martedì 28 febbraio 2012

Mozione popolare contro l’attribuzione ad una organizzazione finanziaria intergovernativa del fondo “salva stati”

A Londra, piazza St. Paul occupata
Il blog ed il gruppo “Civium Libertas” nonché il Forum dei LXX, che nasce come spontanea aggregazione di cittadini, è perfettamente compreso della gravità del momento che non solo l’Italia sta attraversando, ma tutta l’Europa ed il mondo intero. Sono momenti critici in cui si misurano le responsabilità di un’intera generazione. Noi abbiamo voltato le spalle a quanti dagli scranni dei loro privilegi pretendono di rappresentare un paese ed una nazione che in realtà hanno sempre tradito e consegnato a poteri estranei ed alieni. Da questi signori non ci aspettiamo nulla di buono, ma solo dei male, tanto più male quanto più essi pretendono di rappresentarci e di parlare a nostro nome. Fanno la guerra e ci dicono che è pace, sobillano, finanziano ed armano sedizioni interne in stati sovrani, ma gridano alla violenza per qualche vetrina rotta dai cortei di protesta nelle nostre strade, dicono di voler esportare con le armi la “democrazia” ma reprimono il nostro dissenso e vogliono imporci il “pensiero unico”, cioè il loro. Neppure Orwell avrebbe potuto immaginare tanta protervia: sono “maiali” che hanno perso le loro sembianze umane. Guardiamo con fiducia al movimento di occupazione delle piazze, che per noi significa una riappropriazione della sovranità da parte del popolo. Non auspichiamo la violenza, che tuttavia i governi praticano con efferatezza. La sola forma di violenza è l’occupazione stessa delle piazze, che tuttavia dovrebbero appartenere di pieno diritto al popolo, per l’esercizio della sua sovranità, da esercitare con elaborazioni e progetti di riforma costituzionale. Con questo spirito pubblichiamo la mozione che segue che trae origine da spontanei moti di protesta. Non abbiamo partecipato alla sua elaborazione, ma nessuno può essere presente in tutti i luoghi e in tutti i momenti in cui un moto rivoluzionario può e deve manifestarsi. Solo da una molteplicità infinita di  associazioni, movimenti ed iniziative concorrenti e convergenti può scaturire il processo democratico di riappropriazione della sovranità popolare. Siamo fiduciosi nella sintesi e nell’unità che i popoli d’Europa sapranno trovare.

CIVIUM LIBERTAS


Mozione popolare contro l'attribuzione ad una organizzazione finanziaria intergovernativa del fondo “salva stati”


Premesso che:

Il dibattito sulle cause della crisi è praticamente scomparso dalla scena pubblica.

In un contesto di questo tipo le politiche di austerity rappresentano un sacrificio drammaticamente inutile per i cittadini in quanto, sostanzialmente, si tratta di versare ulteriore liquidità nel buco nero della finanza speculativa.

I leader dei paesi europei stanno tentando, in fretta e furia, di portare a regime il trattato che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), ossia lo strumento scelto dalla politica di Bruxelles per fornire assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà, sulla base, si badi bene, del rispetto da parte dello Stato (potenziale) debitore di “rigorose condizionalità” negoziate con l'ESM nell'ambito di un programma macro-economico di aggiustamento e di una rigorosa analisi di sostenibilità del debito pubblico.

Il trattato ESM non è semplicemente un insieme di regole finalizzate ad ottenere la stabilità finanziaria della zona euro ma si tratta di un documento che disciplina l'istituzione di un organismo finanziario internazionale dove i 17 paesi aderenti, compresa l'Italia, dovranno negoziare, non in qualità di Stati sovrani ma di soci e di debitori, scelte di politica nazionale al fine di ottenere la liquidità necessaria per evitare il default.

La pericolosità di tale scelta per i cittadini europei è riscontrabile nelle trattative con il governo greco: organismi internazionali (troika) mirano a sostituirsi alle istituzioni nazionali imponendo ai rappresentanti politici la firma di un documento che attribuisce il peso della crisi alla popolazione, in cambio dell'assistenza finanziaria necessaria per pagare il debito in scadenza. Taglio delle pensioni, riduzione dei salari minimi e privatizzazioni, queste sono misure di austerità che scavalcano i sistemi democratici e che tolgono ai cittadini la possibilità di poter attuare politiche di sviluppo economico in grado di contrastare la finanza speculativa.

L'ESM intende operare come un qualsiasi istituto finanziario, erogando prestiti, rivolgendosi al mercato per potere soddisfare le richieste di concessione di denaro al fine di ottenerne un profitto.

I membri dell'istituzione finanziaria ESM, compresi quelli dello staff, sono immuni da procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni. L'ESM gode inoltre di una incomprensibile “inviolabilità” dei documenti.

Il trattato stabilisce che i beni, le disponibilità e le proprietà del MES, ovunque si trovino e da chiunque siano detenute “godono dell’immunità da ogni forma di giurisdizione, salvo qualora il MES rinunci espressamente alla propria immunità in pendenza di determinati procedimenti o in forza dei termini contrattuali, compresa la documentazione inerente gli strumenti di debito” e “non possono essere oggetto di perquisizione, sequestro, confisca, esproprio e di qualsiasi altra forma di sequestro o pignoramento derivanti da azioni esecutive, giudiziarie, amministrative o normative”.

Dal punto di vista democratico, considerando anche i grandi sacrifici che vengono chiesti agli stati europei, risulta incomprensibile la scelta di garantire l'esenzione fiscale all'ESM.

Nonostante l'assenza pressoché totale di informazione, il trattato ESM non è ancora entrato in vigore in quanto occorre la ratifica da parte degli stati aderenti della modifica dell'art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell'UE (decisione del Consiglio Europeo) che istituisce il meccanismo di stabilità finanziaria per la zona euro.

