lunedì 23 gennaio 2017

Teodoro Klitsche de la Grange: Regolarità e varianti nel diritto pubblico. In margine ad un saggio di V.E. Orlando

V. E. Orlando (1860-1952)
REGOLARITÁ E VARIANTI DEL DIRITTO PUBBLICO
(in margine ad un saggio di V.E. Orlando)

1. Il giovane Vittorio Emanuele Orlando sosteneva una concezione che, del tutto conforme a quanto ritenuto dalla melior pars nella storia del pensiero filosofico-politico e giuspubblicistico, era (ed è) contestata, implicitamente per lo più ed esplicitamente talvolta, da tanti. Sono evidenti in quell’articolo di Orlando due motivi ispiratori fondamentali: l’uno, metodologico, di attenersi al dato reale, al sein prima che al sollen, come conferma la polemica anti-metafisica e i continui richiami storici e sociologici; l’altro che scelte considerate apparentemente libere sono dal giurista siciliano indicate come condizionate in tutto o in parte (e quindi, devono, in misura prevalente, essere necessitate) da leggi sociologiche (costanti dell’agire umano).

Orlando parte dal principio, affermato da Herbert Spencer, che tutte le “associazioni” umane “si differenziano in tre parti tutte le volte che si tratti di prendere una determinazione comune: la moltitudine tumultuariamente composta da tutta l’orda, un consiglio dei migliori e più forti uomini della tribù, un capo che fra gli altri si eleva”. E dato che lo schema suddetto si ripete in comunità che spesso non hanno avuto tra loro nella storia alcun rapporto (e neppure conoscenza) “dunque tale struttura primitiva è la forma più elementare di governo, che persiste sotto le condizioni più diverse”. Tra le società primitive e quelle moderne la differenza è data sostanzialmente dalla (enormemente) maggiore complessità . La distinzione classica delle (tre) forme di governo e la loro (necessaria) commistione nello  status mixtus ne consegue, scrive Orlando desumendolo da quanto sostiene Spencer, più che dalle “«forme» esteriori di governo che un popolo può darsi,…alla loro essenza, alle «forze» che le costituiscono e che le mantengano in vita” .

Secondo Orlando ciò costituisce una necessità (una regolarità della politica, scriverebbe Miglio) ed è di “infinita importanza e tale da cambiare radicalmente taluni criteri fondamentali del diritto pubblico moderno”. I tre elementi sono “per così dire inerenti alla struttura intima di uno Stato – come di sopra si è visto – essi non potranno mai soverchiarsi a vicenda fino alla eliminazione di alcuno di essi”; per cui “dovranno sempre rinvenirsi in qualsiasi forma di governo”.

I principi del filosofo inglese, scrive Orlando, raddrizzano una “quantità di idee storte” “Se è vero che le cose fuori del loro stato naturale non si adagiano, né vi durano, come mai si poté tanto tempo presumere che lo stato di quei popoli in cui il dispotismo è stato, od è, forma normale di governo sia potuto essere naturale?”. Il che significa, in primo luogo che, anche ordinamenti non conformi a idee generalmente (e attualmente) condivise, trovano comunque consenso (e sono legittimi) a dispetto di certi giuristi (e non solo) . Per cui la costituzione più adatta è quella che consente la compresenza necessaria dei tre “principi”: “in uno Stato quando in esso questi tre elementi si contemperano armonicamente e concorrono ognuno nei limiti loro naturali al miglioramento dello Stato»”. Il che spiega, sulla scorta di Polibio, la grandezza della Costituzione di Roma . Per cui, scrive il giurista siciliano “E per una via diversa assai da quella tenuta da J. Stuart Mill arriviamo alla stessa conclusione che «l’ideale di un governo è quello rappresentativo». Difatti è in questa forma che le tre forze principali politiche spiegano normalmente e legittimamente la loro influenza solo in quanto essa è buona e salutare”: non è cioè per motivi (e valori) ideali, ma per l’equilibrio che realizza tra le forze che necessariamente concorrono in ogni sintesi politica. Quando quell’equilibrio non c’è, la conseguenza è la crisi o la caduta del regime politico .

2. Prosegue Orlando specificando che occorre chiarire un “principio d’importanza decisiva” relativo al “fondamento, l’origine, la ragion d’essere primitiva dei poteri pubblici di uno Stato”: per far ciò “bisogna essere liberi da ogni preoccupazione nascente dal presupposto di una speciale forma” . È la ragione del (dominio) politico ed i suoi presupposti che bisogna ricercare, si può dire, attualizzando ciò che scrive il giurista siciliano.

In ogni forma di governo – continua Orlando -  vi sarà sempre opposizione tra autorità e sudditi “chiunque eserciti la prima, quali che siano i diritti del secondo, questa opposizione che importa la necessità da una comune obbedienza deve necessariamente esistere in uno Stato” .

Le forme di governo non modificano neanche nel tempo il presupposto fondamentale del comando-obbedienza. A proposito del comando – non a caso denominato imperium dai romani – Orlando scrive “E in queste idee – che a taluno sembreranno forse audaci – mi conforta lo studio del diritto pubblico del popolo più rigorosamente giuridico, più inesorabilmente logico che sia mai esistito: il popolo romano”. Nella storia Roma ebbe quattro costituzioni (“reggimenti politici”): “Eppure se le forme governative maturano, se i modi con cui la potestas fu esercitata mutarono anch’essi, l’imperium popoli romani, come fondamento e legittimazione di quella potestas, non mutò. Quella medesima lex de imperio necessaria per i re, lo fu pei consoli come per gli imperatori”. La forza storica che induce i popoli ad aggregarsi è il “sentimento generale della comunità” per cui “può veramente dirsi che la base di ogni governo non può essere altra che la volontà nazionale o popolare” .

Il carattere decisivo delle “determinanti” meta o extra-giuridiche è ripetutamente affermato dal giurista siciliano “Per via diversa noi torniamo al grande postulato di G.B. Vico: le cose fuori del loro stato naturale non si adagiano né vi durano”. Lo stesso realismo lo induce a ricordare (Orlando aveva ed ha sempre sostenuto che la sovranità limitata – s’intende giuridicamente – è una contraddizione in termini) che questa è, in fatto, contenuta. E non solo dai limiti ontologici – come già affermato da Spinoza (e poi da Kant) – ma anche da quelli storico-sociali, mentre sono da rifiutare quelli a carattere ideale che ritengono il “moderatore supremo della sovranità nella Morale, nel Diritto assoluto, nell’ordine eterno delle cose” .

Quanto invece alle leggi sociali, il giurista scrive “Bisogna che l’uomo rinunzi una buona volta a certe illusioni sulla onnipotenza della sua volontà. Le leggi sociali come le leggi fisiche, hanno una forza tutta propria, sono un portato affatto naturale cui la volontà umana non può che conformarsi. Elles ne se font pas, elles poussent. Egli è perciò che tante costituzioni con grande sforzo d’intelletto e di ragionamenti messi insieme non hanno avuto che la vita di un giorno…ed al contrario altre costituzioni che alla più elementare critica non reggono, hanno potuto far grande un popolo” . Per cui “Tutta la sapienza politica dei governi e dei legislatori può riassumersi così: uniformarsi a questa forza storica onnipossente, non confondere ciò che è rispetto delle tradizioni con ciò che è stolta idolatria di viete usanze, ciò che è naturale sviluppo, con ciò che è eccesso licenzioso”.

E Orlando si preoccupa di una prevedibile critica. “La grande accusa, l’unica di qualche serietà, che si faccia al nostro sistema è che esso riesce alla negazione del libero arbitrio dell’uomo, considerato sia isolatamente, sia in comunione sociale”. E analizzando quanto scrive Stuart Mill ribadisce “secondo i nostri principii, che son poi anche quelli dello Stuart Mill, di queste forme praticabili per un popolo, non ce ne può essere che una sola, la quale generalmente è quella che esso popolo ha”.

E’ noto come quella  critica (della negazione del libero arbitrio)  non   si muove lungo la scriminante vero/falso – cioè sull’analisi dei fatti e (quindi) sulle regolarità che se ne possano ricavare. Tutt’altro: si sarebbe detto nel XX secolo, su valori. “Il modo col quale i metafisici combattono le teorie positiviste è strano assai…Al nostro sistema delle forze politiche non si oppone già che sia falso, che sia contraddetto dalla storia, si dice che esso viola il solito «libero arbitrio»: come se fosse un dogma o un assioma irrecusabile, nel senso che gli scolastici vollero dargli…dire che il nostro sistema non è compatibile col libero arbitrio non prova nulla contro di esso. Il principio della libertà morale non può costringere lo storico o il pubblicista a credere ad una storia che non è mai esistita. Le ipotesi astratte sono estranee al severo ufficio dello storico che ha per obietto non il possibile ma il reale. Ad esso non compete di risolvere le difficoltà metafisiche e tecnologiche del libero arbitrio; ma avendo solo riguardo alla verità effettuale delle cose, egli ha il diritto di esporre i fatti ed il dovere di giudicarli…” (il corsivo è mio) . Ed aleggia, prima di Weber e della distinzione tra etica delle intenzioni ed etica delle responsabilità, che questa sia l’unica base salda che si possa dare alla responsabilità degli uomini  e delle nazioni.

In un saggio posteriore (1910) “Sul concetto di Stato” (ora in op.cit. p. 197 ss.) avrebbe scritto “L’idea di Stato con tutte le sue conseguenze e le sue applicazioni si connette alle varie fasi della civiltà; egli è che non soltanto quella idea è dominata dalla concezione dell’universo, ma che col mutare di essa è soggetta a mutare lo Stato”: con ciò, riconosce che la differenza di rappresentazione del mondo si riflette sulla realtà . Per cui è carattere dell’età e della scienza giuridica a lui contemporanea lo “sforzo sincero di muovere dalla considerazione spregiudicata del fatto, di appellarsi alla realtà, di stabilire innanzi tutto, quel che lo Stato è, prima di procedere all’indagine del perché è, del come è, e del come dovrebbe essere”.

Per cui compete a questa “tendenza metodica” la denominazione di “realismo nel diritto pubblico”; e ricorda come rappresentanti di questa von Seydel, Schmidt e Duguit. E, dopo aver polemizzato sia con le opinioni riduzioniste dei tre giuristi citati che spiegano lo Stato o in base alla “forza materiale e meccanica”; o alla “necessità naturale” ovvero ad un “atto volontario e cosciente”, sostiene che ognuna di queste “ha una parte di vero” (l’errore è considerarle esclusive) e ritiene preferibile un approccio eclettico, riconoscendole concorrenti. La ragione principale poi della debolezza dello Stato , è dal giurista siciliano individuata “nel parlare di Stato fondato sulla discussione o sulla volontà consapevole e libera dei consociati, una cosa desiderabile, utile, opportuna, in quanto che si ammette un fattore della coesione politica, che è indubbiamente un prodotto della civiltà e che vogliamo estendere ed ingagliardire; ma qualora si intenda affermare che lo Stato fondi il suo diritto all’obbedienza soltanto sulla sottomissione volontaria, illuminata dalla ragione, commettiamo un atto di folle orgoglio, che ha per contenuto un errore grossolano”  e questo perché “Il cartesiano cogito ergo sum, applicato allo Stato, si trasforma in un iubeo ergo sum. Lo Stato esiste in quanto comanda e vale in quanto ha la forza di far rispettare il suo comando”; e la “forza dello Stato è, dunque, il primo e principale presidio di quella libertà politica, che vogliamo e dobbiamo ad ogni costo difendere”.

E tanto meno “la virtù coesiva della ragione può eliminare quell’altro fattore di obbedienza”, determinato dal “sentimento patriottico”, che appare indispensabile al consenso e (quindi) alla coesione sociale. Perché “come il regno della pace non è venuto, quantunque il Cristo lo bandisse, così il regno della ragione e della volontà cosciente e libera è ancora ben lungi dall’avverarsi” .

