Il dilemma a cui
si riferisce il titolo può lato sensu
essere riportato al più generale potere e
libertà, o anche paura e libertà
e al ruolo della paura nella formazione-concezione dello Stato e nella
modernità.
Ossia un’opposizione
che ricorre nel pensiero politico, filosofico e giuridico moderno, riproposta da
un anno a questa parte con riferimento alla pandemia, quindi attualizzazione di
un dilemma costante. E in effetti, il rapporto paura/libertà è esaminato
dall’autore riepilogando brevemente ciò che ne pensavano alcuni tra i maggiori
filosofi: da Hobbes a Locke, da Machiavelli a Hegel (limitandoci ai più noti).
Scrive Ocone sulla paura della modernità distinguendo i ruoli che aveva in
Hobbes e Machiavelli: nel primo “È
proprio sull’istinto di sopravvivenza dei singoli, sul loro conato ad
autopreservarsi, che nasce lo Stato … E il suo compito è legato al
raggiungimento di questo fine, cioè dare sicurezza /relativa) e allontanare
(nella misura del possibile) la sempre incombente possibilità di morte … Il
meccanismo securitario messo qui in campo assume su di sé il monopolio della
forza legittima proprio per garantire la vita, l’esistenza dei contraenti”.
Così la paura è resa “produttiva di
politica” generando (e giustificando) l’ “istituzione di protezione”. Non era così nel mondo pre-moderno,
dove il ruolo aggregante (e legittimante) era rivestito dal coraggio e dalla
virtù; ma “In epoca moderna questo scenario
cambia: la paura è intrinsecamente unita alla politica, ne è il centro e
l’origine, il fondamento … Potremmo individuare due modalità in cui questa
intrinsecità si manifesta: una, sicuramente trionfante, che è quella di Hobbes;
l’altra, facente invece capo a Machiavelli. Da una parte, assistiamo pertanto alla neutralizzazione politica della
paura; dall’altra, a una politica che incorpora la paura, per così dire. Al
razionalismo formale dell’una corrispondente la ragione concreta e intrisa di
passioni, sia “positive” o “calde” sia “negative” o “fredde”, dell’altra”.
Tuttavia la democrazia liberale contemporanea ha rimosso tale origine; peraltro
costantemente sottesa; probabilmente perché il “loro meccanismo funzionava nella prassi. Oggi ci poniamo con più forza
la questione da un punto di vista teorico perché quel meccanismo si è
inceppato, e andato in crisi e noi viviamo in quella crisi”. Riemerge
prepotentemente con l’emergenza, e quindi con la crisi pandemica, con il
“terrore sanitario” e il governo che limitava i diritti, anche garantiti dalla
Costituzione, ponendo così la domanda se “La
suddetta politica di controllo e disciplinamento esiste effettivamente? È
intenzionale o una conseguenza di fatto? Ed è diretta al mero dominio, o anche
a un dominio indirizzato verso certi fini o non altri?”. Con la conseguenza
di doverla affrontare – anche per il futuro – evitando di buttare via “il bambino con l’acqua sporca”. Cioè di
tenere insieme sia il meccanismo sanitario-securitario che la garanzia di spazi
di libertà individuale e sociale (che è poi il problema principale del pensiero
politico) e del liberalismo. Scriveva De Maistre su sovranità e libertà che “il più grosso problema europeo è di sapere
come si possa ridurre il potere sovrano senza distruggerlo”. Ed in effetti
(quasi) tutti i pensatori, soprattutto liberali se lo sono posto.
Lo Stato
liberale, come scrive Carl Schmitt è uno Status
mixtus, in cui sono compresenti sia principi di forma politica cioè fondativi del potere sia dello Stato “borghese di diritto” cioè limitativi del potere. Conciliarli non è
facile, ma è sicuro che nella storia probabilmente il più raffinato sistema di
controllo e limitazione del potere è quello organizzato nello Stato di diritto.
Già la disciplina dello Stato di eccezione – che giustamente Agamben vede
istituito proprio dalla rivoluzione borghese – ne appare il massimo possibile.
Oltre quello c’è solo la rivoluzione o il colpo di Stato. Ma anche nella
regolamentazione della giustizia politica, di quella amministrativa, del potere
amministrativo-burocratico è evidente la volontà di conservarli tenendoli
insieme. Come scritto nel Federalista se ad esser governati dovessero essere
degli angeli, non ci sarebbe nessun bisogno di governi. Se a governare fossero
gli angeli, non sussisterebbe la necessità di controlli sul governo. Ma dato
che gli angeli stanno in cielo e non sulla terra, occorrono i governi e i
controlli sui medesimi. Che è poi, il fondamento di quell’antropologia
realistica comune al liberalismo come ad altre ideologie politiche.
Tuttavia è stato
prospettato che la crisi si debba prorogare proprio per far durare i poteri
d’emergenza e “approfittare del Covid non
per tornare allo status quo ante ma per fare le riforme strutturali di cui
abbiamo bisogno”. Ma oltre “a una
eccessiva dose di costruttivismo sociale, una frase del genere contiene di
fatto una volontà di controllo del potere non indifferente. L’emergenza viene
vista come opportunità, o “felice” coincidenza, per imporre un controllo
diverso”.
E a farlo sono
sempre i soliti noti, ragione principe per diffidarne.
Teodoro Klitsche
de la Grange
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