Come emerge dal racconto di Paul Larudee nel descrivere le condizioni indispensabili per costringere i nostri parlamentari ad agire nei confronti di Israele, è necessario promuovere l'informazione e la discussione pubblica.
Nel testo che segue, Alan Hart fornisce gli elementi storici essenziali per affrontare pubblicamente un dibattito che abbia lo scopo di smascherare le menzogne sioniste - ovvero la falsa propaganda che ha condizionato per decenni la benevolenza dei cittadini occidentali nei confronti di Israele, penalizzando il popolo palestinese e la sua causa per la legittima resistenza che in Occidente viene chiamata "terrorismo".
Alan Hart ci fa notare l'importanza che riveste la padronanza della verità storica, in quanto strumento che genera il potere contrattuale nei confronti di coloro che sono nella posizione di intervenire ai fini della giustizia per la Palestina.
E vale la pena sottolineare che conoscere la verità storica è fondamentale per liberare le nostre società e le nostre menti dall'astuto ricatto sionista.
Il ricatto più comune usato dagli apologisti di Israele per impedire il dibattito pubblico, è l'accusa di «ANTI-SEMITISMO» - un termine che contiene un inganno per legittimare l'occupazione della Palestina.
E' importante ricordare, che il termine «anti-semitismo» è stato
coniato dagli ebrei dell'Europa centrale proprio nel periodo in cui
iniziavano a progettare uno stato ebraico nel cuore della Palestina, e
cioè intorno al 1882.
L'inganno contenuto nel termine stesso e nel suo uso ripetuto
ad infinitum, viene svelato dal celeberrimo ex-ebreo, ex-israeliano Gilad Atzmon in
una intervista rilasciata durante il recente tour americano dell'autore e noto musicista.
Spiega Gilad Atzmon:
«L'invenzione e l'uso del termine anti-semitismo sono espedienti disonesti. Tanto per cominciare, la maggioranza degli ebrei nel mondo non è affatto di origini semite (ovvero, della regione nord-africana che comprende la Palestina).
«Le organizzazioni sioniste come la ADL sono interessate ad usarle il termine di frequente perché rappresenta l’espediente per diffondere e sostenere pubblicamente il falso mito secondo cui gli ebrei bianchi (compresi quelli che occupano la Palestina provenienti dall’Europa) abbiano le proprie radici storiche nella regione palestinese.
«In effetti, gli ebrei di pelle bianca discendono dalla popolazione dell’impero kazaro fondato nella regione del Mar Caspio 8 secoli dopo Cristo, i cui abitanti si convertirono al giudaismo senza avere alcuna connessione né biologica né storica con gli antichi ebrei della regione palestinese. Gli ebrei originari della regione, i sefarditi, hanno la pelle scura e sono in genere ebrei berberi - peraltro discriminati in Israele.
«Gli archeologi fanno notare, giustamente, che sono i palestinesi i soli veri discendenti degli antichi ebrei della Palestina - poi convertiti al cristianesimo e successivamente all’Islam.
«E quindi ciò che viene chiamato anti-semitismo non ha alcun senso, non esiste - soprattutto perché gli ebrei nel mondo non hanno origini o radici etniche in comune. Nonostante ciò, le politiche di identità ebraiche si basano su fattori etnici, razziali (sul falso assunto dell’origine collettiva in Palestina).»
Altri argomenti da opporre alla falsa accusa di «anti-semitismo» inteso come razzismo nei confronti degli ebrei vengono forniti da Alan Hart nel testo tradotto in basso.
Ma sono molti altri i falsi miti che Alan Hart decostruisce nel testo, tra cui la presunta legittimità dell'esistenza di Israele come stato, la presunta minaccia esistenziale di Israele, l'affermazione che Israele voglia la pace con i palestinesi e i popoli della regione e soprattutto il falso assunto che Israele sia stata progettata in seguito alla persecuzione nazista degli ebrei.
In merito alla divulgazione della verità storica, nella parte finale del testo Alan Hart lancia un appello che mette l'accento sull'importanza di trovare editori nei vari paesi occidentali che abbiano il coraggio e la disponibilità finanziaria per pubblicare la sua opera in 3 volumi: «Sionismo: il vero nemico degli ebrei».
Già in precedenza abbiamo illustrato il contenuto significativo di questa opera epica, che permette al lettore di conoscere la VERITA' sull'impresa sionista e sul ricatto che ha condizionato in toto le politiche internazionali di un secolo e oltre di storia.