Il Parlamento europeo si è già espresso in favore della modifica dell'art. 136 con 494 voti favorevoli.
Se i parlamenti nazionali ratificano l'entrata in vigore del trattato ESM si potrebbero anche verificare gravi scenari di retrocessione civile.

In Italia, il disegno di legge (n. 2914/2011) per la ratifica è stato presentato dall'ex ministro degli Affari esteri, Franco Frattini, di concerto con l'ex ministro dell'Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, l'ex ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, l'ex ministro per le Politiche europee, Anna Marina Bernini Bovicelli. Già la 1° commissione permanente Affari Costituzionali ha dato esito “non ostativo” (14 dicembre 2011) e la 14° commissione permanente Politiche dell'unione europea si è espressa in modo favorevole con osservazioni (25 gennaio 2012).

Sarebbe estremamente utile che i cittadini degli altri 16 stati verificassero lo stato di attuazione della ratifica della modifica dell'art. 136 nel proprio paese.

Si chiede:

ai parlamentari nazionali di esprimere voto contrario alla ratifica della modifica dell'art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell'UE; al Presidente del Consiglio Mario Monti di spiegare ai cittadini italiani “luci ed ombre” del trattato ESM mediante dibattiti pubblici e di valutare proposte alternative di soluzione alla crisi; al Presidente della Repubblica di non autorizzare la ratifica e di riferire pubblicamente le motivazioni del grande silenzio sui reali termini dell'entrata in vigore dell'ESM.

Si invitano:

associazioni, movimenti, intellettuali, lavoratori, imprenditori e qualsiasi altra categoria sociale dei 17 paesi aderenti a mobilitarsi per contrastare l'entrata in vigore del trattato ESM in modo civile e non violento, anzitutto sottoscrivendo questa mozione popolare. Sarebbe inoltre utile inviare richieste di chiarimenti ai parlamentari nazionali, ai ministri e, almeno per quanto riguarda l'Italia, al Presidente della Repubblica; giornalisti di qualsiasi mezzo di informazione pubblico o privato a trattare la questione; magistrati e docenti universitari a valutare l'esistenza di profili di incostituzionalità e ad esprimersi sull'impatto che le immunità ed i privilegi contenuti nel trattato ESM possono avere nella vita democratica del paese, tenendo anche conto del crescente grado di corruzione politica.

mercoledì 8 febbraio 2012

Scene di gioia e amore in Damasco: facciamo un poco di chiarezza sulla battaglia dei Giganti intorno alla Siria

Riempivano gli occhi e scaldavano il cuore le immagini che questa mattina hanno salutato al risveglio gli spettatori dei media alternativi. Una lunga diretta trasmessa su RT e Press-TV mostrava l'arrivo in Damasco del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, in visita ufficiale in Siria per incontrare il Presidente Bashar al-Assad dopo gli eventi recenti nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU che riguardavano proprio la Siria e vedevano protagonisti la Cina e appunto la Russia.

E' stato accolto festosamente dal popolo siriano con gli onori degni di un eroe, il ministro russo, quando il lungo corteo presidenziale è sfilato per le vie di Damasco.

Era massiccia la presenza delle forze dell'ordine - ma non sarebbe stato necessario, se non per motivi di protocollo.

A fatica gli agenti tentavano di tenere a bada i cittadini che spingevano per avvicinarsi al corteo esibendo le bandiere della Russia. Qualunque timore per un eventuale assalto violento si rivelava del tutto infondato. La folla in festa altro non voleva che dare un caldo benvenuto e manifestare la propria gratitudine all'uomo che si è esposto per difendere la Siria e il suo leader nei media - al rappresentante del paese che ha avuto il coraggio di opporsi all'aggressione delle potenze Occidentali  nella recente sessione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

I siriani sono perfettamente consapevoli di chi siano i loro veri nemici - ma i "farabutti dei media" - come li definisce regolarmente il giornalista americano Stephen Lendman - ogni giorno riversano sugli schermi dei paesi occidentali le versioni fraudolente dettate dai poteri a noi noti, secondo cui il Presidente siriano al-Assad sarebbe il carnefice del suo popolo.

Le intenzioni di USA, Israele, e dei paesi vassalli nella NATO e nella Lega Araba sono di replicare le modalità del "caso Libia", servendosi dei media per fare credere al mondo che il leader siriano sia un feroce tiranno che "tenta di soffocare nel sangue una rivolta civile". Niente è più lontano dalla verità.

Ma andiamo per ordine.

Cerchiamo di capire perché il ministro degli esteri russo veniva oggi accolto con una tale manifestazione di entusiasmo, in una scena che vorremmo vedere ripetersi ogni giorno - la scena di popoli che hanno motivi validi per acclamare un funzionario di governo che viene in solidarietà con i cittadini e il loro leader. Un leader - Assad - che certo non è un santo, ma che gode della gratitudine del popolo siriano perché finora è riuscito a tenere a bada i falchi di USA e Israele, impedendo ai due regimi di impossessarsi del paese ed evitando alla Siria la stessa sorte purtroppo toccata ad altre nazioni confinanti con Israele che ora gravitano nell'orbita del regime sionista con governi fantoccio che hanno venduto la sovranità dei rispettivi paesi alle mire imperiali degli USA e all'egemonia sionista nella regione.

Le scene di giubilo che abbiamo visto oggi in Damasco sono il risultato della vittoria conseguita dalla Russia e dalla Cina in favore della Siria.

Una vittoria che vale doppio perché è il risultato di sforzi diplomatici e non di conflitti armati in cui vince chi possiede le armi di distruzione di massa più micidiali.

La vittoria diplomatica è stata conseguita due giorni fa, quando per la terza volta nel giro di pochi mesi, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU (CdS) si è riunito per deliberare sulle proposte per una Risoluzione contro la Siria, formulata in un testo preparato dalla Lega Araba che, a dispetto del suo nome ufficiale, è l'organismo che rappresenta gli interessi degli USA e di Israele nella regione.