Quindi, conclude Orlando, affinché il “principio di ragione” diventi realtà è “necessario ch’essa si trasformi in fede, in consuetudine per dominarli, in entusiasmo per sospingerli (gli spiriti); è necessario che dalle ardue vette dell’intelligenza, accessibili solo a pochi privilegiati, discenda nel cuore delle moltitudini e le conquisti col sentimento. Lo Stato nostro, lo Stato d’Italia sorse così: fu luce d’ideale, fu fiamma di fede”.

3. Mentre nessuno, che si sappia, ha ritenuto di contestare i limiti ontologici della sovranità e quindi del comando/obbedienza come evidenziato da Spinoza  lo stesso non è successo per le leggi sociali, le regolarità dell’agire politico, per cui tendenze politiche e giuridiche della modernità hanno manifestato un’indifferenza (o una esplicita negazione della impossibilità a violarle).

Orlando ne individua due specificamente: la regolarità dello status mixtus che è conseguenza di quella delle forze necessaria all’esistenza ed all’azione della sintesi politica: governati/governanti/seguito (aiutantato scrive Miglio). Anche se l’esposizione del giurista siciliano non coincide compiutamente con la tripartizione suddetta, potendosi ricondurre l’aristocrazia (il “consiglio dei migliori”) ai governanti (in una con l’organo apicale), e l’aiutantato costituire (quasi) un elemento aggiuntivo. Comunque all’ “aiutantato”, ossia (soprattutto) alla burocrazia moderna, sono connaturali caratteri propri dell’oligarchia. In particolare la selezione che è per cooptazione quindi, e non per elezione, nonché la stabilità nella posizione, non soggetta alle periodiche conferme elettorali.

La seconda è quella di comando/obbedienza, parimenti insopprimibile: in tanti hanno provato a delineare sintesi politiche senza comando. Lo stesso Rousseau, la cui formula è volta a provare che quando ci si sottomette alla volontà generale, in effetti ci si sottomette alla propria non v’è riuscito: è infatti impossibile dimostrare tale asserzione, ove si pensi sia a chi non partecipa alla deliberazione sia a chi ne dissente. Anche se è vero che le procedure democratiche di decisione possono aumentare il consenso all’autorità, resta preferibile quanto scriveva De Maistre: che carattere essenziale della legge è “di non essere la volontà di tutti” .

Anche credere che la Costituzione possa essere frutto di una deliberazione e quindi del “libero arbitrio” è uno degli idola della modernità  già contestato da de Maistre (in poi). Il controrivoluzionario francese scriveva che si tratta di un sofisma così naturale che sfugge alla nostra attenzione: “perché  l’uomo che agisce crede di agire da solo: e dato che ha coscienza della propria libertà, dimentica la propria dipendenza” . E de Maistre aggiungeva anche: “ciò che è di più essenziale, intrinsecamente costituzionale e veramente fondamentale non è mai scritto, e neppure potrebbe (ne saurait) esserlo, senza mettere in pericolo (exposer) lo Stato . Quindi non solo non lo è, ma neppure può essere deliberato, ne è opportuno che lo sia.

Quanto alla costituzione (e a come si giudica la “bontà” delle costituzioni), Orlando si muove nel solco della “costituzione naturale” nel quale si trovano, tra gli altri, Cicerone, Montesquieu, de Maistre, de Bonald. E i cui capisaldi sono che una costituzione è (largamente anche se non totalmente) determinata da fattori esterni e spesso materiali (clima, territorio, densità della popolazione) e la sua “idoneità” è data dal fatto di assicurare l’esistenza della comunità .

Così una costituzione non si valuta tanto in rapporto a dei valori o a delle idee e ancor meno all’autorità dottrinale di chi l’ha  concepita e redatta (come Sieyès per quella francese dell’anno VIII, scrive Orlando), quanto alla durata e all’idoneità a governare (cioè ad agire e far agire) la comunità.

4. Né tantomeno in base ai “principi costituzionali” e “anche di valori” con cui si è aggiornato il normativismo post-kelseniano nel “neo-costituzionalismo”, che come scrive Luis Bandieri è un normativismo di valori e non di norme:

Questo prosegue ed attualizza  due tesi  che Orlando nel saggio giovanile riteneva improponibili: che si possa surrogare (almeno) la politica con il diritto: prospettiva non realistica che il giurista siciliano nel saggio (anche se – lì -implicitamente) rifiutava. Il cui   corollario   è la giudiziarizzazione dei conflitti. Pretendere che procedure, contraddittorio, mediazione, “bilanciamento” possano surrogare legittimità, autorità, consenso è un’illusione, declinata con modalità, concetti ed espressioni diverse, ma  ricorrente nella modernità.

D’altra parte il neo-costituzionalismo identifica la Costituzione – o meglio i suoi principi - con la “tavola dei valori” espressa nelle norme della costituzione formale; per cui è costituzionale la norma a quella conforme. Se tuttavia per costituzione s’intende l’ordinamento dell’unità politica, costituzionale (o meno) non è tanto l’essere conforme a principi o valori superiori ma a ciò che è necessario ed opportuno all’esistenza (in suo esse perseverari) della sintesi politica. In ciò consiste l’essenza della Costituzione.

Non sorprende poi il fatto che Orlando chiamasse metafisiche le tesi di chi voleva spiegare la “bontà” degli ordinamenti con la conformità a idee morali, giuridiche, frutto di scelte ideali (di valori). Ciò che sostiene ricorda quello che scriveva Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, sull’astrazione priva di essenza “è invece una gonfiatura che fa grossa la testa propria e quella degli altri, la fa grossa di vento. La virtù antica aveva il suo significato preciso e sicuro, perché possedeva una suo fondamento pieno di contenuto nella sostanza del popolo e si proponeva come fine un bene effettuale già esistente; e perciò non era rivolta contro l’effettualità [intesa] come una universale inversione, né contro un corso del mondo. Ma la virtù da noi considerata è fuori della sostanza, è priva di essenza, è una virtù soltanto della rappresentazione, virtù di parole prive di qualunque contenuto” .

Mentre il giurista siciliano rivendicava come frutto di osservazione ed elaborazione dei fatti, della “verità effettuale delle cose” il metodo da lui seguito (le “teorie positiviste”), s’intende non limitate al sollen dei neopositivisti e ad un’applicazione inesatta della legge di Hume . È curioso poi che si faccia spesso carico di fare della metafisica (e non del diritto positivo) a coloro che hanno avuto nel pensiero politico e nel diritto pubblico, come e prima del giurista siciliano, maggior rispetto per il dato storico (e sociologico), ossia per la “verità effettuale”: da Bodin che sosteneva come la prima utilità della storia è di servire alla politica, a Machiavelli che dalle vicende storiche coglieva la razionalità (o meno) degli ordinamenti, da Vico il quale riteneva il dato reale condizionante durata e solidità degli ordini, a de Maistre che riteneva la storia essere la politica sperimentale.

Come scrive Schmitt “nell’epoca positivistica si rivolge volentieri al proprio avversario scientifico l’idea di fare della teologia o della metafisica” ; per cui è divenuta un’argomentazione usuale. Ma tra tante discussioni sul punto, l’impostazione data da Orlando – che è poi quella classica – tra chi si attiene principalmente alla verità effettuale, storicamente accertabile, di giudicare le istituzioni in base ai risultati e, di converso, chi preferisce l’aspirazione ideale ad un ordine (diritto, morale) vagheggiato, appare quella che meglio permette di comprendere istituzioni e ordinamenti e la loro idea direttiva (Hauriou).

Teodoro Klitsche de la Grange

domenica 22 gennaio 2017

Paolo Becchi: «Il M5s vince comunque perché è la nuova Dc».

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Esce sul Giornale del 15 gennaio 2017 un nuovo articolo di Paolo Becchi con alcuni elementi che ci fanno riflettere. Innanzitutto l'analogia fra M5s e DC, la vecchia DC, qui citata per la sua inclinazione - suppongo - al compromesso e alle mediazioni, o forse alle sue correnti e componenti. A distanza di anni mi torna sempre alla mente la figura di Aldo Moro. Ero un suo allievo all'università, ma non un democristiano. Tra noi giovani allora nessuno pensavo di poter essere un democristiano... Comunque sia, ricordo Aldo Moro come una figura nobile e pieno di idealità. Non così un personaggio del m5s, che ho ben presente ma di cui non posso fare il nome e che può benissimo essere considerato un democristiano nel senso più deteriore che a questo termine si possa dare. E se per democrazia cristiana si intende l'esistenza di correnti all'interno del M5s, che al momento non vedo, questo non sarebbe affatto un male se significa la possibilità di un dibattito interno che al momento è del tutto compresso. Se sarà possibile sarà principalmente merito, non di altri che se lo attribuiscono restando io inerte, per aver avviato una stagione di procedimenti giudiziari per conquistare spazi di libertà garantiti da una costituzione che i portavoce 5s si sono messi in bocca strumentalmente nella lotta referendaria, ma che poi di fatto al loro interno calpestano bellamente. La scarsa intelligenza politica, anzi l'ottusità talebana, non riesce a vedere le contraddizioni di una leadership miracolata in parlamento e nelle istituzioni. Ancora più sorprendente in Becchi è una sua dichiarazione/confessione che non avevo notato altre volte. È uscito dal M5s, di cui era iscritto ed attivista, non condividendone più l'andazzo che gli era stato impresso e che lui aveva subito notato. Ebbene, ciò non ostante, egli afferma che continuerà a votare il m5s, pur turandosi il naso, come avveniva al tempo di Montanelli, credo per votare la DC o altri partiti, non ricordo bene. Ma questo cosa significa per chi nel M5s è ancora rimasto? Ed io sono fra questi, a prezzo di un'azione giudiziaria di reintegro. Significa che chi resta - come chi qui scrive - deve condurre la più aspra lotta politica interna perché non abbiano a turarsi il naso i tanti cittadini onesti, per davvero, che votano 5s perché sulla piazza non si vede nessun altra offerta politica. Non ci è mai piaciuto fare previsioni, non crediamo ai sondaggi, ma ci basiamo solo sulla situazione presente ed al momento per il bene della patria non possiamo fare altro che combattere il peggio che sappiamo trovarsi dentro il m5s. E già! C’è del marcio nel regno di Danimarca, ed anche nel m5s.
AC
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«È anche colpa della sfortuna». Prego? «A Napoli non meritavamo di perdere». Ma a Napoli non si è votato? «Si è giocato, io parlo della Sampdoria».

Paolo Becchi, 61 anni, ordinario di Filosofia del Diritto all'Università di Genova, è stato attivista e resterà elettore del Movimento Cinque Stelle, ha collaborato con Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, a giugno ha pubblicato Cinque Stelle & Associati. Dice: «Ormai nel Movimento la democrazia non esiste più. Chi non è d'accordo su tutto o viene espulso o viene emarginato. Io ho fatto una scelta, ho lasciato».

Sfortunata la Samp, fortunato il Movimento i guai di Roma, le inchieste sulle firme false e le figuracce al Parlamento europeo non hanno intaccato la fiducia degli elettori pentastellati. Ha letto?
Nessuna sorpresa, abbiamo imparato a non fidarci dei sondaggi, basta vedere cosa è accaduto negli Stati Uniti».

Un sondaggio Ipsos dice: il caos Cinque Stelle ha prodotto una crescita di consenso dello 0,9%. Primo partito con il 30,9, davanti al Pd che starebbe al 30,1%. Perché?

«Qualsiasi cosa faccia, Grillo comunque vincerà. Semplicemente perché non c'è un'alternativa. Penso a quello che diceva Indro Montanelli».

In quale occasione?

«Quando diceva: turatevi il naso, ma votate Dc. Oggi si tureranno il naso e voteranno Cinque Stelle. Perché manca un'alternativa di centrodestra, anche se a me non va più bene chiamarla così».

Come la chiamerebbe?

