Ho letto che nei
giorni scorsi Toti, agli arresti domiciliari, ha tenuto (in casa propria) una
riunione con (alcuni) assessori in (probabile) esercizio della sua funzione di
Presidente della Regione Liguria (carica dalla quale non si è dimesso). Anche
se, a leggere la stampa, è “sostituito” dal Presidente ad interim Alessandro Piana. Non del tutto a torto le opposizioni
(al Consiglio regionale ligure) hanno detto che così Toti “governa ai
domiciliari”; e che ciò loro dispiaccia è comprensibile.
Ciò mi ricorda
quello che scriveva Vittorio Emanuele Orlando – e che forse qualche lettore
ricorderà che ho talvolta citato – sull’inviolabilità
di certi organi dello Stato (quelli apicali) e responsabilità, nella specie, di chi ne è investito. Orlando
ironizzava sulla tesi di Duguit, acuto giurista francese il quale sul conflitto
tra diritto-dovere di esercitare la funzione e soggezione alla responsabilità
penale, sosteneva che (il capo dello Stato) doveva e poteva esercitarla anche
in stato di detenzione. E il giurista siciliano replicava così “si potrebbe …chiedere
come farebbe il Presidente a convocare a presiedere il Consiglio dei Ministri o
a ricevere un ambasciatore straniero che gli abbia a presentare le credenziali,
invece che al Palazzo dell’Eliseo, in una cella della prigione della Santé!”.
Onde gli sembrava più logica la soluzione americana per cui “La costituzione
americana infatti ammette la possibilità di un giudizio di responsabilità verso
il Presidente, mediante la procedura così caratteristicamente anglo-sassone
dell’impeachment. Questa comincia con
un voto della Camera dei rappresentanti che mette in accusa e si chiude con un
voto del Senato, l’effetto del quale, se affermativo, è di far decadere il
Presidente dalla sua funzione; se ed in quanto il fatto commesso costituisca un
reato, la giurisdizione di diritto comune resterà libera di esercitarsi dopo,
quando la persona, che vi è soggetta, non è più rivestita di autorità”. Quindi
la giurisdizione (anche per i reati comuni) comincia solo quando la persona non
ha più l’ufficio.
Si dirà che Toti
non esercita funzioni “apicali”; ma nel caso, soccorre il principio democratico che, essendo stato eletto
dal corpo elettorale, con il quale c’è un rapporto diretto (e non mediato)
dovrebbe essere sospeso, allontanato, dimissionato, revocato solo dallo stesso
corpo elettorale che l’ha investito.
Altrimenti a
designare chi governa la Liguria sarebbero più i giudici che gli elettori. Mentre
la soluzione caldeggiata da Orlando non intaccava la giurisdizione, che si
eserciterebbe da sola dopo la fine
del mandato degli elettori. E neppure derogava, se non per la “sospensione”
dovuta all’esercizio di funzione pubblica (elettiva), al principio di
distinzione dei poteri (Montesquieu).
Ben diverso l’impatto
della richiesta di dimissioni del Presidente inquisito. Anche se la richiesta
non è fondata su alcun obbligo giuridico, il risultato pratico (l’inquisito si
dimette) entra in aperto contrasto sia col principio democratico che con quello
di distinzione dei poteri.
Quanto al primo,
l’ho appena scritto e quanto al secondo è chiaro che dimettersi perché
inquisiti assegna un potere di “veto” (o
meglio censorio) al potere
giudiziario su quello amministrativo. Meglio quanto opinava (il vecchio ma
sempre valido) Orlando.