domenica 16 settembre 2012

Sesta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti - Sulla manifestazione del 20 settembre 2012, in favore del governo legittimo siriano, davanti a piazza Montecitorio.

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Nei generi letterari che abbiamo studiato a scuola abbiamo visto come esistano parecchi artifici retorici, per iniziare una poesia o uno scritto qualsiasi. Anche su mio suggerimento, a quanto pare, il dottor Valli ha ormai preso l’abitudine di scrivere una serie di interventi legati all’attualità, rivolgendosi al nostro Signor Stefano Gatti, al quale pure io mi ero rivolto, ma senza ottenere risposta. Il signor Gatti conosce certamente la piazza Montecitorio, essendo presente alla Sala della Lupa, meglio della “Bufala”, il giorno in cui la signora Fiammetta Nirenstein presentava al mondo la sua Indagine privata sull’antisemitismo, di cui tutti parlano senza che nessuno sappia dove sia e cosa sia. Fu in quella occasione che il signor Gatti, scrivendo dell’evento e della mia critica all’evento, fece il mio nome, senza poi rispondere alla mia replica. Non ho la stessa costanza del dottor Valli nello scrivere al signor Valli, ma credo che faccia bene a tentare di ottenere una risposta e gli faccia delega della mia precedente richiesta allo stesso Gatti... E dire che sua S. E. Flick rimproverava agli storici “revisionisti”, come il dott. Valli è, di non cercare il “dialogo”! Non ho la registrazione del “convegno”, ma se ricordo bene e le mie orecchie hanno ben inteso, è davvero una cosa che non sta né in cielo né in terra, detta per giunta da una Eccellenza. Non volendo pubblicare le lettere del dottor Valle senza mie righe di introduzione vorrei qui accennare, sul merito della lettera, ad un concetto che mi occupa sempre più la mente: quello di “antifascismo fascista” che è una sorta di traduzione nel contesto italiano di un altro concetto importante e necessario per destrutturare e demistificare una serie di luoghi comuni che ancora occupano le nostre piazze: l’«antisionismo sionista», di cui danno prova moltissimi che a parole dicono di essere favorevoli alla causa palestinese, ma se poi gli vai a toccare gli intimi recessi della «identità ebraica» nonché le politiche identitarie di numerosi soggetti e organizzazioni, allora ecco che scattano incredibili reazioni, su cui ora non possiamo soffermarci. Ci basta qui solo un accenno, mentalmente rivolto ad una persona innominata, la quale diceva di aver partecipato ad uno dei viaggio per rompere l’assedio per terra e per mare alla Striscia di Gaza, e di essere stato accolto al canto di “Bella Ciao”. Tutti ricordiamo le strofe della canzone: “Bella ciao, una mattina mi son svegliato, ed ho trovato in casa l’invasor”. Essendo passati molti anni da allora, uno si chiede: ma chi era l’invasore? Non abbiamo oggi oltre cento base americane sul suolo della patria Italia? Grazie ai nostri governanti non abbiamo sempre “tradito” in tutte le guerre che abbiamo combattuto, fino al tradimento del trattato di amicizia italo-libico? E qual è l’ideologia del tradimento? L’«antifascismo fascista»! Ma non finiscono qui le sorprese, anche se io qui non posso fare altro che enunciare tesi delle quali mi resta l’onere della dimostrazione, un onere che cercheremo di onorare. Il sionismo non è estraneo all’oggetto delle manifestazioni di Milano e di Roma, di cui qui si parla ed intorno alle quali si vengono ad appalesare evidenti divisioni. Sull’ideologia del sionismo si insiste molto da parte della Israel lobby nel ricondurla ad una padre nobile, che sarebbe il nostro Risorgimento ed il povero Mazzini, cui Bettino Craxi rimproverava la pratica dell’assassinio politico. Noi non crediamo che il padre del sionismo che dal 1948 ad oggi opera non solo una vera e propria pulizia etnica, cioè genocidio della Palestina, ma che è pure alla base di tutte le guerre del Vicino Oriente, non sia Mazzini e il Risorgimento, ma proprio l’«antifascismo fascista» che alimenta negli italiani e nella pubblicista un “senso di colpa”, un “debito verso Israele”, del tutto inesistente. Vorrei direi a tutti gli amici impegnati nella causa palestinese che il migliore aiuto che possiamo dare ai palestinese è quello di combattere il sionismo là dove ha le sue radici e la sua forza, cioè in Europa e in Italia. Il dott. Valli con il suo lavoro, con i suoi studi fa in questo senso un lavoro prezioso. E quale potrebbe essere il migliore destinatario dei suoi studi? Ma proprio il Signor Gatti! Egli ha magnifica occasione di poter replicare al dottor Valli, nello spirito e nello stile di quel “dialogo” di cui S. E. Flick lamentava la mancanza, di quanto egli enormemente si sbagli ed in tal modo condurci tutti sulla retta via. Non potremmo che essergli eternamente grati tutti noi per i quali vale la massima: “amicus Plato, sed magis amica veritas”.


Antonio Caracciolo

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Sesta lettera 
del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti


Gentile signor Gatti,

Stefano Gatti
    mi scuso innanzitutto per l’insistenza. Avrei voluto risentirLa più avanti, dopo la manifestazione pro-Siria che si terrà il 20 settembre a Montecitorio. La conoscerà certo, la piazza. È quella la cui pavimentazione indica una menorah coi bracci che spingono nel Gran Tempio le sette fiammelle. A illuminare i saggi fatti eleggere dagli azionisti di maggioranza del Belpaese.

    Si tranquillizzi, gentile Gatti, oggi la mia grafomania non riguarda Lei, ma un tizio ben più inquietante nonché supponente. Vede, la partecipazione alla manifestazione del 14 luglio – quella che Le permise di definirmi «famigerato» – mi si sta rivelando come lo scoperchiamento del vaso di Pandora o forse, con immagine a Lei più familiare, come il vaticinio della Strega di Endor.

    Qualche giorno prima di Lei, il 19 luglio, irruppe infatti nella mia vita l’allora a me ignoto Fulvio Grimaldi. Un comunista. Di quelli duri e puri. Col paraocchi. Di quelli che non gliela si fa. Uno di quelli che nella manifestazione romana del 16 giugno aveva infarcito di antifascismo il suo «anti-imperialismo». Compilò due righe, che penso mi riguardassero: «Poi c’è anche un brano significativo di un relatore al raduno del 14 luglio a Milano, con in tasca il gagliardetto della X MAS, la cui conclusione fa l’apoteosi dei nazifascisti in lotta per la civiltà nell’ultima guerra mondiale».

    Ora, vista tale presentazione, l’ignaro lettore potrebbe immaginarsi un relatore ultraottantenne dotato non solo di gagliardetto, ma anche di basco ed elmetto. O, al contrario, una testa rasata dedita, dopo qualche boccale di birra, a tatuarsi di emblemi proibiti. Sbagliato. Non avevo alcun gagliardetto. Né in vista, né in tasca. Anche perché, pur apprezzando altamente la Decima dal punto di vista della ribellione morale, non l’ho mai ritenuta l’espressione più compiuta della RSI.

    Vedano, gentile Gatti e isteroide Grimaldi, la più compiuta espressione spirituale dell’Ultima Italia, la più intelligente – nel senso di «avere capito» il nocciolo del contendere – non è stata quella, pur pregevole, militare, ma quella politica. Rappresentata, ad esempio, dalle Brigate Nere.

    E delle Brigate Nere portavo lo spirito non nelle tasche, ma nel cervello e nel cuore. E tuttavia non ho, per rispetto ai pro-siriani di altra parte, mai fatto «l’apoteosi dei nazifascisti in lotta per la civiltà». Anche perché lo ritenevo di cattivo gusto. Mica come il Grimaldi, antropologicamente a me repulsivo. La mia era, semplicemente, la constatazione di un’affinità: «Quella in atto è la stessa guerra che, con ben altre speranze, fu combattuta settanta anni fa dall’Europa. Contro gli stessi nemici, gli affamatori dei popoli liberi. Allora, contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente. Oggi, contro il Sistema demoliberale, maschera dell’Alta Finanza. La Siria è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà».

