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Gentile signor Stefano Gatti,
qualche mio sodale ha avanzato l'ipotesi che la Sua persona mi abbia talmente affascinato che non riesco più ormai, malgrado il pervicace silenzio da parte Sua, a fare a meno di relazionarLe qualcosa dei miei pensieri. A questo è dovuta la brevità di tempo intercorsa tra la precedente e questa quinta mia lettera. È d'altronde vero che, non avendo mai risposto alle mie invocazioni, Ella sta rivestendo – e me ne dolgo, curioso come sono di conoscere, a parte la propensione all'insulto, alcunché del Suo intelletto – la parte del Convitato di Pietra.
Qualche altro sodale – altrettanto stimabile di quelli che mi incitano nel continuare la garbata polemica – ricopre invece un ruolo più critico, invitandomi a staccare la spina all'insegna del già detto de minimis etc. e vista l'assoluta evanescenza, almeno finora, della sua persona. Mordi e fuggi, pensi, hanno definito la Sua irruzione nella mia vita! E Le risparmio altri e più pesanti commenti espressi sulla Sua statura morale (di quella intellettuale, nessuna menzione).
Ovviamente, mi creda, il cruccio per il Suo silenzio non è dovuto al dispiacere di avere finalmente incontrato – e di averlo perso – un interlocutore dell'altra sponda con quale scambiare quattro opinioni su qualche argomento di presa. Che so? uno a caso, l'Immaginario Olocaustico... come venne ideato e inculcato nei cervelli, goyish come giudaici, o come vengono puniti i suoi miscredenti... purtroppo non ancora in Italia. Un Paese dove ancora, malauguratamente, persiste un minimo di decenza che fa scuotere il capo, indulgenti, davanti ai contorcimenti di certi pazzarielli anche di sesso femmineo. Ma tutto a suo tempo, direbbero i Savi, arriveremo anche in Italia.
AvvertendoLe negli occhi un guizzo di onestà intellettuale – oh, solo un guizzo, non si monti la testa! – per ora non posso che rimandarLa, immodestamente, alle mie opere, di cui Le fornii l'elenco. O meglio ancora, con più modestia, rimandarLa alle centinaia di opere degli studiosi olorevisionisti. Gran parte dei quali, ne avrà avuto contezza, puniti a dovere in tanti Paesi più evoluti – col carcere, il racket pecuniario, il sequestro di libri e computer, la devastazione della casa, la rovina dell'esistenza, l'attentato dinamitardo o perfino l'acido muriatico in volto – da una demogiustizia intrisa di pilpulismo. Demogiustizia peraltro affiancata da un attivismo giudaico talora francamente criminale.
Promotori della repressione del pensiero, ripugnanti alla libera discussione, i Suoi congeneri? Davvero, loro che hanno tanto sofferto? Loro, che hanno visto bruciare i sacri libri? Loro, che dubitano di tutto? Loro, gli eterni inquieti? Loro, gli aperti di mente... per quanto intrisi dell'eterna psicosi messianica? Loro, i portatori di quell'anarchica, atavica tara che li fa contestare, pretendendo ragione, persino (il loro) Dio? Loro, gli inventori delle affabulazioni più stravaganti (e remunerative), quali la psicoanalisi? Loro, che hanno inventato il principio di falsificabilità per definire fondato un qualunque discorso? Veda Lei, se vuol vedere. Da parte mia, la rimando alle dette opere.
Ma bando alle quisquilie. Per il momento offro a Lei – e per Lei ai miei sodali goyish che vorrei immaginare assidui a istruirsi sui libri, piuttosto che telespaparanzati per la «partita» – qualche spunto tratto dal mio «Holocaustica religio - Psicosi ebraica, progetto mondialista».
● Col presente saggio – revisione, ampliamento e reimpostazione di Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma – nel quale la parola viene lasciata per il novanta per cento agli Eletti Arruolati di Jahweh, riservando a noi per doveroso rispetto e par condicio giusto un dieci per cento, ci proponiamo di illustrare 1. non gli aspetti tecnici della questione olocaustica, ormai definitivamente inquadrata nella corretta prospettiva storica dagli studiosi revisionisti in centinaia di opere, piccola parte delle quali citate in Bibliografia, e 2. neppure le incredibili persecuzioni da tali studiosi subite in trent'anni nei più vari paesi del Libero Occidente [vedi La rivolta della ragione - Il revisionismo storico, strumento di verità], e 3. neppure i motivi etici e intellettuali del loro assoluto diritto a vagliare col massimo di freddezza un argomento storico tra i più controversi, bensì di trattare 4. delle strutture profonde – religiose e psicotiche – che hanno reso e rendono possibile, da parte di una oscena Fantasmatica, l'accecamento delle coscienze e la metastatizzazione del giudaismo a livello planetario.
Il saggio tratta quindi non (come invece usualmente trattato dagli Arruolati e dai loro reggicoda) della teologia dell'Olocausto, cioè del riflesso che costoro pretendono la Nota Vicenda abbia avuto nella psiche dell'uomo quanto alla personalità di Dio – del loro dio ebraico, e quindi cristiano – ma proprio di quella teologizzazione della storia, di quella religione «lai-ca» che da un trentennio si è affermata attraverso un martellamento diuturno e l'uso quanto più disinvolto della diffamazione (ostracismo di ogni tipo agli increduli) e della repressione giudiziaria (ammende multimilionarie e incarcerazione). Religione che andrebbe meglio intesa alla latina quale religio, vale a dire superstizione e allucinazione. Religione certo dotata delle strutture caratteristiche di ogni credo religioso (in particolare, di ogni credo ebraico ed ebraicodisceso), ma intrisa della più alta menzogna e priva di qualsivoglia fondamento razionale e storico... anche se certo non di giustificazione politica e di rendita finanziaria.
