giovedì 5 dicembre 2024

Teodoro Klitsche de la Grange: "Johan Norberg, Il manifesto capitalista, Liberilibri 2024, € 20,00, pp. 324"

È difficile, ora più che allora, contestare quanto già scrivevano Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, che il capitalismo aveva creato prosperità e innovazione in misura superiore a tutta la storia umana precedente. Tuttavia a correzione di ciò si aggiunge che la globalizzazione degli ultimi trent’anni ha generato disuguaglianze, con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, peggiorato l’emergenza climatica e si aggiunge che nei paesi sviluppati ha provocato stagnazione economica e impoverimento dei ceti medi e di quelli popolari. Spesso esponendoli alla concorrenza salariale di manodopera immigrata. Di qui populismo, sovranismi, ecologismi.

Norberg demolisce – o ridimensiona – tali argomentazioni. Più che analizzare le sue diffuse repliche è bene ricordare che il tutto fa parte di un dibattito che dura da oltre due secoli e le soluzioni date – o che se ne possono dare – sono legate (e condizionate) alle situazioni storiche ed economiche, ovviamente variabili. Ma vi sono delle regolarità costanti che non mutano, o le quali cambiano poco, e che connotano tutti i periodi storici. Ad esempio: De Bonald sosteneva all’incirca un trentennio prima che Marx ed Engels scrivessero il Manifesto, che un capitalismo mobiliare tende ad un’appropriazione illimitata “e lo stesso affarista può far commercio di tutto il mondo”. Ragion per cui la limitazione dei commerci (e talvolta della stessa proprietà immobiliare) è stata una costante preoccupazione del Principe (specie se “idraulico”), volto a depotenziare qualsiasi potere come concorrente (v. Wittfogel). O, facendo un altro esempio, quel che scriveva List sulla distinzione tra economia cosmopolitica (di Quesnay, Adam Smith, ecc.) e politica (di cui si occupava lui): “Quesnay tratta evidentemente dell’economia cosmopolitica, cioè di quella scienza che insegna come tutto il genere umano può raggiungere il benessere, mentre per contro l’economia politica ed altre scienze si limitano ad insegnare come solo una data nazione possa raggiungere il benessere… Adam Smith diede alla sua dottrina la medesima estensione, ponendosi il compito di giustificare l’idea cosmopolitica dell’assoluta libertà del commercio mondiale… Adam Smith non si pose il compito di trattare dell’oggetto dell’economia politica, vale a dire della politica che ogni paese deve seguire per fare dei progressi nelle sue condizioni economiche” (il corsivo è mio); mentre l’economia  politica (nel senso dell’economista tedesco) parte dal “concetto e dalla natura della nazione e di dimostrare quali cambiamenti essenziali l’economia del genere umano deve subire per il solo fatto che il genere umano è suddiviso in nazionalità distinte, formanti un fascio di forze e di interesse, e poste, nella loro libertà naturale, di fronte ad altre società simili a loro”. Questa seconda distinzione politica/cosmopolitica ha come criterio l’interesse: quello dell’umanità o delle singole nazioni A seconda del quale sono giudicati i risultati. Sempre per continuare nell’esempio se a livello globale è indubbio che l’economia ha garantito un’ulteriore crescita, beneficiari della quale sono state le nazioni meno sviluppate, è altrettanto vero che di tale sviluppo hanno profittato poco o niente le comunità più ricche. Quando poi pensiamo all’Italia della seconda repubblica, che di queste è il fanalino di coda, il giudizio è pessimo.

Il libro si conclude con un giudizio “originale”: che il capitalismo è etico.

Come scrive Bellardini nell’introduzione “la lettura di Elon Musk è corretta: quest’opera spiega che il capitalismo è fondamentalmente etico, perché consente di vivere secondo la versione migliore di se stessi”; questo perché, come conclude Norberg «La parola più importante nell’espressione “libertà economica” non è l’aggettivo, ma il sostantivo: siamo tutti diversi, con esigenze diverse; sicché la possibilità di trovare relazioni, comunità, lavoro e consumi che ci piacciono aumenta se siamo liberi di scegliere».

Anche perché si può aggiungere – ed è determinante – mentre nel mercato, almeno finché funziona senza perturbazioni (monopoli, embarghi, squilibri), ogni accordo nasce dal consenso tra volontà paritarie, in politica è naturale e insopprimibile che le volontà debbano non essere pari, ma una o(o talune) debbono comandare alle altre che devono obbedire. Ed è per questo che, finché funziona, la libertà economica e il mercato sono così appetibili e devono essere garantiti dal potere.

 

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