    Ora, sfido chiunque a definire «apoteosi» la mia esposizione. Quanto alla «lotta per la civiltà» solo un tizio come il suddetto può credere che io usi il termine «la» civiltà per intendere «la mia» civiltà. Non ho mai condiviso la distinzione spengleriana tra civiltà e civilizzazione. La ritengo non solo un inutile artifizio, ma anche l’espressione di un giudizio di valore inappropriato per un vero studioso. Il che, certo, non toglie che io giudichi la civiltà comunista, la civiltà demoliberale e la civiltà ebraica – tanto per dirne tre – come un qualcosa di alieno al mio sentire, alla mia etica, alla mia visione del mondo. E pur tuttavia, anch’esse sono civiltà. Per quanto ignobili, ed anzi esiziali.

    Non contento di avere insultato le altre componenti del fronte pro-Siria, il 12 settembre il Grande Schizzinoso torna alla carica persino nei miei confronti. Nei miei confronti, caro Gatti! Ma ci pensa? E cosa t’inventa, stavolta? Sulle orme del Suo «famigerato», mi definisce «un ceffo»: «La bella faccia pulita della Siria veniva imbrattata dal discorso di un ceffo che, esaltando le potenze dell’Asse (quelle della genocida colonizzazione pre-Nato di Africa e Asia), ne compiangeva la sconfitta». Sant’iddio, «un ceffo»! Ma che gli ho fatto, ma che vi ho fatto per essere tanto inurbani?

    Ora, giudichi Lei se nelle mie parole vi fosse una qualsiasi «esaltazione». Inoltre il Grande Bilioso, usando (a sproposito) il termine «genocidio», si mostra, malgrado l’innata prosopopea, carente di storia. Se poi per l’Italia il pensiero del lettore potrebbe andare a Libia ed Etiopia, e per la Germania all’Africa del Sud-Ovest, non riesco a vedere cosa le potenze «dell’Asse» avrebbero fatto in Asia. A meno che il Nostro – magari per ignoranza – consideri il Giappone parte dell’«Asse» (a essere indulgenti, potremmo concedergli il «Tripartito»). E quanto al «Blut und Erde» strologato in un altro passo, anche i sassi sanno che l’espressione corretta è «Blut und Boden».

Gianantonio Valli
    Quanto a «ceffo», giudichi Lei. Posso assicurarLe non solo che ero decorosamente vestito, giacca elegante, sobria cravatta, volto serio, portamento dignitoso, ma anche che mi ero sbarbato e sfoggiavo un bel taglio di capelli... Un «ceffo»! ma quale «ceffo», suvvia! In particolare, se confrontato col look da sessantottino male invecchiato e peggio inacidito del Grimaldi. Per non dire della sua verbosità, ridicolmente futuristica e lievemente paranoide. O sotto l’effetto di un trip.

    E non cito le scene che recitò a Tripoli! Ad esempio, quando si rotolava sul pavimento della stanza d’albergo, starnazzando di trovarsi sotto un bombardamento, in mano la videocamera ondeggiante che ne riprendeva il volto contratto. Alta simulazione di giornalismo professionale. Salvo poi dichiarare, ad un allibito spettatore della stanza vicina, allarmato per il chiasso, che si trattava di un gioco per farsi bello col nipotino. Oh, sinistri, sinistri! eterni bambini, pecoroni frustrati e rancorosi.

    Ma eleviamo il discorso! Il privilegio dell’ignoranza e il vanto dell’idiozia li lascio a chi cerca ancor oggi di ingannare i cervelli predicando la «pace». A coloro che usano termini ammuffiti come colonialismo e imperialismo. A quei sinistri che, in questa capitale lotta per la libertà, si adontano per l’intervento dei pro-siriani di altra parte politica. Trotzkisti. Leninisti. Stalinisti. Anarcoidi. Vermiciattoli. Gentucola. Affetta da blocchi mentali. Da blocchi culturali. Da blocchi psichici.

    Il nemico dei popoli non è oggi l’imperialismo. È il Nuovo Ordine Mondiale. È il mondialismo, l’universalismo, il cosmopolitismo. È il «volemose bene» planetario. Lo stucchevole termine imperialismo proietta le menti in un quadro emotivo e relazionale ottocentesco, in un’epoca nella quale ancora vivevano e operavano le nazioni. Combattendosi l’un l’altra per i propri valori, i propri sogni, i propri deliri, i propri interessi. Legittimi o illegittimi, a noi graditi o meno che fossero.

    Il quadro è radicalmente cambiato. Oggi stanno per scomparire tutte le nazioni, per decomporsi tutti i popoli, sezioni di un ammasso planetario dominato neanche più da una nazione, ma da un’unica, mostruosa entità. Un mostro ideologico-finanziario. Una entità apolide che ha inventato a suo uso e consumo, ed imposto all’universo mondo, la farsa dei Diritti Umani.

    La guerra culturale, da due millenni promossa contro l’Europa da un sistema di valori non europeo, ha usato delle libertà concessegli dalla buona fede europea per insinuarsi dappertutto, minare ogni Stato, annientare la spiritualità dei popoli che ne hanno accolto i portaparola. Le guerre, la lotta politica, il saccheggio e gli accordi – eterni da che mondo è mondo – sono sempre avvenuti tra popoli che vivevano dei propri valori come pesci nell’acqua. Ma oggi il mare è sporco, e domani sarà morto. Dobbiamo forse attendere, senza nulla dire né fare, che vengano annientate tutte le comunità naturali, le etnie, le culture, i popoli, le nazioni, al fine di trasformare questi infiniti mondi spirituali in mefitiche zone commerciali nelle quali l’individuo vegeti in una vita sempre più breve?

    L’uomo solo e disincarnato, contrariamente all'insegnamento cristiano, marxista e liberale non vale alcunché, è nulla. I Diritti Umani sono la più atroce impostura, inventata a profitto di coloro che ne parlano per dissolvere ogni comunità non sintonizzata sulle loro frequenze. Sono l’arma intellettuale per distruggere le razze, le nazioni, l’umanità, forse anche la vita sulla Terra.

    Una cultura è un insieme coerente di memorie che garantisce la coesione di un popolo, impedendogli di scomparire in una poltiglia di «esseri umani». Per giudicare rettamente dell’aggressione alla Siria, e per essa ad ogni altro popolo ribelle al Pensiero Unico e alla Grande Usura, per giudicare rettamente di ogni altro evento della storia, la scala non è comunque quella degli anni e degli individui, ma quella dei decenni, dei secoli, dei cicli di civiltà, delle razze e delle nazioni. Unità intermedie tra la nullità concreta dell’individuo e la nullità astratta dell’Umanità.

    Gentile Gatti, paranoide Grimaldi, inneggiamo concordi al popolo siriano e al suo Presidente! Inneggiamo a quanto, per tutti, rappresentano in termini di libertà e dignità.

Cuveglio, 15 settembre 2012
   


giovedì 13 settembre 2012

Quinta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti

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Siamo ben certo che l’«Osservatore» di presunti pregiudizi altrui, Stefano Gatti, che non si accorge dei suoi propri pregiudizi non potrà competere sul piano dottrinale con il dott. Valli, che non si accanisce garbatamente contro di lui. Piuttosto ci sembra che mediante una forma letteraria, quella dell’Interlocuzione a personaggi fantastici o reali, che non rispondono, non possono o non vogliono rispondere, stia offrendo ad un più vasto pubblico una utile ed efficace sintesi di temi e problematiche trattati in molti anni di studio. Ciò che qui ci turba e colpisce è l’accenno alla vera e proprio persecuzione che in questa civilissima Europa, che esporta con la guerra il suo “diritto”, la sua “civiltà”, sono migliaia e migliaia le persone alle quali viene inflitto il carcere e la morte civile per meri “reati” di opinione. Addirittura, in un palazzo di giustizia, la citata Esther Di Cesare pretendeva davanti a dei giuristi di professione che venissero sanzionate le opinioni in quanto tali, senza che nessun concreto fare delittuoso potesse giustificare l’esercizio di un diritto penale che sanziona il fatto delittuoso, non il pensiero, e magari anche il sogno. Non solo il diritto è estraneo a tanta barbarie, ma ancor di più lo è la filosofia, nella cui casa la Donatella pensa di aver una stanza. Sui perseguitati del pensiero i media sotto stretto controllo sionista non danno notizia, non danno coperture. Queste persone non esistono, ma sono almeno 200.000 nella sola Germania, dal 1994 ad oggi. E sarebbero da aggiungere i perseguitati negli altri paesi. Il CDEC, e il Gatti, si danno molto da fare perché questa legge venga estesa anche in Italia, aggirando la ratifica parlamentare. Il nostro pensiero non può non andare ad un cittadino tedesco, Hörst Mahler, cui sono stati inflitti anni di carcere, per la sola colpa di aver scritto un libro. Ma ancor più mi turba una notizia esemplare, comunicatami per telefono, di un padre di famiglia cui sono stati inflitti nove mesi di carcere, per aver prestato ad un amico il libro di Mahler. Davanti ala giudice il padre di famiglia sostenne che non condivideva il libro di Mahler, ma che riteneva dovesse essere rispettata e garantita la libertà di pensiero di chiunque. Il padre di famiglia fu condannato, sia pure ad una pena inferiore rispetto a chi il libro lo aveva scritto. Questa è barbarie, cui si deve dare un nome: è il sionismo che proprio in Europa ha le sue radici e la sua forza. Se migliaia di persone stanno in galera ed altre oneste persone, come il dottor Valli, vengono molestate nell’esercizio dei loro diritti politici, non è per caso, ma è perché l’Italia e l’Europa subiscono pesanti condizionamenti.

