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SuccessivoMentre mi accingevo a scrivere un post su un nuovo attacco di “Repubblica” a Pallavidini, ho ricevuto da Franco Cardini il testo che segue. Considerata la frequenza e la sistematicità di una serie di attacchi concertati e cadenzati, credo si voglia attentare alla libertà di pensiero e di ricerca con l’introduzione di una normativa alla tedesca o alla francese. Mi vado però rendendo conto come la libertà di pensiero non sia un lusso, un accessorio professionale di un ristretto gruppo di intellettuali. È il fondamento stesso di una democrazia che sia sostanza e non mera procedura. Se occorrono illustrazioni di quanto così enunciato, devo rinviarle in altro momento. Ma sarà un leit-motiv dei miei prossimi post. Anche a Cardini, come già al sottoscritto, si attribuiscono posizioni che non ci si cura minimamente di verificare alla fonte, presso chi può certamente dare l’interpretazione autentica del proprio pensiero. Che vi sia un controllo capillare della stampa mi sembra evidente. È in atto una vera e propria demonizzazione contro chiunque la pensi in modo appena un poco diverso da quella che si ritiene la Norma. Restano da conoscere i soggetti, le modalità, o collegamenti e simili. Ricerche che si possono fare a posteriori o in tempi troppo lunghi rispetto all’immediatezza degli attacchi. È dunque sufficiente l’intuito di ognuno per capire il ruolo della stampa e dei media, che hanno loro proprie finalità politiche e servono determinati referenti politici. A proposito, devo confessare la mia ignoranza. Fino a questo momento non avevo mai sentito il nome Jean Thiriart. Probabilmente, anche io verrò rubricato come un suo allievo! Di fronte a connessioni così ampie ed arbitrarie ognuno di noi puà essere associato a chiunque, da Gesù Cristo a Gengis Khan. Mi viene subito da chiedermi perché mai l’articolista anziché di Curcio o di Cardini non vada a ricostruirsi la biografia politica di personaggi che oggi si trovano ai vertici delle istituzioni nazionali e locali. Non credo so tratti di una ricerca difficile. Interessato com’è agli incontri matrimoniali durante la militanza politica, ne potrebbe scoprire delle belle.
A. C.
* * *
A PROPOSITO DI DISINFORMAZIONE
Nota di Franco Cardini, 18 novembre 2009
A tutti gli Amici e a tutti coloro che seguono il mio “sito”. Trascrivo, qui di seguito, un articolo a firma Alexandre Del Valle comparso sul quotidiano “Libero” del giorno 17.11.2009. Per quanto dal contesto di esso la cosa non sia chiarissima, si tratta a quel che pare degli estratti di un recente libro del Del Valle, noto per la sua tesi secondo la quale gli Stati Uniti d’America si servirebbero dell’Islam (presentato e trattato come una realtà omogenea e totalizzante) per compromettere e ostacolare la vita politica, culturale. civile, sociale ed economica dell’Europa. Non ho alcun contatto con il signor Del Valle, e ignoro pertanto sulla base di quale bislacca deontologia professionale egli parli di qualcuno che avrebbe potuto informarlo di prima mano sia delle proprie pubblicazioni, sia delle proprie autentiche posizioni.Escludo pertanto, sulla base di quanto dal suo scritto rilevo, che il signor Del Valle sia intellettualmente onesto e culturalmente capace di condurre una ricerca corretta: mi chiedo d'altro canto perché il quotidiano “Libero” abbia accolto un attacco personale così virulento e diretto - suscettibile a quel che persone competenti mi suggeriscono anche di azione legale -, a meno che all’interno di quel giornale non vi sia qualcuno per qualche motivo interessato a diffamare la mia persona. Addito comunque un tale modo di far “giornalismo” al disprezzo di chiunque si appresti a esaminare questo dossier.Il Dossier che segue è distinto, per comodità dei lettori, in 3 parti.Dossier 1.
Il fronte comune di islamici, nazisti e compagni
CULTURA | Alexandre Del Valle
Pubblicato sul quotidiano “Libero” il giorno: 17/11/09
L’espressione «rosso-nero-verdi», da cui è stato concepito il titolo di questo libro, venne utilizzata per la prima volta da
Jean Thiriart.
Militante nell’estrema destra belga e nel Circolo degli Amici del Grande Reich Tedesco (AGRA) durante l’occupazione nazista del Belgio, Thiriart, all’epoca giovane rexista, era stato molto legato al movimento nazionalbolscevico filonazista del professor Kessemaier e imprigionato per collaborazionismo alla fine della guerra. All’inizio degli anni ’60 diede vita a una nebulosa internazionale neonazista e poi, dopo essersi momentaneamente opposto alla decolonizzazione, abbracciò, come la Nuova Destra, posizioni filoarabe e terzomondiste. Diventato filosovietico, Thiriart denunciò oppositori anticomunisti cristiani dell’Europa dell’Est come Lech Walesa, definendolo una «marionetta della propaganda sionista e americana». (...)
Concentrò i suoi sforzi sull’antigiudaismo e sull’alleanza con i nazionalisti arabo-musulmani alla stregua di François Genoud e del Gran Muftì di Gerusalemme. In Francia ispirò rosso-neri come Christian Bouchet, la Nuova Destra o gli intellettuali usciti da questo movimento e diventati più rispettabili, come Franco Cardini in Italia. In America Latina, influenzò il dittatore argentino Perón, il geopolitologo peronista-negazionista argentino Norberto Ceresole, e sopratutto il leader della «Rivoluzione bolivarista» Hugo Chávez. (...)
