Benjamin
Constant,
La libertà degli antichi paragonata a
quella dei moderni, Liberilibri, Macerata 2020, pp. XLI + 66, € 8,00.
È opportuna e
tempestiva l’iniziativa di una nuova edizione di questi saggi di Constant (la
prima è del 2001) con introduzione di Luca Arnaudo.
Questo perché in
tempi di cambiamenti radicali, di democrazie liberali e illiberali, i saggi
inclusi nel volume, soprattutto il primo, famoso, danno un contributo decisivo,
tanto alla risposta a cosa sia la libertà politica e, in certa misura, anche la
democrazia.
Com’è noto
Constant distingue la concezione della libertà degli antichi da quella dei
moderni, distinzione poco o punto chiara a molti teorici e politici del XVIII
secolo e della rivoluzione francese. Quella degli antichi “consisteva nell’esercizio, in maniera collettiva ma diretta, di
molteplici funzioni della sovranità presa nella sua interezza, funzioni quali
la deliberazione sulla pubblica piazza della guerra e della pace… ma se tutto
ciò gli antichi chiamavano libertà, al tempo stesso ammettevano come
compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo
dell’individuo all’autorità dell’insieme… In tal modo, presso gli antichi,
l’individuo, praticamente sovrano negli affari pubblici, è schiavo all’interno
dei rapporti privati”. Al contrario “tra
i moderni, al contrario l’individuo, indipendente nella vita privata, anche
negli Stati più democratici non è sovrano che in apparenza”; “Scopo degli antichi era la divisione  del potere sociale tra tutti i cittadini di
una medesima patria; questo essi consideravano la libertà. Scopo dei moderni è
la sicurezza nelle gioie private, ed essi chiamano libertà la garanzie
accordate da parte delle istituzioni a tali gioie”.
Il crollo delle istituzioni
rivoluzionarie, che nella concezione della libertà degli antichi trovano il
pilastro, è stato causato proprio0 dalla diversità dalla libertà come condivisa
dai moderni.
La distinzione tra
diritti-libertà di partecipazione al
potere politico, e diritti-libertà dal
potere politico è stata tra le più fortunate. Riecheggia in tanti teorici
successivi del diritto pubblico e della politica: ricordiamo, tra i tanti,  quella di M. Hauriou tra  Droit statutaire e Droit commun; di I. Berlin tra libertà di e libertà da, di C. Schmitt
tra principi di forma politica, (democrazia) e principi dello Stato borghese
(uno dei quali è quello di separazione tra Stato e società civile).
Su come coniugare
la libertà degli antichi a quella dei moderni Constant propone la soluzione,
debitrice di quella esposta da Sieyés nel discorso all’Assemblea costituente
sul “veto reale”. Alla libertà dei moderni conviene “un’altra organizzazione rispetto a quella che poteva andar bene alla
libertà antica…all’interno del tipo di libertà di cui noi siamo gelosi, più
l’esercizio dei nostri diritti politici ci lascerà tempo per dedicarci ai
nostri interessi privati, più la libertà ci diverrà preziosa. Da ciò deriva,
Signori, la necessità del sistema rappresentativo. Il sistema rappresentativo
altro non è che un’organizzazione per mezzo della quale una nazione scarica su
alcuni individui ciò che non può e non vuole fare da sé”. L’acume di
Constant vede anche il pericolo di tale organizzazione del potere “il rischio della libertà moderna è che,
assorbiti dal piacere della nostra indipendenza privata e dall’inseguimento dei
nostri interessi particolari, noi rinunciamo troppo facilmente al nostro
diritto di partecipare al potere politico”; trascurare questo può
compromettere quello.
Non è vero che i
cittadini non sanno decidere sulle questioni politiche “Guardate i nostri concittadini, di tutte le classi e professioni, che
staccandosi dalla sfera dei loro lavori abituali e delle loro faccende private
si trovano improvvisamente a occuparsi delle importanti funzioni che la
Costituzione demanda loro: decidono con discernimento, resistono con energia,
sconcertano l’astuzia, sfidano il pericolo, resistono nobilmente alla seduzione”.
Per cui Constant conlcude “Ben lungi,
Signori, dal rinunciare ad alcuna delle due specie di libertà di cui vi ho
parlato, occorre piuttosto, come ho dimostrato, imparare a combinarle tra
loro…Occorre che le istituzioni si occupino dell’educazione morale dei
cittadini. Nel rispetto dei loro diritti, avendo riguardo della loro
indipendenza, senza ostacolare le loro occupazioni, esse devono comunque
consacrare l’influenza di cui dispongono alla cosa pubblica, chiamare i
cittadini a concorrere con le loro decisioni e i loro suffragi all’esercizio
del potere; esse devono garantire loro un diritto di controllo e di sorveglianza
con la manifestazione delle loro opinioni, e formandoli in tal modo, per mezzo
della pratica, a queste elevate funzioni, donar loro al contempo il desiderio e
la possibilità di adempierle”. Altro che tecnocrazia e “ce lo chiede
l’Europa”. Il secondo saggio (Note sulla
sovranità del popolo e i suoi limiti) verte su un argomento quanto mai
difficile dato che, come scriveva (tra i molti) V. E. Orlando la sovranità è
per sua essenza assoluta; a farla relativa la si distrugge. E per risolvere
tale antinomia Constant sostiene che
garante ne è l’opinione pubblica (che intendeva come il common sense di T. Paine): “La
limitazione della sovranità è dunque esatta, ed è possibile: essa sarà
garantita inizialmente dalla forza che garantisce tutte le verità riconosciute
dall’opinio, in seguito lo sarà in maniera più precisa dalla distribuzione e
dal bilancio dei poteri”. Il che significa che il limite, prima che
giuridico, è politico e meta-giuridico. Cosa ancora non compresa da tanti.
Teodoro Klitsche
de la Grange