giovedì 10 novembre 2011

Le Nazioni tutte con la Palestina - Israele compie nuovo orrendo atto di pirateria - Lendman: Israele regime canaglia, la sua fine solo questione di tempo


Era iniziata in Tunisia, con un atto estremo di auto-imolazione, la rivolta delle popolazioni indignate che ormai ha assunto proporzioni globali. Come abbiamo fatto notare in post precedenti, la Liberazione della Palestina è uno dei temi ricorrenti delle proteste e Israele è l’osservato speciale isolato dalla comunità delle rivolte internazionali.

Anche in Israele la popolazione protesta contro il proprio governo sionista e il premier Netanyahu, ma le rivolte mondiali dei 99% non si sognano certo di esprimere solidarietà con i coloni israeliani arrivati in Terra Santa per impossessarsi illegalmente dei territori e delle case palestinesi. I coloni ora si lamentano perché la parte del bottino a loro aggiudicata non corrisponde a quella promessa. Magari vorrebbero che i ladri in capo spartissero equamente con le genti attirate con la frode e con l'inganno in Palestina il frutto illecito sottratto ai Palestinesi e le ricchezze che piovono copiose su Israele dall’estero - specie dagli USA, anche esse sottratte illegalmente ai contribuenti.

Nelle proteste di Occupy Wall Street sentiamo spesso slogan del tipo: stop con i miliardi per Israele - appartengono al popolo americano - Occupiamo Wall Street, non la Palestina - Riprendiamoci i miliardi che finanziano l'apartheid di Israele.

Nel giro di una settimana abbiamo visto il movimento dei 99% occupare il consolato israeliano di Boston, protestare in Canada contro le Lobby sioniste, urlare slogan contro Israele a Parigi - e la settimana scorsa gli studenti arrivati a Londra da ogni parte del Regno Unito per la lunga marcia sul distretto finanziario della City, non hanno perso l’occasione per portare la piaga della Palestina occupata all’attenzione del pubblico mondiale, approfittando dei riflettori internazionali puntati sulle proteste di Londra.

Ha fatto il giro del mondo la notizia che secondo un recente sondaggio condotto in 15 paesi europei, la maggioranza dei cittadini considera Israele «la più grande minaccia alla pace nel mondo

Nel suo articolo dal titolo: Israele assalta gli attivisti della Flotilla “Ondate di Liberazione per Gaza”, il giornalista ebreo americano Stephen Lendman - a cui è appena stato conferito il prestigioso premio  per "giornalismo di inchiesta dell'anno" - terminava il lungo resoconto su questo nuovo atto di pirateria del regime sionista dichiarando:

«Il mondo intero osserva da vicino. L’informazione viaggia veloce. Ogni singola mossa di Israele viene monitorata e segnalata. Il giornalismo indipendente della stampa, del web e delle emittenti radio e tv racconta ogni cosa. Presto tutti sapranno. I regimi paria fanno tutti la stessa fine. Ora è il turno di Israele. È solo questione di tempo».

Due settimane fa, Israele ha di nuovo catturato in acque internazionali le navi di una spedizione di attivisti pro-Palestinesi diretti a Gaza. Questa volta la Flotilla portava il nome di Freedom Waves to Gaza: Ondate di Libertà per Gaza. Ma purtroppo, come in passato, le imbarcazioni con a bordo 27 attivisti e un carico di medicinali salvavita per Gaza, non sono mai arrivate a destinazione. I commandos di assalto della marina militare del regime israeliano hanno intercettato le due piccole imbarcazioni al largo della Palestina con un’azione estremamente spregiudicata e violenta, narrata in due articoli successivi di Lendman, di cui alcuni estratti sono dati qui di seguito.

I commandos hanno attaccato le due piccole navi, forzandole a scontrarsi tra loro e provocando danni enormi che hanno messo a rischio l’incolumità dei passeggeri. In seguito le due navi sono state forzate verso il porto di Ashdod nella Palestina occupata.

Press-Tv, che aveva il corrispondente britannico Hassan Ghani a bordo di una delle due imbarcazioni, la nave canadese Tahrir, è rimasta in costante contatto con le spedizione, dalla partenza in Turchia fino al momento della cattura, quando le comunicazioni sono state interrotte dal regime sionista chiamato Israele. Tutti ricordiamo Hassan Ghani per avere partecipato in veste di giornalista ad ogni spedizione per Gaza via terra e via mare, a iniziare dal primo convoglio del movimento “Viva Palestina” fondato dal celeberrimo parlamentare britannico George Galloway.