In maniera repentina, quindi, questo nostalgico del Terzo Reich diventò antimperialista, filocubano e filocinese. Un cambio di rotta che lo portò al «nazionalcomunismo» al fianco dei militanti maoisti, con i quali condivideva un antisionismo virulento e una fascinazione per l’azione rivoluzionaria diretta di tipo palestinese. L’alleanza con la Cina comunista e il mondo arabo era per lui necessaria contro il nemico principale: l’imperialismo americano-sionista. Ma l’odio viscerale nei confronti degli Stati Uniti fece nuovamente evolvere il suo movimento verso posizioni filosovietiche e filorusse, in contrapposizione all’antiatlantismo. I
Cahiers du Solidarisme, anch’essi frutto del movimento Giovane Europa di Thiriart, editati dal 1976 al 1979, seguivano la stessa direzione. In un numero già citato della rivista
Eléments, dedicato agli arabi, Claudio Mutti ha spiegato come l’organizzazione e la rivista
Jeune Europe di Thiriart avessero motivato la sua conversione all’Islam e il suo filoarabismo terzomondista «di destra». Fu in quegli anni e seguendo quest’evoluzione che i “Solidaristi” e la Nuova Destra, influenzati da Thiriart e Jeune Europe, strinsero legami con i gruppi «euro-terroristici» di Action Directe, delle Brigate Rosse italiane - che all’epoca era considerata la più efficace struttura d’azione «antimperialista» - e delle Cellule Comuniste Combattenti (equivalenti belghe delle prime due). Un avvicinamento che ebbe conseguenze dirette quando i militanti del gruppo di Thiriart si associarono all’estrema sinistra terroristica in Italia, in particolare a Renato Curcio, che in seguito fu a capo delle Brigate Rosse.
Il camerata Renato Curcio.
Contrariamente a quanto scritto dai suoi biografi, il terrorista rosso Renato Curcio non iniziò la sua «carriera politica» a Trento nel 1967, ma diverso tempo prima ad Albenga, nell’ambito del movimento di estrema destra americanofobo e antisemita di Thiriart,
Jeune Nation, che darà i natali, in Italia, a
Giovane Europa, dalla quale Curcio trarrà la propria formazione. Nel n. 4 della rivista
Giovane Nazione, il «camerata Renato Curcio» è citato in qualità di responsabile della sezione di
Giovane Europa di Albenga. Nel n. 5 (ottobre 1963) dello stesso giornale, Curcio è lodato per il suo «zelo militante», e solo in seguito egli entrerà a far parte del movimento studentesco di estrema sinistra. È in
Giovane Europa che imparerà i pregi dell’organizzazione e della centralizzazione leninista e che studierà le basi teoriche della guerra partigiana nonché il concetto di «brigata politico-militare». A partire dal 1967, Renato Curcio si farà promotore di movimenti studenteschi di estrema sinistra all’Università di Trento ed entrerà a far parte del Partito comunista italiano (Marxista-Leninista), partito rosso-nero-verde ante litteram che all’epoca collaborava con
Giovane Europa e promuoveva la rivista
Lavoro Politico.
È in questo periodo che Curcio conosce e sposa Margherita Cagol, la futura pasionaria delle Brigate Rosse. In seguito egli si recò a Milano, dove entrò in contatto con l’editore di estrema sinistra Giangiacomo Feltrinelli, il quale lo mise in contatto con il gruppo terrorista tedesco della Raf e con la Sinistra proletaria francese.
Così come la
Jeune Europe, votata a partire dal 1966 a dare vita a una forza politico-militare destinata «ad abbattersi sull’Europa per farla finita con i collaborazionisti di Washington», anche le Brigate Rosse denunciavano la Nato come «organo di polizia degli americani in Europa». I concetti erano gli stessi. A parte Renato Curcio, l’ideologo rosso-nero-verde che meglio illustra, in Italia, la confusione «nazimaoista» è l’editore Franco Giorgio Freda, fondatore delle Edizioni di Ar, incarcerato per vent’anni per «cospirazione politica» e presunta partecipazione ad alcuni attentati che hanno insanguinato l’Italia, come la strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano.
Freda, Mutti e BlondetNel 1969, a Padova, Freda fu il co-organizzatore della prima grande manifestazione pro-Palestina mai avvenuta in Italia, legata ad alcuni rappresentati di al-Fatah e a dirigenti del gruppo maoista di Potere operaio. In un’intervista alla
Librairie Française, Freda ha spiegato il suo cocktail ideologico in occasione della presentazione di un volume intitolato . Nel frattempo, alcuni suoi amici danno vita a sezioni dell’associazione Italia-Cina e, con Mutti, all’associazione Italia-Libia. (...) Parimenti, Claudio Mutti, formatosi nella
Giovane Europa negli anni ’60, diventò «maoista» e tentò di creare una struttura «nazimaoista» in Italia attorno ai simpatizzanti della rivista
Orion. Mutti teorizzava una
union sacrée in questi termini: «Contro il fronte dell’insolenza democratica, dell’avidità finanziaria e della dominazione ebraica ci dovrebbe essere un fronte di estrema sinistra e di estrema destra». (...)
In Italia, l’istigatore antisemita cattolico Maurizio Luigi Blondet ha conosciuto anch’egli una popolarità trasversale rosso-nero-verde, dopo essersi specializzato nella negazione dell’11 settembre e nella tesi del «complotto giudaico-massonico» contro i musulmani e i cattolici. Blondet, giornalista e scrittore vicino all’area cattolica integralista, ex inviato speciale de
Il Giornale e dell’
Avvenire, dirige le edizioni Effedieffe fondate da Fabio De Fina.La maggior parte dei suoi scritti riguarda i «poteri occulti» e le «oligarchie». Blondet si occupa di un settimanale intitolato
Il Cospiratore e scrive regolarmente editoriali antiebraici sul giornale integralista online Effedieffe, anch’esso pubblicato dalla casa editrice creata e diretta da Fabio De Fina che ha sede a Viterbo.