Antonio Caracciolo


Quinta lettera 
del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti


Gentile signor Stefano Gatti,

            qualche mio sodale ha avanzato l'ipotesi che la Sua persona mi abbia talmente affascinato che non riesco più ormai, malgrado il pervicace silenzio da parte Sua, a fare a meno di relazionarLe qualcosa dei miei pensieri. A questo è dovuta la brevità di tempo intercorsa tra la precedente e questa quinta mia lettera. È d'altronde vero che, non avendo mai risposto alle mie invocazioni, Ella sta rivestendo – e me ne dolgo, curioso come sono di conoscere, a parte la propensione all'insulto, alcunché del Suo intelletto – la parte del Convitato di Pietra.

            Qualche altro sodale – altrettanto stimabile di quelli che mi incitano nel continuare la garbata polemica – ricopre invece un ruolo più critico, invitandomi a staccare la spina all'insegna del già detto de minimis etc. e vista l'assoluta evanescenza, almeno finora, della sua persona. Mordi e fuggi, pensi, hanno definito la Sua irruzione nella mia vita! E Le risparmio altri e più pesanti commenti espressi sulla Sua statura morale (di quella intellettuale, nessuna menzione).

            Ovviamente, mi creda, il cruccio per il Suo silenzio non è dovuto al dispiacere di avere finalmente incontrato – e di averlo perso – un interlocutore dell'altra sponda con quale scambiare quattro opinioni su qualche argomento di presa. Che so? uno a caso, l'Immaginario Olocaustico... come venne ideato e inculcato nei cervelli, goyish come giudaici, o come vengono puniti i suoi miscredenti... purtroppo non ancora in Italia. Un Paese dove ancora, malauguratamente, persiste un minimo di decenza che fa scuotere il capo, indulgenti, davanti ai contorcimenti di certi pazzarielli anche di sesso femmineo. Ma tutto a suo tempo, direbbero i Savi, arriveremo anche in Italia.

            AvvertendoLe negli occhi un guizzo di onestà intellettuale – oh, solo un guizzo, non si monti la testa! – per ora non posso che rimandarLa, immodestamente, alle mie opere, di cui Le fornii l'elenco. O meglio ancora, con più modestia, rimandarLa alle centinaia di opere degli studiosi olorevisionisti. Gran parte dei quali, ne avrà avuto contezza, puniti a dovere in tanti Paesi più evoluti – col carcere, il racket pecuniario, il sequestro di libri e computer, la devastazione della casa, la rovina dell'esistenza, l'attentato dinamitardo o perfino l'acido muriatico in volto – da una demogiustizia intrisa di pilpulismo. Demogiustizia peraltro affiancata da un attivismo giudaico talora francamente criminale.

            Promotori della repressione del pensiero, ripugnanti alla libera discussione, i Suoi congeneri? Davvero, loro che hanno tanto sofferto? Loro, che hanno visto bruciare i sacri libri? Loro, che dubitano di tutto? Loro, gli eterni inquieti? Loro, gli aperti di mente... per quanto intrisi dell'eterna psicosi messianica? Loro, i portatori di quell'anarchica, atavica tara che li fa contestare, pretendendo ragione, persino (il loro) Dio? Loro, gli inventori delle affabulazioni più stravaganti (e remunerative), quali la psicoanalisi? Loro, che hanno inventato il principio di falsificabilità per definire fondato un qualunque discorso? Veda Lei, se vuol vedere. Da parte mia, la rimando alle dette opere.

            Ma bando alle quisquilie. Per il momento offro a Lei – e per Lei ai miei sodali goyish che vorrei immaginare assidui a istruirsi sui libri, piuttosto che telespaparanzati per la «partita» – qualche spunto tratto dal mio «Holocaustica religio - Psicosi ebraica, progetto mondialista».

●   Col presente saggio – revisione, ampliamento e reimpostazione di Holo­cau­sti­ca religio - Fondamenti di un paradigma – nel quale la parola viene lascia­ta per il novanta per cento agli Eletti Arruolati di Jahweh,  riservando a noi per dovero­so rispetto e par condicio giusto un dieci per cento, ci proponia­mo di illu­stra­re 1. non gli aspetti tecnici della questione olocaustica, ormai definitiva­mente inquadra­ta nella corretta prospettiva storica dagli studiosi revisionisti in centinaia di opere, piccola parte delle quali citate in Bibliografia, e 2. neppure le incredibili persecuzioni da tali studiosi subite in trent'anni nei più vari paesi del Libero Oc­ciden­te [vedi La rivolta della ragione - Il revisionismo storico, strumento di verità], e 3. neppure i motivi etici e intellettuali del loro asso­luto diritto a vagliare col massimo di freddezza un argo­men­to storico tra i più controver­si, bensì di trattare  4. delle strutture profonde – religiose e psicotiche – che hanno reso e rendono possi­bi­le, da parte di una oscena Fantasma­tica, l'acceca­mento delle co­scienze e la meta­sta­tizza­zione del giudaismo a livello planeta­rio.

          Il saggio tratta quindi non (come invece usualmente trattato dagli Arruolati e dai loro reggicoda) della teologia dell'Olocausto, cioè del riflesso che costoro pretendono la Nota Vicenda abbia avuto nella psiche dell'uomo quanto alla personalità di Dio – del loro dio ebraico, e quindi cristiano – ma proprio di quella teologizzazione della storia, di quella religione «lai-ca» che da un trentennio si è affermata attraverso un martellamento diuturno e l'uso quanto più disinvolto della diffamazione (ostracismo di ogni tipo agli increduli) e della repressione giudiziaria (ammende multimilionarie e incarcerazione). Religione che andrebbe meglio intesa alla latina quale religio, vale a dire superstizione e allucinazione. Religione certo dotata delle strutture caratteristiche di ogni credo religioso (in particolare, di ogni credo ebraico ed ebraicodisceso), ma intrisa della più alta menzogna e priva di qualsivoglia fondamento razionale e storico... anche se certo non di giustificazione politica e di rendita finanziaria.

      Riprendendo, da pagani quali siamo, il pur ateo Michel Onfray, concordiamo con lui, quanto ai Primogeniti, che «va bene credere, ma pretendere di essere il pastore di chi crede, questo è troppo. Fin tanto che la religione resta un affare personale si tratta, dopo tutto, solamente di nevrosi, psicosi e di altri problemi privati. Ognuno ha le perversioni che può, fin quando esse non minacciano o non mettono in pericolo la vita degli altri. Ma quando la credenza privata diventa un affare pubblico e in nome di una patologia mentale personale si organizza conseguentemente anche il mondo per gli altri, allora il mio ateismo si rimette in moto. Perché tra l'angoscia esistenziale personale e la gestione del corpo e dell'anima altrui esiste un mondo nel quale si muovono e stanno in agguato i profittatori di questa miseria spirituale e mentale. Dirottare sull'intera umanità la pulsione di morte che li tormenta non salva il tormentato e non cambia niente della sua miseria, ma contamina il mondo».

      Visto l'attuale parossismo della caccia alle streghe scatenata dal Sistema a partire dal 1945, ma in modo parossistico dagli ultimi anni Settanta, invitiamo in ogni caso il lettore a far propri i concetti da noi espressi nell'Avvertenza, anche se del rischio che potreb­bero correre le sue e le nostre opinioni, consi­dera­ta la tutela garanti­ta – almeno in Italia – dalla Costitu­zione antifa­sci­sta alla libertà di espressio­ne di ognuno (art. 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione») e malgrado i fulmini sul più vario «vilipendio» (artt. 290 e 406 del CP), non fa conto temere.