L’anno scorso, alla fine di maggio 2010, Hassan era tra gli attivisti e giornalisti catturati dai commandos israeliani sulla ormai leggendaria nave Mavi Marmara. Hassan stava ancora trasmettendo a Press-Tv via satellite dalla nave mentre già i soldati israeliani avevano assaltato la flotilla calandosi dagli elicotteri e sparando a chiunque si trovasse a tiro. Nel filmato mandato in onda lo stesso giorno da Press-Tv si poteva vedere Hassan con una mano sul microfono e l’altra sull’orecchio a causa del rumore assordante del fuoco israeliano che nel giro di pochi minuti aveva ucciso 9 degli attivisti a bordo e ferito decine di altri. Il filmato si interrompeva improvvisamente nel momento in cui si udiva lo sparo di un proiettile che chiaramente era esploso nelle immediate vicinanze del microfono. Si temeva il peggio, come commentava il giornalista dalla sede di Tehran.

Per almeno una settimana non si ebbero notizie di Hassan Ghani. Nessuno sapeva se fosse  stato abbattuto dal fuoco israeliano, o si trovasse nelle galere sioniste. Press-Tv era in costante contatto con il padre di Hassan, Haq Ghani, un uomo di immensa cultura che vive con la famiglia nella città scozzese di Glasgow. Durante i numerosi collegamenti in diretta via Skype, Haq Ghani  commentava con il suo caratteristico tono calmo le vicende della Mavi Marmara, dichiarando: «la nostra famiglia non ha mai tentato di dissuadere Hassan dalla sua attività di giornalista impegnato sul fronte della Causa Palestinese. L’impegno sociale e politico è parte integrante della nostra vita di famiglia. Sapevamo benissimo a cosa Hassan andasse incontro e lo abbiamo sostenuto nei suoi propositi - per questo ora non ci lamentiamo. Ma su un aspetto sono molto fermo: ho sollecitato a varie riprese il ministero degli esteri britannico a esigere e fornire informazioni circa la sorte dei cittadini britannici imbarcati sulla Freedom Flotilla. Nessun funzionario del ministero si è finora degnato di contattarci. Si tratta di attivisti impegnati in una missione per portare aiuti umanitari ad un popolo assediato e privato delle risorse di base per la sopravvivenza. Mio figlio ha partecipato alla spedizione in veste di giornalista, come molti altri imbarcati sulla flotilla. È illegale arrestare giornalisti in trasferta e tantomeno volontari in missione di pace, che mettono a rischio la propria vita  perché i governi che potrebbero intervenire in favore di Gaza non lo fanno…» 

Trascorsa una settimana, finalmente un attivista liberato aveva informato Press-Tv che il giovane Hassan Ghani era vivo e si trovava in uno dei vari carceri in cui gli attivisti della Freedom Flotilla capeggiata dalla Mavi Marmara erano detenuti. Poi lo abbiamo visto, Hassan, in diretta negli studi di Tehran, che ha raggiunto subito dopo il suo rilascio dalle galere sioniste. Era pieno di lividi con il viso tumefatto, ma vivace e articolato come sempre. Ci ha fornito una lunga testimonianza della vicenda. Lo sparo che avevamo udito al momento dell’interruzione del suo filmato dal ponte della Mavi Marmara era stato provocato dal proiettile che aveva colpito l’antenna satellitare. Subito dopo i commandos di assalto israeliani avevano catturato Hassan e confiscato le sue attrezzature da reporter. Poi il lungo racconto del terribile calvario a cui Hassan e i suoi compagni di viaggio erano stati sottoposti. Un racconto che tutti conosciamo per averlo letto e sentito dai sopravvissuti nei resoconti in rete e sui canali di news, perfino quelli dei media di massa.


Infatti l’episodio di estrema violenza della Mavi Marmara ha segnato un punto di svolta negativo nei rapporti tra Israele e il resto del mondo, o meglio, l’inizio della parabola discendente nella solidarietà gratuita, strabica e miope offerta ad Israele per decenni dai popoli occidentali in parte ignari e in parte condizionati dalla falsa propaganda diffusa con la complicità dei media di massa.