Visto il fallimento delle due sessioni precedenti, in cui Cina e Russia si sono opposte con il veto, la Lega Araba nella sua cecità e arroganza aveva questa volta presentato un testo in apparenza meno aggressivo - ma appunto solo in apparenza.

Ma anche questa volta, Russia e Cina non si sono fatte ingannare e il veto è arrivato puntualmente.

Lo scontro che si è scatenato successivamente nella sede dell'ONU è stato dei più feroci. Le maschere della decenza diplomatica sono cadute e l'osceno volto del Potere si è rivelato in tutto il suo maligno splendore.

In una sessione trasmessa integralmente da Press-TV e durata diverse ore, abbiamo assistito alla votazione dei membri del CdS, al veto di Cina e Russia, e alle successive dichiarazioni degli attori principali del dramma che andava in scena.

L'ambasciatrice USA presso l'ONU, Susan Rice, che si contorceva sulla sua sedia, fumante di rabbia, ha dichiarato "disgustoso" il rifiuto di Cina e Russia di piegarsi alla presunta "volontà della comunità internazionale preoccupata della sicurezza dei cittadini oppressi dal regime siriano", aggiungendo che il veto dei due paesi rappresentava una "farsa" delle procedure dell'ONU. (???)

L'ambasciatore siriano presso l'ONU, visibilmente turbato dalle parole offensive della Rice, ha replicato con tono tuttavia calmo e posato, in pieno contrasto con il linguaggio inviperito della rappresentante americana, commentando: «Cara signora ambasciatrice, ciò che è disgustoso sono gli oltre 60 veti posti sistematicamente dagli USA a qualunque Risoluzione ONU nei confronti di Israele. ... E come osa lei ripetutamente chiamare "regime" il legittimo governo della Siria ...»

Molto compassata è stata la replica dell'ambasciatore della Cina, che non ha dato soddisfazione alle contorsioni fisiche e dialettiche della rappresentante di Washington e si è limitato a fornire le motivazioni razionali e realistiche del veto posto dal suo paese.

Alquanto colorita è stata invece la reazione dell'ambasciatore russo all'ONU, Vitaly Churkin - non tanto nella replica peraltro molto apprezzabile durante la sessione del CdS, quanto successivamente, durante il suo incontro con la stampa, sempre trasmesso in diretta dal Palazzo dell'Onu in New York.

Sorprendentemente, la stampa sembrava in prevalenza schierata dalla parte delle forze che si opponevano alla Risoluzione contro la Siria - lo si capiva benissimo dalle domande prive di polemica nei confronti di Churkin, ma molto critiche verso l'esibizione andata "in onda" da parte della rappresentante di Washington. Uno dei giornalisti chiedeva a Churkin, con tono complice, di ripetere quanto dichiarato dall'ambasciatrice USA, ma Churkin - che sembrava alquanto divertito dalla proposta - ha risposto con tono scherzoso lasciando intendere che non si sarebbe abbassato ai livelli esibiti dall'ambasciatrice degli Stati Uniti, perché non avrebbe potuto ripetere i discorsi della collega senza scendere in una parodia non degna di un diplomatico. 

Subito è arrivata anche la reazione della Clinton, ministro degli esteri USA, che dalla sede della Conferenza sulla Sicurezza in atto come ogni anno in Monaco di Baviera, dichiarava: «La Cina e la Russia dovranno da ora in poi portare il peso della responsabilità per lo spargimento di sangue dei cittadini siriani che sarà la conseguenza del veto sulla Risoluzione Onu.»

Ma la reazione più dura è arrivata il giorno dopo da parte del ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov - ora appunto in visita a Damasco. Ha condannato le reazioni "isteriche" degli USA al veto di Cina e Russia, lasciando intendere con un giro di frase scelto con cura, che l'appellativo di "isteriche" era diretto alle "incontinenze verbali" delle due rappresentanti USA. Inoltre ha ben illustrato il motivo del veto russo alla risoluzione, spiegando tra l'altro che non fa parte dello statuto dell'ONU sostituire le forze di governo nei paesi membri. E che pertanto un'interferenza e un intervento militare esterno per rovesciare un governo è illegale.

E a proposito delle due ladies americane chiamate in causa, va spiegato questo: l'ambasciatrice all'ONU Susan Rice, secondo gli esperti, ambisce alla carica ora rivestita dalla Clinton, qualora Obama fosse rieletto nelle presidenziali che si terranno in novembre. La Rice è consapevole che tale carica dipenderà in ultima istanza dalla sua fedeltà alle direttive della Israel Lobby AIPAC, che ha sempre l'ultima parola in fatto di scelte per le cariche nelle posizioni chiave del potere americano.

Mentre alla Clinton i giornalisti seri che leggiamo nel web hanno dato l'appellativo di Dea della Guerra, specificando che Hillary è talmente priva di carisma e altrettanto consapevole di contare poco e niente sullo scacchiere strategico mondiale, che deve sopperire al suo peso politico a gravità zero adottando un linguaggio aggressivo per attirare i riflettori dei media.

Detto ciò, è importante non farsi illusioni su quanto succede intorno e all'interno della Siria.

La Siria è attualmente il teatro di guerra in cui si scontrano i Giganti della scena politica mondiale, schierati su due fronti opposti.

Da una parte le forze imperiali USA/Israele sono all'opera assoldando forze mercenarie e gruppi terroristici in appoggio alle sfere che in Siria vogliono prendere il potere. Secondo un modello ben noto e collaudato, generano il caos per creare divisione e ostilità settarie. Vogliono replicare il "modello Libia" - ma questa volta qualcosa non va nel verso voluto (la cecità del potere arrogante !)