Si tratta di un racconto vivo, narrato in gran parte in prima persona, in quanto Alan Hart stesso è stato protagonista, a partire dagli anni '60, di molte delle vicende narrate, interagendo personalmente con le figure chiave schierate dall'una parte e dall'altra del conflitto in Medio Oriente, e fungendo da mediatore ufficiale per i negoziati di pace tra il leader palestinese Arafat e l'israeliano Shimon Peres -- come emerge anche dal testo che segue.
Sarà importante trovare anche in Italia un editore e un finanziatore per la traduzione e pubblicazione di un'opera così preziosa.
Dichiara Alan Hart alla fine del testo tradotto in basso:
«Se avessi scritto un libro epico pro-sionista, i finanziamenti dei facoltosi sostenitori di Israele sarebbero arrivati copiosi per promozioni di ogni tipo, e perfino per la produzione di un film di Hollywood basato sul contenuto del libro.
«E’ triste considerare che le risorse messe a disposizione per raccontare le falsità storiche siano da sempre illimitate, mentre la verità non ha generato un sostegno finanziario significativo da nessuna fonte.
«E questa, a mio avviso, è la ragione principale per cui, fino ad oggi, il potere sionista ha trionfato sui diritti dei palestinesi».
Il seguente testo è la trascrizione di un discorso che Alan Hart (centro) ha tenuto di fronte ad un pubblico tedesco in Freiburg, dove era stato invitato in qualità di relatore insieme a Gilad Atzmon (centro), Ken O’Keefe (destra) e alcuni studiosi palestinesi, per una conferenza dal titolo: «Palestina, Israele e Germania – i confini del dibattito pubblico». Il discorso di Alan Hart ha per titolo: «La complicità dei media di massa con il sionismo nella soppressione della verità storica».
* * *
La verità storica su Israele opposta alla versione
della falsa propaganda sionista
di Alan Hart
Da tempo sono dell’avviso che il conflitto intorno alla Palestina occupata dallo stato sionista sia il CANCRO al cuore delle politiche internazionali; e credo che senza una cura questo cancro ci consumerà TUTTI. Credo anche, che niente sia più importante che oltrepassare, e di fatto eliminare, i confini che ancora oggi impediscono il dibattito pubblico, informato e onesto, su CHI debba fare COSA perché ci sia giustizia per i Palestinesi e la pace per tutti ovunque nel mondo. Ecco perché sono lieto dell’opportunità di parlare oggi a voi, in occasione di questa conferenza.
Prima di entrare nel vivo della discussione, vorrei fare una premessa, e anche offrirvi una chiave – anzi LA CHIAVE – per comprendere.
Sia io personalmente che il mio libro «Sionismo: il vero nemico degli ebrei» siamo considerati una spina nel fianco del regime sionista e anche dei regimi arabi corrotti e repressivi. E c’è una ragione valida: il mio libro mette il dito su una piaga tanto profonda quanto marcia. Il fatto è che non si può raccontare la verità sul sionismo senza raccontare la verità sui regimi arabi.
Come spiegherò tra breve, la verità è che, nonostante la falsa retorica del contrario, i regimi arabi non hanno mai avuto alcuna intenzione di combattere Israele per liberare la Palestina. E ciò aiuta a spiegare perché i regimi arabi sono da sempre complici dei sionisti nel volere sopprimere una verità storica molto scomoda. Stiamo parlando dei GOVERNI arabi, non dei popoli, che invece sono tutti dalla parte dei palestinesi.
Infatti la liberazione della Palestina è una delle componenti fondamentali delle rivolte arabe.
* * *
Ora la chiave per comprendere.
Si tratta della differenza tra giudaismo e sionismo ebraico.
- IL GIUDAISMO è la religione ebraica, ma non è la religione di TUTTI gli ebrei, perché non tutti gli ebrei sono religiosi. Come il Cristianesimo e l'Islam, il Giudaismo si basa su una serie di principi etici e valori morali.
- IL SIONISMO EBRAICO è un nazionalismo settario con caratteristiche parassitarie simil-coloniali, che ha creato uno stato per alcuni ebrei nel cuore dei territori arabi per mezzo di terrorismo e pulizia etnica, facendosi beffa del Giudaismo e dei suoi valori morali e princìpi etici. In realtà il Giudaismo religioso e il sionismo ebraico sono diametralmente opposti. Mi chiedo quanti di voi siano consapevoli che il ritorno degli ebrei nella terra della Israele biblica per mezzo di azioni forzate è una mira PROSCRITTA e VIETATA dalla religione giudaica?