      Tanto più che, come detto e per ragioni altamente plausibili – in primo luogo, se­guendo la consorella «torinese» Elena Loewenthal curatrice del vol­tairiano Juifs, per evitare una «strumen­tazio­ne antiebrai­ca così conven­zio­nale, e se vogliamo anche conformi­stica» e per non essere «bendat[i] da presupposti non perfetta­mente obiet­tivi» e non vedere gli e­brei «attraverso gli occhi di un pregiudizio mille­nario carico di veleni teologici e sociali» – tanto più, dicevamo, che il novan­ta per cento delle citazioni non solo è di genuina provenienza arruolatica, ma è stato considera­to iuxta sua et propria princi­pia, cioè in modo del tutto conforme al senso dei testi che ce le hanno fornite.

●   Da parte sua, il Sistema non vorrà certo comportarsi con noi in modo difforme da quanto auspicato nell'incipit di Moshe Carmilly-Wein­berger, docente alla Yeshiva University di New York, al volume di William Pop­per sulla millenaria cen­sura (ed autocensura) del talmudismo da parte cristiana: «Ideas, good or bad, cannot be suppressed by book-burning. Cen­sor­ship is a sign of fear and weak­ness. Dialogue and persuasion are the only means by which an idea can be challen­ged or defended. True demo­cracy is built upon free expression and thought. Human beings must not be depri­ved of these basic rights. The history of mankind reveals the arduous struggle for these rights throughout the last two thou­sand years, Le idee, buone o cattive che siano, non possono essere soppresse dal rogo dei libri. La censu­ra è un segno di pau­ra e di debolezza. Il dialogo e la persuasione sono gli unici mezzi coi quali un'idea può essere contestata o difesa. La vera democrazia è costruita sul­la libera espressio­ne e sul libero pensiero. Gli esseri umani non devono essere pri­vati di tali diritti fonda­menta­li. La storia dell'umanità rivela l'ardua lotta per questi diritti attraverso gli ultimi due millenni».

      «I libri non vanno bruciati mai, per nessun motivo», ci risoc­cor­re la Loewenthal, mentre sempre l'Anti­ca Saggezza con­corda che «far an on­mut kumt kejn patsch, ad una proposta [interpre­ta­tiva] non si risponde con ceffoni». Ancor più, come scordare l'insegnamento «popperiano» di Vilfredo Pareto?: «Prima che una teoria pos­sa essere detta cor­ret­ta, è virtual­mente indispensabile che si sia perfetta­mente liberi di rifiutar­la. Qualsivoglia limita­zione, anche indi­retta o remota, imposta a chi cerca di contrad­dirla basta a renderla sospet­ta. La libertà di esprimere il proprio pensiero, anche contro l'opinione della maggio­ranza o di tutti, an­che quando esso offende i sentimenti di qualcuno o della maggio­ranza, an­che quando è giudicato assurdo o criminale dalla ge­ne­ralità, è sempre favore­vole alla scoperta della verità obiettiva».

●   «L'ultima ca­ratteristica del­la par­re­sìa è che in essa il dire la verità è considerato come un dove­re. Per esem­pio, l'o­ra­tore che dice la verità a coloro che non vogliono accettar­la, e che può esse­re per que­sto esiliato o in qualche modo punito, è libero di stare zitto; nessu­no lo costringe a parlare: ma egli sente che è suo dovere fare così [...] La par­re­sìa è una specie di attività verbale in cui il parlan­te ha uno specifico rapporto con la verità attraverso la franchezza, una certa rela­zione con la propria vita attra­ver­so il pericolo, un certo tipo di relazione con se stesso e con gli altri attra­verso la critica (autocritica o critica di altre persone), e uno specifico rapporto con la legge morale attraverso la li­bertà e il dovere. Più precisa­mente, la parre­sìa è un'attività verba­le in cui un par­lan­te esprime la propria relazione personale con la verità, e ri­schia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre per­so­ne (o se stesso) a vi­ve­re meglio. Nel­la parresìa il parlante fa uso della sua liber­tà, e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità o del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece del­l'a­dulazio­ne, e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell'apatia mora­le» (il fran­cese Michel Foucault).

      Ciò in quanto, s'accende Giordano Bruno, faro di luce, «la verità è la cosa più sincera, più divi­na di tutte; anzi la divinità e la sincerità, bontà e bellezza de le cose è la verità; la quale né per violenza si toglie, né per antiquità si corrompe, né per occulta­zione si sminuisce, né per communicazione si disper­de: perché senso non la confon­de, tempo non l'arruga, luogo non l'asconde­, notte non l'interrompe, tenebra non l'avela; anzi, con essere più e più impu­gnata, più e più risuscita e cresce» (Spaccio de la bestia trionfante, dialogo secondo... quello stesso Bruno che non si trattiene dall'in­vei­re contro gli ebrei, «convitti per escremento da l’Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o per giustizia ci-vile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono naturalmente, come né per lunga violenza di fortuna mai furo, parte del mondo», «una generazione [stirpe] tanto pesti-lente, leprosa e general­mente perni­ciosa, che merita prima esser spinta [spenta = sterminata] che nata», in quanto, così nel dialogo primo della Cabala del cavallo pegaseo, «di natura, inge­gno e fortuna saturnini e lunari, gente sempre vile, servile, mercenaria, solitaria, incomu­nicabile ed inconversabile con l'altre generazioni, che bestialmente spregiano, e da le quali per ogni raggione son degnamente dispreggiate»).

      Ciò in quanto, afferma Baruch Spinoza – sulla scia di Saadia Gaon "il Genio" ben Yosef (882-942): «È inconcepibile che noi [sic: «noi ebrei»] si possa proibi­re un'onesta indagi­ne» – «se nessu­no può rinunzia­re alla libertà di pensare e di giudicare se­condo il proprio criterio, e se ciascuno per insop­pri­mibile diritto di natura è padro­ne dei propri pensieri, ne viene che in una comunità politica avrà un esito sempre disa­stroso il tentativo di costringe­re uomini che hanno diversi e contrastanti pareri a formulare giudizi e a espri­mersi in conformità con quanto è stato prescritto dall'au­to­rità sovrana [...] Ma supponiamo che questa libertà si possa reprimere e che gli uomi­ni si pos­sa­no domina­re al punto che non osino proferir paro­la che non sia con­for­me alle pre­scrizio­ni della suprema potestà. Con ciò, però, questa non potrà mai far sì che essi non pensino se non ciò che essa vuole: onde seguirebbe necessaria­men­te che gli uomini continuereb­bero a pensare una cosa e a dirne un'al­tra, e per conse­guenza si corrom­perebbe la fede, che in uno stato è somma­mente necessa­ria, e si favo­rirebbero l'abo­minevole adulazione e la perfidia, donde l'inganno e la corruzione di ogni buon co­stu­me [...] Quale peggior male può es-servi, in uno stato, che quello di esiliare come malviventi comuni uomini onesti, soltanto perché profes­sa­no opinioni non con­formi, e non le sanno dis­si­mula­re?» (Tractatus theologico-politicus, cap.XX; similmente nel­l'Epistola­rio XXX, rivendicando «la libertà di filosofare e di dire quello che sentiamo: libertà che io intendo difendere in tutti i modi contro i pericoli di soppres­sione rappresentati ovun­que dall'eccessiva autorità e petulanza dei predicato­ri»).

      Ciò in quanto, aggiunge Carmilly-Weinberger, «la voce di un uomo è cosa di sua proprietà, è parte di lui più dei suoi cinque sensi, e nessun potere sulla terra ha il diritto di limitarla o di farla tacere. Il singolo ha l'esclusivo diritto di usarla e farla udire come gli aggrada. Questo diritto fu dato a ogni essere umano quando il mondo fu creato; è parte della natura, non può quindi esser­gli negato. Cio­nondi­meno, molte generazioni nella storia del­l'umanità sono state contrassegnate dalla lotta per la libertà di pensiero e parola. Questa lotta è tuttora in corso. Già ci furono poteri che vollero imporsi e dominare deru­bando l'uomo del naturale diritto ad espri­mere i propri pensie­ri. La censura si impose per ridurre al silenzio la voce dell'uo­mo, ed egli fu costretto a ottenere un particolare permesso per diffondere le proprie idee. I governanti, religiosi come laici, spregiaro­no e non intesero il fatto che impo­nendo tali restrizioni rivelavano la propria debolezza. Le restrizioni della li­ber­tà di pensiero e parola non trovano spazio in democrazia. Tale libertà è il criterio distin­tivo di una vera democrazia. Senza, non possono esistere scien­za o ricer­ca degne di tal nome. Negli Stati totalita­ri l'uomo non può esprimersi o dar voce alle proprie opi­nioni, la censura investe la parola sia detta che scritta. È per questo che molti di questi regimi sono scomparsi dopo avere raggiunto l'acme nella storia. Non poterono sopravvivere, per­ché il loro mon­do era inte­ra­mente costruito sulle armi e sulla paura».