Dall'altra parte, le grandi potenze non allineate con l'Impero - Cina e Russia - tentano di tutelarsi opponendo resistenza. Ovviamente noi speriamo che le due potenze siano sinceramente preoccupate per la sorte del popolo siriano. Ma restando con i piedi per terra e analizzando la situazione nell'ottica della Realpolitik, è importante considerare che la Siria è l'anticamera per entrare in Iran, e che l'Iran è l'anticamera per entrare in Russia e Cina, entrambe da tempo nel mirino degli USA. E' ovvio che la preoccupazione maggiore dei due governi è quella di salvaguardare la sovranità dei rispettivi paesi.

Ciò che osserviamo al momento sulla scena politica mondiale relativa alla Siria (ma anche all'Iran) è l'espressione del conflitto tra i due schieramenti opposti.

Da una parte  c'è il polo USA/Israele/Arabia Saudita, con i vari stati vassalli che gravitano nelle loro rispettive orbite: Unione Europea, Australia, Canada, e gli stati del Golfo asserviti come Qatar, Bahrein, Giordania, EAU e altri.

Dall'altra parte troviamo schierate Cina e Russia - oltre all'Iran con i suoi alleati Siria e Libano. Infatti, come commentava in una recente intervista il grande giornalista Mahdi Nazemroaya, appena insignito del premio internazionale per il "reportage di guerra" (in Libia), la guerra di Israele contro il Libano nel 2006 mirava non solo a distruggere il movimento di resistenza del Libano, Hezbollah, ma anche a invadere la Siria e rovesciare il governo Assad.

Come sappiamo, tale campagna militare è finita male per Israele che ha subìto una sonora e sanguinosa sconfitta, perché Hezbollah è stato assistito dall'Iran con un appoggio militare massiccio e determinante. L'invasione della Siria è stata quindi rinviata per cause di forza maggiore.

Le prime reazioni aggressive da parte del polo schierato con USA/Israele, sono arrivate il giorno dopo il veto di Russia e Cina nell'ONU Le ambasciate di Siria e Russia sono state attaccate in diverse capitali: un messaggio forte e chiaro da parte di chi sta armando la rivolta creata artificialmente in Siria.

Oggi invece arrivano le notizie della chiusura delle ambasciate in Siria da parte dei paesi che costituiscono l'anello politico più debole della catena pro-USA / pro-Israele, tra cui anche l'Italia. Mentre è di poco fa la notizia che gli stati del Golfo Persico - vassalli dell'Arabia Saudita - stanno espellendo gli ambasciatori siriani nelle rispettive capitali.

Forse sarà evitata una replica del "modello Libia" - certamente la NATO non avrà gioco facile per via del Polo schierato in opposizione alle mire di Tel-Aviv e di Washington.

Tuttavia molti esperti temono che alla fine i neo-con sionisti degli USA, e i loro alleati attivi e passivi di comodo, troveranno un modo per aggirare l'ostacolo della legalità e per sferrare un attacco militare alla Siria. A dire il vero, una guerra finanziata da USA/Arabia Saudita e Qatar è già in atto in Siria, seppure non ancora su scala massiccia.

E ricordiamo che tutto questo succede principalmente come conseguenza del cancro Israele che si è introdotto nel tessuto vivo delle terre arabe come una cellula estranea, che tenta di espandersi sull'intero corpo fino a consumarlo interamente.


In due articoli successivi, il giornalista e autore americano Stephen Lendman descrive la situazione della Siria come segue

«Le mire di Washington sono di rovesciare i governi di Siria e Iran, sostituendoli con regimi fantoccio che non si opporranno al controllo e allo sfruttamento delle risorse del Medio Oriente da parte dell'impero.

«Con il veto del 4 febbraio Russia e Cina si sono opposte ad una risoluzione che avrebbe fatto cadere il presidente Assad. Come dicevo in un articolo precedente, Assad è la vittima, non il carnefice. Eppure viene falsamente accusato delle violenze generate di proposito dall'esterno.

«In effetti, Assad si è trovato a far fronte ad una insurrezione armata generata dalle potenze che tentano una ripetizione di quanto provocato in Libia. Nell'opporsi, Assad ha agito responsabilmente, contrastando le aggressioni occidentali come poteva.

«Immaginate se uno scenario simile si verificasse in USA (forze straniere che assoldano e armano gruppi di opposizione con mire di potere, per rovesciare il governo americano). Le forze della polizia, l'esercito nazionale e le forze al comando del Pentagono li affronterebbero con violenza inaudita. Le forze congiunte americane eccederebbero di gran lunga la reazione mostrata da Assad in Siria.

«Ne conseguirebbero uccisioni di massa. Ovviamente i farabutti dei media occidentali che ora accusano Assad, approverebbero la reazione delle forze nazionali americane. L'auto-difesa di Assad in Siria viene chiamata dal New York Times: "una carneficina sponsorizzata dallo stato" - (dimenticando che in gran parte i morti ammazzati sono proprio gli esponenti le forze dell'ordine e dell'esercito siriano).

«La posizione dei media sostituisce la verità con la disinformazione. La versione dei fatti reali viene evitata con cura per tradire il pubblico con versioni fraudolente. Il NYT lo fa da decenni.

«Da quando la violenza è scoppiata in Siria nel marzo dell'anno scorso, è stato accusato il governo siriano - per mezzo dei media - delle violenze provocate dall'Occidente. Fa parte del progetto di Washington chiamato "New Middle East", che prevede la presa del Nord Africa, del Medio Oriente e dell'Asia Centrale fino alle regioni di confine con Russia e Cina.

«In tale ottica, da oltre un decennio vengono presi di mira Iraq, Afghanistan, Libano, Iran, Somalia, Yemen, Sudan, Libia e Siria, e altri paesi non lontani dalla regione.