Gli esperti concordano sul fatto che  il bombardamento di Gaza del 2009 e questo atto di pirateria in alto mare, accompagnato dalla brutalità estrema nei confronti dei passeggeri delle sette navi, abbiano rappresentato il punto di non ritorno per la comunità internazionale, ormai in rottura prolungata con il regime sionista. E ogni episodio successivo non ha fatto che rafforzare nei popoli la profonda condanna per i crimini di Israele contro un popolo indifeso e vittima di ingiustizia senza precedenti. Che si tratti di ingiustizia è ormai un fatto acquisito e l’informazione in proposito si moltiplica di giorno in giorno in modo esponenziale, con l’aiuto della letteratura degli intellettuali israeliani o altri ebrei dissidenti, dei reportages a tappeto forniti dai media alternativi e delle innumerevoli iniziative in favore della Palestina che ora entrano a fare parte delle strategie del movimento di rivolta globale.

Dopo la condanna per le sorti della Freedom Flotilla 1, ci si aspettava il pieno successo per la spedizione della FF2 dell’estate di quest’anno - e cioè, l’arrivo indisturbato delle navi, dei passeggeri e del carico in Gaza. Ma sappiamo come è andata. Israele era ben consapevole dell’immagine ormai irreparabilmente compromessa agli occhi del mondo, e un nuovo spargimento di sangue di cittadini internazionali avrebbe comportato interventi decisivi non solo a livello diplomatico, ma con tutta probabilità anche militare, perché alcuni governi non avrebbero potuto resistere all’indignazione e pressione pubblica che ne sarebbe scaturita.

Nella vicenda della FF2, le cui 12 navi erano ancorate nei porti della Grecia per partire tutte insieme alla volta di Gaza,  Israele ha esercitato tutta la sua malevole capacità ricattatoria nei confronti dei regimi occidentali e la flotilla non è mai realmente decollata dai porti della Grecia, allora sotto ricatto come lo è tutt’ora. Molte navi sono state sabotate in porto, altre intercettate in mare nel tentativo di raggiungere Gaza individualmente. Il popolo greco - storicamente grande sostenitore della Palestina - aveva protestato per settimane. Ma ancora una volta l’hanno avuta vinta le minacce al governo di turno preso di mira dal sistema corporativo dell’Impero negli interessi del regime sionista.

Due delle navi reduci della FF2 - la canadese Tahrir e la irlandese Soairse, due nomi che significano Libertà - si sono dunque avventurate in mare due settimane fa in tutto silenzio. Lo scopo era raggiungere Gaza per portare la solidarietà dei popoli del mondo e un piccolo ma prezioso carico di medicinali che scarseggiano nella Striscia di Gaza sotto assedio totale.

Alla vigilia della cattura, Hassan Ghani aveva detto in collegamento con Press-Tv: «se tutto va bene, arriveremo in Gaza entro domani sera».

Durante l’ultimo collegamento in diretta, la sera tardi, Hassan Ghani diceva: «il radar di bordo segnala navi in avvicinamento da sud-est. Sono tante. Se sono israeliane, significa che sta per arrivare mezza flotta della marina militare. E abbiamo sentito anche il rumore degli aerei caccia. Se c’è l'intenzione di attaccarci, succederà poco prima dell’alba, come l’anno scorso per la Mavi Marmara».

L’orrore di quanto avvenne da quel momento in poi viene narrato in due articoli successivi di Stephen Lendman, il famoso giornalista, autore e conduttore radiofonico di Chicago, a cui è stato proprio oggi assegnato il premio per migliore giornalismo di inchiesta dell’anno. È un  premio di grande prestigio e ricordiamo che l’anno scorso è stato assegnato al celebre autore e docente di New York, James Petras.

Ecco di seguito la sintesi dei passaggi più importanti dei due articoli.

http://sjlendman.blogspot.com/2011/11/israel-assaults-freedom-waves-to-gaza_08.html
http://sjlendman.blogspot.com/2011/11/washington-and-israel-v-iran-and.html

... Prima che si interrompessero le comunicazioni, il reporter di Press Tv Hassan Ghani aveva informato che «otto navi da guerra israeliane si sono avvicinate e ci è stato chiesto di cambiare rotta».

Ma le 27 persone a bordo, tra attivisti internazionali, giornalisti e membri dell’equipaggio hanno rifiutato, dicendo che non erano partiti per fare marcia indietro, e che la loro missione era dedicata a «sfidare il lungo assedio criminale imposto da Israele».

Ma il Gen. Gaby Askenazi ha ordinato che le navi fossero catturate e sequestrate. Entrambe le navi sono state seriamente danneggiate e portate ad Ashdod.