Riprendendo, da pagani quali siamo, il pur ateo Michel Onfray, concordiamo con lui, quanto ai Primogeniti, che «va bene credere, ma pretendere di essere il pastore di chi crede, questo è troppo. Fin tanto che la religione resta un affare personale si tratta, dopo tutto, solamente di nevrosi, psicosi e di altri problemi privati. Ognuno ha le perversioni che può, fin quando esse non minacciano o non mettono in pericolo la vita degli altri. Ma quando la credenza privata diventa un affare pubblico e in nome di una patologia mentale personale si organizza conseguentemente anche il mondo per gli altri, allora il mio ateismo si rimette in moto. Perché tra l'angoscia esistenziale personale e la gestione del corpo e dell'anima altrui esiste un mondo nel quale si muovono e stanno in agguato i profittatori di questa miseria spirituale e mentale. Dirottare sull'intera umanità la pulsione di morte che li tormenta non salva il tormentato e non cambia niente della sua miseria, ma contamina il mondo».
Visto l'attuale parossismo della caccia alle streghe scatenata dal Sistema a partire dal 1945, ma in modo parossistico dagli ultimi anni Settanta, invitiamo in ogni caso il lettore a far propri i concetti da noi espressi nell'Avvertenza, anche se del rischio che potrebbero correre le sue e le nostre opinioni, considerata la tutela garantita – almeno in Italia – dalla Costituzione antifascista alla libertà di espressione di ognuno (art. 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione») e malgrado i fulmini sul più vario «vilipendio» (artt. 290 e 406 del CP), non fa conto temere.
Tanto più che, come detto e per ragioni altamente plausibili – in primo luogo, seguendo la consorella «torinese» Elena Loewenthal curatrice del voltairiano Juifs, per evitare una «strumentazione antiebraica così convenzionale, e se vogliamo anche conformistica» e per non essere «bendat[i] da presupposti non perfettamente obiettivi» e non vedere gli ebrei «attraverso gli occhi di un pregiudizio millenario carico di veleni teologici e sociali» – tanto più, dicevamo, che il novanta per cento delle citazioni non solo è di genuina provenienza arruolatica, ma è stato considerato iuxta sua et propria principia, cioè in modo del tutto conforme al senso dei testi che ce le hanno fornite.
● Da parte sua, il Sistema non vorrà certo comportarsi con noi in modo difforme da quanto auspicato nell'incipit di Moshe Carmilly-Weinberger, docente alla Yeshiva University di New York, al volume di William Popper sulla millenaria censura (ed autocensura) del talmudismo da parte cristiana: «Ideas, good or bad, cannot be suppressed by book-burning. Censorship is a sign of fear and weakness. Dialogue and persuasion are the only means by which an idea can be challenged or defended. True democracy is built upon free expression and thought. Human beings must not be deprived of these basic rights. The history of mankind reveals the arduous struggle for these rights throughout the last two thousand years, Le idee, buone o cattive che siano, non possono essere soppresse dal rogo dei libri. La censura è un segno di paura e di debolezza. Il dialogo e la persuasione sono gli unici mezzi coi quali un'idea può essere contestata o difesa. La vera democrazia è costruita sulla libera espressione e sul libero pensiero. Gli esseri umani non devono essere privati di tali diritti fondamentali. La storia dell'umanità rivela l'ardua lotta per questi diritti attraverso gli ultimi due millenni».
«I libri non vanno bruciati mai, per nessun motivo», ci risoccorre la Loewenthal, mentre sempre l'Antica Saggezza concorda che «far an onmut kumt kejn patsch, ad una proposta [interpretativa] non si risponde con ceffoni». Ancor più, come scordare l'insegnamento «popperiano» di Vilfredo Pareto?: «Prima che una teoria possa essere detta corretta, è virtualmente indispensabile che si sia perfettamente liberi di rifiutarla. Qualsivoglia limitazione, anche indiretta o remota, imposta a chi cerca di contraddirla basta a renderla sospetta. La libertà di esprimere il proprio pensiero, anche contro l'opinione della maggioranza o di tutti, anche quando esso offende i sentimenti di qualcuno o della maggioranza, anche quando è giudicato assurdo o criminale dalla generalità, è sempre favorevole alla scoperta della verità obiettiva».
● «L'ultima caratteristica della parresìa è che in essa il dire la verità è considerato come un dovere. Per esempio, l'oratore che dice la verità a coloro che non vogliono accettarla, e che può essere per questo esiliato o in qualche modo punito, è libero di stare zitto; nessuno lo costringe a parlare: ma egli sente che è suo dovere fare così [...] La parresìa è una specie di attività verbale in cui il parlante ha uno specifico rapporto con la verità attraverso la franchezza, una certa relazione con la propria vita attraverso il pericolo, un certo tipo di relazione con se stesso e con gli altri attraverso la critica (autocritica o critica di altre persone), e uno specifico rapporto con la legge morale attraverso la libertà e il dovere. Più precisamente, la parresìa è un'attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o se stesso) a vivere meglio. Nella parresìa il parlante fa uso della sua libertà, e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità o del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece dell'adulazione, e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell'apatia morale» (il francese Michel Foucault).
Ciò in quanto, s'accende Giordano Bruno, faro di luce, «la verità è la cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la divinità e la sincerità, bontà e bellezza de le cose è la verità; la quale né per violenza si toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisce, né per communicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l'arruga, luogo non l'asconde, notte non l'interrompe, tenebra non l'avela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce» (Spaccio de la bestia trionfante, dialogo secondo... quello stesso Bruno che non si trattiene dall'inveire contro gli ebrei, «convitti per escremento da l’Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o per giustizia ci-vile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono naturalmente, come né per lunga violenza di fortuna mai furo, parte del mondo», «una generazione [stirpe] tanto pesti-lente, leprosa e generalmente perniciosa, che merita prima esser spinta [spenta = sterminata] che nata», in quanto, così nel dialogo primo della Cabala del cavallo pegaseo, «di natura, ingegno e fortuna saturnini e lunari, gente sempre vile, servile, mercenaria, solitaria, incomunicabile ed inconversabile con l'altre generazioni, che bestialmente spregiano, e da le quali per ogni raggione son degnamente dispreggiate»).
