Emanuele Castrucci, Nomos e guerra. Glosse al Nomos della terra di Carl Schmitt, La Scuola di Pitagora, pp. 180, € 14,00.
Questo interessante saggio, dovuto al curatore dell’edizione italiana de “Il nomos della terra” di Carl Schmitt, nella forma di “glosse” al testo si confronta con le più note (spesso profetiche) tesi esposte dal grande giurista tedesco.
Stimolante, in particolare la tesi del parallelismo tra le idee di Schmitt sulla guerra e quelle di René Girard sulla violenza e il sacrificio; tema, questo, preso ripetutamente in esame sul “Behemoth”.
Scrive Castrucci che la guerre en forme dello jus publicum europeaum “classico” è una forma di ritualizzazione della violenza analoga al sacrificio: la guerre en dentelles dell’Europa dell’ancien régime otteneva lo stesso effetto di economizzare il sangue versato attraverso la limitazione della guerra: “Il contrappasso che il mondo deve subire per l’allontanamento delle modalità classiche di ritualizzazione della violenza (come era stata la guerre en forme dello jus publicum Europeaum) è quindi chiaramente rappresentato dall’estensione, di fatto incontrollabile, della medesima violenza all’intero corpo della società: la violenza endemica e senza volto che riconduce il mondo all’indifferenziato, invertendo quello che la storia dell’umanità aveva conosciuto come processo filogenetico di individuazione e differenziazione”.
Altro tema – d’attualità - che Catrucci glossa è quello delle forme atipiche di ostilità “Il pensiero classico concepisce la pace come assenza della guerra, e per guerra intende l’uso diretto della forza armata. Schmitt ritiene invece necessario soffermarsi anche sugli atti informali di ostilità, sulle misure di forza e sui mezzi di coercizione non militari. Sottile distinzione che gli permette di spiegare la possibilità di uno stato intermedio tra la guerra e la pace”. E qua l’intuizione del giurista di Plettenberg potrebb’essere completata con il confronto tra la prima definizione della guerra di Clausewitz, condivisa da Gentile che “la guerra è un atto di forza per costringere il nemico a fare la nostra volontà” e la tesi di Sun Zu secondo il quale “ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Sulla quale, e sulle tesi esposte dai due “bravi colonnelli” cinesi, autori de “La guerra senza limiti” occorre riflettere, in tempi di aggressioni finanziarie di occulta provenienza.
Con la conseguenza che se la guerra come atto di forza “ritualizzato” è meno frequente, dall’altro, sono in parte incrementati gli atti di ostilità non riducibili a una violenza bellica (tipo embargo, boicottaggio economico, violazioni dello spazio “interno” degli Stati) come le guerre non “ritualizzate”, condotte da soggetti non titolari dello jus belli, senza le forme dello jus belli.
Questo e molto altro c’è nel saggio di Castrucci: dato che tuttavia gli spunti sono vari, e non riassumibili in una recensione, non resta che consigliarne la lettura.
Questo interessante saggio, dovuto al curatore dell’edizione italiana de “Il nomos della terra” di Carl Schmitt, nella forma di “glosse” al testo si confronta con le più note (spesso profetiche) tesi esposte dal grande giurista tedesco.
Stimolante, in particolare la tesi del parallelismo tra le idee di Schmitt sulla guerra e quelle di René Girard sulla violenza e il sacrificio; tema, questo, preso ripetutamente in esame sul “Behemoth”.
Scrive Castrucci che la guerre en forme dello jus publicum europeaum “classico” è una forma di ritualizzazione della violenza analoga al sacrificio: la guerre en dentelles dell’Europa dell’ancien régime otteneva lo stesso effetto di economizzare il sangue versato attraverso la limitazione della guerra: “Il contrappasso che il mondo deve subire per l’allontanamento delle modalità classiche di ritualizzazione della violenza (come era stata la guerre en forme dello jus publicum Europeaum) è quindi chiaramente rappresentato dall’estensione, di fatto incontrollabile, della medesima violenza all’intero corpo della società: la violenza endemica e senza volto che riconduce il mondo all’indifferenziato, invertendo quello che la storia dell’umanità aveva conosciuto come processo filogenetico di individuazione e differenziazione”.
Altro tema – d’attualità - che Catrucci glossa è quello delle forme atipiche di ostilità “Il pensiero classico concepisce la pace come assenza della guerra, e per guerra intende l’uso diretto della forza armata. Schmitt ritiene invece necessario soffermarsi anche sugli atti informali di ostilità, sulle misure di forza e sui mezzi di coercizione non militari. Sottile distinzione che gli permette di spiegare la possibilità di uno stato intermedio tra la guerra e la pace”. E qua l’intuizione del giurista di Plettenberg potrebb’essere completata con il confronto tra la prima definizione della guerra di Clausewitz, condivisa da Gentile che “la guerra è un atto di forza per costringere il nemico a fare la nostra volontà” e la tesi di Sun Zu secondo il quale “ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Sulla quale, e sulle tesi esposte dai due “bravi colonnelli” cinesi, autori de “La guerra senza limiti” occorre riflettere, in tempi di aggressioni finanziarie di occulta provenienza.
Con la conseguenza che se la guerra come atto di forza “ritualizzato” è meno frequente, dall’altro, sono in parte incrementati gli atti di ostilità non riducibili a una violenza bellica (tipo embargo, boicottaggio economico, violazioni dello spazio “interno” degli Stati) come le guerre non “ritualizzate”, condotte da soggetti non titolari dello jus belli, senza le forme dello jus belli.
Questo e molto altro c’è nel saggio di Castrucci: dato che tuttavia gli spunti sono vari, e non riassumibili in una recensione, non resta che consigliarne la lettura.
Teodoro Klitsche de la Grange
Nessun commento:
Posta un commento