«L'obiettivo di Washington è ora replicare ovunque per mezzo della NATO il modello impiegato per la Libia - che possa riuscirci in Siria è ancora da vedere.

«Al momento le forze che operano in Siria sono mercenari entrati dai paesi confinanti. I civili siriani si trovano intrappolati da forze terroriste esterne convergenti. Nessuna fine delle violenze in vista. In effetti, il peggio deve ancora arrivare.

«La Russia intanto ha dispiegato le "Forze di Rapida Reazione" (Spetsnaz) nelle basi sul Mar Nero, pronte a entrare in azione per difendere la Siria. ...

(Sappiamo anche, che una flotta militare russa è dispiegata nelle acque al largo della Siria, pronta a intervenire appena necessario)

Continua Stephen Lendman:

... «Nonostante il popolo sia dalla parte di Assad (sanno bene cosa succede) - la Casa Bianca dichiarava il 4 febbraio: "Assad deve mettere fine ai crimini contro il suo popolo e deve dimettersi perché si possa instaurare un governo democratico".

«Ma Washington dimentica che mai nella storia, nessuna nazione o combinazione di forze congiunte ha causato maggiore distruzione e sofferenza di quanto lo abbiano fatto gli Stati Uniti nel mondo.

«Inoltre, Washington non tollera la democrazia - né in casa né tantomeno all'estero.

«Washington dichiara: "Assad non ha il diritto di governare la Siria, ha perso ogni legittimità nei confronti del suo popolo e della comunità internazionale. Dobbiamo intervenire per proteggere il popolo siriano dalla abominevole brutalità di Assad".

«Ma Washington dimentica, che il diritto internazionale proibisce ogni interferenza esterna nelle questioni interne di altre nazioni - e dimentica anche che la "abominevole brutalità" in Siria è interamente provocata dalle forze occidentali. La violenza era inesistente finché gli USA e i suoi complici dei paesi Nato e quelli regionali come l'Arabia Saudita e il Qatar sono intervenuti.

«E dimentica la parte che Israele ha in tutto questo.

«Washington dichiara: "Dobbiamo affiancarci al popolo siriano per costruire un futuro migliore per la Siria. Al popolo afflitto della Siria diciamo: siamo con voi, e il regime di Assad deve finire".

«Ma cosa fa Washington quando "affianca i popoli afflitti"?

«La risposta la conoscono bene i popoli in Iraq, Afghanistan, Libia, Somalia, Bahrein, Yemen e molti altri popoli nel mondo, che conoscono bene l'orrore dell'intervento di Washington...

«E soprattutto la risposta la conoscono bene i Palestinesi.

«Ma la conoscono bene anche i cittadini della Siria. Si oppongono al terrore di Washington con tutte le forze.

«E vorrei citare il Prof. Chossudovsky, direttore del Center for Global Research in Vancouver, (con il quale collabora anche Mahdi Nazemroaya citato in alto). Il 4 febbraio Chossudovsky spiegava: le forze che operano in Siria sono gruppi mercenari al soldo dell'Occidente, in appoggio ad un'organizzazione paramilitare che si chiama (eufemisticamente) Siria Free Army, ed è coinvolta in atti di terrorismo.

«Sono loro che uccidono le centinaia di forze dell'ordine e soldati dell'esercito. Sono loro che provocano il terrore imputato ad Assad. Sono loro che distruggono le infrastrutture e gli oleodotti, i treni e i mezzi che trasportano carburante, gli edifici civili e altri obiettivi.

«Le loro fila sono composte di elementi simili ai militanti che operavano in Libia, compresi gli affiliati ad al-Qaeda, e gruppi Salafisti e Wahhabisti. Sono supportati da Israele, Turchia e Saudi Arabia - ma anche da altri stati del Golfo Persico, come Qatar e Giordania (dai loro governi, non dai popoli ovviamente).

«Ora ci sono Russia e Cina a contrastare da soli l'intera coalizione composta da Washington, Gran Bretagna, Francia, Germania, Portogallo, Colombia - oltre aTurchia, Saudi Arabia, Kuwait, Qatar, Oman, EAU, Bahrein, Giordania - e il nuovo governo fantoccio della Libia.

«Si sono opposti con coraggio nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU - e l'ambasciatrice USA Susan Rice li ha accusati di "tenere il Consiglio in ostaggio"

«Nella sua replica, l'ambasciatore russo Vitaly Churkin osservava: "il compito del CdS dell'ONU è appunto quello di favorire le soluzioni diplomatiche - mentre invece fin dall'inizio della crisi in Siria alcuni paesi membri che siedono a questo tavolo hanno ostacolato qualsiasi tentativo di trattative pacifiche, intervenendo dietro le quinte per armare l'opposizione contro il governo". ...

«Churkin commentava inoltre che il testo della Risoluzione rigettata da Cina e Russia "non rifletteva la realtà in Siria ... Gli sponsor della Risoluzione dimenticano che l'opposizione in Siria, per essere legittima, deve distanziarsi dai gruppi estremisti che commettono atti di terrore, né chiedere l'appoggio di altri stati pronti ad esercitare la forza in virtù della propria superiorità militare. L'unico appoggio lecito è quello dell'influenza esercitata per fare cessare atti di violenza".

«E come ha reagito il Segretario Generale dell'ONU? Come il suo predecessore Kofi Annan, anche Ban Ki-Moon è uno strumento dell'Impero. In merito al veto nel CdS dell'Onu si è espresso dichiarando il veto di Cina e Russia "una grande delusione per il popolo della Siria e per l'intero Medio Oriente, così come per tutti coloro che supportano la democrazia e i diritti umani".

«Ban Ki-Moon, un servo di Washington, non ha mai deluso, lui, il suo padrone, con il suo appoggio ai crimini dell'Impero e quelli di Israele contro i Palestinesi.