Ciò in quanto, afferma Baruch Spinoza – sulla scia di Saadia Gaon "il Genio" ben Yosef (882-942): «È inconcepibile che noi [sic: «noi ebrei»] si possa proibire un'onesta indagine» – «se nessuno può rinunziare alla libertà di pensare e di giudicare secondo il proprio criterio, e se ciascuno per insopprimibile diritto di natura è padrone dei propri pensieri, ne viene che in una comunità politica avrà un esito sempre disastroso il tentativo di costringere uomini che hanno diversi e contrastanti pareri a formulare giudizi e a esprimersi in conformità con quanto è stato prescritto dall'autorità sovrana [...] Ma supponiamo che questa libertà si possa reprimere e che gli uomini si possano dominare al punto che non osino proferir parola che non sia conforme alle prescrizioni della suprema potestà. Con ciò, però, questa non potrà mai far sì che essi non pensino se non ciò che essa vuole: onde seguirebbe necessariamente che gli uomini continuerebbero a pensare una cosa e a dirne un'altra, e per conseguenza si corromperebbe la fede, che in uno stato è sommamente necessaria, e si favorirebbero l'abominevole adulazione e la perfidia, donde l'inganno e la corruzione di ogni buon costume [...] Quale peggior male può es-servi, in uno stato, che quello di esiliare come malviventi comuni uomini onesti, soltanto perché professano opinioni non conformi, e non le sanno dissimulare?» (Tractatus theologico-politicus, cap.XX; similmente nell'Epistolario XXX, rivendicando «la libertà di filosofare e di dire quello che sentiamo: libertà che io intendo difendere in tutti i modi contro i pericoli di soppressione rappresentati ovunque dall'eccessiva autorità e petulanza dei predicatori»).
Ciò in quanto, aggiunge Carmilly-Weinberger, «la voce di un uomo è cosa di sua proprietà, è parte di lui più dei suoi cinque sensi, e nessun potere sulla terra ha il diritto di limitarla o di farla tacere. Il singolo ha l'esclusivo diritto di usarla e farla udire come gli aggrada. Questo diritto fu dato a ogni essere umano quando il mondo fu creato; è parte della natura, non può quindi essergli negato. Cionondimeno, molte generazioni nella storia dell'umanità sono state contrassegnate dalla lotta per la libertà di pensiero e parola. Questa lotta è tuttora in corso. Già ci furono poteri che vollero imporsi e dominare derubando l'uomo del naturale diritto ad esprimere i propri pensieri. La censura si impose per ridurre al silenzio la voce dell'uomo, ed egli fu costretto a ottenere un particolare permesso per diffondere le proprie idee. I governanti, religiosi come laici, spregiarono e non intesero il fatto che imponendo tali restrizioni rivelavano la propria debolezza. Le restrizioni della libertà di pensiero e parola non trovano spazio in democrazia. Tale libertà è il criterio distintivo di una vera democrazia. Senza, non possono esistere scienza o ricerca degne di tal nome. Negli Stati totalitari l'uomo non può esprimersi o dar voce alle proprie opinioni, la censura investe la parola sia detta che scritta. È per questo che molti di questi regimi sono scomparsi dopo avere raggiunto l'acme nella storia. Non poterono sopravvivere, perché il loro mondo era interamente costruito sulle armi e sulla paura».
Ciò in quanto, attesta lo psicologo Wilfred Bion per quanto senza riferimenti all'attossicato popolo ebraico – da compiangere quando vittima di un mostruoso Immaginario, ma assolutamente colpevole quando spregiatore della ragione e dello sforzo di porre in questione ogni interpretazione sacralizzata – «l'esperienza analitica mi ricorda che un sano sviluppo mentale sembra dipendere dalla verità, come l'organismo vivente dipende dal cibo. Se la verità manca o è incompleta, la personalità si deteriora». Inoltre, una verità parziale è un'evasione dalla verità, una verità parziale non è verità ma menzogna, perché la verità è una sola, una e indivisibile. Celarla per opportunismo o viltà, colpirla o tacerla in un punto, significa metterla tutta in pericolo, perché nel campo del pensiero non esistono cose indifferenti.
Infine, ben chiude il puritano – un puritano, ed è tutto dire! – Nathaniel Ward, «raccontare una bugia in campo pratico è un grande peccato, che però è passeggero. Ma affermare una cosa non vera in materia teorica significa avallare ogni menzogna che si trovi dalla radice alla fine di ogni ramo di quella» (The Simple Cobbler of Aggawam in America, 1647).
Entrando nello specifico, concludo con un pugno di considerazioni altrettanto pregnanti:
● Inoltre, come abbiamo sempre presente l'immensa devastante disperazione del grido di Ernst von Salomon («Ciò che mi opprime non è la nostra sconfitta, ma il fatto che i vincitori la rendano assurda!»), i moniti di Ian J. Kagedan direttore del B'nai B'rith per i rapporti col governo canadese («Il ricordo dell'Olocausto è il principale elemento del Nuovo Ordine Mondiale [...] Il nostro obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale sarà raggiunto se avremo imparato le lezioni dell'Olocausto», Toronto Star, 26 novembre 1991) e dell'olo-«decano» Yehuda Bauer («L'Olocausto è stato uno spartiacque nella storia umana»), nonché le speculari conclusioni di Pierre Guillaume («Il genocidio e le camere a gas sono la chiave di volta di un'ideologia che assicura un dominio spirituale e materiale»), così abbiamo assolutamente chiaro il senso della «libertà» concessa dalla democrazia agli storici, compendiato da Heinz Galinski, rabbino in Terra Rieducata: «Wir denken nicht daran, die Forschung über das Dritte Reich freizugeben, Non ci pensiamo affatto, a permettere una ricerca scientifica sul Terzo Reich» (in H.-D. Sander, Staatsbriefe 11/1993)... dato che essa, concorda alquanto brutalmente il demi-juif Martin Broszat, direttore dell'Istituto di Storia Contemporanea di Monaco, deve restare «l'arsenale per lo sfruttamento politico-pedagogico e la legittimazione nel presente».
