I REDUCI DEL SECOLO BREVE
Non è ben chiaro
dove Zingaretti porterà il PD: a quanto sembra il richiamo al “vecchio”
rispetto alla rottamazione renziana non è da sottovalutare. L’elezione di
Landini e la manifestazione di Sala a Milano possono (forse) rafforzare
l’intenzione di percorrere questa strada. L’apertura a Calenda (immediatamente
rispedita al mittente) meno. Tuttavia la capacità di tenere insieme diverse
declinazioni di una concezione politica (e non solo) è, in politica, una
risorsa, ossia virtù, scriverebbe
Machiavelli; onde non è escluso che il nuovo segretario del PD ambisca a
realizzarla. Anche se operazioni del genere comportano il rischio
dell’instabilità: lo sa bene - da ultimo – Prodi che costruendo una coalizione ampia
ma eterogenea si trovò sfrattato più volte; addirittura in un’occasione da Turigliatto.
E la situazione
odierna del PD è assai meno propizia di quella del ventennio (e oltre) della
seconda repubblica. Non solo perché la base di partenza, cioè l’elettorato del
PD è inferiore al 20%, assai meno di quello che era il “tesoretto” di Prodi
(comunque intorno al 30%) ma perché la vecchia talpa ha scavato assai di più.
Mentre infatti l’Ulivo, l’Unione e le coalizioni di centrosinistra presupponevano
di essere uno dei poli della contrapposizione politica dominante (o ritenuta
tale), cioè quella tra sinistra e destra, ma in effetti tra borghesia e
proletariato, oggigiorno la consunzione di quella si è quasi totalmente
compiuta: è stata neutralizzata. La
capacità coagulante del nemico (avversario, oppositore) borghese o proletario,
democratico-liberale o socialista è venuta meno, ed un’altra del tutto nuova si
è manifestata, quella tra identità (dei popoli) e globalizzazione. Stiamo andando
ad elezioni europee dove l’avversario da battere è per i vecchi partiti il
sovranismo (e i sovranisti).
Per i partiti
popul-sovran-identitari) le forze politiche che si richiamano alla vecchia
scriminante politica, complici, quando non autori della globalizzazione e delle
istituzioni in cui è “ordinata”. Ma non vorrei annoiare i lettori con tesi che
da anni - ovviamente non da solo – mi capita di scrivere.
Passando al PD, in
larga parte ancora costituito da quadri già PCI (molti) PDS-DS (ancora di più),
occorre ricordare le differenze dal
vecchio PCI rispetto ad oggi. In primo luogo la base sociale: un tempo
era proletario, la base sociale del PD essendolo per oltre tre quarti: operai,
braccianti, mezzadri. Ciò almeno fino agli anni ’70, in cui gli occupati del
settore industriale erano oltre il 40% della forza lavoro; oggi, sono poco più
del 20%. Anche se vi fosse ancora il nemico borghese, la truppa proletaria
interessata a combatterlo si è ridotta a poco più della metà.
La seconda: il partito di massa. Il PCI era un
partito di massa, un partito organizzato centralisticamente; il partito diceva
Stalin, parlando del PCUS, è come l’ordine dei portaspada. Gli iscritti
superavano i due milioni. Pare che gli iscritti odierni non passino i 500.000;
anche se, con il meccanismo delle primarie, gli
interessati risultano molti di
più. Ma comunque altro è recarsi ogni tanto a votare a un seggio, altro è fare,
se non il “rivoluzionario di professione”, almeno il militante. Il quale fa
parte del “seguito” dei politicamente
attivi: l’elettore alle primarie no, come non ne fa parte né il votante
alle politiche e neanche la nuova incarnazione della figura del “decidente
inattivo”: l’iscritto alla piattaforma Rousseau. Tutte figure accomunate da
un’attività episodica e rigidamente individuale anche nel modo dell’espressione
della volontà: da soli, in una cabina o davanti a un computer. Il carattere
pubblico della decisione collettiva nelle assemblee e nei comizi o nelle piazze
è lì del tutto estraneo. E con esso il coinvolgimento
politico.
Quanto ai valori di riferimento: quelli del
vecchio PCI erano di un partito marxista-leninista; e gli interessi protetti,
quelli del proletariato (pur articolati). Dopo essere passati in una fase in
cui ai primi si andava (progressivamente) aggiungendo la “diversità” intesa
come “questione morale”, i valori e gli interessi proletari oggi sono stati
totalmente sostituiti dalla protezione dei “diritti umani”, di quelli delle
minoranze, dalla libertà sessuale (ecc.) di guisa che il partito un tempo
definito “partito burocratico di massa” è divenuto assai più simile al “partito
radicale di massa” profetizzato da Augusto Del Noce come esito finale del
comunismo italiano. Lo stesso che sembra avvenuto a gran parte dei partiti
della sinistra europea (per lo più social-democratici), i quali appaiono assai
meno solleciti degli interessi (e valori) del proletariato di quanto facessero
mezzo secolo fa. Non meraviglia che in Europa stiano perdendo seguito in misura
macroscopica, semmai desta stupore che contravvengano a quelle tendenze dei
partiti (ancora più manifeste in quelli socialisti) all’accrescimento numerico e
alla rappresentanza di tutti (proletariato come “classe liberatrice”)
sottolineate da Michels. In conseguenza dell’abbandono delle quali stanno
riducendosi fino all’estinzione, possibile e per taluni non molto lontana.
Oltretutto vi sono
movimenti di “sinistra” che già appaiono in via di trasferimento/collocazione nel
nuovo assetto bipolare: un sovranismo “di sinistra” cui neppure si può far
carico di aver dirazzato, giacchè democrazia, indipendenza, sovranità sono
stati spesso idee condivise anche lì, e anzi, spesso è merito di partiti
proletari, aver difeso l’indipendenza e la sovranità dei popoli. Nulla può
impedire tuttavia a chi pur essendo di sinistra intende collocarsi in nome
dell’internazionalismo dell’umanità dei diritti umani (e così via) nell’altro
polo, anche se, francamente appare meno in linea con la (loro) tradizione.
In questo quadro
ci si può chiedere se, piuttosto che imbarcarsi in un amarcord politico, il PD non preferisca essere l’asse di un nuovo
partito globalista, “Italia in marcia”, provando a ripetere quanto riuscito a
Macron due anni fa. Il che presupporrebbe tuttavia l’accordo con l’arcinemico
(che tal non è e neppure era) Berlusconi; e, con ciò, implica l’abbandono definitivo
della “vecchia” identità. O, in alternativa, rassegnarsi ad un deperimento
lento.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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