«Non c'è da stupirsi che i cittadini di Gaza lo abbiano accolto con lanci di scarpe e sassi qualche giorno fa, mentre era di passaggio in Gaza dopo la visita a Israele (l'altro suo padrone).


In un suo commento durante la diretta di Press-Tv sulla Siria, Lendman commentava:

«Washington cerca sempre l'ombrello diplomatico per le aggressioni che intende sferrare. Ma con o senza l'approvazione dell'Onu, Washington non si fermerà. Nel 1999 ha bypassato il CdS nell'intervenire in Serbia/Kosovo, dichiarando, che bastava l'autorizzazione della NATO.

«Obama ha in mente il rovesciamento dei governi in Siria e Iran, e agirà di conseguenza. C'è da aspettarsi scenari simili a quelli già osservati in precedenza. Forse un'operazione "false flag" - un incidente provocato sotto falsa bandiera - farà precipitare gli eventi. Sappiamo che quando Washington vuole qualcosa, la ottiene in un modo o nell'altro.

«Con il supporto dei media di massa, la farà franca anche questa volta, con le uccisioni e con le bombe.

In uno degli articoli, Lendman cita il grande John Pilger, secondo cui la prima vittima della guerra è il giornalismo. Specificava John Pilger:

«Non solo: durante la guerra il giornalismo diventa una vera e propria arma bellica, con la sua censura e il suo inganno che soprattutto in USA, Gran Bretagna e altre "democrazie" occidentali funziona benissimo; la censura per omissione ha un potere tale che in tempi di guerra può rappresentare la differenza tra la vita e la morte per i popoli di paesi lontani ...»


Poi Lendman cita David Edwards e David Cromwell, che nel libro intitolato "Guardians of Power" (i guardiani del potere), spiegano che oggi il giornalismo è in crisi e mette a rischio la libertà e la sicurezza dei popoli; che i fatti della realtà sono sostituiti dalla fiction; che le notizie vengono filtrate accuratamente; che il dissenso viene minimizzato, e l'appoggio al potere sostituisce l'informazione esauriente e corrispondente alla verità.

Come dicevamo in alto: le scene di gioia in Siria per la solidarietà espressa nei confronti del paese, sono ciò che vorremmo vedere ogni giorno, ovunque nel mondo.

Noi continuiamo a sperare e a non farci scoraggiare, per quanto disperata la situazione che si manifesta ai nostri occhi.

giovedì 2 febbraio 2012

Le politica e la morale in Max Scheler in una recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Max Scheler
Max Scheler, Politica e morale (con saggio introduttivo di L. Allodi), Morcelliana, www.morcelliana.com, Brescia 2011, pp. 174, €12,00

Come scrive Scheler nelle prime pagine “Quando si parla di un conflitto tra «politica e morale», si può alludere al conflitto tra i fini, le regole, le leggi a cui l’agire politicamente ed eticamente significativo si ispira o deve ispirarsi; ma si può anche alludere al conflitto vissuto in prima persona, per esempio dall’uomo di Stato, dal cittadino ecc.” e, in tal senso “possiamo vedere nell’uomo di Stato in primo luogo l’uomo in quanto uomo privato, che sottostà alle stesse leggi morali di un altro uomo. In quanto statista questo uomo ha poi un dovere professionale morale, che appartiene senz’altro ai “doveri morali individualmente validi”, di vivere e agire per il bene generale dello Stato; un’altra, e “diversa questione, che in realtà è la questione centrale vera e propria, è che cosa si determina nel rapporto dello Stato in quanto Stato e dell’uomo di Stato, nella misura in cui egli si identifica con l’interesse dello Stato, con il potere statale, con gli altri Stati e uomini di Stato” di conseguenza “Così potrebbe essere che proprio il primo dovere etico e professionale dell’uomo di Stato sia di agire in quanto uomo di Stato, indipendentemente da obblighi morali e di andare oltre i limiti della morale e del diritto”.

A tale problema, prosegue l’autore, si sono date diverse soluzioni, distinte in quattro concezioni fondamentali “1° tipo: subordinazione della morale alla politica, il che significa: ciò che chiamiamo “regole morali” non sono altro che l’esito di lotte – politiche ed economiche – di classe e di potere (come pensano Hobbes e Marx)... 2° tipo: subordinazione della politica alla morale. Questa concezione, monistica al pari della precedente, si presenta come: A. “politica negativa”, ovvero della non-violenza, B. in due versioni: a) la morale stabilisce positivamente i fini della politica, oppure b) limita quest’ultima nello spazio del moralmente lecito. La politica è «morale applicata»;... 3° tipo: tra morale e politica non esiste unità, nè subordinazione unilaterale: lo statista non è vincolato ad alcuna legge morale, anzi può trasgredirla arbitrariamente in favore della potenza e del benessere del proprio Stato. Egli è tenuto ad agire basandosi esclusivamente sugli interessi oggettivi di quest’ultimo, cioè secondo la “ragion di Stato”. Le norme morali godono certo di autonomia, ma sono valide soltanto per gli individui. Questa soluzione strettamente dualistica ha preso avvio da Niccolò Machiavelli, il suo più importante e incisivo portavoce; ... 4° tipo: esistono due tipi essenzialmente differenti di morale: la morale privata e quella di Stato. Lo Stato non può mai essere subordinato alla morale privata, o «moralità soggettiva». Il primo a tracciare questa separazione tra morale privata e morale di Stato è stato Hegel”.