Il 5 novembre il sito ufficiale Canadian Boat to Gaza comunicava:

«Gli attivisti della Freedom Waves sono stati malmenati e arrestati e viene negato il contatto con le famiglie. Gli organizzatori esigono un’azione legale». Il sito informava che secondo le fonti di contatto, 27 persone erano detenute illegalmente in Israele, che ogni comunicazione con loro era interrotta, e che ai feriti veniva negato il trattamento medico. L’ultimo SMS ricevuto da uno dei passeggeri della nave irlandese diceva: «Sequestrati dai militari israeliani in acque internazionali. Nave quasi totalmente distrutta. Fate intervenire i governi per rilascio immediato». Ma poi il cellulare rimase irraggiungibile.

In seguito commentava Wendy Goldsmith, una delle organizzatrici della spedizione: «i governi dell’Irlanda e del Canada dichiarano che saranno loro a tenerci informati. Questo non ci basta. Vogliamo parlare con i nostri amici direttamente. E comunque non ci fidiamo del governo canadese, complice di Israele in tante vicende in cui sono stati violati i diritti internazionali».

Un membro della spedizione rilasciato, l’Arabo israeliano Majd Kayyal che viaggiava sulla nave canadese, intanto confermava che i commandos israeliani avevano fermato le due imbarcazioni in mare usando violenza e forza bruta.

Un filmato che ha fatto il giro dei media alternativi mostrava le navi israeliane con cannoni spara-acqua che stavano inondando le due imbarcazioni, mettendo a rischio il galleggiamento delle imbarcazioni e la vita dei passeggeri e dell’equipaggio.


Gli attivisti non hanno opposto resistenza, né avrebbero potuto, visto l’assalto feroce.

Il noto attivista e accademico canadese David Heap «è stato picchiato in modo particolarmente brutale. Le autorità israeliane vietano il contatto telefonico con i familiari».

I partecipanti alla spedizione sono detenuti nel carcere di Givon. Un legale del International Solidarity Movement, Huwaida Arraf, informava che i componenti dell’equipaggio erano stati liberati, ma gli attivisti rimanevano in carcere.

Informava anche che «durante l’assalto David Heap e l’australiano Michael Coleman erano stati torturati con le pistole elettriche, poi incatenati ai polsi e alle caviglie, e selvaggiamente picchiati. David Heap ora zoppicava, ma stava relativamente bene».


In un successivo contatto con il legale, Heap aveva dichiarato: «siamo prigionieri politici di Israele. La detenzione per motivi politici è illegale, ma voglio essere chiaro: la nostra situazione è niente rispetto alle sofferenze inflitte alle migliaia di prigionieri politici Palestinesi e al lager di Gaza».

Non solo gli attivisti sono stati brutalizzati durante l’arresto, ma anche successivamente in carcere.

Il motivo? Le autorità israeliane esigevano dai passeggeri, sequestrati e deportati nella Palestina occupata chiamata Israele, che firmassero una falsa confessione, dichiarando di essere entrati illegalmente in Israele e che non avrebbero in futuro tentato di sfidare l’assedio di Gaza. Ma era una menzogna, e la maggioranza si è rifiutata di firmare.

Israele è sicuramente l’ultimo luogo al mondo che gli attivisti pro-Palestina si sognano di visitare, tantomeno forzando l’ingresso.

Anche questa volta del giornalista britannico Hassan Ghani non si è saputo niente per una decina di giorni. Di nuovo il padre, Haq Ghani, era in costante collegamento con Press-tv, di cui il figlio Hassan è un dipendente. Come in precedenza, Haq Ghani ha dovuto constatare la latitanza delle autorità britanniche nel difendere i diritti dei propri cittadini e di richiamare il regime sionista all’ordine.


Commentava il parlamentare britannico George Galloway durante la sua trasmissione settimanale in diretta su Press-Tv: «immaginate cosa sarebbe successo se l’Iran - e non Israele - avesse rapito in acque internazionali un cittadino britannico per mezzo di un atto di pirateria: come minimo ci sarebbe stato un intervento militare tale da fare tremare l’intero Oriente.»

Anche questa volta agli attivisti e giornalisti tutto è stato rubato e sequestrato - ogni effetto personale, ogni attrezzatura.

La YNet News confermava che le autorità issraeliane non avevano trovato armi a bordo delle navi. Ma le autorità negavano anche l’esistenza del carico di forniture umanitarie a bordo. Mentivano, perché gli attivisti trasportavano un cargo di medicinali salva-vita per un valore di 30.000 dollari, evidentemente rubati dalle autorità sioniste per sottrarli alla popolazione di Gaza.