Le tesi revisionisteDopo l’11 settembre Maurizio Blondet si è impegnato a divulgare le tesi revisioniste di Thierry Meyssan, spiegando che gli attentati di Manhattan a opera di fondamentalisti islamici sarebbero stati il frutto di un complotto americano-sionista e massonico destinato a «distruggere la resistenza islamica» al Governo Mondiale, così com’è descritto nei
Protocolli dei Savi di Sion, testo a cui fa spesso riferimento l’autore.
Blondet ritiene che, dall’11 settembre alla crisi dei subprimes, l’origine della decadenza e delle catastrofi mondiali vada ricercata nei complotti orditi dalle strutture bellico-industriali dell’Occidente, in particolare da quelle americane e dalle lobbies petrolifere e politiche giudaico-massoniche; senza dimenticare che i neoconservatori americani sarebbero alla base del «complotto dell’11 settembre». Blondet ha presentato quest’idea in numerosi suoi scritti. Alcuni mesi dopo gli attentati di Manhattan, Blondet ha sostenuto l’argomento dell’«autoaggressione» statunitense e della partecipazione dei servizi segreti israeliani alla legittimazione dell’intervento armato in Afghanistan e in Iraq.
Blondet è attivo anche nella ricerca delle «origini» ebraiche, benché antiche, dei grandi papi «cospiratori»; ha prodotto prove sull’ascendenza ebraica del defunto papa Giovanni Paolo II presentate nell’opera
Cronache dell’Anticristo. La testimonianza di una nuova convergenza rosso-nero-verde è offerta dalla riformulazione di determinate tesi di Blondet da parte di alcuni esponenti dell’ultrasinistra. Fatto che risulta evidente consultando il sito
No Global http://www.edoneo.org o la pagina http://smart.tin.it/rancinis/ fiamma.html, in cui si trovano gli articoli del teorico italiano dell’alleanza «catto-islamista» contro i «decadenti» e i giudeo-massoni. Le posizioni di Blondet, infatti, sono abbastanza diffuse nella destra neopagana e integralista-cattolica italiana.
Esse hanno anche registrato una certa “rispettabilità”, da quando uno dei suoi principali rappresentanti, il cattolico convinto e un tempo membro della Nuova Destra e dell’Msi Franco Cardini, si è allontanato dagli ambienti radicali per divulgare le tesi negazioniste dell’11 settembre, filoislamiste e antisioniste sulla stampa nazionale o in opere collettive quali
Zero, lavoro dedicato alla negazione degli attentati di Manhattan e del Pentagono del 2001 e scritto assieme a famosi esponenti dell’antiamericanismo e del revisionismo come Thierry Meyssan.
Cardini, docente di Storia medievale a Firenze, è stato membro del movimento transnazionale
Jeune Europe fondato dal belga Jean Thiriart, ha studiato la mistica fascista e il sincretismo islamico e ha preso posizione contro le guerre in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003) aderendo alla grande manifestazione unitaria del 13 dicembre 2003 promossa dal Campo Antimperialista. È stato direttore editoriale del mensile della Fondazione Federico II di Palermo,
L’Euromediterraneo, e dell’Associazione culturale Identità Europea. Come molti antimperialisti e antisionisti formatosi nella Nuova Destra, egli promuove un’immagine positiva dell’Islam nel quale identifica, seguendo il pensiero di Guénon, sia una religione «tradizionale» sia, all’interno del mondo arabo, una zona di opposizione alla cultura imperialista, mondialista e materialista dell’Occidente americanizzato. Come hanno rivelato il settimanale
Tempi e l’agenzia d’informazione
Corrispondenza romana, Franco Cardini è corrispondente di Radio Teheran, nella sezione ufficiale di La Voce della Repubblica islamica, cioè la radio di Stato iraniana che trasmette tutti i giorni in lingua italiana da una capitale estera. Radio Teheran esiste dal 1995, ma sta acquisendo sempre maggiore peso grazie al rinnovato protagonismo internazionale del leader Ahmadinejad. Cardini esprime spesso il suo parere sulla Palestina, l’Iraq, «l’islamofobia» o la politica italiana. Autodefinitosi «uomo d’ordine e di destra» e spesso interpellato dal
Secolo d’Italia, Cardini è stranamente risparmiato dalla sinistra ed è anche stato portato a esempio dal leader del Pd Walter Veltroni per i suoi attacchi ai tagli del governo alla scuola e all’università.
Dossier 2.
Considerazioni di F.C.
Non credo che valga molto la pena di commentare uno scritto del genere. Per quanto riguarda comunque la mia attività di studioso e di pubblicista, nonché la mia bibliografia – comprese le cose che il del Valle cita o richiama fumosamente, senza peraltro, con ogni evidenza, averle consultate, rinvio ad altre parti del presente “sito”.
Segnalo comunque che l’Amico Luciano Lanna, Direttore de “Il Secolo d’Italia” – un quotidiano chiamato in causa dal Del Valle o dall’ignoto informatore che a lui l’ha segnalato -, mi ha chiesto in data 18.11. una replica all’articolo di cui sopra: l’ho inviata, ma ne trascrivo qui il testo completo dal momento che esso, un po’ troppo lungo, potrebbe venir pubblicato con qualche “taglio” per esigenze di spazio.
Dossier 3.
Replica di F.C. inviata a “Il Secolo d’Italia” in data 18.11. 2009, qui riportata in edizione originale e integrale, con l’aggiunta di alcune note.- CHE IO SIA UNA STREGA? –
Nella nostra vita, il dolce si mischia sempre all’amaro. E magari al piccante. E’ la regola. E io non vi sfuggo.