Quindi due concezioni monistiche e due dualistiche, che Scheler analizza compiutamente. Critica le prime due: la prima gli appare, subordinando la morale alla politica come una “politica in piccolo” per la quale la condotta morale degli individui è soltanto un agire secondo un “egoismo beninteso”; la seconda riduce la politica alla morale, ritenendo quella come “morale in grande”. Conclude che “Una subordinazione della politica alla morale è qualcosa di falso, tanto quanto la subordinazione della morale alla politica. La morale non può dire ciò che si deve fare in politica, né ciò che non si deve fare. La politica ha una sua propria e autonoma legalità, e soltanto il comune riconoscimento di un ordinamento oggettivo di valori e del suo corrispondente ordinamento di beni giuridici – secondo lo stadio di sviluppo dell’ethos dell’epoca – può annodare etica, diritto e politica”. Quando prende in considerazione il terzo tipo (cioè il “problema Machiavelli”) Scheler sostiene che “L’idea fondamentale di questo sistema è: vi sono “norme morali” indipendenti dalla politica (e dalle sue autonome leggi) (in opposizione al primo tipo): L’uomo di Stato può violare queste norme a suo assoluto piacimento se questo: 1. è a favore dell’interesse oggettivo dello Stato, della cosiddetta “ragion di Stato”; 2. corrisponde al suo interesse a far carriera . L’unica cosa dunque che deve vincolare l’uomo di Stato è l’interesse per l’espansione della forza del suo Stato e l’interesse per la sua propria posizione di forza all’interno di questo. La forza è in sè un bene. E nulla esiste al di là della politica e della morale”; questo in sintesi, ma meriterebbe un esame più approfondito di una recensione il confronto del filosofo tedesco col grande fiorentino.

Sostiene Scheler che a stento nella storia l’immagine di un uomo abbia avuto giudizi così diversi quanto quelli formulati su Machiavelli. Lo stesso Scheler ne fa un profilo in parte coincidente con quello di Croce, in parte tributario a Schmitt: le idee di Machiavelli sono quelle “di un animo ardente, nato in un tempo caotico”. Si basa da un lato sulla concezione decisamente naturalistica dell’uomo, in particolare dell’uomo “en masse”: l’uomo, per quanto possegga la ragione, è per lui un essere istintivo, e il suo più forte istinto è quello che lo predispone all’accrescimento del suo potere, della sua ambizione”; ma a questo si associa un ideale di umanità che mira in alto. Ciò che il segretario fiorentino ammira ed esalta è la “virtù” “come forza vitale, autocoscienza che si isola, fierezza, disprezzo per la massa, per la mediocrità (distanza), magnanimità nella vittoria, capacità di sacrificarsi per ciò per cui ci si adopera («un uomo di Stato non può mai pensare a se stesso»), disprezzo per la morte, pienezza erotica, misura, saggezza  (come circospezione), energia, senso della gloria, immortalità terrena, volontà di responsabilità e di dominio, orgogliosa indifferenza per la vita e per la felicità”.

E conclude Scheler “E’ su questa base che sorge la teoria di Machiavelli sul rapporto fra “politica e morale”: la necessità del destino e gli interessi, divenuti perciò oggettivi, dello Stato da lui teorizzato, esigono che l’uomo di virtù non possa essere anche “buono” in senso morale”.

Il merito di Machiavelli, secondo Scheler, resta legato alla separazione profonda e rigorosa tra politica e morale individuale, ma “Il sistema dualistico di Machiavelli è falso non perché non subordina la politica alla morale, come dicono i sostenitori del diritto naturale, ma perché non riconosce il sistema di valori oggettivi che sopravvive alla morale e alla politica e che congiunge politica e morale nella «determinazione dell’uomo» e nell’idea del bene; un sistema che possiede dignità cosmica, anzi metacosmica”. Passando all’altra concezione dualistica, l’autore sostiene “Dal momento che l’ordinamento dei valori è identico tanto per il giudizio di valore e l’agire del privato cittadino, quanto per ‘l’uomo di Stato’, sarebbe in se possibile far discendere, da quest’ordine dei valori, da un lato norme morali per lo Stato e per i suoi rappresentanti, dall’altro norme morali per il singolo individuo. Un tale tentativo è iniziato con Hegel”. Ma secondo Scheler la concezione hegeliana è improponibile “É dannoso tanto demonizzare lo Stato quanto divinizzarlo. In Machiavelli l’uomo di demoniaca virtù ha voluto farsi Dio; in Hegel l’idea divina stessa è divenuta il demone dell’«astuzia della ragione».

Hegel ha «divinizzato» lo Stato, ma ciò che non sopporta divinazione diventa facilmente diabolico. Lo Stato non è né divino, né diabolico; ma daimonico.

Hegel ha privato la «moralità soggettiva» della giusta serietà rispetto a ciò che egli definisce «eticità oggettiva» dello Stato”.

Passando ad esporre la propria concezione l’autore ne fissa i concetti fondamentali, che sono “a) Comportamento politico e comportamento morale (e così pure quello giuridico) si escludono in modo essenziale. Nessun tipo di politica sottostà a norme morali – né la politica estera né quella interna.
b) É vero tuttavia che comportamento politico e comportamento morale sono insieme subordinati alla “specifica determinazione dell’uomo”, allo scopo di realizzare un ordinamento di valori di natura oggettiva indipendente dalla soggettività e dall’arbitrio umani. Politica e morale risultano infatti radicate in un’assiologia universale”.

Tale  assiologia determina in un ordinamento dei valori tanto la politica che la morale. Rispetto a quanto s’intende di solito (in ispecie nella fase attuale di decadenza dell’Italia) per valore, morale e politica, la concezione di Scheler è ben diversa. La politica “è aspirazione al potere, è volere fondato sull’istinto di potere con lo scopo di realizzare valori positivi nei limiti dell’ordinamento dei valori che predomina in una collettività”; la morale “intesa come sistema prescrittivo, è una tecnica per far sì che la gerarchia di valori che anima l’ethos collettivo divenga attiva nella vita privata, tra i singoli individui”.