Il 7 novembre la IMEMC raccontava come si era svolta la cattura in mare: «I commandos israeliani avevano accerchiato le due navi, forzandole a scontrarsi tra loro. Una delle navi è stata danneggiata al punto da affondare quasi completamente. Poi le navi sono state trainate verso “Israele” e il carico è stato sequestrato.»

Dopo il suo rilascio, uno dei coordinatori e attivisti a bordo della spedizione irlandese, Fintan Lane, dichiarava al team della Irish Ship to Gaza: «L’assalto israeliano è stato estremamente pericoloso per l'incolumità dei passeggeri. Entrambe le navi sono quasi affondate. I commandos israeliani ci volevano abbandonare in mare con le navi, ma abbiamo rifiutato, temendo l’affondamento e certo annegamento».

Claudia Saba, portavoce della Irish Ship to Gaza commentava:

«Il racconto di Finton contraddice categoricamente la versione di Israele, secondo cui sarebbe stata “adottata ogni precauzione necessaria per salvaguardare la sicurezza dei passeggeri” - in realtà è un miracolo che siano scampati senza danni irreparabili».

Dopo il rilascio, il capitano della canadese Tahrir confermava la spregiudicatezza dell’assalto israeliano e i metodi di interrogatorio violenti: «Anche all’equipaggio sono stati sequestrati tutti gli effetti personali, è stata negata l’assistenza legale e il contatto telefonico con persone in patria».

Il racconto della giornalista Jihan Hafiz, nota per i suoi reportages da Egitto e  Libia, fornisce dettagli da incubo:

«Ho visto tre navi da guerra ... quattro battelli da assalto Zodiac, più quattro navi con cannoni spara-acqua. I soldati erano tanti, sufficienti per assaltare un’intera flotta nemica.

«I cannoni spara-acqua ci hanno inondato, mettendo fuori uso il sistema elettrico. Sulla nave irlandese hanno sparato talmente tanta acqua da farla quasi affondare. ... Il capitano della nave ha gridato: stiamo imbarcando troppa acqua - stiamo affondando - annegheremo se continuate con i vostri cannoni».

La giornalista ha poi raccontato la violenza usata contro i passeggeri: con i fucili puntati alla testa, i passeggeri sono stati fatti spogliare nudi mentre venivano filmati.

Qualunque altro paese verrebbe come minimo perseguito legalmente per un’azione del genere. Ma il regime sionista è protetto dai potenti di questa Terra e sa di poterla fare franca. Per ora. 

Spiega Dylan Penner, un organizzatore della spedizione canadese: «Siamo delusi ma non sorpresi per il mancato intervento dei nostri governi. Il silenzio del governo canadese in merito all’assedio illegale di Gaza, è un tacito condono dei crimini contro la popolazione di Gaza e del rifiuto di Israele di agire secondo gli obblighi internazionali.

Due giorni fa Hassan Ghani è stato infine liberato. In collegamento con Press-tv da Istanbul ha confermato il racconto dei compagni, aggiungendo molti dettagli sempre in linea con quelle testimonianze dell’orrore, ed esprimendo il suo fermo proposito di partecipare ad ogni futura spedizione «fino a quando Gaza verrà liberata». Purtroppo Hassan non potrà mostrarci i filmati delle riprese, perché ancora una volta tutto gli è stato confiscato.

Anche sette attivisti sono stati rilasciati, ma poi ri-arrestati mentre già si trovavano a bordo dell’aereo su cui le autorità li avevano imbarcati.

Il giorno del mancato arrivo della Flotilla in Gaza, il giornalista Omar Ghraeib raccontava dalle rive del porto:

«L’intera popolazione di Gaza si era raccolta nel porto per accogliere le navi della “Freedom Waves”. Eravamo anche molto preoccupati, perché ci aspettavamo un tale esito. Proprio per questo apprezziamo enormemente ogni azione per rompere l’assedio, e siamo profondamente grati agli attivisti che mettono a rischio la propria vita per raggiungerci».

Tante iniziative sono in corso per riportare la giustizia in Palestina. Come dice Stephen Lendman, Israele è ora l’osservato speciale delle rivolte globali. E per rivolte non intendiamo solo gli “occupatori” che vediamo nelle grandi città ovunque in Occidente. Le rivolte sono anche quelle dei cittadini che affidano agli “occupanti” delle aree di protesta le proprie speranze per un mondo in cui regni la giustizia, l'eguaglianza e la convivenza pacifica e civile tra i popoli. Presto i bruti, gli oppressori, i regimi paria, non saranno più tollerati. Le rivolte occidentali stanno arrivando alle porte di Israel. E' solo questione di tempo.

Nessun commento: