venerdì 5 ottobre 2018

«Colpo di Stato»: una recensione di T.K. de la Grange

Acquisto.
F. Fracassi e T. Alterio Colpo di Stato, pp. 163, euro 13,00

Questo libro, che descrive la “cura” somministrata alla Grecia negli anni dal 2008 ad adesso serve non solo a ricordarne il recente passato ma anche ad istruire e prevedere gli scenari futuri per l’Italia.
Scrive il sen. Lannutti nella Prefazione “L’Europa brucia e i banchieri d’affari, come quelli di Goldman Sachs ballano il valzer sulle rovine del mondo. In Grecia le grandi società finanziarie hanno speculato, le agenzie di rating hanno speculato, i governi del Nordeuropa hanno speculato”. La Grecia è entrata nell’euro truccando i conti pubblici con l’aiuto della “Goldman Sachs”; e anche l’Italia nella frenesia di entrare nell’euro (che animava i politici – e non solo – da ombrellone) l’ha fatto. La conseguenza è che, a distanza di alcuni anni, la Grecia si è trovata con il debito pubblico aumentato (circa 70 punti tra 2008 e 2017), i cittadini impoveriti, molti beni pubblici (s)venduti e tanti interessi pagati alla finanza internazionale (e interna).
Un esito tutt’altro che confortante e che, insieme ai profitti realizzati sia con gli interessi che con gli acquisti a prezzo di saldo, lascia prevedere che l’ “andazzo” continuerà a lungo. I protagonisti di questa predazione sono noti a tutti e al loro posto sia nelle istituzioni internazionali che (in misura fortunatamente decrescente) nei governi dei paesi europei.
Sostiene il sen. Lannutti che “Le vere minacce ai diritti e alle libertà non sono quelle dei cosiddetti «populisti», ossia di coloro che tutelano il popolo taglieggiato, difendono la legalità costituzionale, i diritti negati, il bene comune, gli interessi generali, i consumatori ed i risparmiatori oppressi e taglieggiati da banche, banchieri centrali e dalla finanza criminale. Le vere minacce sono quelle di Goldman Sachs, Jp Morgan, agenzie di rating, banchieri di affari, che hanno corrotto ideologicamente (e non solo), servili governanti alla dottrina del liberalismo totalitario e del primato della finanza, per rendere schiavi i popoli”.
Il libro si snoda attraverso la descrizione dei mezzi impiegati per piegare la Grecia, sia diretti (accordi, complicità di governanti e compradores greci) che indiretti, come il controllo dell’informazione: particolarmente significativa la descrizione delle riprese televisive trasmesse da Piazza Syntagma ad Atene, con i Bancomat “presi d’assalto”, quando, girato l’angolo, erano deserti. Tutte cose che si spera – e si pensa – gli italiani abbiano capito, visto che siamo stati e siamo sottoposti alla medesima “terapia”, anche se più blanda.
Nella postfazione il libro conclude contrapponendo l’ “anima” dei paesi mediterranei a quella del Nord Europa, citando la filosofa Caterina Resta, evidentemente debitrice della concezione/opposizione di Carl Schmitt tra Land  e Meer (anche se con attori in parte diversi).
A questo punto occorre trarre qualche considerazione da questo (interessante) libro, magari scomodando di nuovo Schmitt e, più in generale, lo strumentario del realismo politico, attualizzandolo.
La cui (prima) costante (o regolarità) è – a proposito di Grecia – quella esposta da Tucidide nel notissimo racconto dell’ambasceria ateniese agli abitanti dell’isola di Melo: ossia che i gruppi umani cercano sempre di dominare gli altri. Un tempo si faceva, come gli Ateniesi fecero ai Meli, sconfiggendoli in battaglia, distruggendo la città e deportandoli come schiavi.
Col tempo tali antiche pratiche si sono ingentilite (non sempre) e si preferisce sottoporre a tributi (indennizzi, riparazioni), i vinti dopo averli sconfitti in una guerra limitata (anche questa non sempre tale).
In un’epoca pacifista (o pacifica) come la nostra, come hanno acutamente scritto nel libro “Guerra senza limiti” i colonnelli cinesi. Quiao Liang e Wang Xiangsui (sulla base dell’antico pensiero strategico cinese), si preferisce arrivare a dominare con mezzi indiretti e non violenti. È la “golpe” che prevale sul “lione” usando l’espressione di Machiavelli.
E anche il colpo di Stato, una volta fatto con le baionette e i carri armati, oggi si fa con lo spread, le televisioni, i mass-media e magari le sentenze. Così se la Grecia subì nel 1967 un colpo di Stato “classico”, nel 2011-2015 ne ha subito uno post-moderno in cui esecutori sono stati non i colonnelli, ma i banchieri.
Ma il fine delle guerre post-moderne è sempre quello indicato nel Von Kriege di Clausewitz (e oltre un secolo dopo, da Giovanni Gentile): arrivare a piegare la volontà dell’avversario.
Problema che ovviamente si pone a entrambi i contendenti. Il limite delle comunità aggredite e sfruttate è che gli aggressori sono organizzati e dispongono di mezzi potenti, le prede sono meno coese e dispongono di mezzi inferiori.
Occorre quindi una strategia di resistenza antipredatoria. Tzipras, disponeva di un capitale che non seppe usare: il consenso popolare, prima alle elezioni politiche poi col referendum anti UE (vinto in modo inequivocabile – circa due terzi dei voti – al “NO”).
È il consenso popolare maggioritario il mezzo e la risorsa fondamentale della “guerra non violenta” di popolo.
Così come lo fu (e lo è) della guerra partigiana della storia moderna. Lo aveva affermato Mao-Dse-Dong, quando raccomandava che il partigiano dovesse muoversi tra il popolo come un pesce nell’acqua. Armate popolari, povere di mezzi ma ricche di consenso di masse, animate dal sentimento politico (di autodifesa) condiviso dalle popolazioni, costrinsero le potenze dominanti a sgomberare i territori occupati.
Come operare contro un nemico che non occupa territori e non usa armate? La risposta è tutta da trovare, ma forse se ne può individuare la traccia nelle lotte non violente di Gandhi, in particolare quelle per la filatura domestica e contro il monopolio del sole, le quali colpivano entrambe la potenza dominante in interessi economici e finanziari e la cui condizione per riuscire era che fossero praticate da una grande maggioranza della popolazione.
o anche da Thoreau, senza trovare la necessità di giustificare la disobbedienza – a meno di non essere governati da governi Quisling della finanza – perché il dovere e l’obbedienza (e il divieto di disobbedienza) è limitato dal pensiero politico ai soli governi legittimi mentre finanza, Troika, ecc. ecc., non sono né governi né legittimi.
Piuttosto dove non siamo d’accordo con gli autori del libro è caricare al neo-liberismo la sofferenza dei popoli. Un po’ perché potere, colpe, responsabilità, sono ascrivibili a persone e non ad ideologie. Addossare alle idee le colpe delle persone può, oltretutto, diventare una comoda uscita per giustificazioni ed attenuanti. Ma ancor di più perché non è tanto il liberismo (e il capitalismo) ad aver creato una tale situazione, ma piuttosto la “versione” che se ne osserva oggi, quella che qualche attento osservatore ha definito del ceo-capitalismo, o la tecnocrazia dei manager. E d’altra parte come scrive De Benoist condividendo la teoria dei cicli di Kondratieff, gli ultimi trent’anni costituiscono la fase (discendente e) di finanziarizzazione dell’onda (fordista). Che come tutti i cicli capitalistici ha fasi di costruzione e fasi di decadenza/distruzione.
Ma non bisogna disperare: in fondo se siano al termine di un ciclo (di Kondratieff o magari di Polibio) stiamo per assistere all’alba del nuovo.
Teodoro Klitsche de la Grange

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