resta il fatto
che da un consenso al 90%, l’ “arco costituzionale” è attualmente tra il 20 e,
tutt’al più (con minori vari) il 30% dell’elettorato.
Oltretutto tra
le forze non riconducibili all’arco/non arco, sono prevalenti quelle che
includono nella futura maggioranza (a quanto risulta dai sondaggi) proprio gli
eredi del ventennio; altri sono critici verso la Costituzione formale, al punto di aver proposto vasti
rimaneggiamenti della medesima.
Da questo deriva
che l’ “antifascismo” in particolare inteso come conventio ad excludendum dalla maggioranza elettorale ha un
consenso di una minoranza, ragguardevole ma pur sempre minoranza. In
conclusione abbiamo un dato reale (la Costituzione materiale) che non corrisponde da tempo a quella formale. Resta da capire quanto possa durare
una Costituzione formale non
sostenuta da “forze politiche e sociali” coerenti alla stessa.
Emerge così un
conflitto tra legittimità e legalità che è la principale causa della debolezza,
interna e ancor più internazionale, della Repubblica.
[1] E
proseguiva sottolineando l’intrinseca giuridicità, onde realizzare “un sistema
di rapporti gerarchizzati secondo criteri di dominio e di soggezione”, v. Istituzioni di diritto pubblico, Tomo I,
Milano 1976, pp. 30-31
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