A mio avviso, la negazione della Nakba – la catastrofe provocata dagli ebrei sionisti in Palestina a partire dal 1948 mediante pulizia etnica - è tanto esecrabile quanto la negazione dell'Olocausto ebraico provocato dai nazisti. Vale la pena notare che solo una minoranza esigua di cristiani e musulmani nega l'olocausto nazista, mentre gli ebrei che negano la pulizia etnica perpetrata dal sionismo rappresentano la maggioranza della comunità ebraica mondiale.
Anti-ISRAELISMO e Anti-SEMITISMO
Sono due i motivi per cui conoscere la differenza tra giudaismo e sionismo offre la chiave per la comprensione.
Il primo è che, conoscendo la differenza, si può capire perché sia del tutto possibile essere appassionatamente anti-sionisti (opposti all’occupazione sionista della Palestina) senza essere in alcun modo anti-semiti (nel senso di odio e disprezzo degli ebrei nel mondo per il fatto di essere ebrei).
Gli apologisti di Israele affermano che GIUDAISMO e SIONISMO siano la stessa e medesima cosa. Si servono di questa falsità per muovere l’accusa che tutte le critiche mosse contro Israele siano una manifestazione di anti-semitismo. E questa è pura propaganda sionista a scopo di ricatto, finalizzata a fare tacere le critiche e impedire il dibattito informato e onesto sulle politiche e sui crimini di Israele. Ma quando si conosce la differenza tra giudaismo e sionismo, si è in possesso di argomenti validi per respingere false accuse di anti-semitismo solo per avere detto o scritto la verità – e spero che questo sia un pensiero confortante, specie per i tedeschi.
La seconda ragione per cui è importante capire la differenza tra giudaismo e sionismo, è che diventa chiaro il motivo per cui è sbagliato incolpare TUTTI gli ebrei ovunque nel mondo per i crimini di Israele.
Tuttavia, la possibilità che proprio questo possa succedere era stata prevista da un uomo lungimirante. Voglio leggervi le parole di avvertimento di Yehoshafat Harkabi, che è stato a lungo il direttore dell'Intelligence militare israeliana. Nel suo libro “L’ora fatale di Israele”, pubblicato nel 1986, scriveva questo:
«Israele è il criterio secondo cui tutti gli ebrei tenderanno a essere giudicati. Israele come stato ebraico è l’esempio del carattere ebraico, che proprio in Israele viene espresso e sintetizzato. L'anti-semitismo ha radici profonde e storiche. Tuttavia, qualsiasi difetto nella condotta di Israele, che inizialmente provocherà l’ANTI-ISRAELISMO, rischia di trasformarsi in prova empirica della validità per L’ANTI-SEMITISMO. Sarebbe una tragica ironia, se lo stato ebraico, che mirava a risolvere il problema dell'anti-semitismo, dovesse diventare un fattore per il risveglio dell'anti-semitismo. Gli israeliani devono rendersi conto che il prezzo dei loro misfatti verrà pagato non solo da loro stessi, ma dagli ebrei nel mondo intero».
Assistiamo oggi ad una crescente ondata di anti-ISRAELISMO nel mondo, provocato dal potere arrogante di Israele, dal suo disprezzo per il diritto internazionale e dal suo FARISEISMO spaventoso. Secondo Harkabi, il fariseismo arrogante (self-righteousness, auto-rettitudine) costituisce la più grande minaccia all'esistenza di Israele.
Se Israele mantiene il suo corso attuale, il pericolo è, proprio come ammoniva Harkabi, che l’anti-Israelismo si trasformi in anti-Semitismo, portando ad un probabile Olocausto II – ovvero ad un'altra grande persecuzione degli ebrei ovunque nel mondo che molto probabilmente inizierà in America. A mio avviso il pericolo -- molto reale -- che questo accada sarà notevolmente ridotto se in particolare i cittadini occidentali, tra cui vive la maggioranza degli ebrei nel mondo, diventerà consapevole della differenza tra giudaismo e sionismo.
Va detto inoltre, che è nell’interesse degli ebrei nel mondo intero -- e specie in Europa e America -- agire tempestivamente per proteggersi nel prendere le distanze dallo stato sionista e dai suoi crimini. Il prologo del Volume 1 della mia opera sul sionismo ha per titolo Aspettando l'Apocalisse. In questo prologo cito il Dr. David Goldberg, un illustre rabbino liberale di Londra, che nel 2001 aveva dichiarato: «Forse è arrivato il momento per il giudaismo e il sionismo di prendere strade separate». Se oggi il rabbino fosse ancora tra noi, gli risponderei : «Non forse, ma con estrema urgenza!».
ISRAELE HA IL DIRITTO DI ESISTERE?