Ma il fluire del tempo e l'accumulo di dati, documenti e interpretazioni non potrà, pur nella repressione di ogni spirito libero, che portare a riconsiderare il passato secondo ragione e giustizia. Se i singoli revisionisti vengono intimiditi e perseguitati, se la loro vita viene fiaccata e talora spezzata, il Revisionismo – intelligenza ed ansia del Vero – si imporrà in ogni caso col tempo, spazzando il cumulo di criminale ottusità che soffoca ogni essere umano, in primo luogo gli attossicati giovani del Popolo Eletto.
Aspetto, questo, evidenziato anche dal nonconforme ebreo Gilad Atzmon: «L'Olocausto è una religione relativamente nuova. È priva di misericordia o di compassione: al contrario, promette vendetta per mezzo del castigo. Per i suoi seguaci è qualcosa di liberatorio, perché permette loro di punire tutti quelli che vogliono fino a quando ne ricevono piacere. Questo potrebbe spiegare perché gli israeliani sono arrivati a punire i palestinesi per crimini che furono commessi dagli europei. È chiaro che la nuova religione emergente non riguarda solo l'"occhio per occhio"; in realtà, si tratta di un occhio per migliaia e migliaia di occhi [...] La religione dell'Olocausto non offre redenzione. È una manifestazione rozza e violenta di vera brutalità collettiva. Non può risolvere nulla, perché l'aggressione può solo provocare sempre nuove aggressioni. Nella religione dell'Olocausto non c'è nessuno spazio per la pace o per la grazia [...] Negare il pericolo causato dalla religione dell'Olocausto e dei suoi seguaci significa rendersi complici di un crimine crescente contro l'umanità e contro ogni possibile valore umano».
«Miliardi di eventi» – si indigna il francese Eric Delcroix, avvocato del professor Faurisson ed anch'egli condannato per crimen laesae maiestatis – «che formano la trama della storia umana possono essere liberamente interpretati da ognuno. Uno solo – l'"Olocausto" degli ebrei nelle camere a gas tra il 1942 e il 1944 – è stato decretato indiscutibile sotto pena di multe, carcere ed anche, talora, interdizione professionale o morte civile. Le migliaia di anni che precedono il 1942 e il mezzo secolo che segue il 1944 possono, almeno in via di principio, essere oggetto di ogni interpretazione, mentre la storia degli anni 1942-1944, e solo quella, è stata posta sotto l'alta sorveglianza delle autorità religiose, politiche, giudiziarie e massmediali di questo paese».
«Nessuna epoca» – gli s'affianca lo storico Alain-Gérard Slama in L'angélisme exterminateur - Essai sur l'ordre moral contemporain (1993) – «è stata tanto prospera né, in linea di principio, libera come la nostra; nessuna è stata così conformista [...] Mai i cittadini delle nazioni democratiche hanno tanto esaltato l'individuo, la vita privata, la "società civile". Mai i diritti dell'uomo sono stati così ampiamente riconosciuti. Mai tuttavia, neppure al tempo in cui vigeva l'Ordine morale, lo spirito e i costumi sono stati soggetti ad una pressione così costante. Mai le opinioni e i comportamenti sono stati a tal punto condizionati dai pregiudizi. Mai l'apparato tecnico di propaganda e sorveglianza è stato, se non più costrittivo, quantomeno più subdolo. Mai, in terra democratica, l'estensione del controllo sociale è stata accolta con una così cupa rassegnazione. Né mai il potere si è trovato di fronte una opinione pubblica più inafferrabile, più flaccida. La virtù dell'indignazione sembra essere evaporata assieme alla capacità di scegliere. Il gregge potrebbe essere maggiormente asservito. Ma non potrebbe essere più gregge di così».
Nulla, d'altra parte, troviamo da replicare alla saggezza che (in Salcia Landmann, Jüdische Witze "Umorismo ebraico"), sprigiona il colloquio tra un pio ortodosso e un confratello miscredente: «Come osi ridere di un Rabbi, cui ogni venerdì sera parla Dio in persona? – Come sai che Dio gli parla? – Me lo ha raccontato lui! – Sei sicuro che non sia un bugiardo? - Ma che dici? Potrebbe parlare, Dio, con un bugiardo?».
E nulla egualmente alla paranoia del tizio che afferma di essere morto e che, a chi gli fa presente che non può esserlo in quanto perde sangue dal naso, ribatte: «Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto, anche i morti sanguinano!»
Lieto di averLe dato materiale da riflessione e in attesa di risentirLa, La saluto – sempre grato alla Siria di Bashar al-Assad per l'esempio di dignità offerto alle generazioni future – con quattro versi del poeta Apollon Grigorev, che auspico verranno fatti propri e insegnati ai figli, a perenne marchio esistenziale, dai più responsabili dei miei sodali goyish: «Non sono nato per le genuflessioni, / né per fare anticamera, / per mangiare alla tavola dei principi / o per farmi raccontare sciocchezze».
Cuveglio, 13 settembre 2012
Siamo ben certo che l’«Osservatore» di presunti pregiudizi altrui, Stefano Gatti, che non si accorge dei suoi propri pregiudizi non potrà competere sul piano dottrinale con il dott. Valli, che non si accanisce garbatamente contro di lui. Piuttosto ci sembra che mediante una forma letteraria, quella dell’Interlocuzione a personaggi fantastici o reali, che non rispondono, non possono o non vogliono rispondere, stia offrendo ad un più vasto pubblico una utile ed efficace sintesi di temi e problematiche trattati in molti anni di studio. Ciò che qui ci turba e colpisce è l’accenno alla vera e proprio persecuzione che in questa civilissima Europa, che esporta con la guerra il suo “diritto”, la sua “civiltà”, sono migliaia e migliaia le persone alle quali viene inflitto il carcere e la morte civile per meri “reati” di opinione. Addirittura, in un palazzo di giustizia, la citata Esther Di Cesare pretendeva davanti a dei giuristi di professione che venissero sanzionate le opinioni in quanto tali, senza che nessun concreto fare delittuoso potesse giustificare l’esercizio di un diritto penale che sanziona il fatto delittuoso, non il pensiero, e magari anche il sogno. Non solo il diritto è estraneo a tanta barbarie, ma ancor di più lo è la filosofia, nella cui casa la Donatella pensa di aver una stanza. Sui perseguitati del pensiero i media sotto stretto controllo sionista non danno notizia, non danno coperture. Queste persone non esistono, ma sono almeno 200.000 nella sola Germania, dal 1994 ad oggi. E sarebbero da aggiungere i perseguitati negli altri paesi. Il CDEC, e il Gatti, si danno molto da fare perché questa legge venga estesa anche in Italia, aggirando la ratifica parlamentare. Il nostro pensiero non può non andare ad un cittadino tedesco, Hörst Mahler, cui sono stati inflitti anni di carcere, per la sola colpa di aver scritto un libro. Ma ancor più mi turba una notizia esemplare, comunicatami per telefono, di un padre di famiglia cui sono stati inflitti nove mesi di carcere, per aver prestato ad un amico il libro di Mahler. Davanti ala giudice il padre di famiglia sostenne che non condivideva il libro di Mahler, ma che riteneva dovesse essere rispettata e garantita la libertà di pensiero di chiunque. Il padre di famiglia fu condannato, sia pure ad una pena inferiore rispetto a chi il libro lo aveva scritto. Questa è barbarie, cui si deve dare un nome: è il sionismo che proprio in Europa ha le sue radici e la sua forza. Se migliaia di persone stanno in galera ed altre oneste persone, come il dottor Valli, vengono molestate nell’esercizio dei loro diritti politici, non è per caso, ma è perché l’Italia e l’Europa subiscono pesanti condizionamenti.