«Una forza sovranista e identitaria. La lotta politica del futuro non sarà più tra destra e sinistra ma tra sovranisti e globalisti. Già c'è, Salvini passi dalla Lega nord alla Lega e vediamo cosa succede. Non significa rinnegare il passato, ma evolversi. Guardate che ha fatto Grillo».

Che ha fatto?

«Con Gianroberto Casaleggio le decisioni si prendevano in Rete. Oggi la Rete gli serve per ratificare decisioni che prendono in due, Grillo e Casaleggio junior. Il ragazzo è un tecnico informatico bravissimo. Ma non ha la cultura filosofica e politica del padre».

Un'alleanza di governo Cinque Stelle e Lega?

«Ci sta tutto, presto cadrà nel Movimento anche il vincolo delle alleanze. Ma io vedo più probabile un'alleanza Cinque Stelle e Pd. Di fatto c'è già, guardate quello che è accaduto alla Corte costituzionale, sull'articolo 18. Questo quesito referendario è stato bocciato grazie ai voti dei giudici scelti nell'accordo Renzi-Grillo».

Grillo vuole solo governare?

«Certo, basta vedere quello che ha combinato al Parlamento europeo. Voleva più soldi e più potere. Davide Casaleggio puntava quelle commissioni che regoleranno nuovi business come l'e-commerce per esempio. Solo che non hanno classe dirigente. Vinceranno e metteranno Oscar Giannino al Lavoro e Mario Monti all'Economia».

Monti?

«Grillo non voleva andare con i liberali di Alde? È l'eurogruppo degli uomini di Monti».
Lei cosa voterà?

«Ora bisogna votare il referendum sul voucher, questo vogliono gli italiani. Le elezioni subito le chiede Renzi, per tornare protagonista. Alle politiche si andrà con una nuova legge elettorale, in Rete con i Cinque Stelle avevamo fatto una proposta: proporzionale alla spagnola, con correttivi sulle preferenze come il modello svizzero. Ora pare non gli vada più bene, comunque...».

Comunque?

«Berlusconi verrà assolto dalla Corte di Strasburgo, giusto così, sacrosanto. Forza Italia può diventare il terzo incomodo. Berlusconi ha sempre la sua forza, ha scoperto la rete, ora diventi anche keynseniano e ci siamo. Il liberismo spinto non è più attuale, serve uno Stato che sappia intervenire».
Bene, ma lei cosa voterebbe?

«Avevo votato solo per i referendum, mai alle Politiche. La prima volta l'ho fatto nel 2013: Cinque Stelle. Adesso? Vediamo che faranno Salvini o Berlusconi».

Altrimenti?

«Mi turerò il naso e voterò Cinque Stelle. O mi asterrò, intanto l’unica vera passione che ho è la Sampdoria».

venerdì 20 gennaio 2017

Adriano Tilgher: «Solidarietà e unione europea».

Ricevo - suppongo per fini di pubblicazione - un articolo di Adriano Tilgher, che letto in contenuto non ho nessun difficoltà a pubblicare, con qualche mia osservazione. Seguo con stanchezza, anzi non seguo per nulla, gli infiniti talk show sui migranti, accoglienza, bla bla e non se ne può più. Qui non si tratta  di scagliarsi contro i tanti disgraziati che approdano sulle nostre coste, come si tenta di indurci a fare per poi farci passare per inumani e metterci al bando in casa nostra. Si tratta di vedere il fenomeno nelle sue cause e nelle sue conseguenze. Le cause cono le infinite e dissennate guerre che i nostri governati, asserviti alla NATO e alla finanza mondiale, continuano e produrre in ogni parte del mondo, e particolarmente in Medio Oriente e in Libia. Le conseguenze sono una vera e propria invasione - ripeto: invasione voluta e programmata - del nostro Paese, al fine di scompaginare l'unità sociale politica e colturale del popolo italiano. Stesso discorso può farsi per gli altri Paesi d’Europa, ma da noi la cosa è più grave ed i nostri governanti più corrotti e collusi con i poteri esteri. Occorre reagire ed è cosa sacrosanta e giusta il farlo. Quale sia la soluzione più giusta ed efficace, lo si potrà sapere solo dopo che si è presa consapevolezza del problema e si sono individuate le responsabilità, e quindi aggregate le forze politiche capaci di dirigere la legittima reazione e protesta del popolo italiano. Non prima. Prima sarebbe velleitario e perdente.

AC

SOLIDARIETÁ E UNIONE EUROPEA

Quello che accade in Italia è da brividi. Non per il freddo ma per il raccapriccio. La terra trema, la neve cade, la crisi è pesante e noi Italiani siamo sempre più soli ad affrontare i nostri problemi.

Perché dobbiamo ogni giorno assistere a richieste di denaro per solidarietà, quelle fatte in grande attraverso le televisioni ed i giornali, vuoi per la ricerca, vuoi per le catastrofi nazionali, vuoi per la fame del mondo, e quelle fatte in piccolo dalla miriade di mendicanti e postulanti che angustiano, spesso in modo petulante la nostra quotidianità?

Ma esiste una stato? Esiste una struttura pubblica che dovrebbe utilizzare le enormi quantità di denaro che ci sottrae attraverso uno dei più iniqui sistemi di tassazione del mondo proprio per queste cose?

Invece NO! Per la carità pelosa verso i diseredati del terzo e quarto mondo , vera e propria tratta degli schiavi, esistono tutti i soldi che vogliono, anche perché poi vanno a finire nelle tasche dei proprietari di sedicenti cooperative o associazioni definite umanitarie (il cui umanitarismo si rivolge soprattutto verso le tasche proprie e dei protettori politici e non), per i bisogni reali della nostra comunità invece si ricorre alla solidarietà nazionale.

Il popolo italiano generosamente partecipa, però poi nel tempo leggiamo di soldi spariti, di aiuti che non arrivano, di situazioni di disagio ed abbandono che continuano per anni.

Lo sciacallaggio di molti sedicenti umanitari è ignobile e andrebbe colpito con un’asprezza di pene senza precedenti, invece nessuno paga, anzi i presidenti di queste combriccole delinquenziali vivono da nababbi rispettati ed onorati come se fossero i benefattori dell’umanità, offendendo in tal modo anche chi generosamente si prodiga veramente per aiutare e salvare il prossimo.

Nessuno paga, dopo qualche articolo e qualche farsa di processo tutto torna nella normalità.

In tutto questo marasma l’Unione Europea brilla per la sua assenza. Questa Unione che dal 2000 con la complicità della nostra sedicente classe politica, ci ha ridotto nelle drammatiche condizioni economiche, sociali ed etiche in cui siamo, ci lascia sempre soli nelle nostre tragedie, anzi acuisce le pressioni grazie anche a mascalzoni come Monti e tutti coloro che lo sostennero che imposero di introdurre a rango di legge costituzionale il pareggio di bilancio. Tutte persone da processare per tradimento e per interesse privato in atti di ufficio.

Mi domando perché rimanere in questa UE che tanto ci chiede e niente ci dà, perché rimanere in un carrozzone che ci è ostile e ci disprezza probabilmente perché invidioso delle bellezze naturali della nostra terra e della ricchezza culturale del nostro popolo?

Non ho risposta se non: “usciamo dalla UE e di corsa”. 
Adriano Tilgher
Roma 20.01.2017

martedì 17 gennaio 2017

IL BLOG DI DIEGO SIRAGUSA: COMMENTO ALLA CONFERENZA DI PARIGI

Condivido e sottoscrivo questo testo di Diego Siragusa. Per avere avuto ed avere ancora vedute simili, di assoluto buon senso, informate a senso di giustizia e rispetto del vero diritto internazionale e umanitario, sono stato fatto oggetto di ripetuti attacchi che non cessano e per i quali non devo mai abbassare la guardia. Ma spero presto di poter porre mano all'aggiornamento del mio blog di Geopolitica dove si traccia tutto il percorso storico del sionismo: a vederlo nell'arco di oltre 100 anni, dal 1882 in poi, risaltano meglio le flagranti ingiustizie del presente, dove i nostri governanti hanno da lunga pezza cessato di rappresentare i loro popoli, per ripetere come pappagalli ciò che viene loro messo in bocca o fatto firmare...

IL BLOG DI DIEGO SIRAGUSA: COMMENTO ALLA CONFERENZA DI PARIGI: di Diego Siragusa 16/1/2017 Ieri si è svolta a Parigi l'annunciata conferenza di 70 paesi per discutere le prospettive dell... -

sabato 14 gennaio 2017

Vogliamo noi “dissidenti” imboccare «La strada che porta allo scioglimento del 5 Stelle», come si legge in un eccellente articolo di Annalisa Chirico, apparso sul Foglio del 1° dicembre 2016? E per far dichiarare «incostituzionale» il M5s, come oggi si chiede a un giudice romano e si legge nell’edizione odierna sempre del Foglio?

Articolo collegato: Lettera.
Non leggo abitualmente i giornali che escono in edicola, a meno che non vi sia qualche articolo che mi interessa o mi riguarda particolarmente, e debba procurarmene al più presto una copia, prima che venga ritirata dalle edicole. Fu così per il saggio, più che articolo, apparso su Il Foglio del 1° dicembre 2016. Ne comprai l’unica copia che era giunta in edicola e me la lessi dall’altra parte della strada, al Vicolo del Gusto, la birreria trattoria dove ogni giovedì tengo i MU di “Roma Libera in Movimento”. Io sto sempre lì ad aspettare che venga o non venga qualche iscritto al MU. Abito vicino e non mi è gravoso andare a bere un’ottima birra al doppio malto e fare una chiacchierata con Fabio, il gestore e proprietario del locale. L’articolo di Annalisa è davvero fatto bene, nasce da un’intervista all’avv. Borré, e per ampiezza non ha eguali: occupa quasi la metà di tutto la copia del giornale su pagine doppie. È davvero un peccato che sia solo nell’edizione a pagamento e non liberamente disponibile in rete, come però in qualche sito si trova: vedi qui, sul sito di OPACT, da dove riprendiamo il testo con un copia ed incolla, per evitarci la fatica di ricopiare il cartaceo che abbiamo qui sulla scrivania. E certi di fare cosa grata all’Autrice dell’articolo.

Intanto, l’articolo si occupa anche di me, anche se non mi viene concesso lo stesso spazio che all’amico Luca Capriello o a Paolo Palleschi: il mio o quello di Roberto Motta è un ruolo minore in questa vicenda? Non abbiamo nulla da dire? Non siamo gelosi, non ci piace il ruolo di prima donna, meno si parla di noi, più siamo contenti. Qui però si tratta di integrare il pensiero delle persone che nell'articolo di Annalisa sono gli attori, i protagonisti del “dramma” che addirittura potrebbe portare allo “scioglimento del 5 stelle”. Si tratta di far intendere il senso del nostro agire e le nostre intenzioni e finalità. Sappiamo che i titoli sono spesso redazionali e non dell’autore, in questo caso dell’autrice dell’articolo. Qui evidentemente attraverso l’uso della titolazione* il direttore Cerasa ha tentato non solo di interpretare, ma soprattutto di influenzare e indirizzare la cosiddetta “opinione pubblica”, che un mio compianto amico tedesco, Günther Krauss, chiamava “opinione pubblicata”. In questo caso si tratta dell'opinione del titolista del Foglio, che riprende questa linea politico-editoriale in un odierno articolo, di oggi 14 gennaio 2017, di cui mi è giunto il link, e che si trova qui. Ed è a cura della Redazione del Foglio che titola: «Perché oggi il Tribunale di Roma può dichiarare il M5s incostituzionale». Ci sembra evidente una stessa linea interpretativa fra il titolista del 1° dicembre 2016 e quello del 14 gennaio 2017. Si tratta di un non troppo recondito desiderio, che il M5s abbia la stessa rapida fine che lo ha visto sorgere con altrettanta rapidità, diventando forse ancora adesso il primo partito d’Italia. Il rilievo dato alla causa intentata dall’avv. Monello corrisponde alla linea politica del Foglio, oltre che a quella del PD, ma non è la stessa che ha ispirato ed ispira la nostra azione processuale, la cui valenza politica non ha bisogno di essere dimostrata. Il che non significa che i giudici aditi non si debbano attenere al dettato della legge ed esserne i fedeli esecutori oltre che i necessari interpreti.