Quando ho iniziato la mia carriera come giovane reporter – inizialmente per la ITN (la britannica Independent Television News) - il capo redattore, che apprezzavo molto, mi ha comunicato la mia missione sintetizzandola in una semplice frase: «il nostro compito è aiutare a mantenere viva la democrazia».
Il mio “j’accuse” oggi è, che a causa della complicità con il sionismo nella soppressione della verità storica in merito all’occupazione della Palestina ora chiamata Israele, i media di massa in tutto il mondo occidentale hanno tradito la causa della democrazia …
Il mio scopo principale oggi è quello di attirare l'attenzione su due degli elementi critici della verità soppressa, e poi a spiegare in sintesi, PERCHE’ la verità storica è così importante.
Ma prima affrontiamo una questione cruciale: se Israele abbia o no il diritto di esistere.
Secondo la versione mistificata della storia che viene raccontata oggi in Occidente, Israele avrebbe ricevuto il suo certificato di nascita, e quindi la sua legittimità, per mezzo della Risoluzione ONU del 29 novembre 1947 per la Spartizione della Palestina.
Questa affermazione è una totale assurdità.
In primo luogo, l'ONU senza il consenso della maggioranza del popolo palestinese NON AVEVA IL DIRITTO di decidere la partizione della Palestina o assegnare parte del suo territorio a una minoranza di immigrati alieni per consentire loro di fondare uno stato per sé stessi. Il termine "alieno" è corretto, perché gli ebrei che sono andati in Palestina in risposta al richiamo sionista, non avevano alcun legame biologico di alcun tipo con gli antichi ebrei. Erano soprattutto europei convertiti al giudaismo molto tempo dopo la fine della prima occupazione israelita della Palestina.
La nozione che ci siano due popoli con diritti egualitari alla rivendicazione della stessa Terra è una falsità.
Nonostante ciò, con un margine ridotto all’osso e solo dopo un voto truccato, nel novembre del 1947 l’Assemblea Generale dell'ONU fece passare una risoluzione per la partizione della Palestina e la creazione di due Stati, uno arabo e un ebraico, con Gerusalemme non facente parte di nessuno dei due.
Ma la risoluzione dell'Assemblea Generale COSTITUIVA DI FATTO SOLO UNA PROPOSTA – che senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza non sarebbe entrata in vigore.
La verità è che la proposta di partizione dell'Assemblea Generale NON ARRIVO’ MAI al Consiglio di Sicurezza per l'esame.
Perché?
Perché gli Stati Uniti sapevano che, se approvata, la partizione poteva essere attuata solo con la forza; e il Presidente Truman non era disposto a usare la forza per partizionare la Palestina.
Così il piano di partizione divenne “viziato” (non valido) e la questione su cosa fare con la Palestina dopo il pasticcio combinato dalla Gran Bretagna -- lavandosene poi le mani -- ritornò all’attenzione dell'Assemblea Generale per una discussione ulteriore.
L'opzione preferita e proposta dagli Stati Uniti era la temporanea amministrazione fiduciaria da parte delle Nazioni Unite. Ma proprio mentre l'Assemblea Generale dibatteva su cosa fare, ISRAELE DICHIARO’ UNILATERALMENTE LA PROPRIA ESISTENZA - di fatto contro la volontà della comunità internazionale organizzata, compreso il governo Truman.
La verità storica è che lo stato sionista, che (come accennavo in precedenza) è stato creato mediante terrorismo e pulizia etnica, non aveva alcun diritto di esistere, né poteva averlo, a meno che …
... A meno che non fosse riconosciuto e legittimato da coloro che sono stati espropriati dei loro diritti e della loro terra durante la creazione dello stato sionista.
Secondo il Diritto Internazionale solo i palestinesi potevano - e possono - conferire ad Israele la legittimità cui ambisce.
E tale legittimità era l'unica cosa che i sionisti non potevano e non possono prendere dai palestinesi con la forza.
LE MENZOGNE DELLA PROPAGANDA SIONISTA (1)
Parte 1 - Le guerre israeliane: non difesa ma attacco
E ora parliamo di quelle che considero le due maggiori e più efficaci menzogne della propaganda sionista, su cui si basa la versione mistificata della storia che oggi viene raccontata in Occidente.
LA PRIMA menzogna è l’affermazione che Israele viva in costante pericolo di annientamento, la cosiddetta «respinta in mare» dei suoi ebrei.