Antonio Caracciolo
Quinta lettera
del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti
Gentile signor Stefano Gatti,
qualche mio sodale ha avanzato l'ipotesi che la Sua persona mi abbia talmente affascinato che non riesco più ormai, malgrado il pervicace silenzio da parte Sua, a fare a meno di relazionarLe qualcosa dei miei pensieri. A questo è dovuta la brevità di tempo intercorsa tra la precedente e questa quinta mia lettera. È d'altronde vero che, non avendo mai risposto alle mie invocazioni, Ella sta rivestendo – e me ne dolgo, curioso come sono di conoscere, a parte la propensione all'insulto, alcunché del Suo intelletto – la parte del Convitato di Pietra.
Qualche altro sodale – altrettanto stimabile di quelli che mi incitano nel continuare la garbata polemica – ricopre invece un ruolo più critico, invitandomi a staccare la spina all'insegna del già detto de minimis etc. e vista l'assoluta evanescenza, almeno finora, della sua persona. Mordi e fuggi, pensi, hanno definito la Sua irruzione nella mia vita! E Le risparmio altri e più pesanti commenti espressi sulla Sua statura morale (di quella intellettuale, nessuna menzione).
Ovviamente, mi creda, il cruccio per il Suo silenzio non è dovuto al dispiacere di avere finalmente incontrato – e di averlo perso – un interlocutore dell'altra sponda con quale scambiare quattro opinioni su qualche argomento di presa. Che so? uno a caso, l'Immaginario Olocaustico... come venne ideato e inculcato nei cervelli, goyish come giudaici, o come vengono puniti i suoi miscredenti... purtroppo non ancora in Italia. Un Paese dove ancora, malauguratamente, persiste un minimo di decenza che fa scuotere il capo, indulgenti, davanti ai contorcimenti di certi pazzarielli anche di sesso femmineo. Ma tutto a suo tempo, direbbero i Savi, arriveremo anche in Italia.
AvvertendoLe negli occhi un guizzo di onestà intellettuale – oh, solo un guizzo, non si monti la testa! – per ora non posso che rimandarLa, immodestamente, alle mie opere, di cui Le fornii l'elenco. O meglio ancora, con più modestia, rimandarLa alle centinaia di opere degli studiosi olorevisionisti. Gran parte dei quali, ne avrà avuto contezza, puniti a dovere in tanti Paesi più evoluti – col carcere, il racket pecuniario, il sequestro di libri e computer, la devastazione della casa, la rovina dell'esistenza, l'attentato dinamitardo o perfino l'acido muriatico in volto – da una demogiustizia intrisa di pilpulismo. Demogiustizia peraltro affiancata da un attivismo giudaico talora francamente criminale.
Promotori della repressione del pensiero, ripugnanti alla libera discussione, i Suoi congeneri? Davvero, loro che hanno tanto sofferto? Loro, che hanno visto bruciare i sacri libri? Loro, che dubitano di tutto? Loro, gli eterni inquieti? Loro, gli aperti di mente... per quanto intrisi dell'eterna psicosi messianica? Loro, i portatori di quell'anarchica, atavica tara che li fa contestare, pretendendo ragione, persino (il loro) Dio? Loro, gli inventori delle affabulazioni più stravaganti (e remunerative), quali la psicoanalisi? Loro, che hanno inventato il principio di falsificabilità per definire fondato un qualunque discorso? Veda Lei, se vuol vedere. Da parte mia, la rimando alle dette opere.
Ma bando alle quisquilie. Per il momento offro a Lei – e per Lei ai miei sodali goyish che vorrei immaginare assidui a istruirsi sui libri, piuttosto che telespaparanzati per la «partita» – qualche spunto tratto dal mio «Holocaustica religio - Psicosi ebraica, progetto mondialista».
● Col presente saggio – revisione, ampliamento e reimpostazione di Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma – nel quale la parola viene lasciata per il novanta per cento agli Eletti Arruolati di Jahweh, riservando a noi per doveroso rispetto e par condicio giusto un dieci per cento, ci proponiamo di illustrare 1. non gli aspetti tecnici della questione olocaustica, ormai definitivamente inquadrata nella corretta prospettiva storica dagli studiosi revisionisti in centinaia di opere, piccola parte delle quali citate in Bibliografia, e 2. neppure le incredibili persecuzioni da tali studiosi subite in trent'anni nei più vari paesi del Libero Occidente [vedi La rivolta della ragione - Il revisionismo storico, strumento di verità], e 3. neppure i motivi etici e intellettuali del loro assoluto diritto a vagliare col massimo di freddezza un argomento storico tra i più controversi, bensì di trattare 4. delle strutture profonde – religiose e psicotiche – che hanno reso e rendono possibile, da parte di una oscena Fantasmatica, l'accecamento delle coscienze e la metastatizzazione del giudaismo a livello planetario.