* Altra titolazione interna nel cartaceo: «La strada che porta alla dissoluzione interna del Movimento 5 Stelle» (cubitale su due pagine!), con sottotitolazione sempre per la lunghezza di due pagine a tutta giustezza: «Non solo il caos delle firme. Dalla doppia natura giuridica del Movimento alle indagine sulle sospensioni. Ma cos’è la legalità per i grillini? Perché il M5s rischia un bing bang giuridico?» Ed ancora a carattere cubitale su un'altra pagina per tutta la giustezza: «Il big bang del grillismo», con sottotitolo: «“Un movimento nato per affermare la legalità esibisce noncuranza per la norma scritta”». Ed ancora più sotto: «Tra caso “firme” e Roma, per il M5s è sindrome da contenitore vuoto». Riportiamo come illustrazione grafica la sottotitolazione minore: la titolazione è importante perché rivela il pensiero della Redazione e la sua linea politica, che non è per nulla neutra ed è cosa di cui gli intervistati o citati possono e debbono tener debito conto.

Nono sono un lettore assiduo, costante del Foglio, che a quanto apprendo dal testo redazionale sta seguendo costantemente le fatiche dell’avv. Monello, vorrebbe «dimostrare che la democrazia diretta grillina è la negazione della democrazia». Provo a riflettere. Intanto la “democrazia diretta”, almeno come ce la immaginiamo noi, è o non è, ma non esiste una democrazia diretta “grillina”. E se mai è esistita o esisterà una “democrazia diretta” questo non si oppone alla “democrazia” in sé, nel suo concetto, ma alla “rappresentanza politica” che spesso è definita “democrazia rappresentativa” ma può essere qui davvero dubbio che essa abbia un effettivo rapporto con la democrazia tout court. Dai tempi del mitico 68 la lotta contro la rappresentanza politica è vissuta come una autentica lotta di liberazione. Ed in fondo i 5s attingono a questo sostrato. Altrimenti non si spiegherebbe la loro polemica contro il parlamento o la loro stessa riduzione dello stipendo, sbandierata come loro principale caratteristica differenziale con tutti gli altri partiti. Sapendo che la “democrazia diretta” non è facilmente e rapidamente realizzabile a fronte degli oltre due secoli, dalla rivoluzione francese in poi, durante i quali si è perfezionali l'istituto parlamentare e la rappresentanza politica nonché il regime dei partiti, ho sempre spiegato alla gente che si fermava ai banchetti del M5s che si tratta di una “forma embrionale del democrazia diretta”, dove “embrionale” stava a significare che la creatura doveva ancora nascere e poi si doveva sviluppare e crescere. Non mi ero illuso e non sono rimasto per nulla “deluso”.

Come traduttore e studioso di Carl Schmitt mi sono familiari le distinzioni fra legalità e legittimità, costituzione in senso proprio e legge costituzionale, il concetto stesso di costituzione che nell’accezione di Carl Schmitt diventa fondativa di una nuova branca giuridica, scientificamente autonoma nel suo oggetto, la Dottrina della costituzione, in tedesco Verfassungslehre. A me, in un’ottica schmittiana, non interessa cosa oggi deciderà il Tribunale di Roma in ordine alla richiesta dell’Avv. Venerando Monello, di cui leggo - nel Foglio cit. - che è iscritto al PD, particolare di non poco conto, mentre l’avv. Borrè si era dis-iscritto al M5s nel momento in cui decise di assumere la difesa del sottoscritto e di altri ricorrenti in cause di reintegro e impugnazione del regolamento. Cerco di essere elementare, usando un linguaggio politico, e rinviando i più esigenti al testo della Dottrina della costituzione, da me tradotto, e scaricabile in rete. Ricordo le onorifiche attestazioni di stime che ricevetti da un giudice costituzionale, sapendo che ero il modesto traduttore di un’opera fondamentale.  Al giudice ordinario è preclusa la distinzione fra legalità e legittimità, fra costituzione in senso proprio e legge costituzionale. Essendo lui, almeno in teoria, un rigido esecutore nell’applicazione delle leggi vigenti è del tutto priva di senso la distinzione fra legalità e legittimità di una legge esistente sulla materia del suo giudicato. Diverso il caso per un giudice costituzionale al quale è demandata l’ultima parola.

Anzi, ragionando con queste categorie, precluse ai giudici, la verità potrebbe essere l'opposto di quella che l'avv. Monello intende patrocinare nell’interesse di un partito, il PD, principale antagonista del M5s. Come “dissidente” del M5s ho sempre criticato lo spreco di tempo ed energia impiegato nella critica e demonizzazione del PD, morto e sepolto insieme a tutta la vecchia partitocrazia nel momento il cui il popolo sovrano dà un chiara segno della sua esistenza producendo un fatto inaudita, come seppe all'epoca riconoscere il principale leader del PD, quel Bersani che poneva in evidenza come non si fosse mai verificato nella storia delle democrazie occidentale che una forza politica, il m5s, appena affacciatesi alle elezioni, nel febbraio del 2013, diventasse di fatto la prima forza politica del Paese per suffragi ottenuti. Il significato politico di quel voto - di cui gli stessi parlamentari 5s non sono mai riusciti ad avere cognizione - supera di gran lunga la routine elettoralistica dal dopoguerra ad oggi. Quel voto fu la condanna di tutto il sistema della vecchia partitocrazia, i cui atti politici sono la più clamorosa negazione di ogni idea di costituzione sovrana.

Per farla breve ed andare al sodo: non Virginia Raggi, che malgrado la sua beltà fisica non ci è per nulla politicamente simpatica, è antitetica all’idea di una costituzione sovrana in senso proprio, ma quel presidente Giorgio Napolitano che ubbidendo ad Obama portò in guerra l’Italia contro un paese amico, la Libia, con il quale era ancora fresco d’inchiostro il trattato di amicizia. Mi stupì come il m5s nella sua accusa al Presidente della Repubblica non abbia menzionato il disastro libico, da cui ancora non siamo usciti e per il quale non vedo soluzione. Giustamente l'amico e collega Paolo Becchi, già iscritto al M5s e poi uscitone, ha parlato di un colpo di stato permanente di cui il principale responsabile non è certo il M5s, ma proprio il PD, che ora attraverso un suo legale pretende di far dichiarare l’illegittimità costituzionale del M5s. È schmittianamente inaudito! Dichiarare o far dichiarare l’illegittimità costituzionale del M5s sarebbe un ulteriore colpo di stato, peggiore dei precedenti ed sarebbe come instaurare una dittatura nelle forme iconografiche in cui viene comunemente rappresentata. Ed è troppo. Che siano dei perecottari, e magari qualcosa di più, sono il primo a riconoscerlo e denunciarlo da qualche anno a questa parte.

Una prova? Beh! Per quello che mi è data saperne nel giudizio fra le due contraparti i legali della Raggi sostengono la tesi della nullità contrattuale del “codice etico“ sulla cui base tanti quattrinati candidati alle Comunarie dovrebbero assoggettarsi a una penale di 250 mila euro. Anche io avevo firmato una simile assurdità, ma era come un prendere o lasciare all’istante. Non firmare questo “foglio” avrebbe significato per ognuno non presentare la proprio candidatura, Le Comunarie non si sarebbero potuto fare se appena appena vi fosse stata un minimo di “contrattazione”. Ma poi lo Staff pretende di applicare con coazione giuridica una codice contrattualmente “nulla” ed è una “nullità” la cui tesi è l'unica possibilità difensiva di Virginia, per non essere dichiarata illegittima e decaduta, secondo la tesi verecondiana e monellesca. E dunque questo codice è “nullo” o “valido”, quando ancora ieri con i parlamentari europei se ne pretende il rispetto e addirittura si minacciano le vie legali? Più perecottari di così si può essere? O altrimenti, è proprio il caso di dirlo: dilettanti allo sbaraglio. Almeno finché non si riescano a dimostrare e svelare ben più oscuri e inquietanti scenari complottisti che da alcuni amici, a loro dire bene informati, mi vengono sussurrati alle orecchie e a cui finora non ho mai creduto.

Al M5s può essere imputato un diverso “tradimento", non ancora consumato, e contro il quale ha senso l'azione dei ricorrenti che chiedono non la messa fuori legge del M5s, ma la sua democrazia interna, che interessa principalmente i suoi iscritti, per poter aderire pienamente allo spirito “rivoluzionario” contenuto nel procedimento elettorale del febbraio 2013. È davvero una bestemmia come Beppe Grillo abbia menato vanto e continuo a farlo nell’essere stato il pompiere di una possibile santa rabbia del popolo italiano, che si è espresso pacificamente, mentre i nostri stessi governi, in ambito NATO, hanno armato quell’ISIS di cui media asserviti ai servizi segreti nascono la vera natura. È questa l'attuale contraddizione interna e la vera “incostituzionalità” del m5s in una accezione schmittiana da noi qui rappresentata: un popolo che vuole ritornare sovrano e indipendente, scrollandosi di dosso la vecchia partitocrazia, quella della “cupidigia di servilismo” già al momento della firma del Trattato di pace che fu servaggio perpetuo, ma che si trova imbrigliato da una leadership politica che non ha il senso della grandi scelte, della grandi decisioni, delle svolte strategiche e geopolitiche, dei mutamenti strutturali nell'economia e nell'organizzazione dello Stato, ma vuol comprimere la Santa Rabbia del popolo italiano.

Detto questo, e rinviando ai nostri MU settimanali, la discussione e contestazione della attuale dirigenza pentastellata a livello nazionale e romano, ribadiamo la nostra netta distinzione e contrapposizione dalla linea politica giudiziaria del PD, rappresentata dall'Avv. Monello, che solo per un istante si era affacciato alle nostre ben distinte cause. Noi non sappiamo cosa deciderà oggi o nei prossimi giorni il giudice adito dall’Avv. Monello per conto dei suoi clienti, ma non ci occorre saperlo per valutare la decisione che ne verrà fuori. Schmitt insegna che anche in una sentenza giudiziaria può nascondersi una decisione squisitamente politica e io non credo che il Giudice de quo potrà ignorare la sostanza politica nel dichiarare o meno fuorilegge la principale forza politica del Paese.

Noi ricorrenti non abbiamo chiesto questo e non siamo alleati dell’Avv. Monello, che per un attimo si era presentato nel nostro Staff di legali. Il senso della nostra azione è di ottenere il pieno riconoscimento dei diritti dell’art. 49 della costituzione di poter concorrere all'interno del M5s, al quale abbiamo liberamente aderito, alla formazione della politica nazionale, che che noi non può che basarsi sulla sovranità popolare e indipendenza nazionale, valori politici ai quali hanno disatteso i partiti tradizionali, di cui in primis il PD in tutte le sue camaleontiche trasformazioni.

Detto e premesso questo, passo alla ripubblicazione dell'eccellente articolo di Annalisa Quirico, alla quale l’unica critica che si può fare di non aver dato alcuno spazio alla mia posizione, mentre ne ha data con ampio rilievo, ad esempio, a quella del caro amico Luca Capriello, che però non avrebbe potuto procedere se noi romani, Roberto Motta, Antonio Caracciolo e Paolo Palleschi, non avessimo avuto l'idea che a un giudice ci si può e ci si deve rivolgere per avere la vera garanzia dell'esercizio dei propri diritti politici. Quindi, questa mia Prefazione può essere intesa come una integrazione della parte mancante nell’eccellente articolo della giornalista Annalisa Quirico.