La settimana scorsa ero vicino a Gerusalemme, nell’oasi ospitale di Nevé Shalom, l’ “Oasi di pace” dove israeliani ebrei, arabi cristiani e arabi musulmani vivono insieme, cercando di dimostrare al mondo che tutto è possibile agli uomini di buona volontà. Abbiamo ricordato insieme, con la preghiera e con un convegno di studi, la memoria di padre Michele Piccirillo, il prestigioso francescano-archeologo di recente immaturamente scomparso. Anima dell’evento è stata una mia meravigliosa amica, Simonetta Della Seta, adesso addetta culturale presso la nostra ambasciata a Tel Aviv. Con Simonetta ho scritto un romanzo storico,
Il guardiano del santo Sepolcro (Milano, Mondadori, 2000), dove noi due, un’ebrea e un cattolico, c’incarichiamo di far parlare in prima persona il portinaio della basilica gerosolimitana della resurrezione, un musulmano. Peccato che i media ne abbiano parlato poco. A Nevé Shalom ho avuto la gioia di poter riabbracciare tanti stimati colleghi israeliani, come il grande medievista Benjamin Z. Kedar, amico di colui ch’è stato uno dei miei più cari maestri, Joshua Prawer, il cui splendido libro
Colonialismo medievale ho avuto l’onore di tradurre in italiano (Roma, Jouvence, 1985). I miei amici ebrei, tanto italiani quanto israeliani, sanno bene che io non concordo in tutto con la politica israeliana, specie con quella di alcuni recenti governi e soprattutto con l’attuale, e segnatamente nella politica seguita nei confronti dei palestinesi e dei “territori occupati”; come sanno che io non credo molto che l’attuale modo maggioritario di presentare la società iraniana sia corretto e risponda completamente a verità. Ma discutiamo, come si fa tra amici: e gli amici non sono quelli che ti danno sempre e comunque ragione, ma quelli che ti espongono lealmente le loro ragioni e si aspettano altrettanto da te. Per il resto, essi – che mi leggono – sanno benissimo che cosa pensi di loro, della loro cultura e della loro fede abramitica, che da figlio di Abramo in quanto cattolico anch’io per tanti versi condivido. L’ho scritto a chiare lettere, introducendo la traduzione italiana del libro curato da Alain Dieckhoff,
Israele. Da Mosè agli accordi di Oslo (Bari, Dedalo, 1999). Dicevo testualmente, a p.1 4:
“…Israele non è né uno strano fenomeno antropologico-religioso, né una specie di fossile storico misteriosamente sopravvissuto e riaffiorato nelle tormentate vicende degli ultimi duecento anni. Ma, semplicemente, una parte di noi e delle nostre vicende di cui non possiamo fare a meno. Una gloria del mondo”.
Non ho nulla da aggiungere e nulla da togliere a quelle parole.
La bella esperienza di Nevé Shalom si è conclusa per me venerdì scorso, a tavola, ospite fraternamente accolto da Simonetta, da suo marito – il musicologo Massimo Torrefranca – e dai loro figli Anna e Gad, per la cena di shabbat.
Fin qui il dolce. L’amaro, o meglio il “piccante” – nel senso dell’irritante –, è arrivato qualche giorno dopo, il 17 novembre scorso, con un articolo nel quale Alexandre Del Valle, forse sull’onda delle recenti dichiarazioni del ministro Maroni, “denunzia” un terribile complotto “verde-nero-rosso” ordito insieme, in spregevole combutta, da fondamentalisti islamici, nostalgici neonazisti ed estremisti bolscevichi. E naturalmente buona parte di tale articolo è dedicata a me: non ho capito tropo bene in quale delle tre convergenti categorie egli mi ponga, ma credo in entrembe (neologismo per dire in tutte e tre).
Follìa diffamatoria? Non proprio. O, perlomeno, diciamolo con l’Amleto di Shakespeare: c’è del metodo in questa follìa. Il Del Valle in realtà in parte “denunzia” cose che io sono stato il primo a dire di me stesso in molti libri (dall’autobiografia
L’intellettuale disorganico alla raccolta di saggi
Scheletri nell’armadio), in parte vaneggia cucendo insieme indizi allegramente interpretati e squisite falsità in uno stile che ricorda certi personaggi del romanzo di Vladimir Volkoff, Il montaggio, o certe “rivelazioni” che andavano per la maggiore nella bell’America dei tempi di Joseph Mc Carthy.
Io sarei stato quindi iscritto, da giovane, alla “Giovane Europa” di Jean Thiriart e “membro” della Nuova Destra di Marco Tarchi (che non è mai stata un movimento); avrei studiato la mistica fascista (mai!) e il sincretismo islamico (falso; non so che cosa sia il sincretismo islamico; io mi sono occupato di rapporti tra Europa e Islam) e seguirei quanto alla mia interpretazione della fede coranica le tesi di Guénon (manco per idea!). Ispirandosi inoltre alle “rivelazioni” (sic) del settimanale “Tempi” e dell’agenzia “Corrispondenza romana”, ma senza verificare le informazioni desunte (se mi avesse telefonato, gliene avrei date io di più precise…), il Del Valle prosegue sostenendo che sarei “corrispondente di Radio Teheran” (un’emittente che mi ha in effetti intervistato un paio di volte; e al quale ho risposto con cortesia, come faccio sempre con tutti e come avrei fatto anche con Radio Zagarolo…) e che avrei preso posizione contro le guerre in Afghanistan e in Iraq (verissimo e sacrosanto: ho scritto anche tre libri al riguardo). Vi risparmio le piacevolezze minori: salvo il fatto che mi definirei “uomo d’ordine e di destra” (in realtà ho sempre detto di essere uomo d’ordine e dotato di vivo senso dello stato, valori di una “destra” che non è tuttavia quella liberal-liberista) e che sarei spesso interpellato perciò da “Il secolo d’Italia” (vero: sono anzi forse il decano dei suoi collaboratori, dal momento che la mia firma su tale quotidiano è uscita per la prima volta nel 1958), ma che sarei stato “stranamente risparmiato dalla sinistra” e che una volta sono stato addirittura elogiato in pubblico da Walter Veltroni “per i suoi (cioè miei) attacchi ai tagli del governo alla scuola e all’università”. Peccato che il del Valle, forse mal consigliato e peggio documentato, “ometta” che Veltroni mi citò esplicitamente per un articolo comparso, guarda caso!, proprio su “Il Secolo”.