Il saggio tratta quindi non (come invece usualmente trattato dagli Arruolati e dai loro reggicoda) della teologia dell'Olocausto, cioè del riflesso che costoro pretendono la Nota Vicenda abbia avuto nella psiche dell'uomo quanto alla personalità di Dio – del loro dio ebraico, e quindi cristiano – ma proprio di quella teologizzazione della storia, di quella religione «lai-ca» che da un trentennio si è affermata attraverso un martellamento diuturno e l'uso quanto più disinvolto della diffamazione (ostracismo di ogni tipo agli increduli) e della repressione giudiziaria (ammende multimilionarie e incarcerazione). Religione che andrebbe meglio intesa alla latina quale religio, vale a dire superstizione e allucinazione. Religione certo dotata delle strutture caratteristiche di ogni credo religioso (in particolare, di ogni credo ebraico ed ebraicodisceso), ma intrisa della più alta menzogna e priva di qualsivoglia fondamento razionale e storico... anche se certo non di giustificazione politica e di rendita finanziaria.
Riprendendo, da pagani quali siamo, il pur ateo Michel Onfray, concordiamo con lui, quanto ai Primogeniti, che «va bene credere, ma pretendere di essere il pastore di chi crede, questo è troppo. Fin tanto che la religione resta un affare personale si tratta, dopo tutto, solamente di nevrosi, psicosi e di altri problemi privati. Ognuno ha le perversioni che può, fin quando esse non minacciano o non mettono in pericolo la vita degli altri. Ma quando la credenza privata diventa un affare pubblico e in nome di una patologia mentale personale si organizza conseguentemente anche il mondo per gli altri, allora il mio ateismo si rimette in moto. Perché tra l'angoscia esistenziale personale e la gestione del corpo e dell'anima altrui esiste un mondo nel quale si muovono e stanno in agguato i profittatori di questa miseria spirituale e mentale. Dirottare sull'intera umanità la pulsione di morte che li tormenta non salva il tormentato e non cambia niente della sua miseria, ma contamina il mondo».
Visto l'attuale parossismo della caccia alle streghe scatenata dal Sistema a partire dal 1945, ma in modo parossistico dagli ultimi anni Settanta, invitiamo in ogni caso il lettore a far propri i concetti da noi espressi nell'Avvertenza, anche se del rischio che potrebbero correre le sue e le nostre opinioni, considerata la tutela garantita – almeno in Italia – dalla Costituzione antifascista alla libertà di espressione di ognuno (art. 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione») e malgrado i fulmini sul più vario «vilipendio» (artt. 290 e 406 del CP), non fa conto temere.
Tanto più che, come detto e per ragioni altamente plausibili – in primo luogo, seguendo la consorella «torinese» Elena Loewenthal curatrice del voltairiano Juifs, per evitare una «strumentazione antiebraica così convenzionale, e se vogliamo anche conformistica» e per non essere «bendat[i] da presupposti non perfettamente obiettivi» e non vedere gli ebrei «attraverso gli occhi di un pregiudizio millenario carico di veleni teologici e sociali» – tanto più, dicevamo, che il novanta per cento delle citazioni non solo è di genuina provenienza arruolatica, ma è stato considerato iuxta sua et propria principia, cioè in modo del tutto conforme al senso dei testi che ce le hanno fornite.
● Da parte sua, il Sistema non vorrà certo comportarsi con noi in modo difforme da quanto auspicato nell'incipit di Moshe Carmilly-Weinberger, docente alla Yeshiva University di New York, al volume di William Popper sulla millenaria censura (ed autocensura) del talmudismo da parte cristiana: «Ideas, good or bad, cannot be suppressed by book-burning. Censorship is a sign of fear and weakness. Dialogue and persuasion are the only means by which an idea can be challenged or defended. True democracy is built upon free expression and thought. Human beings must not be deprived of these basic rights. The history of mankind reveals the arduous struggle for these rights throughout the last two thousand years, Le idee, buone o cattive che siano, non possono essere soppresse dal rogo dei libri. La censura è un segno di paura e di debolezza. Il dialogo e la persuasione sono gli unici mezzi coi quali un'idea può essere contestata o difesa. La vera democrazia è costruita sulla libera espressione e sul libero pensiero. Gli esseri umani non devono essere privati di tali diritti fondamentali. La storia dell'umanità rivela l'ardua lotta per questi diritti attraverso gli ultimi due millenni».
«I libri non vanno bruciati mai, per nessun motivo», ci risoccorre la Loewenthal, mentre sempre l'Antica Saggezza concorda che «far an onmut kumt kejn patsch, ad una proposta [interpretativa] non si risponde con ceffoni». Ancor più, come scordare l'insegnamento «popperiano» di Vilfredo Pareto?: «Prima che una teoria possa essere detta corretta, è virtualmente indispensabile che si sia perfettamente liberi di rifiutarla. Qualsivoglia limitazione, anche indiretta o remota, imposta a chi cerca di contraddirla basta a renderla sospetta. La libertà di esprimere il proprio pensiero, anche contro l'opinione della maggioranza o di tutti, anche quando esso offende i sentimenti di qualcuno o della maggioranza, anche quando è giudicato assurdo o criminale dalla generalità, è sempre favorevole alla scoperta della verità obiettiva».
● «L'ultima caratteristica della parresìa è che in essa il dire la verità è considerato come un dovere. Per esempio, l'oratore che dice la verità a coloro che non vogliono accettarla, e che può essere per questo esiliato o in qualche modo punito, è libero di stare zitto; nessuno lo costringe a parlare: ma egli sente che è suo dovere fare così [...] La parresìa è una specie di attività verbale in cui il parlante ha uno specifico rapporto con la verità attraverso la franchezza, una certa relazione con la propria vita attraverso il pericolo, un certo tipo di relazione con se stesso e con gli altri attraverso la critica (autocritica o critica di altre persone), e uno specifico rapporto con la legge morale attraverso la libertà e il dovere. Più precisamente, la parresìa è un'attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o se stesso) a vivere meglio. Nella parresìa il parlante fa uso della sua libertà, e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità o del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece dell'adulazione, e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell'apatia morale» (il francese Michel Foucault).