      Ciò in quanto, attesta lo psicologo Wilfred Bion per quanto senza rife­ri­menti all'attossicato popolo ebraico – da compiangere quando vit­tima di un mostruoso Im­maginario, ma assolutamente colpevole quando spre­gia­tore della ragione e dello sforzo di porre in questione ogni inter­pre­tazione sacraliz­zata – «l'esperienza analitica mi ricorda che un sano sviluppo mentale sembra dipendere dalla verità, come l'orga­ni­smo vivente dipende dal cibo. Se la verità manca o è incompleta, la personalità si deteriora». Inoltre, una verità parziale è un'evasione dalla verità, una verità parziale non è verità ma menzogna, per­ché la verità è una sola, una e indivisibile. Celarla per opportunismo o viltà, colpirla o tacerla in un punto, signifi­ca metterla tutta in pericolo, perché nel campo del pensiero non esistono cose indiffe­renti.

      Infine, ben chiude il puritano – un puritano, ed è tutto dire! – Nathaniel Ward, «raccontare una bugia in campo pratico è un grande peccato, che però è passeggero. Ma affermare una cosa non vera in mate­ria teorica si­gnifica avallare ogni menzogna che si trovi dalla radice alla fine di ogni ramo di quella» (The Simple Cobbler of Agga­wam in America, 1647).

                Entrando nello specifico, concludo con un pugno di considerazioni altrettanto pregnanti:

●    Inoltre, come abbiamo sempre pre­sente l'immensa deva­stante di­sperazio­ne del grido di Ernst von Salomon («Ciò che mi opprime non è la nostra sconfit­ta, ma il fatto che i vincitori la rendano as­surda!»), i moniti di Ian J. Kagedan diret­tore del B'nai B'rith per i rapporti col governo canadese («Il ricordo dell'Olo­cau­sto è il principale elemento del Nuovo Ordine Mon­diale [...] Il nostro obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale sarà raggiunto se avremo imparato le lezioni dell'Olocausto», Toron­to Star, 26 novem­bre 1991) e dell'olo-«decano» Yehuda Bauer («L'O­locau­sto è stato uno spar­tiacque nella storia umana»), nonché le speculari conclusio­ni di Pierre Guillaume («Il genocidio e le camere a gas sono la chiave di volta di un'ideo­lo­gia che assicura un dominio spiritua­le e materia­le»), così ab­bia­mo assolu­tamente chiaro il senso della «libertà» concessa dalla democra­zia agli storici, com­pen­dia­to da Heinz Ga­linski, rabbino in Terra Rie­duca­ta: «Wir denken nicht da­ran, die For­schung über das Drit­te Reich frei­zu­geben, Non ci pen­sia­mo affat­to, a per­mettere una ricer­ca scienti­fi­ca sul Terzo Reich» (in H.-D. Sander, Staatsbrie­fe 11/1993)... dato che essa, con­corda al­quanto brutalmente il demi-juif Martin Broszat, direttore dell'Istituto di Storia Contemporanea di Monaco, deve restare «l'arsenale per lo sfruttamen­to politi­co-pedagogico e la legitti­mazione nel presente».

      Ma il fluire del tempo e l'accu­mu­lo di dati, documenti e in­ter­pre­tazioni non po­trà, pur nella repres­sione di ogni spirito libero, che porta­re a riconsi­dera­re il passato secondo ragione e giustizia. Se i singoli revisionisti ven­gono inti­mi­diti e per­seguitati, se la loro vita viene fiaccata e talora spezzata, il Revisioni­smo – intelligenza ed ansia del Vero – si im­por­rà in ogni caso col tempo, spaz­zando il cumulo di crimi­na­le ottu­si­tà che sof­fo­ca ogni essere umano, in primo luogo gli attos­si­cati gio­vani del Popolo Eletto.

      Aspetto, questo, evidenziato anche dal nonconforme ebreo Gilad Atzmon: «L'Olocausto è una religione relativamente nuova. È priva di misericordia o di compassione: al contrario, promette vendetta per mezzo del castigo. Per i suoi seguaci è qualcosa di liberatorio, perché permette loro di punire tutti quelli che vogliono fino a quando ne ricevono piacere. Questo potrebbe spiegare perché gli israeliani sono arrivati a punire i palestinesi per crimini che furono commessi dagli europei. È chiaro che la nuova religione emergente non riguarda solo l'"occhio per occhio"; in realtà, si tratta di un occhio per migliaia e migliaia di occhi [...] La religione dell'Olocausto non offre redenzione. È una manifestazione rozza e violenta di vera brutalità collettiva. Non può risolvere nulla, perché l'aggressione può solo provocare sempre nuove aggressioni. Nella religione dell'Olocausto non c'è nessuno spazio per la pace o per la grazia [...] Negare il pericolo causato dalla religione dell'Olocausto e dei suoi seguaci significa rendersi complici di un crimine crescente contro l'umanità e contro ogni possibile valore umano».

      «Miliardi di eventi» – si indigna il francese Eric Delcroix, avvocato del professor Faurisson ed anch'egli condannato per crimen laesae maiestatis – «che formano la trama della storia umana posso­no essere liberamen­te interpretati da ognuno. Uno solo – l'"Olo­causto" degli ebrei nelle camere a gas tra il 1942 e il 1944 – è stato decretato indiscutibile sotto pena di multe, carcere ed anche, talo­ra, interdizio­ne professionale o morte civile. Le migliaia di anni che pre­ce­dono il 1942 e il mezzo secolo che segue il 1944 posso­no, almeno in via di prin­ci­pio, esse­re oggetto di ogni inter­pre­tazione, mentre la storia degli anni 1942-1944, e solo quella, è stata posta sotto l'alta sorveglian­za delle autorità religiose, politiche, giudiziarie e massmediali di questo paese».

      «Nes­suna e­poca» – gli s'affianca lo storico Alain-Gérard Sla­ma in L'angéli­sme exterminateur - Essai sur l'ordre moral contem­porain (1993) – «è stata tanto prospera né, in linea di principio, libera come la nostra; nessuna è stata così conformi­sta [...] Mai i cittadini delle nazioni democra­ti­che hanno tanto esaltato l'indi­vi­duo, la vita priva­ta, la "società civile". Mai i diritti dell'uomo sono stati così ampiamente ricono­sciuti. Mai tuttavia, neppure al tempo in cui vigeva l'Or­dine mora­le, lo spirito e i costumi sono stati soggetti ad una pressione così costan­te. Mai le opinio­ni e i com­por­ta­menti sono stati a tal punto condizionati dai pre­giu­dizi. Mai l'apparato tecnico di propagan­da e sorve­glianza è stato, se non più co­strit­ti­vo, quanto­meno più subdolo. Mai, in ter­ra democrati­ca, l'estensione del con­trollo sociale è stata accol­ta con una così cupa rassegna­zio­ne. Né mai il potere si è trovato di fronte una o­pinione pubblica più inaffer­rabile, più flaccida. La virtù del­l'in­dignazio­ne sembra essere evaporata assieme alla capacità di sce­glie­re. Il gregge po­trebbe essere mag­gior­mente asservito. Ma non potrebbe essere più gregge di così».

      Nulla, d'altra parte, troviamo da replicare alla saggezza che (in Salcia Landmann, Jüdi­sche Witze "Umo­ri­smo ebrai­co"), sprigiona il col­lo­quio tra un pio ortodosso e un confra­tello miscredente: «Come osi ridere di un Rabbi, cui ogni venerdì sera parla Dio in per­sona? – Come sai che Dio gli parla? – Me lo ha raccontato lui! – Sei sicuro che non sia un bugiardo? - Ma che dici? Potrebbe parlare, Dio, con un bugiar­do?».

      E nulla egualmen­te alla para­noia del tizio che afferma di essere morto e che, a chi gli fa presente che non può esserlo in quanto perde san­gue dal naso, ribatte: «Ma guarda un po', chi l'avreb­be mai detto, anche i morti sanguina­no!»