Che malinconia. Ho quasi settant’anni, e ho passato quasi mezzo secolo dell’esistenza studiando come un matto. Ho al mio attivo circa 150 volumi, e molte migliaia fra saggi e articoli. Ho regolarmente vinto la mia cattedra universitaria di ruolo (altro che “risparmiato dalla sinistra”!), insegnato in parecchi Atenei anche all’estero, vinto qualche premio di una certa importanza. Eppure, il quotidiano “Libero” non ha mai creduto opportuno – ed è stato suo sacrosanto diritto, che diamine! – di dedicarmi nemmeno due righe di recensione. Di recente, ho pubblicato due libri di medievistica:
Cassiodoro il Grande (Jaca Book) e una raccolta di studi francescani editi dal centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo. Silenzio-stampa, almeno su quel giornale. E allora, perché d’incanto interesso in tal modo a lorsignori, affaccendati a quel che pare a impaurire la loro opinione pubblica col temibile fantasma d’un’alleanza tra “opposti estremismi” rosso-nero-verdi?
Azzarderei una risposta. In effetti, non pare che il Del Valle declini proprio tutte le sue fonti. Forse, un’occhiata al blog “Informazione corretta”, che da tempo mi dedica attenzioni analoghe alle sue – olimpicamente ignorando tutto della mia attività scientifica -, deve averla data; certo comunque qualcuno gliel’ha suggerita, o l’ha consultata per lui. O magari dev’essergli diciamo così passato per le mani il numero del 21 aprile 2004 dell’ “American National Review”, nel quale due solerti “giornalisti” (?!), per la cronaca italiani, argomentavano sul mio conto più o meno le stesse cose. Ho citato i due paltonieri in questione per diffamazione: se la sono cavata andando assolti (ma con formula dubitativa: ed è in arrivo il processo d’appello). Non so se in questo caso ricorrerò ancora alla legge. Quel che so è che in Italia sta montando un’ondata di “caccia alle streghe” nella quale chi non si preoccupa di “allinearsi”, ma cerca di dir la sua restando un uomo libero e rispettoso della verità, potrebbe anche rischiar qualcosa. Per esempio si prende di mira un galantuomo che magari non apprezza del tutto la politica estera americana o quella dell’attuale governo d’Israele e che ha sempre detto la sua a viso aperto e documentando le sue affermazioni: e, guardandosi bene dal confutarle con altrettanta lealtà, lo si denunzia come “filomusulmano” e “antisionista”, e s’insinua che possa essere in realtà antisemita, e magari criptonazicomunista. Peccato che non tutti siano disposti a lasciarsi intimidire.
Vecchi metodi. Vecchie inquisizioni. Vecchi giochi di prestigio. Che io sia una strega? In fondo, sarei anche in buona compagnia (penso alla strega Sabatilla di Brancaleone alle crociata, splendidamente interpretata da una giovane Stefania Sandrelli; o alla strega Finicella di un mediocre film peraltro piacevolmente interpretato da Renato Pozzetto, nel quale figura una giovane e mozzafiato Eleonora Giorgi ). Ma allora venite fuori una buona volta, allo scoperto, tàngheri che siete. Abbiate per una volta la forza di studiare, invece di sceglier la pigra via della calunnia; scovate per una volta il coraggio di citarmi per quel che veramente ho detto e scritto, senza interpolazioni e senza giochetti delatòri. E sia chiaro: sempre meglio comunque criptonazicomunista, come non sono io, che infami e incolti, come siete voialtri.
Franco Cardini
APPENDICE I
Segue per completezza d’informazione una scheda redatta da Claudio Mutti, citato dallo stesso Del Valle. Si tratta di una recensione del 12 ottobre 2005 al libro di A. Del Valle, La Turquie dans l’Europe, uscito nel 2004. Il testo di Mutti lo si trova nel suo sito, ma era stato anche inserito nell’area commento del blog di Alexandre Del Valle, che fa seguire una sua “replica” alla stroncatura. Per carità di patria, mi astengo dall’intervenire nel dibattito.
* * *
Recensione critica
di Claudio Mutti al libro di Alexandre del Valle,
La Turque dans l’Europe,
Paris, 2004
Alexandre Del Valle ama presentarsi come discendente di ebrei sefarditi e come marito di una donna la cui famiglia è miracolosamente scampata alla “Shoah”.
