Occorre dedicare attenzione, a
seguito del noto rapporto dei servizi segreti tedeschi
sull’affidabilità democratica e ai principi dello Stato di diritto
dell’AFD; partito il quale, a leggere i sondaggi, sarebbe ormai
quello primo nel consenso degli elettori tedeschi.
La
Costituzione tedesca (Grundgesetz)
all’art. 21, II comma, dispone che sull’incostituzionalità dei
partiti decide la Corte Costituzionale, La norma è assai ampia
e suscettibile di applicazioni altrettanto late;
a tale riguardo è stato sostenuto che quella tedesca sia una
democrazia
protetta, mentre
altri testi costituzionali – come quello italiano – segnatamente
con l’art. 49 e la XII disposizione transitoria siano democrazie
aperte.
In effetti in quella italiana, manca l’indicazione di chi giudica
sulla costituzionalità, e il dettato normativo è assai più
ristretto.
La ragione storica di ciò è spesso ricondotta alla fine della
costituzione della Repubblica di Weimar – e al dibattito
sviluppatosi anche tra i più eminenti giuristi, in particolare Carl
Schmitt e Hans Kelsen – sul più ampio problema di chi dovesse
essere il “custode della Costituzione”.
La
costituzione di Weimar fu “abolita” di fatto, approvando la legge
“sui pieni poteri” del marzo 1933 con un voto del Reichstag che
rispettava la norma (costituzionale) della maggioranza qualificata,
indipendentemente da ogni valutazione del contrasto tra i principi e
la forma della repubblica e quelli della “modifica”
costituzionale approvata che ne erano la negazione.
E’
palese che la costituzionalità dei partiti e di chi li debba
giudicare è un aspetto particolare di una tematica che interessa i
principali istituti (e concetti) dello Stato moderno: dalla sovranità
al potere costituente, dalla democrazia al principio dell’art. 28
della dichiarazione dei diritti dal 1793 (detta giacobina) per cui
ogni generazione ha il diritto di modificare e cambiare la propria
costituzione. A tal fine occorre che non si frappongano ostacoli,
tenuto conto del pensiero di Pareto, alla circolazione
delle élite. E considerando anche, come scriveva Hauriou, che
l’ordinamento giuridico è sempre in movimento, vuoi per il
cambiare delle situazioni come per quello delle opinioni e, anche per
questo, il giurista francese riteneva il sistema di Kelsen “statico”
(e di conseguenza poco realistico).
E’
tutt’altro che semplice risolvere le opposizioni concettuali e,
quel che più conta, reali (e le loro conseguenze) che si pongono.
La
sovranità e non meno il potere costituente sono degli assoluti
rispetto alla normativa: e farne dei poteri relativi
(cioè limitati) li si nega. La democrazia implica opinioni diverse
e per tutti i cittadini uguaglianza di chances
nell’accesso al potere; ma se è la Corte costituzionale a decidere
cosa bisogna pensare e credere per accedervi, la democrazia se non
abolita, ne risulta gravemente azzoppata.
Se una comunità vitale è connotata dalla circolazione delle élite,
decidere chi possa aspirare (e ottenere) il comando e chi no
significa un ordinamento a ZTL, che è poi quello più connaturale
al modo di pensare delle élite decadenti, soprattutto in Italia.
D’altra
parte occorre riconoscre che ammettere élite incostituzionali nello
spazio pubblico, con la conseguente possibile abolizione totale della
costituzione è una contraddizione. Tuttavia è un fatto
costantemente ripetutosi nella storia, anzi sotto tale angolo
visuale, del tutto normale:
la teoria ciclica delle forme politiche lo presupponeva, anzi era la
la puntuale rappresentazione di come le opere umane siano
transeunti. E le transizioni, come scriveva Spinoza, non sono mai
pacifiche e
legali.
Cercare di renderle tali è opera meritoria, ma l’esperienza prova
che è assai difficile.
Anche
perché norme del genere, animate da buone intenzioni, possono essere
utilizzate dalle élite decadenti per impedire l’accesso alle
nuove. Specie all’ombra della legalità.
Non
aveva torto Machiavelli che, nel chiedersi se in una repubblica
facessero più danno quelli che vogliono acquistare il potere o
quelli che cercano di non perderlo, riteneva che provocassero più
tumulti i secondi “il più delle volte sono causati da chi
possiede, perché la paura del perdere genera in loro le medesime
voglie che sono in quelli che desiderano acquistare” (D, I, V) e,
come sempre, non aveva torto.