La verità storica, che viene interamente documentata attraverso i tre volumi del mio libro, è che l’esistenza di Israele non è mai stata messa, in alcun momento, in pericolo da parte delle forze arabe – né singole né congiunte. Non nel 1948. Non nel 1967. E nemmeno nel 1973. L’affermazione del contrario da parte dei sionisti rappresenta l’alibi che ha permesso alla sua creatura mostruosa, Israele, di farla franca dove contava maggiormente – in America e in Europa occidentale – facendo passare per auto-difesa la sua aggressione e sé stessa come la vittima mentre in realtà è l’aguzzino.
Nel tempo limitato a mia disposizione su questa piattaforma, oggi voglio concentrarmi sulla guerra del 1967, ma voglio spendere qualche parola anche sui combattimenti del 1973.
La verità sulla Guerra del 1967
Sì, è vero che quando Israele dichiarò unilateralmente la propria esistenza – un'azione che successivamente un noto leader sionista equiparò ad una dichiarazione di guerra contro gli arabi – i reparti di cinque eserciti arabi entrarono in Palestina. Ma il loro obiettivo non era la distruzione dello stato ebraico relativo al Piano di Partizione viziato. Il loro scopo era unicamente di prendere il controllo almeno del territorio assegnato per uno Stato Arabo secondo tale Piano. Ma fallirono miseramente.
Nel periodo iniziale dei combattimenti vi fu una tregua di 30 giorni. Durante la tregua, gli arabi non ricevettero un solo proiettile, una sola bomba, perché vi fu un embargo sulle armi. Ma le forze israeliane, per via della brillante pianificazione pre-bellica effettuata dal loro capo David Ben-Gurion, ricevettero armi e attrezzature di ogni genere.
Quando i combattimenti ripresero, si trattava di 20.000 ARABI male in arnese, disorganizzati e completamente demoralizzati, contro 90.000 ISRAELIANI ben armati, ben guidati e altamente motivati.
Da allora in poi Israele divenne la superpotenza militare nella regione.
(Nel conto alla rovescia per quella prima guerra arabo-israeliana non era certo un segreto nelle sfere diplomatiche la speranza segreta coltivata da Ben-Gurion che gli Arabi avrebbero respinto la partizione e optato per la guerra, ben consapevole che Israele avrebbe ottenuto più terra araba dai combattimenti che non dalla politica e dalla diplomazia).
Posso parlare e scrivere sulla guerra del 1967 sulla base dell’esperienza personale, perché sono stato il primo corrispondente di guerra occidentale ad arrivare sulle rive del Canale di Suez con gli israeliani in avanzamento; e per via dei miei contatti nelle alte sfere diplomatiche – incluso il Gen. Maggiore Chaim Herzog, uno dei padri fondatori dell’Intelligence israeliana - ero al corrente delle trame segrete israeliane in previsione della guerra. Nel secondo giorno della guerra il generale Herzog mi disse: «se Nasser non fosse stato tanto stupido da darci un pretesto per la guerra, ne avremmo creato uno entro un anno, o al massimo 18 mesi».
A distanza di oltre 40 anni, la maggior parte degli ebrei e dei cittadini occidentali è ancora convinta che Israele sia "entrata" in guerra perché gli Arabi hanno attaccato per primi (la versione iniziale di Israele), oppure perché gli Arabi avessero l’intenzione di attaccare e Israele si sarebbe trovata costretta ad una guerra preventiva.
La verità sulla guerra del 1967 può essere riassunta in una semplice affermazione: gli Arabi NON hanno attaccato, né avevano intenzione di attaccare.
L’intera verità, tuttavia, documentata nel mio libro, comprende i fatti seguenti.
Il premier israeliano di quell’epoca, il molto calunniato Levi Eshkol, ricopriva allora anche la carica di ministro alla difesa e non aveva alcuna intenzione di iniziare una guerra. Né la aveva il suo Capo di Stato Maggiore, Yitzhak Rabin. La loro intenzione era di condurre azioni militari molto limitate e per niente assimilabili ad una guerra, mirate a fare pressione sulla comunità internazionale affinché spingesse il presidente egiziano Nasser a riaprire lo Stretto di Tiran.
Invece Israele ha iniziato una guerra a tutti gli effetti perché così volevano i falchi militari e politici, che a tale scopo hanno diffuso la falsità che gli Arabi stessero per attaccare. Sapevano benissimo che era una menzogna, ma l’hanno sostenuta per attaccare Eshkol sul piano politico, facendolo passare per un debole agli occhi del paese. Al culmine della campagna di diffamazione contro Eshkol (che era saggio e NON debole) i falchi hanno chiesto a gran voce che il premier passasse il portafoglio della difesa a Moshé Dayan, che tutti ricordiamo come il signore della guerra con la benda sull’occhio e maestro dell’inganno. Appena quattro giorni dopo avere ottenuto il ministero che voleva, mentre i falchi israeliani avevano ottenuto il via libera dal presidente americano Johnson per annientare l’aviazione e l’esercito dell’Egitto, Israele ha iniziato la guerra. (Lindon Johnson era stato vice-presidente di John Kennedy, al quale era succeduto dopo l’assassinio del famoso presidente americano, n.d.t.)
