È difficile, ora più che allora, contestare quanto già
scrivevano Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, che il
capitalismo aveva creato prosperità e innovazione in misura superiore a tutta
la storia umana precedente. Tuttavia a
correzione di ciò si aggiunge che la globalizzazione degli ultimi trent’anni
ha generato disuguaglianze, con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre
più poveri, peggiorato l’emergenza climatica e si aggiunge che nei paesi
sviluppati ha provocato stagnazione economica e impoverimento dei ceti medi e
di quelli popolari. Spesso esponendoli alla concorrenza salariale di manodopera
immigrata. Di qui populismo, sovranismi, ecologismi.
Norberg demolisce – o ridimensiona – tali argomentazioni. Più
che analizzare le sue diffuse repliche è bene ricordare che il tutto fa parte
di un dibattito che dura da oltre due secoli e le soluzioni date – o che se ne
possono dare – sono legate (e condizionate) alle situazioni storiche ed economiche,
ovviamente variabili. Ma vi sono delle regolarità
costanti che non mutano, o le quali cambiano poco, e che connotano tutti i periodi
storici. Ad esempio: De Bonald sosteneva all’incirca un trentennio prima che Marx
ed Engels scrivessero il Manifesto,
che un capitalismo mobiliare tende ad un’appropriazione illimitata “e lo stesso affarista può far commercio di tutto il mondo”.
Ragion per cui la limitazione dei commerci (e talvolta della stessa proprietà
immobiliare) è stata una costante preoccupazione del Principe (specie se “idraulico”),
volto a depotenziare qualsiasi potere come concorrente (v. Wittfogel). O, facendo
un altro esempio, quel che scriveva List sulla distinzione tra economia cosmopolitica (di Quesnay, Adam Smith,
ecc.) e politica (di cui si occupava
lui): “Quesnay tratta evidentemente dell’economia cosmopolitica, cioè di quella scienza che insegna come tutto il
genere umano può raggiungere il benessere, mentre per contro l’economia politica
ed altre scienze si limitano ad insegnare come solo una data nazione possa
raggiungere il benessere… Adam Smith diede alla sua dottrina la medesima estensione,
ponendosi il compito di giustificare l’idea cosmopolitica dell’assoluta libertà
del commercio mondiale… Adam Smith non si pose il compito di trattare dell’oggetto
dell’economia politica, vale a dire
della politica che ogni paese deve seguire per fare dei progressi nelle sue
condizioni economiche” (il corsivo è mio); mentre l’economia politica
(nel senso dell’economista tedesco) parte dal “concetto e dalla natura della
nazione e di dimostrare quali cambiamenti essenziali l’economia del genere
umano deve subire per il solo fatto che il genere umano è suddiviso in
nazionalità distinte, formanti un fascio di forze e di interesse, e poste,
nella loro libertà naturale, di fronte ad altre società simili a loro”. Questa
seconda distinzione politica/cosmopolitica ha come criterio l’interesse: quello
dell’umanità o delle singole nazioni A seconda del quale sono giudicati i
risultati. Sempre per continuare nell’esempio se a livello globale è indubbio
che l’economia ha garantito un’ulteriore crescita, beneficiari della quale sono
state le nazioni meno sviluppate, è altrettanto vero che di tale sviluppo hanno
profittato poco o niente le comunità più ricche. Quando poi pensiamo all’Italia
della seconda repubblica, che di queste è il fanalino di coda, il giudizio è
pessimo.
Il libro si conclude con un giudizio “originale”: che il
capitalismo è etico.
Come scrive Bellardini nell’introduzione “la lettura di Elon
Musk è corretta: quest’opera spiega che il capitalismo è fondamentalmente etico, perché consente di vivere secondo
la versione migliore di se stessi”; questo perché, come conclude Norberg «La
parola più importante nell’espressione “libertà economica” non è l’aggettivo,
ma il sostantivo: siamo tutti diversi, con esigenze diverse; sicché la
possibilità di trovare relazioni, comunità, lavoro e consumi che ci piacciono
aumenta se siamo liberi di scegliere».
Anche perché si può aggiungere – ed è determinante – mentre nel
mercato, almeno finché funziona senza perturbazioni
(monopoli, embarghi, squilibri), ogni accordo nasce dal consenso tra volontà
paritarie, in politica è naturale e insopprimibile che le volontà debbano non
essere pari, ma una o(o talune) debbono comandare alle altre che devono
obbedire. Ed è per questo che, finché funziona, la libertà economica e il mercato
sono così appetibili e devono essere garantiti dal potere.
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