Motta racconta alla tv-unità
Mancano nell'eccellente articolo di Annalisa Chirico due interviste eccellenti, per cosi dire, la mia e quella di Roberto Motta. Della manca della mia non mi lamento e non reclamo, essendo ben nota la mia diffidenza verso i giornalisti, risalente alla campagna diffamatoria/denigratoria iniziata nell'ottobre 2009 e approdata ai giorni nostri. Ma Roberto Motta non solo avrebbe accettato volentieri l'intervista, ma avrebbe potuto fare dichiarazioni sul cosidetto “codice etico” da lui subito criticato e respinto, e causa della sua espulsione. Ma poi è anche in grado di spiegare come si raccolgono i consensi tramite clic. Lo aveva comunque già detto in una intervista all’Unità di cui si allega qui immagine e link.

AGGIORNAMENTO al 21.1.17. - Come può controllare il Lettore, io mi sono astenuto dall'entrare nel merito tecnico dell’azione giudiziaria dell’Avv. Monello, con il quale non ho alcun rapporto, salvo un suo iniziale tentativo di approccio indiretto. Tuttavia la notizia che è stata fatto circolare è che il giudice avrebbe dichiarato la validità del “contratto Raggi”. E quindi canti di vittoria da parte grillina, e minacce verso i transfughi parlamentari europei. Una confusione direi voluta e strumentale. Le cose proprio non stanno così e per non riassumerle io rinvio a questa analisi tecnico giuridica, dovuta alla penna di esperti. Restano valide le mie considerazione di natura politica e di carattere teorico generale. Avrei voluto elaborare maggiormente questa mia Prefazione al pur eccellente articolo della Chirico, che non ha intervistato né me né Roberto Motta, ma ha reso protagonisti personaggi tutto sommato minori. Non siamo gelosi e non ce ne dispiace, ma alcune cose andavano dette. Le abbiamo dette. Le ripeteremo in altri opportuni contesti. È particolarmente fastidioso, dopo l'elaborazione concettuale, aggiungervi anche la correzione dei refusi: mi riservo di farla a tempo perso, nelle more fra una attività e un'altra, o in riletture occasionali. Se però i refusi dovessero pregiudicare il senso, prego cortesemente il Lettore di contattarmi per le opportuni rettifiche ed eventuali chiarimenti di senso.



Antonio Caracciolo

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LA STRADA CHE PORTA ALLO
 SCIOGLIMENTO DEL 5 STELLE
di Annalisa Chirico
1 Dicembre 2016
 alle 06:00 Foglio
(nostra fonte OPACT, verificata sul cartaceo)

* Avvertenza e cautela: Nell’edizione originale cartacea non sempre alle virgolette di apertura si trovano accompagnate quelle di chiusura o viceversa. Abbiamo ricostruito a senso. (A.C.)

Annalisa Chirico fb
Magari fosse soltanto una faccenda di firme. Il M5s ha un bug nel sistema. Un bug gigantesco. In vista delle prossime elezioni politiche si scorgono le prime crepe di una voragine che potrebbe risucchiare, in un colpo solo, l’impalcatura giuridica del movimento fondato da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio. Gigante dai piedi d’argilla, il M5s, o meglio i suoi vertici, devono districarsi in un guazzabuglio giuridico puntellato di codici e codicilli, regolamenti, statuti e ricorsi tribunaleschi. Una materia delicata, anzi delicatissima, maneggiata finora all’insegna della cautela e della riservatezza, zero streaming, e affiorata sporadicamente sulla stampa per via di un paio di pronunce togate, spia della fragilità costitutiva della struttura pentastellata. Partendo da qui e scavando a fondo tra gli arcana imperii del leader carismatico, artefice di una diarchia fattasi monarchia per la prematura scomparsa di Casaleggio senior, cerchiamo di rispondere al quesito dei quesiti: il movimento per la legalità-tà-tà, la rispetta la legge? Ecco che scivola giù il velo dell’ipocrisia, e appare quel che di solito non si vede. Ce qu’on voit et ce qu’on ne voit pas, della luna osservi solo un lato. Il “non partito” che urla slogan legalitari nelle piazze fa a pugni con le regole. Man mano che il tempo passa e le responsabilità aumentano e si aggroviglia l’articolato di norme e soggetti giuridici in sovrapposizione cresce l’agitazione dei vertici. Agitazione che diviene palpabile e manifesta quando a settembre il capo politico sottopone agli iscritti, per la ratifica, il Non Statuto “in versione corretta” insieme a un Regolamento nuovo di zecca.

Bisogna correre ai ripari, e in fretta. Il M5s ha un gigantesco bug nel sistema.
Chi è Davide Casaleggio? (il Post)
“Non è importante solo cosa sceglierai ma anche in quanti avranno partecipato a questo voto. Più saranno i votanti e meglio il MoVimento potrà difendersi dagli attacchi che sicuramente arriveranno. Con il MoVimento stiamo facendo una nuova giurisprudenza politica. A seconda che siano sopra un terzo, sopra la metà, sopra i tre quarti o addirittura la totalità degli iscritti, maggiori saranno le nostre difese dagli attacchi giudiziari e politici”.
A parlare così, con i toni della berlusconeide stellata, è Davide Casaleggio in un post del 25 ottobre. Da quasi un mese è in corso la consultazione online su Statuto e Regolamento, già a luglio Grillo annuncia il voto ma poi rinvia inaspettatamente di una settimana “per soddisfare – scrive – le ultime richieste di certificazione pervenute e permettere la massima partecipazione degli iscritti”. Qualche attivista protesta perché il capo indice il voto, cambia e ricambia la data, ma sui testi oggetto della consultazione regna il mistero (l’iscritto può approvare come con un like o dislike su Facebook, proporre emendamenti o mozioni alternative non è ammesso). “Possiamo votare delle nuove regole a scatola chiusa?”, insinua qualcuno sul blog delle Stelle. “Spero che il nuovo Non Statuto contempli il diritto di esistere del dissenso, altrimenti sarà nuovamente carta straccia”, commenta un altro. “Ditemi che sto sognando, altrimenti devo essere così lontano da una certa cultura che si basa solo sull’ubbidienza assoluta. Neanche nel Kgb sono mai esistiti metodi così irrispettosi della democrazia”, infierisce un utente.

Roberta: «Vedremo…».
Il clima è teso. Gli iscritti sono chiamati a votare, contestualmente, l’integrazione del Non Statuto con due versioni alternative di Regolamento. Al momento del voto, anzi del clic, l’iscritto non conosce i dettagli normativi. “Uno vale uno ma poi decidono sempre gli stessi. Vorrei esser stato maggiormente coinvolto nelle discussioni di modifica”, lamenta un attivista. Chi ha scritto i testi posti in votazione? Si presume che la fonte primigenia sia Grillo in persona insieme ai legali fidati e a Casaleggio jr., con un coinvolgimento snello dei cinque membri del Direttorio (abolito d’imperio lo scorso 11 novembre con dichiarazione di Grillo a Euronews: “Il Direttorio non esiste più”, saluti a tutti). “Purtroppo anche queste votazioni saranno prive di alcun valore legale, perché non verificabili in alcun modo – scrive Fabio di Napoli – Oltretutto non si capisce sulla base di cosa si sia chiamati a votare modifiche non si sa da chi proposte. Questa votazione verrà probabilmente impugnata e anche su questa un giudice si esprimerà sconfessandola”. Di rinvio in rinvio, la fatidica votazione slitta al 25 settembre. La procedura si chiude alle ore 21 del 26 ottobre. Le ore passano e i risultati restano ignoti, la spiegazione ufficiale è che un ente esterno, la DNV GL Business Assurance, incaricato dall’Associazione Rousseau (leggi Casaleggio jr.), procede alla “verifica del processo di voto”. Nell’attesa, Roberta Lombardi è l’unica a rilasciare una dichiarazione: “Vedremo cosa succederà in tribunale se le nuove regole non dovessero passare. Finora i giudici non sono entrati molto nel merito”.

Aggiungi didascalia
L’incubo è che non si raggiunga il quorum del 75 per cento di iscritti. Il 28 ottobre, due giorni dopo la chiusura del voto, i dati sono pubblicati online: il quorum non c’è. Nonostante il dispiegamento di appelli, post e sms per incitare ogni iscritto a votare, la partecipazione si ferma sotto il 65 per cento. Votano in 87.213 su un totale di 135.023 iscritti, la soglia minima è pari a 101 mila. Tuttavia, la maggioranza dei voti espressi è favorevole alle modifiche calate dall’alto. In particolare, sul primo quesito: “Sei d’accordo nel modificare il Non Statuto con il nuovo testo aggiornato proposto?”, risultano espressi 86.228 voti totali, suddivisi in 79.007 Sì e 7.221 no. Sul secondo quesito, “Sei d’accordo nel modificare il Regolamento con una delle due versioni aggiornate proposte?’, risultano espressi 82.659 voti totali, suddivisi in 75.947 favorevoli e 6.712 contrari. Andiamo avanti.

Al centro Luigi: “scartoffie...”.
Sul terzo quesito – “Nel caso che si proceda alla modifica del Regolamento, quale delle due opzioni preferiresti?” – risultano espressi 82.606 voti totali suddivisi in 61.071 preferenze per l’opzione “Preferisco la versione CON le espulsioni” e 21.535 preferenze per l’opzione “Preferisco la versione SENZA ”. La stragrande maggioranza dei votanti segue le indicazioni del capo politico. “Grazie agli 87.213 iscritti che hanno partecipato alla votazione – esulta Grillo sul blog – avete permesso al MoVimento 5 Stelle di raggiungere quello che probabilmente è il record mondiale di partecipanti a una votazione online per una forza politica o un’associazione. Mai così tante persone si sono potute esprimere direttamente sul futuro della comunità di cui fanno parte”. Quando si dice badare alla sostanza. La legge fissa un quorum. Il M5S snobba il quorum. “Processi, burocrazie, codici e codicilli non possono fermarci perché siamo uniti e compatti verso lo stesso obiettivo. Il MoVimento 5 Stelle trova difficoltà a essere riconosciuto dalle leggi attuali perché la sua struttura e organizzazione è molto più innovativa e avanzata di quelle regolamentate dai codici. Proprio per questo il nostro caso è destinato a fare giurisprudenza”, scrive Grillo evocando la stessa “giurisprudenza politica” già citata da Casaleggio jr. contro gli attacchi giudiziari e politici. “Il Movimento non è una questione di scartoffie da azzeccagarbugli ma una forza politica che cresce da sola”, gli fa eco Luigi Di Maio. Il quorum non c’è ma chi se ne importa. Per gli incorruttibili paladini della legalità, talebani della Costituzione e urlatori di onestà-tà-tà, l’obbligo di legge si riduce a orpello formalistico, quisquilie di nessun conto, pedanteria da legulei. Il regolamento voluto dal capo, contenente il nuovo procedimento per le espulsioni, non passa, il quorum non c’è, ma in fondo che importa? Nel groviglio di statuti e non statuti, associazioni giustapposte, ordinanze e ricorsi, il bandolo della matassa sembra smarrito. Il blackout dello streaming è un effetto collaterale del new deal stellato all’insegna della sfacciataggine procedurale.