Ciò che in realtà avvenne in Israele durante i giorni che precedettero la guerra fu qualcosa di molto simile ad un golpe militare, eseguito in segreto, a porte chiuse, senza colpo ferire. Per i falchi di Israele, in effetti, la guerra del 1967 significava portare a termine l’impresa iniziata nel 1948/49: creare la Grande Israele, con Gerusalemme -- l’intera Gerusalemme -- come capitale.
Avvenne questo. I falchi israeliani tesero una trappola al presidente egiziano Nasser minacciando la Siria. Sentendosi obbligato a salvare la faccia con la Siria, l’imprudente Nasser cadde nella trappola ad occhi aperti.
Nel lungo capitolo su questa guerra, con cui inizia il Volume 3 della mia opera, fornisco nomi e citazioni dei leader israeliani dell’epoca, che in seguito avevano ammesso la verità.
Ecco alcune citazioni.
- Il primo a rivelare la verità fu proprio il Capo di Stato Maggiore Yitzhak Rabin. In un’intervista pubblicata su Le Monde il 28 febbraio del 1968, Rabin disse questo: «Non credo che Nasser volesse la guerra. Le due divisioni che ha inviato nella Penisola del Sinai il 14 maggio (1967) non sarebbero state sufficienti a scatenare un’offensiva contro Israele. Lo sapeva lui e lo sapevamo noi.»
- Nel 1982 il primo ministro Begin si fece sfuggire questa osservazione in pubblico: «Nel giugno del 1967 avevamo una scelta. Le forze egiziane concentrate nel Sinai non erano affatto una prova che Nasser fosse davvero sul punto di attaccarci. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Noi abbiamo deciso di attaccare loro.»
Ognuno degli altri leader israeliani che cito nel libro, ammetteva che Israele non era mai stata a rischio di annientamento, e nemmeno di un attacco da parte degli Arabi.
- E come disse uno di loro, Mordecai Bentov, esponente del governo israeliano durante la guerra:
«L’intera storia dell’annientamento di Israele è stata inventata in ogni suo dettaglio e oltremodo esagerata a posteriori per giustificare l’annessione di altre terre Arabe».
Mentre scrivevo quel capitolo del mio libro, riflettevo con rabbia e dolore su quanti ebrei in Israele e nel mondo – in effetti la quasi totalità - sono stati ingannati dai leader israeliani e dai «spin doctors» sionisti che hanno cambiato le carte in tavola.
A mio parere, una delle accuse più schiaccianti da muovere ai media di massa in merito alla loro complicità con il sionismo nella soppressione della verità storica, è che a tutt’oggi raccontano una versione fraudolenta della guerra del ’67, nonostante i fatti storici – anche quelli da me narrati - siano stati acquisiti agli atti come verità ufficiale.
Domanda: perché i media di massa si prestano al gioco della complicità?
Molti credono che la risposta sia: «i media sono controllati dagli ebrei». Ma il fatto che gli ebrei siano i proprietari o abbiano il controllo dei media è solo una parte della spiegazione. L’argomento richiederebbe un esame approfondito, ma il nostro tempo qui e oggi è limitato. Per cui mi limiterò ad una semplice considerazione. Il guadagno dei giornali, ad esempio, non proviene dalla vendita delle copie. Proviene dalla vendita dello spazio pubblicitario. Ciò che i redattori temono maggiormente, è di perdere le entrate della pubblicità – un’eventualità molto probabile se le sfere sioniste si sentono offese dalla linea adottata da un giornale in contrasto con la linea voluta dai sionisti. E questa paura si traduce in auto-censura … Ma ci sarebbe molto altro da dire sull’argomento.
Riprendiamo il discorso sulla falsa propaganda in merito alle guerre e al presunto pericolo esistenziale di Israele.
La Guerra del 1973
Per i primi due o tre giorni della guerra del 1973 in pratica il mondo intero credeva che Israele fosse davvero sull’orlo della sconfitta e dell’annientamento. MA NON ERA COSI’. Nonostante il fatto che furono l'Egitto e la Siria a prendere l’iniziativa, il piano del presidente egiziano Sadat prevedeva unicamente di attraversare il canale di Suez e fermarsi lì. Ed è ciò che ha fatto. Da parte degli egiziani non c’era intenzione alcuna di attaccare Israele o cercare di riprendersi i territori egiziani occupati da Israele. Mentre lo scopo della Siria si limitava al tentativo di riprendersi le Alture del Golan sottratte alla Siria dagli israeliani.