Lieto di averLe dato materiale da riflessione e in attesa di risentirLa, La saluto – sempre grato alla Siria di Bashar al-Assad per l'esempio di dignità offerto alle generazioni future – con quattro versi del poeta Apollon Grigorev, che auspico verranno fatti propri e insegnati ai figli, a perenne marchio esistenziale, dai più responsabili dei miei sodali goyish: «Non sono nato per le genufles­sioni, / né per fare anticamera, / per mangiare alla tavola dei principi / o per farmi raccontare sciocchezze».

Cuveglio, 13 settembre 2012


lunedì 10 settembre 2012

Quarta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti

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 Ci siamo ormai abituati a considerare inesistenti personaggi come Stefano Gatti, il cui ruolo sembra consistere nel rivolgere ad onesti cittadini gratuiti insulti, come quello di cui si parla nelle garbatissime lettere del dott. Valli, ben certo di poter operare nell’assoluta impunità. E lo si capisce dalla rete di coperture che Valli abbozza nella sua Quarta Lettera. Non credo che l’Italia abbia un testo come la “Israel lobby e la politica estera americana” scritto dai due politologi Mearheimer e Walt e subito tradotto in tutte le lingue. Non perché l’Italia manchi degli uomini capaci delle necessarie ricerche, ma perché il quadro istituzionale tende alla emarginazione e al silenziamento delle voci che sono in grado di indicare gli intrecci lobbistici, delineati da Valli. Addirittura, da noi si raggiunge l’inverosimile quando un ex-ministro della Giustizia imputa agli storici revisionisti di non accettare il dialogo. Sappiamo che è esattamente il contrario. Ma non indugiamo oltre a lasciare la parola al dottor Valli, per la sua Quarta lettera, augururandocene una Quinta ed una Sesta, che seguendo la finzione di un Interlocutore fantasma ci illumini su cose che molte persone ignorano.

Antonio Caracciolo


Quarta lettera
del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti

Gentile signor Stefano Gatti,

    considerata la Sua inurbanità nel persistere a negarmi, dopo avermi provocato, una giustificazione razionale per il famigerato aggettivo, avrei fatto a meno di rivolgermi nuovamente a Lei. Anche perché penso di averLe ormai procurato adeguata fama all’interno del popolo goyish.

    Sollecitato tuttavia da qualche mio sodale interessato alle Sue vicende esistenziali, torno a chiedere ragione a Lei e alla Sua congrega di succhiasoldi. Risponda quindi, almeno per rispetto del contribuente italiano. Ci dica, ci tenga al corrente su quanti dei 300.000 euro annualmente versatiLe – certo, non per qualche personale bagordo, ma per la benemerita caccia a quelli che il CDEC taccia di «neonazismo» – sia venuta a costare l’indagine sulla manifestazione milanese del 14 luglio in favore del popolo siriano. E questo senza dire del batticuore provocatoLe da tanto ardire.

    Ovviamente, si tratta di un finanziamento più che legale – non uso, come vede, l’aggettivo legittimo. So bene che tra i plaudenti promotori e sostenitori parlamentari del Doveroso Obolo non ci sono solo i Suoi congeneri, ma tutta una pletora di moscelnizzanti, in prima fila il Grande Subacqueo Allampanato – kippà sul cranio anche nelle immersioni? E tuttavia mi permetta di complimentarmi con qualcuno dei più attivi dei Suoi, quali gli onorevoli Alessandro Ruben, Fiamma Nirenstein, Luca Barbareschi, Giulia Bongiorno, Paolo Guzzanti, Emanuele Fiano e Luciano Violante. Di essi vorrei anzi ricordarLe qualche cenno biografico. E mi cito:
Alessandro Ruben, avvocato, consigliere UCEI, vicepresidente del Benè Berith Italia, dal gennaio 2005 presidente della sezione italiana della Anti-Defamation League, il 12 aprile 2008 deputato per il berluscofinico Popolo della Libertà, passato poi al gruppo finiota Futuro e Libertà; eponimo del d.l. che nel novembre 2009 assegna 300.000 euro annui agli occhiuti della onlus CDEC Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea per «monitorare» l’«antisemitismo»: «Tale importante finanziamento è stato assegnato, in uno spirito bipartisan dall’intero Parlamento, riconoscendo al cdec un valore culturale, educativo e di ricerca storico-documentaristica di alta rilevanza sociale», inneggia Shalom  n.11/2009.

Fiamma Nirenstein, ex comunista autodefinita «ebrea e per di più agnostica», padre «polacco» Alberto/Aron Nirenstain/Nirenstein e madre «fiorentina» Wanda Lattes del Corriere della Sera, sposa dapprima al goy Franco Camarlinghi assessore picista a Firenze, città alla cui testa il centrodestro Forza Italia la candida nel maggio 2004, e poi a un colonnello del Mossad), fondatrice della rivista femminista Rosa, giornalista a Paese Sera, L'Europeo, L'Espresso, L'Indipendente, La Stampa, di cui è editorialista e inviata con sede a Gerusalemme, Epoca, Panorama e il Giornale, consulente vicedirettoriale del Liberal mensile, codirettrice di liberal settimanale, autrice di special TV di storia contemporanea, tra cui il settimanale d'attualità internazionale Mondo su Raidue nel 2005, nel 1992-94 a capo dell'Istituto Italiano di Cultura a Tel Aviv, nel 2001 tenutaria di lezioni di Storia del Vicino Oriente alla facoltà di Scienze Politiche della romana LUISS, il 12 aprile 2008 eletta deputata a Genova per il berluscofinico Partito della Libertà e vicepresidente della Commissione Esteri.

Luca Barbareschi, di madre ebrea, attore, imprenditore televisivo di successo e deputato del destrorso PDL, nel 2010 tra i più ràbidi transfughi nel finiota FLI Futuro e Libertà per l'Italia, poi rientrato in più remunerativi ranghi.

Giulia Bongiorno, avvocatessa, deputata il 21 aprile 2006 nelle file di Alleanza Nazionale, rieletta nel 2008 nelle liste del Popolo della libertà, presidente della Commissione Giustizia della Camera, nel luglio 2010 lascia il gruppo parlamentare del PDL per aderire al FLI di Gianfranco Fini.

Paolo Guzzanti, segretario sezionale PSI a Roma «destro» e poi «sinistro» e poi ancora «destro», ammirevole specialista nelle trasmigrazioni: membro dell'effimero democristico Patto Segni, senatore del berlusconico Forza Italia, deputato del berlusconico Popolo delle Libertà, all'opposizione antiberlusconica nel riesumato effimero Partito Liberale Italiano, poi nell'indefinito antiberlusconico Polo della Nazione, poi nell'altrettanto effimera Iniziativa Responsabile, poi di nuovo nelle file berlusconiche; attivo anche su Avanti!, La Stampa e Shalom, confidente del Quirinalizio Cossiga, telecommentatore, vicedirettore de il Giornale col fine, confessa a Claudio Sabelli Fioretti, di condurlo, coi direttori Mario Cervi e Maurizio Belpietro, «su posizioni sempre più liberali e nettamente antifasciste», nel maggio 2001, da senatore forzitalista, presiede la commissione sul «dossier Mitrokhin», la documentazione dell'ex archivista sulla «collaborazione» offerta al KGB da politici, giornalisti e professionisti italiani; ne riportiamo l'isterismo platealmente espresso nel sito essereliberi.it  il 16 luglio 2006 quanto ai massacri israeliani compiuti dal cielo sul Libano: «Voglio urlare a Israele: vai e colpisci, ovunque essi siano, vai e fai quello che un Occidente mentitore e senza spina dorsale non ha il coraggio di fare [...] io voglio gridare, voglio esaltare la guerra di Israele. Voglio che Israele con mano chirurgica e ferma colpisca e cauterizzi, che con mano pietosa distrugga col fuoco, voglio che Israele non abbia pietà degli equivicini, degli equidistanti, dei mascalzoni [...] I piloti devono avere occhi ben aperti, gli occhi di chi non può concedersi emozioni, le mani devono essere ferme sulle leve e i joy stick nei carri roventi che macinano la terra e la sabbia, le mani che guidano i motori diesel, le mani che stringono le armi e che vuotano caricatori, le menti gelide nel deserto rovente [...] Oh Israele se soltanto potessi marciare nella tua guerra [...] e far tuonare il corto cannone che non sbaglia mentre il cielo viene tagliato a lama di coltello dai nostri jet».