Per maneggiare il delicato dossier, si tengono interminabili riunioni con gli avvocati, il commercialista e pochi fidati, tra le quattro mura della Casaleggio associati in via Gerolamo Morone a Milano. L’imbroglio della firma. Vera, anzi falsa, in realtà copiata, forse ricopiata. Intransigenti con gli altri e indulgenti con se stessi. Rampognatori delle malefatte altrui, insabbiatori delle proprie. Si sa, la verginità, una volta perduta, non torna. E la parola legalità, brandita come arma contundente nei confronti del nemico, potrebbe ritorcersi contro i Savonarola contemporanei. Sulle prime, la difesa di Grillo è esilarante: La firma falsa non è una firma falsa, è una firma copiata. E’ l’Oscar della stupidità. “Noi, se siamo non disonesti, non riusciamo neanche a essere disonesti”. Che dire, ci abbiamo provato senza riuscirvi. Nei confronti dei grillini palermitani destinatari dell’avviso di garanzia non viene immediatamente applicata la procedura prevista dal nuovo regolamento, entrato in vigore (seppur di quorum sprovvisto) con proclama solenne del líder máximo. Quando la notizia impazza sui giornali, Grillo esprime un cordiale invito all’autosospensione. Eppure, per gli standard grillini fondati sulla presunzione di colpevolezza, gli estremi per obbligare gli indagati al passo indietro ci sarebbero tutti. I bene informati raccontano che il timore di una nuova impugnazione (dopo l’ordinanza partenopea di cui parleremo a breve), con conseguente pronuncia di illegittimità del regolamento, induca Grillo e Casaleggio a prendere tempo.

La procedura designata dai vertici e approvata plebiscitariamente online prevede che il gestore del sito possa rivolgere contestazioni formali a un iscritto mediante l’invio di un’email da parte di una entità eterea ma onnipresente denominata staff. Entro dieci giorni l’iscritto può presentare eventuali controdeduzioni dandone comunicazione al collegio dei probiviri il quale, verificata la sussistenza dei requisiti d’iscrizione, decide in merito all’espulsione. La decisione del collegio dei probiviri sulla carenza dei requisiti di iscrizione è inappellabile. Negli altri casi, avverso l’atto di espulsione, il soggetto può ricorrere al comitato d’appello. Da qualche giorno il collegio dei probiviri esiste, è stato nominato. Secondo voi, gli iscritti si sono forse potuti candidare per diventarne membri? O hanno potuto esprimere una preferenza tra diverse alternative? Non scherziamo. Nel movimento della democrazia orizzontale, dell’uno vale uno, uno soltanto, Beppe Grillo, si suppone in postura verticale, presenta un pacchetto chiuso, take it or leave it, e dall’alto della sua magnanimità peronista domanda agli iscritti: “volete voi approvare il comitato d’appello composto dai parlamentari Paola Carinelli, Nunzia Catalfo e Riccardo Fraccaro?” Un’orgia democratica, altroché. “Con Gianroberto non lo avrebbero mai fatto, li avrebbe messi fuori da un pezzo e sarebbe bastata la prima telefonata di Milano a ridurli a più miti consigli”, un deputato grillino, dietro richiesta di anonimato, si lamenta dell’atteggiamento soft verso gli indagati siciliani che non si sono ancora autosospesi. Beppe è troppo buono. Gianroberto lo era, ma era anche inflessibile. Quando si trattava di regole, diventava il cavaliere nero. Se ne sarebbe accorta anche Virginia Raggi, se lui fosse ancora qui”. Chissà come avrebbe reagito Casaleggio se nel corso del corteo grillino per il No al referendum fosse capitombolato in una buca lungo la via Ostiense, poco prima della Piramide Cestia.

E’ accaduto a Grillo lo scorso 26 novembre, e il comico genovese, dopo essersi rialzato, ha domandato: “Le buche nelle strade le vogliamo mettere a posto? Chi è che le deve mettere a posto?”. Di Movimento 5 Stelle ce n’è uno, anzi due. I soggetti giuridici gravitanti nell’orbita grillina, satelliti di un unico Re sole, Beppe Grillo, sono diversi: esiste l’associazione Rousseau, il gioiellino di Casaleggio jr. che governa la piattaforma web dell’organizzazione. Dal 2015 il Comitato promotore Italia 5 Stelle raccoglie i fondi e organizza le kermesse annuali. Il pasticciaccio grillino, quello che fa tremare dalle fondamenta l’impalcatura giuridica pentastellata, è legato alla doppia entità, MoVimento 5 stelle e Movimento 5 Stelle. Nel carattere di una lettera, la ‘v’ di Vaffa, si annida un equivoco sostanziale. 2009, anno di nascita del MoVimento 5 Stelle. L’atto costitutivo è il famigerato “Non Statuto” che all’articolo uno recita testualmente: “Il MoVimento 5 Stelle è una non associazione. Rappresenta una piattaforma e un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel sito www.movimento5stelle.it”. L’obiettivo è “raccogliere l’esperienza maturata nell’ambito del blog www.beppegrillo.it, dei meet-up, delle manifestazioni ed altre iniziative popolari e delle Liste Civiche Certificate” per “la selezione, individuazione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo”. Camera, Senato, Consigli regionali e comunali: lo scopo esplicito è aprire le istituzioni “come una scatoletta di tonno”. Secondo i dati forniti dal movimento, circa 135 mila attivisti sono iscritti al soggetto giuridico con la V maiuscola. 14 dicembre 2012. Alla presenza del notaio Filippo D’Amore, il signor Beppe Grillo, il di lui nipote e avvocato Enrico Grillo, e il commercialista Enrico Maria Nadasi fondano l’associazione denominata “Movimento 5 Stelle”, con la v minuscola e sede in via Roccatagliata Ceccardi a Genova.

* Eccolo il video della “caduta”!

Lo sdoppiamento è avvenuto: da una parte, c’è il movimento con la V maiuscola e la massa di iscritti; dall’altra, c’è la cabina di regia, il movimento con la V minuscola che tiene saldamente la barra di comando attraverso una entità giuridica distinta. Da un verbale si evince che il 29 aprile 2014 i tre soci si riuniscono per approvare il rendiconto, e a quell’assemblea partecipa per la prima volta Gianroberto Casaleggio in qualità di (quarto) socio. Nell’autunno 2015 Grillo trasferisce al movimento con la v minuscola la proprietà del simbolo (“così definito: linea di circonferenza color rosso, recante al proprio interno, nella metà superiore del campo, in carattere nero su fondo bianco, la dicitura MOVIMENTO, la cui lettera V è scritta in rosso con carattere di fantasia…”). Inoltre, con un’accorta operazione di maquillage, il nome della miniassociazione, a 4 soci, assume la v maiuscola in modo da confondersi ancor meglio con la maxiassociazione. Un “sistema a scatole cinesi”, spiega un bene informato, che garantisce a Grillo massima libertà di manovra per effettuare espulsioni e compiere scelte strategiche in vista delle elezioni politiche. Tutto fila liscio fin quando due tribunali, a Roma e a Napoli, pongono sotto la lente d’ingrandimento la “non associazione” che una volta era una, poi raddoppiò.

Roma. Paolo Palleschi è uno dei tre ricorrenti in giudizio contro l’espulsione dal M5S. “Ho iniziato a frequentare il meetup del quartiere Trieste nell’estate 2012. Avrei voluto candidarmi alle amministrative ma io, insieme ad altri, fummo emarginati e arbitrariamente esclusi dalle liste. Da qui la decisione di far valere i nostri diritti in tribunale”. Palleschi è un avvocato penalista che non sbaglia i congiuntivi, militanza giovanile nel Fronte della gioventù. Da come parla, s’intuisce subito che lei ha poco da spartire con l’ala movimentista (eufemismo) di Paola Taverna, quella ad oggi maggioritaria nella capitale. “Potrebbe essere una lettura attendibile… Da un giorno all’altro mi sono visto recapitare un’email dello staff che m’informava della mia esclusione dalle consultazioni online per la designazione del candidato sindaco, senza specificare i motivi. Dopo la pronuncia favorevole del tribunale, sono stato reintegrato con una nuova email che mi restituiva le credenziali d’accesso al sito web”. Lo scorso 12 aprile il Tribunale civile di Roma dichiara illegittimo il provvedimento di espulsione di Palleschi, Roberto Motta e Antonio Caracciolo, tutti esclusi dalle “comunarie” capitoline. Nell’ordinanza cautelare il giudice evidenzia la distinzione tra l’associazione con la V maiuscola del 2009 e quella con la v minuscola del 2012. Al di là delle affermazioni di principio (il M5S, si legge sul sito, sarebbe una “non associazione”), la configurazione giuridica del movimento è quella di “una associazione non riconosciuta al pari dei tradizionali partiti politici (art. 49 della Costituzione sulla libertà di associazione politica) per cui vanno applicate le relative disposizioni del Codice civile: pacificamente per le associazioni non riconosciute valgono le stesse disposizioni codicistiche previste per le associazioni riconosciute”. Quanto ai rapporti tra i due soggetti, “si è in presenza di due realtà diverse ed intersecantesi dal punto di vista soggettivo nella misura in cui gli aderenti al MoVimento 5 Stelle aderiscano, a domanda, all’associazione Movimento 5 Stelle”. In particolare, l’associazione con la v minuscola ha come suo compito “lo svolgimento degli adempimenti tecnico-burocratici per consentire la partecipazione alle elezioni politiche dei candidati scelti in Rete dagli aderenti al MoVimento 5 Stelle”.

I ricorrenti però risultano iscritti all’associazione del 2009. In giudizio Grillo e sodali si costituiscono con l’associazione del 2012, si presume nel vano tentativo di radicare la competenza territoriale a Genova e non nella capitale. Inoltre il giudice, nella stessa ordinanza che sancisce l’illegittimità dell’espulsione, pone l’accento sulla persistenza giuridica del Non Statuto e del movimento del 2009, anche a seguito della più recente costituzione della miniassociazione. Il Regolamento del 2014, in forza del quale Grillo procede all’espulsione dei ricorrenti romani, fa capo al Movimento 5 stelle con la v minuscola, la miniassociazione ben distinta da quella maxi fondata sul Non Statuto del 2009. Grillo può forse pretendere di espellere gli iscritti all’associazione A appellandosi alle norme dell’associazione B? Non può, soprattutto se, come vedremo, quelle norme sono da ritenersi nulle.

All’indomani dell’ordinanza cautelare a lui favorevole, Palleschi usa toni duri: “Dal punto di vista politico, è ingiusto andare avanti con Raggi quando alcune persone sono state ingiustamente fatte fuori dalla corsa”. Oggi, invece, mostra un atteggiamento più conciliante. Quando gli chiediamo perché si sia ritirato dal giudizio, dopo che il movimento l’ha accusato di filoleghismo in salsa capitolina, Palleschi si schermisce: “Ho un vincolo contrattuale, ho chiuso un accordo transattivo. Le consiglio di parlare con il mio avvocato”. Mi scusi, mi sta dicendo che lei ha ottenuto dei soldi per uscire dal processo? “Guardi, le mando il numero del legale”. Chiamiamo l’avvocato, Lorenzo Borré, pure lui romano, ex grillino deluso dal cedimento “su alcune questioni eticamente divisive, come le unioni gay, la maternità surrogata, le aggravanti omofobiche, l’adozione del figlio del partner… materie che non erano nel nostro programma e sulle quali i gruppi parlamentari hanno agito in proprio senza coinvolgere la base”.

Esistono pure i cattogrillini. “Io mi sono iscritto a un movimento orizzontale. Ricordo le dichiarazioni di Di Maio che adombravano il pieno appoggio del gruppo al ddl Cirinnà. Provai a dire la mia sul web, a contattare qualche parlamentare in virtù del concetto di “portavoce”, ma niente. Inviai un’email ad Alessandro di Battista: mi rispose che non seguiva la faccenda. Il giorno dopo, guardando il tg, lo vidi mentre in Parlamento inscenava la protesta baciando i colleghi per dire sì al ddl sull’omofobia. Mi aveva preso in giro”. S’intuisce che pure Borré, emarginato dai romani, abbia poco da spartire con la corrente della Taverna. Lui è un uomo di legge, attualmente segue tutti i ricorsi pendenti in Italia da parte di ex attivisti grillini che si ritengono ingiustamente espulsi. Anzitutto, avvocato, Grillo&Casaleggio hanno pagato l’uscita di Palleschi dal processo? “Vige una clausola assoluta di riservatezza. Non posso né confermare né smentire”.