Da anni Alexandre Del Valle è uno dei più influenti maîtres à penser dell’estrema destra francese, in particolare di quella che agita tematiche “identitarie” declinandole in senso antislamico. A lui si deve la clamorosa conversione occidentalista di alcuni intellettuali d’Oltralpe (come ad esempio Guillaume Faye), che in passato avevano sostenuto le tesi europeiste e antiamericane di De Benoist. L’evoluzione di Del Valle (e, di riflesso, dei suoi allievi) è stata sinteticamente spiegata dallo scrittore eurasiatista Christian Bouchet, che in una recente intervista ha dichiarato: «Alexandre Del Valle ha scelto in maniera chiara e netta, coerentemente col suo antislamismo idrofobo, di attestarsi su posizioni di filosionismo militante. Non invento nulla: ci si può riferire ai testi che egli ha pubblicato sul “Figaro” dell’11 aprile 2001, nel quindicinale “Le Lien Israel-Diaspora”, pubblicato dagli elementi più estremisti della comunità ebraica in Francia, o sul sito internet vicino al Likud “Les Amis d’Israel” (www.amisraelhai.org)».
Alcuni mesi or sono, Del Valle ha pubblicato presso le parigine Editions des Syrtes un libro, La Turquie dans l’Europe. Un cheval de Troie islamiste, il cui titolo sarebbe sufficiente per confermare l’idrofobia antislamica diagnosticata da Christian Bouchet.
Ma vale la pena di dare un’occhiata al libro, perché vi troveremo alcune tesi che sono circolate anche in Italia, in alcuni ambienti dell’estrema destra.
Del Valle esordisce dunque enunciando la formuletta levinasiana “la Bible plus les Grecs”, con la quale vorrebbe risolvere la questione dell’identità europea, indicandone come componente fondamentale l’apporto greco-romano accanto alla matrice spirituale giudeo-cristiana. Ci si aspetterebbe dunque da lui una adeguata conoscenza del patrimonio culturale antico, quanto meno dell’epica omerica. E invece, fin dalle prime righe di questo volume ponderoso (ponderoso, non poderoso), ci rendiamo conto che l’autore non conosce neppure l’Iliade. O forse confonde il poema di Omero con la recente pellicola americana. Altrimenti non esordirebbe affermando testualmente: «L’Iliade racconta che i re micenei avevano abbandonato davanti a Troia (…) un gigantesco cavallo di legno” (p. 15). Ed è probabilmente una qualche produzione hollywoodiana la fonte della notizia secondo cui «Europa è il nome di una dea di Tiro» (p. 16 nota); se Del Valle avesse letto l’Iliade (XIV, 321) o le Metamorfosi ovidiane (II, 858), saprebbe che Europa era una fanciulla mortale.
Evidentemente la specialità di Del Valle non è la cultura greca (nella trasmissione della quale, secondo la sua personalissima opinione, l’Islam non avrebbe svolto alcun ruolo, p. 285). Ma il nostro, proprio lui che alle pp. 20-21 scaglia contro i Turchi l’accusa di ignoranza della storia nonché le ancor più micidiali accuse di revisionismo e negazionismo, non ha le carte in regola neanche per quanto concerne la conoscenza della storia turca; e saranno sufficienti pochi esempi per dimostrarlo. A p. 21 Mehmed II Fatih viene collocato nel XVI secolo anziché nel XV; a p. 98 Selim III (1789-1807) e Mahmud II (1808-1839) passano per essere «due degli ultimi sultani ottomani», mentre in realtà dopo Mahmud II ce ne furono altri sette; a p. 290 mostra di ritenere che l’invasione della Russia da parte dell’Orda d’Oro sia contemporanea alla battaglia di Lepanto e all’assedio di Vienna del 1629. Per chiarire l’estensione delle conoscenze turcologiche di Del Valle, d’altra parte, sarebbe sufficiente far notare che, secondo lui, l’Armenia e la Georgia sarebbero zone turcofone (p. 22).
Con il turco, e anche con le altre lingue, il nostro non se la cava molto meglio. A p. 88 l’epiteto tradizionalmente riferito all’Anticristo (arabo dajjal, turco daccal, ossia «impostore») diventa dadjal e viene reso con «apostata», mentre a p. 418 è tradotto col sintagma «re degli apostati»; a p. 90 troviamo che il nome personale Kemal («perfezione») vuol dire «il Perfetto»; a p. 102 leggiamo che «millat o millet significa ‘nazionale’», quando invece significa «comunità»; a p. 228 apprendiamo che i Musulmani bosniaci e del Sangiaccato parlano inglese, dato che, secondo Del Valle, «tra loro si chiamano turkish [sic]». La scarsa familiarità con le lingue induce l’autore a ribattezzare il Baath con lo strano nome di Baa (pp. 109 e 170) e a scambiare un mese islamico per una casa editrice (p. 97, n.11).
Ma non si tratta solo di incompetenza linguistica. La dimestichezza di Del Valle con la cultura islamica è ai minimi termini, poiché é convinto che l’ummah (la comunità dei Credenti) sia un «califfato di fatto» (p. 111). D’altronde, sembra che egli non abbia mai sfogliato nemmeno una traduzione del Corano, visto che a p. 150 riesce a sbagliare perfino nel citare l’incipit della Fatihah, che nella sua traduzione diventa testualmente: «Lode a Dio, Signore dei due [sic] mondi»!
Per il resto, Del Valle è persuaso che il taoismo sia un fenomeno tipicamente giapponese (p. 286), che Nietzsche abbia elaborato la «teoria dei ‘nuovi’» [???] (p. 222, n. 3) e che Giovanni Boccaccio sia un esponente della letteratura turcofila fiorita in Europa nei secc. XVII e XVIII (p. 182).
Su questi solidi fondamenti di cultura generale e specialistica, Del Valle costruisce la sua teoria, che può essere sintetizzata nei termini seguenti: «in base ai quattro principali criteri che consentono di definire l’appartenenza all’Europa (geografico, linguistico, etnico e storico-religioso)» (p. 298), la Turchia non è Europa.