Fondamentalmente si trattava di un’iniziativa di Sadat in segreto accordo con il nuovo segretario di stato americano, Henry Kissinger. Il ministro Kissinger voleva impartire ai suoi amici israeliani intransigenti una piccola lezione nella speranza che l’operazione si sarebbe tradotta in un processo di pace con l'Egitto.
L’astuto Kissinger, davvero amico di Israele, sapeva che, tolto l’Egitto dalle ostilità, le altre forze arabe non avrebbero MAI potuto combattere Israele neanche volendo; e Israele sarebbe stata quindi completamente libera di imporre la propria volontà su tutto il mondo arabo.
Ma le cose si misero male per Sadat e Kissinger, quando i generali israeliani si resero conto che il loro amico americano aveva tramato con Sadat. Infatti, dietro suggerimento di Kissinger, il presidente americano Nixon rifiutò di rifornire Israele con le armi richieste.
Con il generale Sharon in testa, i capi militari israeliani decisero di impartire sia a Kissinger che a Sadat una dura lezione.
Il ministro alla difesa israeliano Moshé Dayan ordinò di armare due missili con testate nucleari, con Cairo e Damasco come bersagli.
Il messaggio di Dayan a Kissinger e Nixon era questo: «Se non ci date quello che vogliamo, faremo uso delle nostre testate nucleari».
La storia di questa guerra viene raccontata nel Volume 3 del mio libro, in un capitolo intitolato «La guerra del Yom Kippur e il ricatto nucleare».
L’affermazione che l'esistenza di Israele non è mai stata messa in pericolo, in nessun momento, da parte delle forze arabe singole o congiunte, è assistita da questo fatto.
Quando il «caso Palestina» venne chiuso dalla vittoria di Israele nella campagna militare del 1948 e dall'annessione della Cisgiordania da parte della Giordania, si presumeva che questo avrebbe segnato la fine della Palestina per sempre. Si presumeva che NON ci sarebbe stata una rigenerazione del nazionalismo palestinese e che i palestinesi avrebbero accettato la propria sorte di agnello sacrificale sull'altare della convenienza politica.
Non solo. La verità è che, in segreto e nonostante la retorica del contrario, i regimi arabi condividevano la stessa speranza dei sionisti e delle grandi potenze: che il caso Palestina non sarebbe mai stato riaperto. Sapevano che altrimenti un giorno ci sarebbe stato lo scontro con Israele e con i suoi sostenitori: le grandi potenze mondiali e gli Stati Uniti in particolare.
Ciò che i regimi arabi temevano in particolare era un eventuale Stato Palestinese. Sapevano che un tale stato avrebbe avuto caratteristiche di democrazia e avrebbe rappresentato un modello a cui tutte le popolazioni popoli arabe avrebbero aspirato. Il nazionalismo palestinese veniva pertanto percepito dai despoti arabi come una forza potenzialmente sovversiva.
Altrettanto, i leader israeliani erano consapevoli che una eventuale rigenerazione del nazionalismo palestinese avrebbe avuto come conseguenza che l’intero castello sionista – la legittimità di Israele ad esistere su terre palestinesi – sarebbe stata messa in seria discussione.
Ed è proprio ciò che sta accadendo ora.
LE MENZOGNE DELLA PROPAGANDA SIONISTA (2)
Parte 2 - Chi non vuole il Processo di Pace?
LA SECONDA delle due maggiori e più efficaci menzogne della propaganda sionista, riguarda l’affermazione che Israele non avrebbe «mai avuto interlocutori per la pace» da parte dei palestinesi.
La migliore introduzione alla verità storica su questo aspetto è una frase contenuta in un libro alquanto notevole: Il muro di ferro, Israele e il Mondo Arabo, scritto da Avi Shlaim, uno dei maggiori revisionisti di Israele, e cioè, uno storico onesto.
Scrive Avi Shlaim:
«La documentazione in possesso del Ministero degli Esteri israeliano è piena colma di resoconti sulle manovre da parte di ambasciatori palestinesi inviati per manifestare la disponibilità a negoziare con Israele, già a partire dal settembre del 1948».
Vale la pena ripetere «dal settembre del 1948». Avi è stato il primo ad avere accesso a questi file quando sono stati declassificati.