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Il colpo più duro, forse letale, al castello giuridico pentastellato risale allo scorso luglio. A Napoli un drappello di grillini espulsi, ben 23, è ricorso in giudizio. Il tribunale partenopeo emette un’ordinanza cautelare che, come a Roma, riammette gli espulsi, e inoltre dichiara la nullità del regolamento varato il 23 dicembre 2014 dalla miniassociazione. I grillini napoletani, al pari di tutti gli attivisti nel resto d’Italia, sono iscritti al soggetto giuridico del 2009, regolato dal Non Statuto, che ad oggi rimane l’unico atto giuridicamente vincolante nell’universo grillino. Il regolamento successivo “si considera nullo – scrive il giudice – perché si configura come una modifica del Non Statuto dell’associazione originaria, modifica che, in assenza di diverse prescrizioni, secondo il Codice civile, richiede un voto dell’assemblea dei soci”. Voto che non c’è mai stato, l’assemblea non si è mai riunita. Inoltre, “nonostante il movimento 5 Selle nel suo statuto non si definisca partito politico, e anzi escluda di esserlo, di fatto ogni associazione con articolazioni sul territorio che abbia come fine quello di concorrere alla determinazione della politica nazionale si può definire partito ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione”. E perciò deve garantire il diritto al dissenso interno. Il regolamento che Grillo e Casaleggio intendono imporre contiene la procedura più severa per le espulsioni. E’ pubblicato per la prima volta il 23 dicembre 2014 in un post sul sito beppegrillo.it. Il messaggio del capo politico si apre così:
 “Il M5S è obbligato a depositare un Regolamento che ne attesti alcune modalità operative in particolare con riferimento alla cosiddetta democrazia interna (molte già esistenti) entro il 28 dicembre 2014. Non ottemperarvi potrebbe portare a contestazioni sulla possibile partecipazione a elezioni politiche. Il Regolamento è leggibile nella sua interezza qui”. 
Stop. Chi ha redatto il testo? Il vertice. E’ possibile proporre emendamenti? No. Su questo punto il Tribunale di Napoli, che si limita a un controllo di legalità formale (il giudizio di merito prosegue regolarmente), evidenzia che nei casi di associazioni non riconosciute si applica, per analogia con quelle riconosciute, l’articolo 21 del Codice civile. E l’articolo 21, croce e delizia, recita testualmente: “Per modificare l’atto costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti”.

Devil is in the detail. La partecipazione alla consultazione online sul Regolamento non ha raggiunto il 65 percento degli aventi diritto, ne consegue che esso sia da considerarsi nullo. Il Regolamento, scrive il giudice, non si pone come “fonte equiordinata allo statuto”, e non essendo stato adottato col metodo assembleare e con le maggioranze previste per le modificazioni dello statuto originario, “non appare essere una fonte idonea a porre le norme procedimentali e i casi di esclusione degli associati”. Allo stato attuale, l’unico atto giuridicamente vincolante è il Non Statuto che, “al netto di efficaci artifici dialettici che rientrano nella propaganda politica, altro non è che, giuridicamente, uno statuto”. Esso non contiene neppure norme derogatorie rispetto a un altro articolo che Grillo trascura e Di Maio liquida come materia per azzeccagaburgli: l’articolo 24 del Codice civile, legge vigente in Italia, stabilisce che “l’esclusione di un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi”. Ne consegue che “deve ritenersi indiziata d’illegittimità la determinazione dell’espulsione degli odierni reclamanti adottata dallo staff di Beppe Grillo sulla base del citato Regolamento del 2014”. In ultimo, sospendendo in via cautelare i provvedimenti di espulsione nelle more del giudizio di merito, il giudice ribadisce che “nonostante il Movimento 5 Stelle nel suo statuto (Non Statuto) non si definisca partito politico, ed anzi escluda di esserlo, di fatto ogni associazione con articolazioni sul territorio che abbia come fine quello di concorrere alla determinazione della politica nazionale si può definire partito”.

Luca Capriello, classe 1982, grillino partenopeo della prima ora, avvocato penalista con lo scilinguagnolo sciolto. Pure lui un bel giorno si vede recapitare dal famigerato staff l’email delle disgrazie, preludio all’espulsione. Nel capoluogo campano, terreno di scontro tra i “movimentisti” di Roberto Fico e gli “istituzionali” di Di Maio (analogo schema capitolino), Capriello non sta né con gli uni né con gli altri, così finisce epurato. “Ho cominciato ad animare il meetup di Napoli quando avevamo un consenso da prefisso telefonico”, si racconta al Foglio. “Ho assistito da dentro alla trasformazione del movimento: sopra il palco ripetevamo uno vale uno, sotto il palco si moltiplicavano i cosiddetti portavoce, vale a dire i referenti di Grillo sul territorio. Costoro, per accrescere il prestigio personale e ottenere la ricandidatura, hanno decapitato le teste pensanti cooptando gran parte della base mediante il conferimento di incarichi istituzionali, come portaborse, assistenti regionali o parlamentari. Sono diventati capibastone con un seguito di lacché stipendiati. Hanno tradito il concetto di cittadinanza attiva”. Lei sembra sinceramente amareggiato. “Io sono gonfio di amarezza, ci crede? Abbiamo creato una pagina Facebook per chiedere a Grillo di convocare un’assemblea nazionale. Noi vogliamo democratizzare il movimento, non abbatterlo”. In quanti siete? “Al momento siamo un migliaio. Dopo l’espulsione, molti si sono ritirati a vita privata. La parentopoli grillina li ha delusi”. Per “parentopoli grillina” s’intende la pletora di mogli, fidanzati e parenti premiati con incarichi e ruoli, strapuntini a reddito variabile ma garantito, in un pittoresco mosaico di intrecci familistici scoperchiato dalla stampa. “Neanche i partiti della prima Repubblica erano così sfacciati. Il problema del movimento però è un altro”. La ascolto. “Siamo una delle prime forze politiche del paese. Se dovessimo andare al governo, sarebbe un pericolo per l’Italia. Il M5S racchiude il peggio di Forza Italia (Grillo è proprietario del logo, come Berlusconi) e il peggio del Pd (siamo attraversati da un correntismo esasperato). L’intuizione originaria è stata tradita. Una struttura iperverticistica che ricorre alla Rete solo per ratificare decisioni prese altrove non è democrazia orizzontale. E’ plebiscito. Le consultazioni online propongono domande preconfezionate che suggeriscono la risposta già nel quesito. E’ un meccanismo subdolo”. Anche se l’identità di Beatrice di Maio, l’account twittarolo che tacciava di mafiosità il sottosegretario Luca Lotti, e non solo lui, è stata rivendicata dalla coniuge di Renato Brunetta, è acclarato che in Rete si dispiegano diverse tecniche manipolatorie ai fini di cyberpropaganda. Troll, fake, algoritmi, account ad hoc per propagare il messaggio pentastellato a colpi di rutti e ingiurie. “Online nulla è come appare. I dati relativi alle votazioni li comunica il movimento, manca un ente terzo veramente indipendente”.

“Lei sembra un invasato della democrazia diretta, con tutto il rispetto”. “Il voto dovrebbe essere solo il momento finale. L’elemento costitutivo della democrazia orizzontale è il dibattito che nel M5S resta il grande assente. Abbiamo tradito il programma. Non parliamo più dell’uscita dalla Nato e dall’Ue, se non blandamente. Questi erano i punti qualificanti della piattaforma politica sulla quale abbiamo raccolto quasi dieci milioni di voti nel 2013”. “Ma perché lei è stato espulso?” “Non mi sono piegato alla scelta tra Fico e Di Maio, e sono rimasto isolato. I fichiani sono i talebani del movimento, pretendono il rispetto assoluto di regole che loro stessi violano. Quelli di Di Maio invece sono gli istituzionali, i più clientelari, si sono arricchiti tra incarichi e prebende varie, non a caso sono cresciuti di più numericamente”. “Nel suo caso, la rottura risale alle amministrative”. “Nell’ottobre 2015 proponiamo un dibattito pubblico per discutere le regole delle comunarie per la formazione delle liste. Il nostro interlocutore è Fico, fondatore del meetup di Napoli e membro del Direttorio. Alle nostre richieste lui fa le orecchie da mercante, hanno già deciso altrove. Se avessimo votato in assemblea, sarei stato io il candidato sindaco. A Torino Chiara Appendino è stata scelta da un’assemblea. Non avendo un membro locale del Direttorio, i torinesi hanno avuto un margine di manovra maggiore”. “Lei è tra i fondatori di Napoli Libera in Movimento”. “Per paradosso, il movimento nato in Rete e per la Rete ci contesta l’apertura di una pagina Facebook. Noi abbiamo reagito portandoli in tribunale e abbiamo avuto ragione. Il movimento si è sgretolato giuridicamente. L’ordinanza napoletana è una bomba. E’ la presa della Bastiglia. Non si comprende, in punto di diritto, come possano i tre membri della miniassociazione considerarsi partito politico e presentare alle elezioni soltanto candidati non iscritti alla medesima associazione. Né si comprende come possano procedere all’espulsione degli iscritti a un’associazione distinta, per giunta sulla base di un regolamento nullo, privo di efficacia, adottato in violazione del Codice civile. Non bisogna avere una laurea in legge per rendersi conto del big bang interno…”.

“Lei sa che non sarà mai riaccolto nel movimento”. “Io non ho bisogno della politica per vivere. Ho un mestiere che mi permette di vivere dignitosamente. Non ho bisogno di essere assunto dalla prima azienda del paese che non ha conosciuto crisi e ha visto aumentare il proprio fatturato: la politica”. “Perché si è iscritto al M5S?” “Abbiamo portato Internet dentro la politica, un fatto rivoluzionario, ma il M5S deve cambiare. L’uso delle nuove tecnologie è come un coltello: può servire a spalmare la marmellata o a uccidere. Allo stato attuale, il movimento usa il web come sfogatoio e luogo di ratifica plebiscitaria delle decisioni assunte dal capo. C’è la Casaleggio Associati, una srl, che eterodirige un gruppo parlamentare. C’è il rischio di appaltare le scelte di politica estera a una società privata che persegue i suoi fini. C’è una comunità politica le cui posizioni apicali non sono contendibili. Siamo la prima forza politica del paese, e questo comporta una responsabilità. Se domani andassimo al governo, con questa cabina di regia e il bando totale del dissenso interno, saremmo un pericolo per l’Italia”.

Il M5S ha un bug nel sistema. Ce n’è uno di movimento, anzi due, questione di minuscole. I soci dell’uno pretendono di espellere gli iscritti all’altro, e per domare il dissenso con metodi spicci e lapidari si approva un Regolamento in barba al Codice civile. “Siamo oltre il quorum”, sentenzia il leader del movimento per la legalità-tà-tà, lo stesso che applica ostinatamente un set di norme nulle per pronuncia tribunalizia. Il Regolamento sarebbe un “passaggio obbligato” per la presentazione delle liste alle elezioni politiche. Che cosa prevede? Lo statuto del Pcus, al confronto, disegna un paradiso libertario. In esso si dettaglia la procedura per le espulsioni già riassunta nei vari passaggi, ma la vera ciliegina, la chicca super sexy, sono le cause di espulsione. Si può essere espulsi, per esempio, “se sottoposti a procedimento disciplinare, si rilascino dichiarazioni pubbliche relative al procedimento medesimo”. L’espulsione può essere irrogata nel caso in cui si violi l’obbligo “di astenersi da comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del MoVimento 5 Stelle o di avvantaggiare altri partiti”, o quello “di attenersi a lealtà e correttezza nei confronti degli altri iscritti e portavoce”. Previsioni così congegnate potrebbero essere impugnate?

