sabato 30 gennaio 2010

A proposito di “boicottaggio accademico”… Per ricordare lo stato delle cose.


Distratti e oppressi come siamo dalla nostra quotidianità, dalla lotta di ogni giorno per il campare, è del tutto normale che si dimentichino le cose che si sono apprese, quando appena ci si sia accorte di esse. Provo perciò a riassumere le vicende connesse al boicottaggio accademico nell’ambito della generale campagna BDS: Boicottaggio, Disinvestimenti, Sanzioni, secondo il modello già in uso per la lotta non violenta contro l’apartheid del Sud Africa, meno grave di quello oggi vigente in Israele. Un servizio che “Civium Libertas” offre a chi ha tempo e voglia di ricordare, proprio in questi giorni consacrati alla Memoria, ma ahimé ad una memoria “unica” ed a “senso unico”, che non ammette memorie diverse e contrastanti, una memoria all’insegna della più feroce intolleranza.

In Gran Bretagna vi era stata qualche anno fa una massiccia adesione del mondo universitario britannico ad un boicottaggio accademico di Israele. Subito dopo, la Lobby che non esiste – guai a dire che esiste: si viene tacciati di antisemitismo –, avviò e finanziò una battaglia legale contro le università inglesi in base al principio della non discriminazione. E si che ce ne vuole di ipocrisia! Ma ne hanno quanto basta ed avanza. Pochi sanno che il campus universitario di Tel Aviv sorge su uno dei villaggi palestinesi distrutti dagli israeliani nel 1948. L’unico edificio di pregio rimasto era una proprietà araba. Ne hanno fatto la sala di rappresentanza dei professori, ma tacendo accuratamente l’origine storica dell’edificio. Cito a memoria, ma la storia esatta la si ritrova nel volume di Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina, al quale rinvio.

In Italia vi fu chi pensò di riprendere la campagna antinglese in nome di un supposto principio di non-discriminazione: un modo quanto mai ipocrita e penoso nel tentativo di ingannare gli ignari. Vi fu la solita lista di docenti a sostegno di Israele, stato notoriamente democratico e campione nella lotta per i diritti umani e la liberazione dei popoli. In questi giorni, i propagandisti molto si danno da fare per porre in risalto gli aiuti israeliani ad Haiti. E passano con il piattino a raccogliere applausi e incassi. Se poi penso ad alcuni articoli che ho letto sulla produzione artificiale di terremoti come nuovo mezzo di guerra, mi si gela il sangue nelle vene. Mi sovviene un ricordo liceale, di quando studiavo il latino: Timeo Danaos dona ferentes! Senonché vi fu allora chi, prendendo paro paro una lista di nomi che ancora oggi si trova in parecchi siti, ritenne che si trattasse piuttosto di “eccelsi sionisti” che non di spiriti liberi ed egualitari, vogliosi di dialogo e confronto critico. Per chi non lo sapesse, basta dirgli che in Israele non si può neppure camminare su una stessa strada: esistono distinte strade per gli ebrei israeliani e i palestinesi. A questa assurdità è difficile abituarsi concettualmente. Ma proviamo ad immaginare che gli ebrei israelo-romani abbiano in appannaggio determinate strade della capitale unicamente a loro riservate, mentre tutti gli altri cittadini, o anche separati per gruppi regionali abbiano ciascuno le strade per le quali è loro concesso di poter circolare. È assurdo, ma in Israele ovvero Palestina ovvero Terra Santa è proprio così. Un’infinità di ckeck points, di muri “difensivi” (!) e di discriminazioni di ogni genere tengono divisi la popolazione autoctona, cioè i palestinesi, e gli immigrati che da veri e propri coloni continuano a sbarcare anno dopo anno, con una data di inizio che è del 1882 e che ha avuto negli anni forti impennate di accelerazione a seconda delle contingenze politiche.

Vi fu poi la vicenda della “Lista nera” dei docenti filoisraeliani. Una lista che era “pubblica" e redatta dagli stessi interessati, che avevano voluto mettere in bella mostra il loro nome, non immaginando che il loro apparire potesse in parte suscitare biasimo anziché ammirazione. Ho seguito da lontano quella storia e non so come è finita. Nel nostro Occidente civilizzato le persone vengono prelevate e scompaiono senza lasciare traccia. Ogni tanto si scopre di prigioni segrete in questo o quel paese. Addirittura, si viene casualmente a sapere di veri e propri rapimenti, condotti con la complicità dei governi che nei rari processi oppongono addirittura il segreto di stato. Israele è sempre puntualmente dietro a queste operazioni, quando lo si scopre, qualche rara volta. Per le cose che non si sanno, vale il detto andreottiano: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina!

Ma torniamo alle cose della cultura, al boicottaggio accademico. Quale sia lo spirito israeliano di collaborazione accademico con il mondo restante, specialmente quello vicino, lo apprendiamo dalle eccellenti relazioni accademiche fra le università israeliane e la vicina università islamica di Gaza. Diceva qualcuno che un’immagine vale più di mille parole. Seguono perciò in evidenza una serie di foto che mi sono giunte questa mattina nella mia posta privata. Si riferisscono all’università islamica del lager di Gaza. La prima serie mostra come appariva l’Università prima dell’operazione Piombo Fuso. La seconda serie raffigura gli stessi luoghi dopo l’operazione umanitaria e “difensiva” Piombo Fuso. In questi giorni si apprende del diniego di Israele di fornire un’inchiesta indipendente su ciò che ha fatto a Gaza. Difficile negare l’evidenza. Ma costoro sono capaci di ogni cosa. E non ci si deve più meravigliare.

Fonte: The Islamic University of Gaza, with comments.
Video: Islamic University of Gaza Part I.
Video: Islamic University of Gaza Part II.

L’UNIVERSITA‘ ISLAMICA DI GAZA
Prima di Piombo Fuso

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L’UNIVERSITA‘ ISLAMICA DI GAZA
Dopo Piombo Fuso

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