Nel volume sono
raccolti saggi del filosofo ed economista libertario, allievo di von Mises.
Scrive la Modugno nell’introduzione che dell’eguaglianza avversata da Rothbard
che “non si tratta del principio dei Padri fondatori della repubblica
americana, cioè l’idea che tutti gli uomini sono creati uguali e dotati della
stessa libertà. L’egalitarismo di sinistra proclama invece di voler rendere
tutti gli uomini uguali, cosa ben diversa da un’uguaglianza nella libertà”.
Dato che gli uomini sono (fortunatamente) tutti diversi l’uno dall’altro, il percorso
tra eguaglianza da realizzare e disuguaglianza fattuale è del tutto in salita.
Anche perché a
partire dall’eguaglianza più “soft”, cioè quella delle opportunità, le
differenze fisiche di ciascun individuo fanno sì che ai punti di arrivo si
ricreino disuguaglianze. Basti ricordare quanto pesino tali caratteri negli
atleti, negli attori o nei cantanti (a tacer d’altro). Anche se provvisti di
borse di studio, palestre, ecc. ecc., decisivi per il successo del calciatore,
del tenore e dell’attrice saranno la prestanza fisica, l’ugola e la bellezza. E
così a ricreare la disuguaglianza sia delle possibilità e stili di vita che
nella ricchezza.
Inoltre come
sottolinea Alessandro Fusillo nella post-fazione: “lo strumento per la
realizzazione forzosa dell’uguaglianza è lo Stato… lo Stato, in quanto
monopolista territoriale della violenza aggressiva ed entità collettiva che
ricava i propri redditi non dalla produzione e dallo scambio ma
dall’appropriazione fraudolenta o forzosa di quanto altri hanno prodotto o
scambiato, è un’entità antisociale e asociale. Lo Stato, pertanto, non è,
secondo la ricostruzione rothbardiana, un’entità magari inefficiente e
farraginosa, ma fondamentalmente benevola e utile. Lo Stato è il nemico della
società civile, l’organizzazione che ne impedisce o rallenta lo sviluppo e la
prosperità”. Anche Rothbard nota che “La grande realtà della differenza e della
varietà individuale (cioè, la disuguaglianza) risulta evidente dalla lunga
storia dell’esperienza umana; da qui, il riconoscimento generale della natura
antiumana di un mondo di uniformità forzata. Socialmente ed economicamente, questa
varietà si manifesta nell’universale divisione del lavoro e nella “Legge Ferrea
dell’Oligarchia” – la consapevolezza che, in ogni organizzazione o attività,
alcuni (generalmente i più capaci e/o i più interessati) finiranno per
diventare leader, con la massa che riempie le fila dei seguaci”. Quindi né
l’ordine economico, né quello politico (anzi questo ancora di più) prescindono
dalla disuguaglianza.
Chi scrive è
convinto che un’affermazione è sicuramente condivisibile, il resto lo è solo in
parte.
A osservare la
realtà lo Stato moderno è anche il garante della libertà concreta (Hegel). Il
bicchiere cioè è mezzo pieno, perché è
proprio il monopolio della violenza legittima (e della decisione politica) che
ha reso possibile un grado di coazione e quindi di realizzazione delle pretese
(delle “obbligazioni-scambio” di Miglio) ragguardevole.
A parte i casi
(tanti) di esercizio dispotico del
potere, quello dello Stato moderno è assai più efficace di quanto lo fosse il
sistema feudale o i diritti degli “Stati” arcaici dove le pretese – anche se
statuite dal giudice – dovevano essere eseguite dagli aventi diritto.
Il tutto si basa
tuttavia sulla diseguaglianza più evidente e necessitata perché determinata
dalla natura umana: che il “politico” è
squisitamente disuguale, basandosi sulla differenza più sostanziale e decisiva,
ossia quella tra chi comanda e chi obbedisce.
Per cui
l’eguaglianza da realizzare si fonda in ogni caso, su una disuguaglianza
necessaria e decisiva. Perché normalmente chi comanda può arrivare fino a
condannare (o destinare) alla morte. Cosa che Fusillo nota: “La supremazia dei
pubblici poteri è la negazione del principio di uguaglianza”.
Rothbard nei
saggi raccolti offre sempre una lettura originale, ma soprattutto
anti-conformista e, ricordando Bacone, anti-idola.
Un’ottima ragione per leggerlo.