“Certo che sì – risponde l’avvocato Borré, il burattinaio dei ricorsi giudiziari contro Grillo et co. – Il divieto di rilasciare dichiarazioni pubbliche imposto a una persona cui siano state mosse contestazioni presenta un profilo di nullità in quanto viola l’articolo 21 della Costituzione. Se la norma fosse impugnata, qualsiasi tribunale ne dichiarerebbe l’illegittimità. Quanto ai comportamenti lesivi dell’immagine pubblica del movimento, la norma non sta in piedi sul piano giuridico perché la fattispecie deve essere tipizzata, e questa non lo è. Nella sua vaghezza essa consente all’interprete di irrogare espulsioni per i comportamenti più disparati”. Oltre a statuti e regolamenti, c’è un altro atto che potrebbe essere impugnato, chissà con quale esito: il Codice di condotta per candidati ed eletti. Il tema è affiorato a proposito della clausola sottoscritta, oltre che dai consiglieri comunali, anche dal sindaco Virginia Raggi il cui rapporto con i vertici è notoriamente ondivago. Si tratta di un contratto vero e proprio utilizzato in occasione delle amministrative 2016 a Roma, non a Torino. Secondo i bene informati, Casaleggio aveva colto le prime avvisaglie del possibile marasma capitolino e il rischio di deriva “pizzarottiana” per la candidata prescelta a Roma. Il Codice di condotta fissa i paletti all’azione amministrativa: le nomine “dei collaboratori delle strutture di diretta collaborazione o dei collaboratori dovranno essere preventivamente approvate a cura dello staff coordinato dai garanti del M5S” e “le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse vanno sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff”.

Il Vittorioso
Nel paragrafo dedicato alle “Sanzioni” si legge che il sindaco, ciascun assessore e ciascun consigliere assume l’ “impegno etico di dimettersi” se condannato anche solo in primo grado, o anche qualora venga iscritto nel registro degli indagati e la maggioranza degli iscritti al M5S mediante consultazione in rete ovvero i garanti del Movimento decidano per tale soluzione “nel superiore interesse della preservazione dell’integrità del MoVimento 5 Stelle”. Com’è noto, da diversi mesi l’assessora all’Ambiente Paola Muraro è indagata per abuso d’ufficio e violazioni ambientali, eppure non molla l’incarico. Le regole, che il capo si ostina a considerare in vigore a dispetto della pronuncia del giudice, le imporrebbero un passo indietro, ma Grillo la tiene lì. Lo stesso Di Maio, pubblicamente sbugiardato a causa della fuoriuscita di un’email del 5 agosto inviatagli dalla Taverna che lo informava dell’indagine in corso a carico dell’assessora, viene colto in flagranza (sapevi e non potevi non sapere, caro Luigino). Eppure nessuno gli oppone il cavillo del danno d’immagine, neppure un richiamo. Di Maio è perdonato. Stando al Codice di condotta, il candidato che vìoli i principi e l’impegno etico alle dimissioni ha l’obbligo di risarcire il movimento con una somma di “almeno 150 mila euro”. “E’ una clausola capestro giuridicamente illecita – commenta tranchant il principe del foro Titta Madia, cassazionista di lungo corso – Lo Statuto del partito può legittimamente pretendere, senza necessità di un contratto, che l’eletto rispetti i programmi, le idee, le direttive impartite da quella associazione. Ma la sanzione per l’inottemperanza consiste solo nell’esclusione dal partito o dal movimento. Non è possibile ipotizzare una sorta di risarcimento danni, ovvero un indennizzo o qualsiasi altra forma di sanzione pecuniaria per la violazione delle regole e delle direttive provenienti dal movimento. Ciò perché sarebbe violata la libertà costituzionale di chi è eletto alla funzione pubblica che deve essere esercitata in autonomia, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento. La norma costituzionale è evidentemente imperativa, attenendo al corretto funzionamento di un organo elettivo, e non può essere disattesa dalla privata volontà di un movimento politico”.

Le cause? “Robetta!”
La Raggi può stare tranquilla? “Ove non dovesse ottemperare a quello scriteriato contratto da lei sottoscritto, sarebbe allontanata dal movimento ma nessun giudice della Repubblica la condannerebbe a pagare i 150 mila euro. Queste elementari nozioni giuridiche avrebbero dovuto essere a conoscenza di qualche giurista del M5S. E se tale informazione tecnica e di buon senso fosse mancata, mi domando: nelle mani di chi siamo?”. Sul punto l’avvocato Borré aggiunge: “Lo statuto di Roma capitale attribuisce al singolo consigliere una indipendenza assoluta nell’esercizio del mandato. La multa non sta in piedi. Quanto al Codice di condotta, un bel giorno all’improvviso viene pubblicato sul blog e diventa legge. Ma chi l’ha compilato? Non è mai stato votato. Da dove trarrebbe una qualche legittimazione?”. In una giornata uggiosa incontriamo, a pochi passi dal Quirinale, un’autorità nel campo del diritto civile in Italia. E’ il professore Pietro Rescigno, anni 88, autore di ponderosi volumi che hanno formato migliaia di studenti. Nel 1966 il celebre giurista pubblica “Persone e comunità”, una pietra miliare se si vuole comprendere l’articolato universo giuridico delle associazioni umane. “Nel diritto privato – spiega il professore al Foglio – sindacati e partiti erano e sono rimasti associazioni non riconosciute. Nel tempo si sono ben guardati dall’assumere una personalità giuridica, una scelta legittima che però oggi scricchiola dinanzi alle nuove realtà che si affacciano nel panorama politico nazionale. Il M5S si definisce un non partito fondato su un non statuto. E’ chiaro a tutti che è un partito esattamente come gli altri ma assai meno democratico. L’articolo 49 della Costituzione, la nostra carta fondamentale di cui si vorrebbe modificare la seconda parte sebbene la prima sia rimasta ampiamente inattuata, sancisce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Nelle università abbiamo insegnato ai giovani che questa prima parte rappresentava un regime transitorio. Come spesso accade in Italia, il transitorio è diventato definitivo”.

Nel guazzabuglio stellato il movimento per la legalità fa a pugni con la legge. La creatura di Grillo et Casaleggio appare intrappolata in una sorta di autocrazia plebiscitaria tra codici e codicilli che non stanno in piedi. “Il M5S si dà delle regole che gli stessi aderenti conoscono in modo approssimativo. Non esiste la norma in quanto tale ma un’astratta e precaria disciplina che muta in base alle contingenze. Vige la discrezionalità del leader. In un’associazione non riconosciuta, come sono i partiti italiani, incluso il movimento di Grillo, l’espulsione è regolata, per analogia, sulla base del Codice civile: può essere disposta per gravi motivi e deve essere deliberata da un organo assembleare. Non può essere che il capriccio di uno solo decida se tu sei dentro o fuori”. Nel sistema grillino, ispirato alla volonté générale rousseauiana, l’eletto è un “portavoce” della base, esecutore delle indicazioni provenienti dal basso. “Questa è la narrazione che il movimento propone di sé. La natura privatistica di un’associazione non riconosciuta consente una certa libertà nel rispetto delle autonomie collettive. Tuttavia la Costituzione fissa certi paletti, come il divieto di mandato imperativo: il parlamentare è rappresentante della nazione, non di un capo o di una società di capitali. Nel M5S invece si accentua il distacco tra l’opinione pubblica che esso controlla e la realtà che viene gradualmente alla luce. L’Aventino su cui gli esponenti grillini generalmente si ritirano non aiuta. La questione è di sostanza, pensi soltanto alla sponda con il presidente russo Putin. In quale congresso è stata discussa? In un’associazione politica alcuni momenti deliberativi andrebbero formalizzati”. Paragonato ai 5 Stelle, il Pd somiglia a un Eden di partecipazione. Matteo Renzi tenta la scalata del partito da outsider, senza l’appoggio dell’establishment, e riesce soltanto al secondo tentativo grazie ad una competizione aperta. Nel M5S sarebbe inimmaginabile. “Le confesso che non sono un fan delle primarie, rischiano di fotografare un dato di partecipazione slegato dall’effettiva appartenenza al partito. Tuttavia indubitabilmente il Pd si rifà a un sistema più tradizionale e nel contempo più democratico di quello grillino. Il giorno in cui dovessero crescere le responsabilità formali del M5S, la Rete sarebbe garanzia di democraticità? Persino la Democrazia cristiana era più democratica dei 5 Stelle. C’erano correnti organizzate che si confrontavano in congresso a colpi di mozioni contrapposte. Nei momenti elettorali si rinsaldava l’unità del gruppo. Il M5S ha incanalato il sentimento anti-sistema, costante dei nostri tempi, ma non ha saputo liberarsi dall’alone di mistero che lo avvolge. Prevale l’opacità. Credo che Grillo e Casaleggio siano stati colti impreparati dalle dimensioni assunte dal movimento. Un sistema leaderistico così accentuato rappresenta un rischio per la democrazia italiana”.

Cesare Pinelli fb
Nel quartiere romano di San Lorenzoil costituzionalista Cesare Pinelli ha appena concluso un dibattito con il presidente di Magistratura democratica, il tema è il referendum. Pinelli è per il sì, Md è per il no. In sala non si contano più di quindici persone, alla fine il prof si spazientisce, saluta gli astanti e se ne va. “Mi segua che parliamo”, d’accordo. Professore, il M5S è un partito, un non partito, una bocciofila? “Non scherziamo, Grillo e Casaleggio hanno fondato un partito in Italia. Il non statuto è una pagliacciata, un artificio retorico. Come chiariscono i giudici, sul piano giuridico il M5S è un partito a tutto tondo. Anzi, le dirò, è il partito italiano più autoritario. Al suo interno, attraverso codici e codicilli, esso realizza l’ambizione che gli è impedita in Parlamento”. Che intende? “Grillo sogna di imporre agli eletti un mandato imperativo espressamente vietato dall’articolo 67 della Costituzione. E dire che si oppongono alla riforma perché vorrebbero salvarla questa Costituzione. Io domando: l’hanno letta?”. I grillini non sono la sua tazza di té. “Il divieto di mandato imperativo esiste da due secoli in tutti i regimi democratici. Il M5S è il massimo dell’autoritarismo combinato con il massimo della finzione democratica”. Gli eletti a Roma hanno sottoscritto una clausola contrattuale che punisce chi dissente con una multa di almeno 150 mila euro. “Nessun giudice la applicherebbe, è una norma palesemente incostituzionale. Gli esponenti grillini non sono i camerieri di Beppe Grillo. Una volta eletti, rappresentano le istituzioni”.

Il tribunale di Napoli ha dichiarato l’illegittimità del Regolamento che Grillo applica per irrogare espulsioni e che, stando alle parole del leader, dovrebbe consentire la presentazione delle liste alle elezioni politiche. ‘Siamo oltre il quorum’, è il refrain. “Modifiche e integrazioni statutarie prevedono quorum e soglie vincolanti. Le forme, in democrazia, contano. E’ paradossale che un movimento nato per affermare la legalità esibisca una tale noncuranza per il rispetto della norma scritta”. Una vecchia storia, le regole si applicano per i nemici e s’interpretano per gli amici. Se il 4 dicembre vince il no, si spiana la strada a un governo grillino? “Maggiore sarà il distacco dal sì, maggiore sarà la probabilità che la principale forza di opposizione diventi catalizzatore di un movimento che porti alle elezioni. E’ vero che bisognerebbe rifare le leggi elettorali di Camera e Senato, ma questo sarebbe un rompicapo per gli altri partiti, non certo per il M5S, che com’è suo costume si siederebbe sulla riva del fiume”. Il M5S è un pericolo per la democrazia? “L’assetto interno di un partito non è mai indifferente per quello che farà una volta conquistato il potere. Quello grillino è decisamente inquietante, torbido, autoritario. Da tempo il M5S ha gettato la maschera dell’assoluta orizzontalità della partecipazione in Rete. Il vero obiettivo dei vertici è cacciare i dissenzienti non solo dal gruppo parlamentare ma dal Parlamento, in barba al dettato costituzionale. D’altra parte, costoro conoscono solo la Costituzione coast to coast, un logo buono per le felpe che indossano, e niente più”.