Per quanto riguarda i confini geografici dell’Europa, siccome Del Valle si richiama ripetutamente ai Greci, gli consigliamo di dare un’occhiata a Erodoto, IV, 45: scoprirà che il padre della storiografia greca situava i limiti orientali dell’Europa oltre la penisola anatolica, sulle coste della Georgia. Ma Erodoto, obietterà il nostro, era un extraeuropeo anche lui, in quanto nativo della Caria… Rinviamo allora Del Valle al più grande poeta dell’Europa cristiana, Dante Alighieri, che situava «lo stremo d’Europa» proprio in Anatolia (Paradiso, VI, 5). O anche Dante era, come Boccaccio, un letterato turcofilo?
Venendo al punto di vista linguistico, è fuor di dubbio che «la lingua turca non appartiene al gruppo degli idiomi ‘indoeuropei’» (p. 299). Ma neanche il basco appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea, né lingue come l’ungherese, il finlandese, l’estone, il lappone e tutti gli altri idiomi ugrofinnici parlati al di qua degli Urali. E allora? I popoli che parlano queste lingue non sono popoli europei? Viceversa, dovrebbero essere considerati europei gli abitanti delle Americhe e dell’Australia, per il semplice fatto che da qualche secolo parlano lingue d’origine indoeuropea?
Anche l’appartenenza etnica, secondo Del Valle, renderebbe i Turchi estranei all’Europa, tant’è vero, dice, che «l’ideologia ufficiale dello Stato kemalista turco rammenta con fierezza l’origine specifica, asiatica e turano-altaica, dei Turchi» (p. 300). Qui si potrebbe obiettare che una cosa è l’ideologia kemalista, ma tutt’altra cosa è la reale etnogenesi dell’attuale popolazione anatolica, nella quale l’elemento turco rappresenta soltanto lo strato più recente, venutosi ad aggiungere a una molteplicità di componenti etniche d’origine ariana. In ogni caso, potremmo ricordare a Del Valle che c’è in Europa un’altra etnia che rivendica un’origine turano-altaica: sono i Székely della Romania, che orgogliosamente si dichiarano discendenti degli Unni. Che ne facciamo? Li scacciamo dai Carpazi e li rimandiamo in Asia? E assieme a loro ricacciamo in Asia i Tartari della Romania, della Polonia e della Finlandia? E delle comunità turche dei Balcani, della Bessarabia, della Russia, che dobbiamo farne? E delle varie popolazioni finniche stanziate tra il Golfo di Botnia, il Baltico, la Volga e gli Urali?
L’ultimo criterio che Del Valle accampa per negare l’appartenenza dei Turchi all’Europa è quello «storico-religioso». Richiamandosi al principium auctoritatis, Del Valle cita questa apodittica sentenza del suo «amico e avvocato» (p. 7) Gilles-William Goldnagel, vicepresidente dell’Association France-Israël e dedicatario del libro: «La Turchia non ha nulla a che fare con l’Europa (…) e il fatto che essa sia alleata di Israele, dell’Europa o degli Stati Uniti non implica in alcun modo la sua adesione all’Unione, perché l’Europa è prima di tutto un insieme di cultura giudeo-cristiana» (pp. 70-71). La Turchia, in quanto paese musulmano, è stato dunque, «fino a una data recente, il nemico principale dell’Europa» (p. 302).
Che l’affermazione di una presunta identità giudaico-cristiana dell’Europa fosse uno strumento ideologico funzionale alla «difesa dell’Occidente» e alla strategia atlantista dello scontro di civiltà, per noi era chiaro da un pezzo. Così come ci era chiaro che tale strumento ideologico doveva avere, tra l’altro, la funzione di allontanare la prospettiva dell’ingresso della Turchia nell’Unione, in quanto ciò costituirebbe un ostacolo a certi disegni americani. E a confermarcelo sono proprio l’avvocato Goldnagel e il suo cliente. «La Turchia in Europa – scrive Del Valle – significherebbe che l’Unione, diventata la potenza geopolitica eurasiatica tanto temuta da tutti gli strateghi anglosassoni da Mackinder fino a Zbigniew Brzezinski, sfuggirebbe al controllo della potenza marittima americana e poi, successivamente, sarebbe in grado di rivoltarsi contro Washington» (p. 69).
In altre parole: qualora la Turchia venisse accolta nell’Unione Europea, la «coerenza geopolitica» (p. 28) dell’Europa egemonizzata dagli USA risulterebbe gravemente compromessa. È quindi necessario, se si vuole che la Turchia continui ad essere «un amico e un incontestabile alleato dell’Occidente» (p. 21), tenerla rigorosamente separata dal resto dell’Europa.
Claudio Mutti
APPENDICE II
Per completezza di informazione raccolgo qui anche l’intervento di Maurizio Blondet, da Del Valle accomunato insieme a Cardini e Mutti nel suo Atlante demonologico. La mia lettura degli eventi è calata nell’attualità di questi giorni. Qui si trama qualcosa a livello legislativo e si cerca di preparare il terreno sulla stampa e nei media. Un vecchio trucco.
AC
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Un “sayan” incapace e sfigato
Più di un lettore mi segnala un articolo apparso su “Libero” il 17 novembre 2009, a pagina 36, contenente alcune diffamazioni e calunnie contro di me. Lo vado a leggere e trovo che si tratta di “un’anticipazione del libro Verdi, Rossi e Neri di Alexandre Del Valle”. L’articolo è firmato da Alexandre Del Valle: che recensisce il proprio libro. E fa’ bene, perchè nessun altro lo recensirà. Va detto che la recensione è lusinghiera: Alexandre Del Valle consiglia caldamente il libro di Alexandre Del Valle.