Ciò in quanto, s'accende Giordano Bruno, faro di luce, «la verità è la cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la divinità e la sincerità, bontà e bellezza de le cose è la verità; la quale né per violenza si toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisce, né per communicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l'arruga, luogo non l'asconde, notte non l'interrompe, tenebra non l'avela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce» (Spaccio de la bestia trionfante, dialogo secondo... quello stesso Bruno che non si trattiene dall'inveire contro gli ebrei, «convitti per escremento da l’Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o per giustizia ci-vile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono naturalmente, come né per lunga violenza di fortuna mai furo, parte del mondo», «una generazione [stirpe] tanto pesti-lente, leprosa e generalmente perniciosa, che merita prima esser spinta [spenta = sterminata] che nata», in quanto, così nel dialogo primo della Cabala del cavallo pegaseo, «di natura, ingegno e fortuna saturnini e lunari, gente sempre vile, servile, mercenaria, solitaria, incomunicabile ed inconversabile con l'altre generazioni, che bestialmente spregiano, e da le quali per ogni raggione son degnamente dispreggiate»).
Ciò in quanto, afferma Baruch Spinoza – sulla scia di Saadia Gaon "il Genio" ben Yosef (882-942): «È inconcepibile che noi [sic: «noi ebrei»] si possa proibire un'onesta indagine» – «se nessuno può rinunziare alla libertà di pensare e di giudicare secondo il proprio criterio, e se ciascuno per insopprimibile diritto di natura è padrone dei propri pensieri, ne viene che in una comunità politica avrà un esito sempre disastroso il tentativo di costringere uomini che hanno diversi e contrastanti pareri a formulare giudizi e a esprimersi in conformità con quanto è stato prescritto dall'autorità sovrana [...] Ma supponiamo che questa libertà si possa reprimere e che gli uomini si possano dominare al punto che non osino proferir parola che non sia conforme alle prescrizioni della suprema potestà. Con ciò, però, questa non potrà mai far sì che essi non pensino se non ciò che essa vuole: onde seguirebbe necessariamente che gli uomini continuerebbero a pensare una cosa e a dirne un'altra, e per conseguenza si corromperebbe la fede, che in uno stato è sommamente necessaria, e si favorirebbero l'abominevole adulazione e la perfidia, donde l'inganno e la corruzione di ogni buon costume [...] Quale peggior male può es-servi, in uno stato, che quello di esiliare come malviventi comuni uomini onesti, soltanto perché professano opinioni non conformi, e non le sanno dissimulare?» (Tractatus theologico-politicus, cap.XX; similmente nell'Epistolario XXX, rivendicando «la libertà di filosofare e di dire quello che sentiamo: libertà che io intendo difendere in tutti i modi contro i pericoli di soppressione rappresentati ovunque dall'eccessiva autorità e petulanza dei predicatori»).
Ciò in quanto, aggiunge Carmilly-Weinberger, «la voce di un uomo è cosa di sua proprietà, è parte di lui più dei suoi cinque sensi, e nessun potere sulla terra ha il diritto di limitarla o di farla tacere. Il singolo ha l'esclusivo diritto di usarla e farla udire come gli aggrada. Questo diritto fu dato a ogni essere umano quando il mondo fu creato; è parte della natura, non può quindi essergli negato. Cionondimeno, molte generazioni nella storia dell'umanità sono state contrassegnate dalla lotta per la libertà di pensiero e parola. Questa lotta è tuttora in corso. Già ci furono poteri che vollero imporsi e dominare derubando l'uomo del naturale diritto ad esprimere i propri pensieri. La censura si impose per ridurre al silenzio la voce dell'uomo, ed egli fu costretto a ottenere un particolare permesso per diffondere le proprie idee. I governanti, religiosi come laici, spregiarono e non intesero il fatto che imponendo tali restrizioni rivelavano la propria debolezza. Le restrizioni della libertà di pensiero e parola non trovano spazio in democrazia. Tale libertà è il criterio distintivo di una vera democrazia. Senza, non possono esistere scienza o ricerca degne di tal nome. Negli Stati totalitari l'uomo non può esprimersi o dar voce alle proprie opinioni, la censura investe la parola sia detta che scritta. È per questo che molti di questi regimi sono scomparsi dopo avere raggiunto l'acme nella storia. Non poterono sopravvivere, perché il loro mondo era interamente costruito sulle armi e sulla paura».
Ciò in quanto, attesta lo psicologo Wilfred Bion per quanto senza riferimenti all'attossicato popolo ebraico – da compiangere quando vittima di un mostruoso Immaginario, ma assolutamente colpevole quando spregiatore della ragione e dello sforzo di porre in questione ogni interpretazione sacralizzata – «l'esperienza analitica mi ricorda che un sano sviluppo mentale sembra dipendere dalla verità, come l'organismo vivente dipende dal cibo. Se la verità manca o è incompleta, la personalità si deteriora». Inoltre, una verità parziale è un'evasione dalla verità, una verità parziale non è verità ma menzogna, perché la verità è una sola, una e indivisibile. Celarla per opportunismo o viltà, colpirla o tacerla in un punto, significa metterla tutta in pericolo, perché nel campo del pensiero non esistono cose indifferenti.
Infine, ben chiude il puritano – un puritano, ed è tutto dire! – Nathaniel Ward, «raccontare una bugia in campo pratico è un grande peccato, che però è passeggero. Ma affermare una cosa non vera in materia teorica significa avallare ogni menzogna che si trovi dalla radice alla fine di ogni ramo di quella» (The Simple Cobbler of Aggawam in America, 1647).