Emanuele Fiano, figlio dell'oloscampato olopropagandista itinerante Nedo – a sua volta cognato del brigatista «polacco» Alberto/Aron Nirenstain/Nirenstein – nel 1996 candidato deputato a Milano per L'Ulivo, nell'aprile 1997 consigliere comunale «indipendente» dei neocomunisti DS Democratici di Sinistra, nel 1998-2000 presidente della Comunità milanese, nel maggio 2001 capogruppo neocomunista: «È una delle risorse su cui la Quercia milanese punta maggiormente. Ha coordinato la realizzazione del programma per Milano del partito» (mentre il suggestivo Fiano è capogruppo DS, il confratello Federico Ottolenghi ne è il segretario provinciale), nel giugno 2004 candidato DS alla Provincia, dall'aprile 2006 deputato DS/PD sulle orme ideatoriorepressive del decretomancinico Enrico Modigliani, membro del COPASIR Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica.

Luciano Violante, nato in Etiopia da «padre comunista, madre ebrea, uno zio morto a Mauthausen» (così Giovanni Fasanella), magistrato allevato a Torino dal capo-giudice istruttore ex partigiano giellista Mario Carassi (en passant, Carasso è cognome sefardita), fautore dell'«interpretazione evolutiva del diritto» («Quando si trattava di giudicare dei poveri diavoli come i ladri d'auto, io e l'altro giudice a latere mettevamo in minoranza il presidente»), persecutore non solo del «neofascista» Movimento Politico Ordine Nuovo di Torino (accuse per omicidio e stragi, poi tutte giudicate infondate seppure obtorto collo, persino dopo diciassette anni di percorsi giudiziari: «Nessun atto di violenza, di minaccia, di provocazione, come riconosciuto in sentenza; nessun contatto con uomini politici o militari; nessuna risorsa economica; attività politica svolta alla luce del sole; mai avuto incidenti di sorta con avversari politici. La Corte d'Assise e la Corte d'Assise d'Appello, e le relative giurie popolari, giudicano sulla base dell'assurdo puzzle composto dal Giudice Istruttore e militante del PCI Luciano Violante, che su questo processo costruisce le sue personali fortune politiche: false testimonianze, perizie calligrafiche compiacenti eseguite su delle fotocopie anonime, "documenti" arbitrariamente attribuiti», scrive Salvatore Francia, uno dei perseguitati), ma anche dell'ex partigiano liberale anticomunista Edgardo Sogno Rata del Vallino, incarcerato per «golpismo» il 5 maggio 1976, scarcerato il 19 giugno seguente e prosciolto infine dal giudice istruttore il 12 settembre 1978 («Questo piccolo Vishinskij, gnomico Vishinskij, almeno una cosa è riuscito a dimostrare: il grado di assoluta scostumatezza che in un certo periodo vigeva nel nostro paese. Ha dimostrato come comunisti travestiti da magistrati sono riusciti in democrazia a intimidire, minacciare, incarcerare, perseguitare oppositori solo perché la pensavano in modo diverso», commenta, per una volta tanto equilibrato, il Quirinalizio Francesco Cossiga in una intervista al Gr1 trasmessa il 20 maggio 1991), mente giuridica delle «leggi antiterrorismo» al ministero della Giustizia («collegò la magistratura al PCI, che si fece garante dello Stato [...] agì non sulla base delle regole del diritto, ma attraverso l'uso delle leggi eccezionali e delle sentenze esemplari», commenta, poi smentendo, il picista poi neocomunista «eretico» goy Emanuele Macaluso), «creatore» dei sinistri giudici costituzionali scalfaroni Guido Neppi Modona certo confrère e Gustavo Zagrebelsky valdese e possibile (il fratello Wladimiro vicepresiede il Consiglio Superiore della Magistratura, l'organo sindacale dei magistrati, ed è direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli Affari Generali al ministero flickiano di Grazia e Giustizia, «il numero uno operativo dell'intero ministero»), capo della commissione Giustizia del PCI-PDS e di quella Antimafia, nel 1996-2001 presidente della Camera, cioè terza carica dello Stato, nel 2001-06 presidente del gruppo DS alla Camera, indi presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera.
    E La rassicuro, non si spacchi la testa a cercare streghe «neonaziste» o tenebrosi informatori da tacciare di incitamento al cosiddetto «odio razziale». Tutte le informazioni di cui sopra sono di pubblico dominio, ricavate dai vanti dei singoli ai più diversi giornalisti, dalle fonti indicate o da internet. Quanto a «moscelnizzanti», ecco l'estratto esplicativo:
Il termine «moscelnizzanti», coniato sulla scorta del verbo tedesco mauscheln (disceso dal nome Moishe/Mosè, quintessenza di elezione, equivalente a jüdeln = «parlare con accento yiddish» e, per traslato, «parlare/atteggiarsi/comportarsi da ebreo», «parlare con accento ebraico o al modo degli ebrei» nonché popolarmente, continua, con venatura «antisemitica», il dizionario Bidoli-Cosciani: «mercanteggiare, truffare»), apparso per la prima volta in Germania nel 1622 in un manifesto diretto contro i coniatori cristiani di cattiva moneta ed entrato nell'uso a partire dalla parodia letteraria del «saggio» Nathan lessinghiano fatta da Julius von Voss in Der travestierte Nathan der Weise (1804), riguarda i più fervidi giudeo-rispettosi esemplari goyish. Come li riguardano le espressioni juifs honoraires (da noi usata, ma sicuramente in voga più o meno catacombale da decenni e in ogni caso fieramente rivendicata da un goy della stazza di Claudio Magris), «Gesinnungsjuden, ebrei per mentalità», coniata dal pedagogo Wilhelm Dolles nel 1921, e «Weiße Juden, Ebrei Bianchi», resa famosa da un articolo apparso il 15 luglio 1937 sul settimanale delle SS Das Schwarze Korps. O anche, con l'intellettuale fascista Telesio Interlandi in Contra Judaeos (1938): «gli apparentati degli ebrei, gli associati degli ebrei, i succubi degli ebrei e gli imbecilli di cui gli ebrei hanno l'arte di circondarsi». O, più modernamente con l'indomito Ariel Toaff: i «piaggiatori in buona e malafede», i «soliti pietosi compagni di viaggio che si interessano degli ebrei solo come vittime perennemente passive», gli «avvocati d'ufficio» delle Comunità. Servi tutti, aggiungiamo, ben più odiosi di coloro – i «Fratelli Maggiori» del Vicario «Polacco», i «Fathers in faith, Padri nella fede» del suo successore «tedesco» Baruch il Rieducato – che per nascita e crescita, è la loro natura, sono condannati a nutrirsi di odio e protervia.
    Concludo, non per Lei, che avrà certo assorbito col latte materno quanto segue, rinculcatoLe poi per l'intera Sua vita, ma per i miei venticinque lettori, con una simpatica nota:
Ad eccezione dei personaggi non-ebrei presupposti noti come tali al lettore medio, indicheremo, quando non lo si evinca dal testo, i non-ebrei coi termini «gentile/i» o, more haebraico, globalmente shkotzim (appellativo spregiativo apparentabile a «froci» e similari) o, più gentilmente, specificamente goy e goyim per i maschi e goyah per le femmine, o con aggettivo indifferenziato goyish, dal valore anche di «infedele». Semplicemente stupendo l'enochico Libro dei Giubilei XV 26 definendo i non-ebrei: «figli della distruzione».
    La lingua ebraica ha invero tutta una gamma di espressioni, atte per i più diversi mimetismi: nokhri/nokhriyah e ben nekhar «forestiero/forestiera» e «figlio di un paese stra¬niero», issah zarah «straniera idolatra», orel/orelte «uomo/donna non circonciso», yok/yaikelte (inversione onomatopeica di goy) e shaigetz/shiksa «uomo/donna abominevole»; la radice di shiksa, e del suo diminuitivo shikselke «piccolo abominio» o «puttanella», dai biblici shekets/ sheqetz e shiqquts, vale «abominazione, impurità, carne di animale interdetto» al pari di tohevah, «cosa detestabile»; l'israeliano Megiddo Modern Hebrew-English Dictionary spiega il termine shaigetz/shiksa come «wretch, persona spregevole», «unruly youngster, giovane scapestrato/a» e «Gentile youngster, giovane non-ebreo/a»; parimenti, Rabbi Daniel Gordis ci avverte che, al pari del maschile sheigitz e del neutro goy (che, seppur inteso come "nazione", possiede nell'uso corrente «ugly overtones, brutte connotazioni»), il termine shiksa «has a terribly derogatory connotation, ha una connotazione decisamente spregiativa».
    Termini altrettanto cortesi a indicare una non-ebrea sono niddah, shiftah e zonah, cioè, rispettivamente: «macchiata da mestruazioni» (da cui: «cosa contaminata/orrenda»), «schiava» e «prostituta». Simpaticamente, per il giudaismo ortodosso, se una donna nata da madre non-ebrea perde, convertendosi, i primi due appella¬ivi, non perde il terzo. Per quanto convertita, la shiksa resta una prostituta. Fino alla morte.
    Puntuale quindi Giacomo Leopardi: «La nazione Ebrea così giusta, anzi scrupolosa nel suo interno, e rispetto a' suoi, vediamo nella scrittura come si portasse verso gli stranieri. Verso questi ella non aveva legge; i precetti del Decalogo non la obbligavano se non verso gli ebrei: ingannare, conquistare, opprimere, uccidere, sterminare, derubare lo straniero, erano oggetti di valore e di gloria di quella nazione, come in tutte le altre; anzi era oggetto anche di legge, giacché si sa che la conquista di Canaan fu fatta per ordine Divino, e così cento altre guerre, spesso all'apparenza ingiuste, co' forestieri. Ed anche oggidì gli Ebrei conservano, e con ragione e congruenza, questa opinione, che non sia peccato l'ingannare, o far male comunque all'esterno, che chiamano (e specialmente il cristiano) Goi [...] ossia " gentile" e che presso loro suona lo stesso che ai greci barbaro: [...] riputando peccato, solamente il far male a' loro nazionali» (Zibaldone 881-2).
    Rinnovando gli auspici che possa anch'Ella, coi Suoi congeneri, gioire per la prossima vittoria del popolo siriano, stretto intorno al suo presidente Bashar al-Assad, contro i delinquenti armati dalla feccia del peggiore Occidente, resto sempre in attesa di motivata risposta.

