GLI “STATI GENERALI” DI CONTE
È impegnativa
l’espressione con cui il prof. Conte ha designato il convegno programmato per
la settimana in corso. “Stati generali”, che rimanda a quelli convocati
(l’ultima volta) nel 1789, per risanare le finanze francesi e il cui risultato – come spesso accade – non
fu quello preventivato, ma l’altro di cambiare in toto la forma politica, e ancor più, il mondo moderno; passando
per rivoluzioni, terrore, guerre (civili e internazionali). Pare comunque da
escludere che il convegno – a onta del nome – possa avere esiti così epocali; proprio perciò occorre fare
qualche considerazione, per non confondere con le parole quel che è distinto
nei fatti.
In primo luogo
quali differenze hanno gli Stati generali di Conte da quelli convocati da Luigi
XVI, e a cosa di attinente alla rivoluzione invece somigliano? È diverso, in
primo luogo il ruolo (e la posizione) costituzionale: l’assemblea francese era
un organo dell’Ancien régime, quello
del prof. Conte è un’iniziativa che non ha funzione, rilievo, effetti
istituzionali. E ciò fa gioco alla maggioranza parlamentare, perché qualunque
cosa decida (??) il convegno, non può comandare e soprattutto mandarli a casa,
né ora, né nel futuro.
Secondariamente,
altro pregio del convegno, i partecipanti sono degli invitati di Conte e non dei delegati
o rappresentanti di qualcuno (nazione, popolo, ceti, terzo stato, ecc.
ecc.), quindi non possono parlar quali “rappresentanti” e a nome di qualcuno né
esprimerne la volontà. I componenti degli Stati generali erano stati eletti
dalle assemblee di “ceto”, ne riportavano volontà e aspirazioni esposte nei Cahiers des doléances, erano vincolati
al mandato ricevuto; la funzione che avevano – anche se istituzionale – era consultiva. Ma erano scelti con procedimenti
pubblici; nel regolamento (per
l’elezione degli Stati generali) del 24 gennaio 1789 si leggeva che “il Re… ha
voluto che i suoi sudditi venissero tutti chiamati a concorrere alle elezioni
dei deputati che dovranno formare questa grande e solenne assemblea”. Così
attraverso il procedimento elettorale si saldava la delega tra mandanti e mandatari.
Comunque ben diversi dagli invitati
del prof. Conte.
Semmai qualche
tratto di maggiore somiglianza la convention
di Conte ce l’ha con l’altra assemblea consultiva convocata nel 1787 da
Calonne: l’Assemblea dei notabili, la quale, a differenza dei deputati –
mandatari degli Stati generali, era composta da nominati dal monarca e quindi, malgrado fossero non del tutto proni
alla volontà del governo non avevano alcuna intenzione di fare una rivoluzione,
tantomeno quella che ne venne fuori. Anche perché come pensavano (e pensano) i
rispettivi governi è improbabile che nominati dal re provvedano a tagliargli (e
tagliarsi) la testa. E infatti non assentirono alle richieste del governo, ma
se ne tornarono a casa buoni buoni (seguiti, subito dopo, da Calonne).
L’altra
somiglianza è nella situazione critica, anche se priva del carattere epocale e del lavorio preventivo della talpa (illuminista) della storia.
Allora furono il deficit e i cattivi raccolti il
contesto, e l’occasio che fece
brillare la scintilla rivoluzionaria; oggi il Coronavirus, la più che ventennale stasi economica italiana e la
crisi, non ancora esaurita, del 2008-2011.
Se è vero che la
“talpa” non ha lavorato come quella del XVIII secolo, ha comunque scavato
qualche tunnel: la scarsa considerazione in cui le élite globaliste sono
considerate dai governati ne è il risultato. Misurata anche dal consenso crescente
ai partiti sovran-popul-dentitari.
E la stessa convocazione
dell’ (innocua) convention di Conte
lo conferma.
I mandatari del
1789 avevano i Cahiers des doléances
elaborati dalle assemblee dei mandanti e così un qualcosa di concreto e reale
da esporre al monarca: gli invitati
di Conte, non hanno né quelli, né un mandato, né – alle spalle - una procedura
di scelta da parte dei mandanti. Sono dei partecipanti a un convegno:
sicuramente innocui e probabilmente inutili.
Chi ha la
rappresentanza nella versione forte,
tipica della dottrina moderna dello Stato, e formulata da Sieyès per
trasformare proprio gli Stati generali in assemblea costituente, è il
Parlamento: e non ha neanche bisogno del genio di un abate rivoluzionario,
perché è già presente ed enunciata nella costituzione (v. art. 67), come tale
ogni parlamentare è un rappresentante e organo rappresentativo è il Parlamento:
al contrario dell’ancien régime, un
organo rappresentativo che discuta e decida, già c’è. E quindi non deve far
altro che il proprio mestiere: eletto dal popolo deve decidere in favore del
popolo, e soprattutto, in una repubblica parlamentare, dando (o revocando) la
fiducia al governo. Proprio quella che il governo giallo-fucsia teme. E per
questo preferisce una convention di
invitati.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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