Entrando nello specifico, concludo con un pugno di considerazioni altrettanto pregnanti:
● Inoltre, come abbiamo sempre presente l'immensa devastante disperazione del grido di Ernst von Salomon («Ciò che mi opprime non è la nostra sconfitta, ma il fatto che i vincitori la rendano assurda!»), i moniti di Ian J. Kagedan direttore del B'nai B'rith per i rapporti col governo canadese («Il ricordo dell'Olocausto è il principale elemento del Nuovo Ordine Mondiale [...] Il nostro obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale sarà raggiunto se avremo imparato le lezioni dell'Olocausto», Toronto Star, 26 novembre 1991) e dell'olo-«decano» Yehuda Bauer («L'Olocausto è stato uno spartiacque nella storia umana»), nonché le speculari conclusioni di Pierre Guillaume («Il genocidio e le camere a gas sono la chiave di volta di un'ideologia che assicura un dominio spirituale e materiale»), così abbiamo assolutamente chiaro il senso della «libertà» concessa dalla democrazia agli storici, compendiato da Heinz Galinski, rabbino in Terra Rieducata: «Wir denken nicht daran, die Forschung über das Dritte Reich freizugeben, Non ci pensiamo affatto, a permettere una ricerca scientifica sul Terzo Reich» (in H.-D. Sander, Staatsbriefe 11/1993)... dato che essa, concorda alquanto brutalmente il demi-juif Martin Broszat, direttore dell'Istituto di Storia Contemporanea di Monaco, deve restare «l'arsenale per lo sfruttamento politico-pedagogico e la legittimazione nel presente».
Ma il fluire del tempo e l'accumulo di dati, documenti e interpretazioni non potrà, pur nella repressione di ogni spirito libero, che portare a riconsiderare il passato secondo ragione e giustizia. Se i singoli revisionisti vengono intimiditi e perseguitati, se la loro vita viene fiaccata e talora spezzata, il Revisionismo – intelligenza ed ansia del Vero – si imporrà in ogni caso col tempo, spazzando il cumulo di criminale ottusità che soffoca ogni essere umano, in primo luogo gli attossicati giovani del Popolo Eletto.
Aspetto, questo, evidenziato anche dal nonconforme ebreo Gilad Atzmon: «L'Olocausto è una religione relativamente nuova. È priva di misericordia o di compassione: al contrario, promette vendetta per mezzo del castigo. Per i suoi seguaci è qualcosa di liberatorio, perché permette loro di punire tutti quelli che vogliono fino a quando ne ricevono piacere. Questo potrebbe spiegare perché gli israeliani sono arrivati a punire i palestinesi per crimini che furono commessi dagli europei. È chiaro che la nuova religione emergente non riguarda solo l'"occhio per occhio"; in realtà, si tratta di un occhio per migliaia e migliaia di occhi [...] La religione dell'Olocausto non offre redenzione. È una manifestazione rozza e violenta di vera brutalità collettiva. Non può risolvere nulla, perché l'aggressione può solo provocare sempre nuove aggressioni. Nella religione dell'Olocausto non c'è nessuno spazio per la pace o per la grazia [...] Negare il pericolo causato dalla religione dell'Olocausto e dei suoi seguaci significa rendersi complici di un crimine crescente contro l'umanità e contro ogni possibile valore umano».
«Miliardi di eventi» – si indigna il francese Eric Delcroix, avvocato del professor Faurisson ed anch'egli condannato per crimen laesae maiestatis – «che formano la trama della storia umana possono essere liberamente interpretati da ognuno. Uno solo – l'"Olocausto" degli ebrei nelle camere a gas tra il 1942 e il 1944 – è stato decretato indiscutibile sotto pena di multe, carcere ed anche, talora, interdizione professionale o morte civile. Le migliaia di anni che precedono il 1942 e il mezzo secolo che segue il 1944 possono, almeno in via di principio, essere oggetto di ogni interpretazione, mentre la storia degli anni 1942-1944, e solo quella, è stata posta sotto l'alta sorveglianza delle autorità religiose, politiche, giudiziarie e massmediali di questo paese».
«Nessuna epoca» – gli s'affianca lo storico Alain-Gérard Slama in L'angélisme exterminateur - Essai sur l'ordre moral contemporain (1993) – «è stata tanto prospera né, in linea di principio, libera come la nostra; nessuna è stata così conformista [...] Mai i cittadini delle nazioni democratiche hanno tanto esaltato l'individuo, la vita privata, la "società civile". Mai i diritti dell'uomo sono stati così ampiamente riconosciuti. Mai tuttavia, neppure al tempo in cui vigeva l'Ordine morale, lo spirito e i costumi sono stati soggetti ad una pressione così costante. Mai le opinioni e i comportamenti sono stati a tal punto condizionati dai pregiudizi. Mai l'apparato tecnico di propaganda e sorveglianza è stato, se non più costrittivo, quantomeno più subdolo. Mai, in terra democratica, l'estensione del controllo sociale è stata accolta con una così cupa rassegnazione. Né mai il potere si è trovato di fronte una opinione pubblica più inafferrabile, più flaccida. La virtù dell'indignazione sembra essere evaporata assieme alla capacità di scegliere. Il gregge potrebbe essere maggiormente asservito. Ma non potrebbe essere più gregge di così».
Nulla, d'altra parte, troviamo da replicare alla saggezza che (in Salcia Landmann, Jüdische Witze "Umorismo ebraico"), sprigiona il colloquio tra un pio ortodosso e un confratello miscredente: «Come osi ridere di un Rabbi, cui ogni venerdì sera parla Dio in persona? – Come sai che Dio gli parla? – Me lo ha raccontato lui! – Sei sicuro che non sia un bugiardo? - Ma che dici? Potrebbe parlare, Dio, con un bugiardo?».
E nulla egualmente alla paranoia del tizio che afferma di essere morto e che, a chi gli fa presente che non può esserlo in quanto perde sangue dal naso, ribatte: «Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto, anche i morti sanguinano!»
Lieto di averLe dato materiale da riflessione e in attesa di risentirLa, La saluto – sempre grato alla Siria di Bashar al-Assad per l'esempio di dignità offerto alle generazioni future – con quattro versi del poeta Apollon Grigorev, che auspico verranno fatti propri e insegnati ai figli, a perenne marchio esistenziale, dai più responsabili dei miei sodali goyish: «Non sono nato per le genuflessioni, / né per fare anticamera, / per mangiare alla tavola dei principi / o per farmi raccontare sciocchezze».
Cuveglio, 13 settembre 2012
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