Cuveglio, 9 settembre 2012

mercoledì 5 settembre 2012

Teodoro Klitsche de la Grange: Rec. a Alain de Benoist - Sull’orlo del Baratro.

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Alain de Benoist Sull’orlo del Baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, Arianna Editrice (www.ariannaeditrice.it), Bologna 2012, pp. 182, € 9,80.

Quando si produce una crisi, il tipo di reazione più inadatta a superarla è quella di ascriverne la colpa, in blocco e “a prescindere” al “sistema” che l’ha prodotta.
Questo perché da una canto le emergenze fanno parte dell’esistenza e della storia umana; dall’altro – e di conseguenza – il problema che si pone è quello, comune a tutti i precedenti stati critici – di individuarne le cause al fine di mettere in opera i cambiamenti necessari. Il che non significa che la congiuntura negativa non è stata generata (anche) dagli squilibri del sistema; ma che è decisivo accertarne le cause per mettere in opera le terapie (i cambiamenti) opportuni.
In tal senso tale opera del pensatore transalpino è, come sempre, acuta, stimolante e anticonformista.
In primo luogo de Benoist rileva l’insufficienza di interpretare l’attuale come una delle ricorrenti congiunture del sistema capitalista. A costituirla – e ad aumentarne la pericolosità – sono tre fattori convergenti: il primo è quello (universale) della “ricorrenza” delle emergenze capitaliste; il secondo della globalizzazione; il terzo dell’ “impero” americano.
A proposito del primo l’autore afferma che occorre distinguere tra crisi cicliche, congiunturali e sistematiche, strutturali “i cicli messi in evidenza fin dal 1926 da Kondratieff hanno una durata oscillante tra i 40 e i 60 anni, che comprende due fasi.Nella fase A, ascendente, i profitti sono generati fondamentalmente dalla produzione, mentre nella fase B il capitalismo, per continuare a far aumentare i profitti, deve finanziarizzarsi. I capitali diventano sempre più titoli di speculazione sull’avvenire, perdendo la loro funzione di investimenti necessari al lavoro”. E molti economisti “pensano che oggi siamo nella fase B di un ciclo iniziato circa 35 anni fa e che la crisi finanziaria mondiale, apertasi negli Stati Uniti nell’autunno 2008, sia proprio una crisi strutturale, corrispondente ad una rottura della coerenza dinamica dell’insieme del sistema”. Alla tesi che contesta de Benoist contrappone la propria del triplice fattore “La spiegazione addotta il più delle volte per interpretare le origini della crisi attuale è l’indebitamento delle famiglie americane a causa dei  prestiti ipotecari immobiliari (i famosi subprimes). Ciò non è falso, ma si dimentica di dire perché si sono indebitate”. E la spiegazione del pensatore transalpino è che, diminuendo i profitti industriali, secondo il ciclo di Kondratieff, si è puntato su quelli finanziari, in particolare sul credito ai consumi, al fine di mantenere elevata (e crescente) la domanda. Col risultato di un indebitamento eccessivo. All’insorgenza del primo inceppamento del sistema, la macchina credito-consumo-produzione entra in crisi (sistemica).
Il che, come rileva de Benoist, significa anche il venir meno del “compromesso” fordista, per cui l’aumento dei salari determinava quello dei consumi (si traduceva cioè, indirettamente, in un incremento dei profitti per i datori di lavoro). Il capitalismo finanziarizzato  contemporaneo si sostiene sull’altra “gamba” della delocalizzazione della produzione dai paesi ad alto costo della manodopera  (Occidente e Giappone) a quelli a basso costo (India ed altri). Il tutto permette di non aumentare, anzi di diminuire le retribuzioni nel “primo mondo”. Le produzioni dei paesi emergenti sono fatte in dumping: con manodopera sottopagata, regimi fiscali estremamente tolleranti (non si dimentichi che quasi tutti i paesi ex-comunisti hanno adottato la flat-tax e comunque sistemi a bassa pressione fiscale), condizioni di produzione del tutto libere da preoccupazioni ambientali (e quindi anche per ciò più economiche).
Che fare? Il pensatore transalpino riprende le tesi di Friederich List e  ritiene che una certa dose di protezionismo potrebbe stimolare la ripresa della domanda nella zona euro. A questo si oppone però il “pensiero unico” liberista, che prende per dogmi quelle che sono soluzioni che spesso funzionano bene, ma, magari meno frequentemente, finiscono per provocare danno, e quindi occorre valutarle pragmaticamente, e non farne articoli di fede. Anche perché il primo dovere dei governi è quello di conservare l’esistenza e il benessere della comunità, e non prestar fede a dogmi e teorie, di qualsiasi provenienza e fattura.
La critica di de Benoist al capitalismo iperliberista e finanziarizzato non è – ovviamente – economicista. Anzi si rivolge in primo luogo all’antropologia ed alla visione del mondo che quello presuppone nonché alle conseguenze che implica. L’homo aeconomicus dei liberal-liberisti (e più in generale, dagli economisti, anche non liberitsti) non esiste concretamente. Vale per questo, come, anzi di più, per l’uomo dell’ideologia dei diritti umani, l’ironia di de Maistre, che nella sua vita diceva di aver conosciuto francesi, tedeschi, italiani, russi, cinesi, ma l’uomo (astratto) mai.
Una notazione del recensore: la caratteristica più “esclusiva” del capitalismo contemporaneo – e di tutto ciò che porta con se - tecnocrazia, liberalismo debole e “privatizzato”, gouvernance, globalizzazione è di non avere una dimensione (e visione) politica né di riuscire a costruire una “forma” politica, nel senso di un’organizzazione comunitaria costruita intorno ad autorità, valori e procedure di legittimazione.
Questa è la principale (ed essenziale) differenza tra il pensiero borghese statu nascenti, il (primo) “capitalismo”, che costruisce lo Stato rappresentativo basato su distinzione dei poteri e tutela dei diritti fondamentali, sulla Nazione e sui cittadini: è una forma politica coerente e soprattutto potente. In quanto tale è un pensiero costruttore e morfopoietico. Mentre il pensiero borghese (decadente) nostro contemporaneo, sotteso (e sottoposto) al potere finanziar-mediatico, non delinea una propria forma politica, non elabora idee politicamente costruttive (Nazione, Popolo, rappresentanza); non prospetta una forma di governo (oligarchia? impero? federazione? e di che?). Il suo connotato principale, è, di converso, negare la politica (e il politico) senza riuscire a dar forma qualcosa di alternativo. Anche perché la politica non ha alternative, come pensava già Aristotele (l’uomo come zoon politikon). E così è essenzialmente distruttivo. Ma poi?
Teodoro Klitsche de la Grange