Ma chi è Alexandre Del Valle? In un suo blog, scopro che egli definisce Alexandre Del Valle, “giornalista indipendente” nonchè “uno dei massimi esperti del Medio Oriente”. Parola di Alexandre Del Valle.
La veridicità delle accuse contro di me è sostenuta dalla qualità professionale di questo “giornalista”. La quale si può giudicare da questo lacerto della sua prosa:
“In Italia , l'istigatore antisemita cattolico Maurizio Luigi Blondet ha conosciuto anch'egli una popolarità trasversale rosso-nero-verde, dopo essersi specializzato nella negazione dell'11 settembre e nella tesi del "complotto giudaico-massonico"contro i musulmani e i cattolici. Blondet, giornalista e scrittore vicino all'area cattolica integralista, ex inviato speciale de Il Giornale e dell'Avvenire, dirige le Edizioni Effedieffe fondate da Fabio De Fina. (...) . Blondet si occupa di un settimanale intitolato Il Cospiratore e scrive regolarmente editoriali antiebraici sul giornale integralista online Effedieffe, anch'esso pubblicato dalla casa Effedieffe”.
Dopo l’11 settembre Maurizio Blondet si è impegnato a divulgare le tesi revisioniste di Thierry Meyssan, spiegando che gli attentati di Manhattan a opera di fondamentalisti islamici sarebbero stati il frutto di un complotto americano-sionista e massonico destinato a «distruggere la resistenza islamica» al Governo Mondiale, così com’è descritto nei Protocolli dei Savi di Sion, testo a cui fa spesso riferimento l’autore.
Blondet ritiene che, dall’11 settembre alla crisi dei subprimes, l’origine della decadenza e delle catastrofi mondiali vada ricercata nei complotti orditi dalle strutture bellico-industriali dell’Occidente, in particolare da quelle americane e dalle lobbies petrolifere e politiche giudaico-massoniche; senza dimenticare che i neoconservatori americani sarebbero alla base del «complotto dell’11 settembre».
In poche righe, Alexandre Del Valle mi assegna un nome che non ho, “Luigi” Blondet. Mi dichiara direttore di una rivista, da lui chiamata “Il Cospiratore”, che sarà anche bellissima, ma non esiste. E afferma che nei miei “editoriali” faccio spesso riferimento ai Protocolli dei Savi di Sion. Che non ho mai citato una volta in un solo mio scritto, e lo sfido a provare il contrario in tribunale.
Però, data la qualità suprema del “giornalista e massimo esperto” di nonsocosa, mi sorge un dubbio. Se Alexandre Del Valle dà un’informazione, vuol dire che è sicuro delle sue fonti, che le ha controllate e riscontrate. Magari, senza saperlo, mi chiamo davvero Maurizio Luigi. Magari ho fatto riferimento ai Protocolli. Magari dirigo davvero la nota rivista “Il Cospiratore”. Così, da modesto giornalista (un niente in confronto ad Alexandre del Valle) ho controllato. E no, l’anagrafe mi assicura che non mi chiamo Luigi. Fabio De Fina giura che non sta pubblicando a mia insaputa una rivista chiamata “Il Cospiratore”. L’archivio dei miei scritti mi rassicura: non ho mai fatto riferimento ai Protocolli dei Savi di Sion a sostegno delle mie tesi “antisemite”: bastandomi, a sostegno, riportare le atrocità, le truffe bancarie di Madof e di Goldman, le pedofilie e i traffici d’organi dei rabbini più pii, i delitti contro l’umanità e le paranoie di attualità fornite quotidianamente dagli ambienti ebraici più varii. Citando ogni volta le mie fonti.
Da ciò potete dedurre la fondatezza del resto delle “informazioni” che Alexandre Del Valle fornisce nel libro da lui recensito, opera del noto esperto Alexandre Del Valle. Resta l’enigma: dove ha ricavato le informazioni che mi riguardano? Chi gli ha detto che mi chiamo, fra l’altro, “Luigi”? Chi gli ha mostrato una copia de “Il Cospiratore”? Evidentemente ha della mia esistenza una nozione vaga e imprecisa: chi dunque lo ha assicurato che io sono non solo “antisemita”, ma “negazionista” e “revisionista”? Anzi un “istigatore”? Qualche sospetto ce l’ho, visto che Del Valle risulta un estimatore e intervistatore del “professor Roberto De Mattei”, ossia degli sfigati cattolici eretico-reazionari di Tradizione Famiglia Proprietà, attualmente stipendiati dal centro di potere che si può far risalire al kippà Gianfranco Fini.
Poi vedo che Alexandre Del Valle “collabora a Israel Magazine”, e questo spiega anche di più. Un giorno, se avrò tempo, vi ragguaglierò sulla sobria prosa e le ponderate, fondatissime informazioni di questo organo della propaganda ebtraica in Francia: per dirne una, un numero recente assicurava dell’esistenza in Francia di una potente “lobby iraniana” composta da tre persone, fra cui il comico Dieudonnè.
Questo chiarisce tutto: di tale calibro sono i “giornalisti” di cui si deve contentare “Israel Magazine”, sayanim volonterosi ma sfigati, ed ora – a quanto pare – anche lo sfigatissimo “Libero”. A cui invito i lettori a scrivere con email di plauso per questa scelta.
Naturalmente, il documentatissimo articolo di Alexandre Del Valle è stato citato integralmente, e portato ad esempio di giornalismo, da “InformazioneCorretta”, il noto sito di Pezzana. E’ una prova di più di quel che Pezzana intende per informazione “corretta”: quella nutrita, oltrechè di calunnie, di falsità inventate di sana pianta.
Abbiatevi i distinti saluti da Luigi Blondet.