Quanto alla gerarchia dei valori “La politica ha a che fare, in primo luogo, con i valori vitali della collettività: non con la «felicità del maggior numero», né con i valori spirituali. Esistenza vitale e libertà vengono prima di tutto il resto”; per cui la “politica non è in alcun modo subordinata alla «legge morale»: l’agire morale è essenzialmente differente dall’agire politico, anche nel singolo. L’agire politico e quello morale, e il diritto, tuttavia sono subordinati all’ordine oggettivo dei valori (assiologia).

La politica è aspirazione al potere, è un volere fondato sull’istinto di potere con il fine di realizzare valori positivi nei limiti della gerarchia di valori che domina una collettività”; e prosegue “La politica non può mai essere vincolata a «norme» (corrispondenti all’ordine dei valori). Le norme si modificano, mentre l’ordine dei valori resta fisso”. Da ciò si può vedere di quanto differisca la concezione di Scheler da quelle di qualche costituzionalista à la page o dei moralisti da rotocalco. Da quest’ultimi per la rigida distinzione tra politica e morale, cui la prima non è subordinata, ma ambedue trovano il fondamento nell’ordinamento dei valori; dai primi perché nella gerarchia dei valori pone come primari (per la politica) esistenza vitale e libertà (salus rei publicae suprema lex), e solo secondariamente, quelli ricavabili dai “cataloghi” dei diritti fondamentali espressi (o desumibili) dai testi costituzionali. Anche se la    fissità dell’ordine dei valori è anch’essa, contrariamente, al pensiero dell’autore, relativa, anche se meno “mobile” delle norme. Solo per ricordare l’ordinamento dell’Italia unita, questo ha cambiato, in un secolo e mezzo, almeno re “tavole dei valori” costituzionali (in corrispondenza del cambiamento delle costituzioni-regimi politici). Scheler stigmatizza ripetutamente la strumentalizzazione della morale a fini politici “Così le guerre di intervento e la politica di Locarno sono state celebrate come «principi morali», o come «libertà delle nazioni», quando in realtà sono espressione di interessi politici nazionali”; e ricorda “La «politica dei sentimenti» è soltanto non-politica e cattiva politica, allo stesso modo della «politica di principio», «politica etica», «politica ideale». Esiste una sola politica: la politica di potenza e realistica, una politica di interessi al servizio dell’ordinamento dei valori. Il puro Logos in politica è ideologia, l’ethos morale ipocrisia. Il potere: ecco l’essenza, non certo un accidente, della politica”. Così il bene del mondo non è il fine dell’uomo di stato “La teoria per cui l’uomo di Stato dovrebbe direttamente e positivamente assumere come fine il bene del mondo è insensata. Egli non deve fare nulla che contravvenga la solidarietà della sua cerchia culturale e dell’umanità”.

L’uomo politico – sostiene Scheler sulla base di una distinzione ricorrente nella filosofia occidentale e nella teologia cristiana – si “trova sottoposto a un particolare dovere professionale (eventualmente un dovere d’ufficio). Egli (anche come politico) soggiace al generale ordinamento dei valori e all’essenza di valore individuale del suo popolo”; per cui “un politico moralmente buono non è colui che nel suo intento politico tiene conto delle leggi morali private, ma colui che esercita la sua professione «bene» e «con coscienza»... Magnanimi, «altruisti» possiamo esserlo in prima persona, non per altri. Tanto meno per lo Stato”, che ricorda assai da vicino l’applicazione che Max Weber fa, in politica, della distinzione tra etica delle responsabilità ed etica dell’intenzione. Invero “nella politica l’insuccesso è il tribunale che giudica il politico e anche la sua etica professionale. la sua buona volontà è priva di significato”; inoltre L’uomo di Stato non può essere subordinato a «norme morali» universalmente valide”. Anche perché è un’illusione pensare di poter “abolire” la sovranità: “Sempre e in ogni tempo esiste e deve esistere un «soggetto sovrano dell’agire politico», anche se questo un giorno non sarà più lo «Stato nazionale» moderno, ma una unione di alcuni Stati. Un trasferimento della sovranità da organizzazioni più piccole ad altre più grandi (Stati federati) non può essere cambiata con la sua scomparsa”. L’ultimo capitolo del libro è un insieme di considerazioni sull’applicazione della concezione dell’autore alle situazioni concrete, con particolare attenzione a quelle ricorrenti nel periodo della Repubblica di Weimar (o in quella, immediatamente precedente, del Reich bismarckiano).

Alcune sono dei ritratti non “datati” su Weimar ma eterni: ad esempio il demagogo “puro (Cleone, a differenza di Pericle) è l’uomo della presunzione, della retorica. Egli non è la «guida», ma il «guidato», che si limita a tutelare la cosiddetta direzione di sviluppo del suo partito o della massa. Egli cerca potere senza responsabilità, all’opposto di chi si lambicca il cervello per avere responsabilità senza potere” o lo statista “Il grande uomo di Stato, Cesare, Napoleone, Federico il Grande, Bismarck, fu sempre e ovunque, all’opposto dell’adulatore, uno che disprezzava la massa”. O la distinzione tra l’uomo di Stato che “deve sostenere il principio fondamentale del primato della politica rispetto all’economia e l’indipendenza della politica suprema dagli interessi delle grandi formazioni economiche” mentre il capo economico “pensa necessariamente in termini privati, non pubblici”; ed è questo il motivo che lo rende – scrive Scheler – “inadatto al ruolo di un uomo di Stato”. In ciò divergendo da Marx Weber che vedeva l’antitesi dello statista nel burocrate e notava – mutatis mutandis – delle analogie tra capo politico e imprenditore, diversi per funzione e contesto, ma accomunati dalla responsabilità. Una lettura assai interessante, che arricchisce, su un tema di costante attualità, la conoscenza del dibattito politico-filosofico nella Germania di Weimar.

Teodoro Klitsche de la Grange