Anche la guerra
in Ucraina conferma che la neutralità, ossia l’estraneità dei non belligeranti
ad un conflitto tra Stati, ha subito un radicale cambiamento in conseguenza
delle innovazioni al diritto internazionale nel XX secolo.
Prima lo stato
neutrale era (rigorosamente) imparziale nei confronti dei belligeranti. Tale
imparzialità comportava il dovere di astenersi da ogni iniziativa tesa a
favorire lo sforzo bellico (di uno) dei contendenti; a questo corrispondeva il
diritto di non sopportare operazioni belliche – e il loro effetti – sul proprio
territorio, popolazione, commercio.
Nel periodo tra
le due guerre mondiali e nel successivo la neutralità “classica” fu decisamente
ridimensionata: in particolare il divieto di ricorso alla forza di cui allo
Statuto dell’ONU ha eroso l’imparzialità dei neutrali, perché è loro consentito
di aiutare l’aggredito e sanzionare l’aggressore. Pertanto la tanto – e
giustamente – discussa fornitura da parte degli U.S.A. e di alcuni Stati dell’Unione
europea di armi all’Ucraina (cui si aggiungono le misure anti-russe) farebbero
parte di questa innovazione al diritto internazionale.
Ciò comunque
comporta una diversa problematica, in relazione al diverso carattere della “guerra”
moderna.
Infatti, più o
meno nel XX secolo in cui mutava lo status
del neutrale, cambiava pure quello di guerra; l’ostilità, connessa strettamente
alla volontà di imporre la propria,
assumeva diverse forme, caratterizzate dall’assenza (e dalla drastica
limitazione) dell’uso delle armi. Conflitti sì, ma disarmati.
Il libro dei
“bravi colonnelli
cinesi Guerra
senza limiti (da me spesso citato) ce ne fornisce ragione ed esempi. Gli
autori scrivono: “da questo momento in poi la guerra non sarà più ciò che è
stata tradizionalmente. Il che significa che, se l’umanità non avrà altra
scelta che entrare in conflitto, non potrà più condurlo nei modi consueti…
Quando la gente comincia ad entusiasmarsi e a gioire… per la riduzione di forze
militari come mezzo per la risoluzione dei conflitti, la guerra è destinata a
rinascere in altre forme e su di un altro scenario, trasformandosi in un altro
strumento di enorme potere nelle mani di tutti coloro che ambiscono ad assumere
il controllo di altri paesi o aree” onde “La guerra che ha subito i cambiamenti
della moderna tecnologia e del sistema di mercato verrà condotta in forme ancor
più atipiche. In altre parole, mentre si assiste ad una relativa riduzione
della violenza militare, allo stesso tempo si constata un aumento della
violenza politica, economica e tecnologica… Se si riconosce che i nuovi
principi della guerra non sono più quelli di “usare la forza delle armi per
costringere il nemico a sottomettersi ai propri voleri”, quanto piuttosto
quelli di “usare tutti i mezzi, inclusa la forza delle armi e sistemi di offesa
militari e non-militari e letali non letali per costringere il nemico ad
accettare i propri interessi”, tutto ciò costituisce un cambiamento: un
cambiamento nella guerra e un cambiamento nelle modalità della guerra”.
Il problema è
quindi vedere in tali contesti di guerra “non violenta” che significato assume
la neutralità.
In primo luogo
il neutrale in una guerra di aggressione è considerato se non un imbucato almeno un pilatesco. Certo se si carica di significati morali una scelta
politica, la conseguenza (per il neutrale) è proprio quella. Di essere neutrale
tra bene o male, come gli angeli disprezzati da Dante perché rimasti neutrali
nella lotta tra Dio e il diavolo.
Ma a parte ciò
la neutralità in tempi di guerra condotta con mezzi non violenti (e non
militari) finisce col perdere definitivamente – anche se non totalmente – l’imparzialità
che la connotava nel diritto internazionale westphaliano.
Nella prassi
contemporanea l’imparzialità è stata ristretta alla neutralità militare, mentre
la guerra è estesa a tutti gli aspetti della vita economica e sociale, dall’economico
al giuridico, al morale e perfino allo sport, con il rifiuto di fare gareggiare
gli atleti russi, e alla musica. Se questo possa portare alla pace è assai
dubbio, perché l’unico caso di sanzioni efficaci
nel secolo scorso fu quello contro il Giappone: ma ebbe, contrariamente alle
aspettative, non l’effetto di portare alla pace, ma all’estensione della guerra.
Di per se, anche
continuando – fortunatamente – il non ricorso a mezzi militari diretti, il
carattere “neutrale” di una simile prassi non regge. E in effetti è
esplicitamente rifiutato dalle continue condanne e sanzioni all’aggressore. Ma
mentre le prime possono avere l’effetto di intensificare il sentimento politico
anti-russo (che è uno dei fondamenti della guerra tradizionale), dell’efficacia
delle seconde è più lecito dubitare, dato che – solo per fare un esempio – le entrate
della Russia dagli aumenti dei prodotti petroliferi superano di gran lunga il
costo della guerra (almeno così si legge). D’altra parte è stato notato da
molti che l’assenza di un vero neutrale, almeno in Europa è un inconveniente
decisivo per mediare la pace. Questo perché spesso è proprio l’autorità di un
terzo (realmente) neutrale che può provocare la pace o evitare la guerra.
Nel medioevo già
riusciva al Papa; nell’Europa moderna, e proprio dalla parte dove oggi si
combatte fu Bismarck e il Reich tedesco nel congresso di Berlino (1878) presieduto
del cancelliere di ferro a farlo. Ma la pace fu possibile anche perché Bismarck
e la Germania non erano diretti interessati alla sistemazione dei Balcani; anzi
disse che “i Balcani non valgono le ossa di un solo granatiere di Pomerania”
per sintetizzare la propria realistica propensione alla pace. Non così si può
dire dell’Europa contemporanea che a quella pace ha interessi assai superiori a
quelli del Reich. Purtroppo non ha un Bismarck: come diceva il cancelliere (dell’Italia)
“ha un grande appetito ma dei pessimi denti”.