giovedì 3 giugno 2021

Teodoro Klitsche de la Grange: "Intervista ad Orlando (Vittorio Emanuele)"


 

Nubi minacciose si addensano sulla legge Severino: lega e radicali la vogliono – dice la stampa- abrogare per referendum. Un’invadenza inammissibile e sguaiata della volontà popolare in una materia (e vicenda) riservata alle élite. Allo scopo di farcela chiarire, abbiamo chiesto un’intervista ad Orlando, cioè a Vittorio Emanuele (e non al ministro PD) autorevolissimo statista e giurista. Ci è parso il più titolato a discuterne. E gentilmente ce l’ha concessa.

Caro Presidente che ne pensa della giurisdizione “politica” (e ordinaria) nei confronti delle massime autorità dello Stato?

Che ho scritto proprio della massima, cioè, ai miei tempi, quella del Re. Questi è inviolabile e ciò “significa che la persona del monarca non è soggetta ad alcuna giurisdizione; o, in altri termini, non esiste nello Stato alcuna autorità o potere capace di esercitare un’azione coercitiva sulla persona del Re. Il che importa, pure, che Egli non può sottostare al comando di alcuna autorità, non potendosi dare, nel campo del diritto, un comando che non sia assicurato da sanzioni coattive”. Se c’è un potere che “comanda” al Re o a similari “organi sovrani” significa il sovrano è colui che giudica e non chi è giudicato.

Ma così si crea un potere irresponsabile.

Ed è inevitabile: “un aspetto della nozione di inviolabilità dà luogo al concetto di irresponsabilità politica…Quanto poi a tutta la giurisdizione penale, poiché essa dà sempre luogo, in atto o in potenza, ad una coazione fisica, esercitata sulla persona, la norma dell’inviolabilità importa che il Re non può mai esservi sottoposto. Il che significa che, astrattamente, il Re potrebbe commettere un reato e restare impunito… ” per cui il principio onde il Re è sottratto ad ogni giurisdizione è imposto da una assoluta necessità; “poiché ognun vede come quell’autorità (per es., un giudice istruttore), che potesse disporre con un suo ordine della libertà e della persona del Capo dello Stato, avrebbe virtualmente un potere superiore; non sarebbe possibile distinguere l’arresto del Re dalla destituzione di esso. Il che importerebbe una contraddizione anarchica, poiché il Re non sarebbe più un Organo Supremo, ed anzi il Capo dello Stato il quale, per ciò stesso, non può nello Stato ammettere alcun superiore”.

Potrebbe spiegarcela più in dettaglio?

Certo. L’irresponsabilità può “considerarsi innanzi tutto da un punto di vista di ordine politico e poi da un punto di vista giuridico. Politicamente pare che abbia un’elevata ragione e risponda ad un interesse pubblico gravissimo il sottrarre la persona” del “sovrano” sia a censura diretta che ad “attriti pericolosi fra i più elevati poteri pubblici, che potrebbero poi degenerare in un dissidio irreparabile, col danno o della libertà dei cittadini o della forza dello Stato”. E poi vi sono altre forme di responsabilità che già Benjamin Constant considerava più consone alla natura del rapporto e della funzione.

Ma oltre che al Re, come Lei ha scritto, si applica anche agli “organi sovrani” dello Stato, al Parlamento per primo.

Come ho sostenuto questa è una specie particolare della “questione generale della natura dell’immunità parlamentare in relazione con la teoria degli organi sovrani”.

Ma così la giustizia non è più uguale per tutti…

Dicono nei talk-show. Ma se lo fosse non esisterebbe più lo Stato, come pensava un mio collega francese. La realtà è che ogni istituzione politica si fonda sul presupposto del comando/obbedienza, che ovviamente è un rapporto tra disuguali.

Perciò ritengo che è normale che in ogni regime politico vi sia un tale tipo di diseguaglianza. Questa è la regola e non l’eccezione e cioè “che le immunità parlamentari sono da considerarsi non come diritto di eccezione ma facciano parte, invece, del diritto comune e quindi si pongano in via di regole generali ed anzi come capisaldi di tutto l’ordinamento giuridico, dato, si intende, lo Stato rappresentativo”. Ossia quello che voi chiamate “democratico-liberale”.

E la storia dimostra che, pur contestato e anche se lesivo del principio di eguaglianza, in regimi democratici, il principio dell’immunità degli “organi sovrani” è stato sempre vigente “Questa forza di resistenza del principio… basterebbe da sola ad attestare la necessità del suo riconoscimento; possiamo aggiungere ora che vale a dimostrare che quel principio si pone come una condizione dell’istituto parlamentare, ed ha quindi in ciò il titolo di un vero e proprio diritto comune per quegli Stati il cui ordinamento su quell’istituto si fonda” come la vostra Repubblica.

E la ragione, ancor più per un regime democratico, è duplice: se non fosse la volontà popolare a decidere chi comanda, ma un ufficio giudiziario, sarebbe anche leso il principio che, in democrazia, è il popolo a eleggere (e non confermare) da chi vuol essere governato.

Per cui?

Meglio che sia il popolo e non altri a deciderlo. Come scriveva Machiavelli “i pochi sempre fanno a modo de pochi”. Per cui è meglio che lo facciano tutti.

Teodoro Klitsche de la Grange

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