Nel tempo a mia disposizione oggi mi limiterò a soli due esempi di questa disponibilità, o pragmatismo, palestinese a negoziare. Che potrebbe anche essere visto come tradimento della causa palestinese.
Appena arrivato al potere in Egitto nel 1951 mediante un colpo di stato, Nasser segretamente segnalò che avrebbe voluto un accordo con Israele.
Le intenzioni di Nasser vennero rivelate durante i suoi colloqui segreti con Moshe Sharret, allora ministro degli esteri di Israele e a mio avviso il solo leader israeliano completamente razionale del suo tempo. È stato anche per un breve periodo primo ministro quando Ben-Gurion si era dimesso per qualche tempo, perché alcuni dei suoi colleghi -- e forse lui stesso -- stavano cominciando a dubitare del suo stato mentale.
Quando tornò in carica come premier, Ben-Gurion distrusse Sharret politicamente perché, in seguito ai negoziati segreti con Nasser, Sharret voleva fare la pace con gli Arabi accettando per Israele i confini previsti dall’Armistizio del 1948.
Ma l'uomo che più di ogni altro si è impegnato nel preparare il terreno per la pace è stato il leader palestinese che avviò la lotta per riaprire la pratica della Palestina – il pragmatico Yasser Arafat.
Arafat e il compromesso storico con Israele
Nel mio libro Arafat, terrorista o pacifista?, pubblicato per la prima volta nel 1984, ho rivelato che personalmente Arafat aveva accettato, seppure a malincuore, l’idea del compromesso storico con Israele fin dal 1968. Ripeto: già a partire dal 1968.
Arafat aveva imparato a fidarsi di Nasser, che considerava una figura paterna affidabile. Era arrivato ad accettare che il presidente egiziano Nasser avesse ragione quando affermava che se la OLP -- l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina -- voleva essere presa sul serio da parte delle grandi potenze occidentali e orientali, doveva essere realistica e
venire a patti con l’esistenza di Israele entro i confini antecedenti la guerra del 1967.
Da quel momento, ci sono voluti ad Arafat cinque lunghi anni solo per convincere i colleghi di al-Fatah ad accettare l’impensabile: l’idea del compromesso storico con Israele. Inizialmente l'idea del compromesso veniva considerata inaccettabile praticamente per tutti i palestinesi, non solo perché si trattava di fare la pace con Israele in cambio del solo 22% del Territorio Palestinese storico, ma soprattutto perché significava rinunciare volontariamente al territorio sottratto e legittimare la presenza di Israele sul 78% del territorio palestinese.
Eppure Arafat ci riuscì infine – dopo una lunga lotta.
In seguito ci vollero altri cinque anni ad Arafat per fare accettare l’inaudito compromesso con Israele anche al PNC (il Consiglio Nazionale Palestinese), una sorta di parlamento palestinese in esilio e il più alto organo decisionale palestinese.
In quel momento c'erano circa 300 rappresentanti del PNC in esilio nella Diaspora Palestinese globale. Altri ancora si trovavano nei territori occupati in Palestina e perfino in Israele, ma le autorità israeliane non permetteva loro di viaggiare e quindi di partecipare alle riunioni del PNC, appunto all’estero.
In quei cinque anni Arafat ha dovuto fare opera di convincimento presso ogni singolo membro del PNC. E ha dovuto farlo impiegando mezzi democratici, come discussioni e dibattiti. Non poteva comportarsi come i suoi colleghi despoti dei regimi arabi che impongono la propria volontà con la forza. Lo ha fatto convocando tutti i 300 membri del PNC ovunque nel mondo, uno a uno, per singoli incontri faccia a faccia in Beirut.
Invariabilmente, durante questo primo giro di conversazioni, Arafat non riceveva altro che rifiuti alla sua proposta, oltre all’accusa che lui, Arafat, fosse un traditore e la prospettiva che sarebbe stato assassinato se avesse perseguito le sue politiche di compromesso con Israele. Arafat stava di fatto mettendo a rischio non solo la sua credibilità presso il popolo palestinese, ma certamente anche la sua vita.
Alla fine di ogni conversazione individuale, Arafat comunque invitava i delegati a tornare nei luoghi della Diaspora (all'estero, in esilio) in cui ognuno viveva al momento, e a riflettere molto seriamente sulla proposta del compromesso.
Se dopo il periodo di riflessione e la discussione della proposta con le proprie comunità i delegati si mostrassero ancora contrari alla sua politica, Arafat li avrebbe convocati a Beirut per una seconda conversazione.
Il voto finale del PNC nel 1979 rappresentò una vittoria schiacciante per Arafat. La proposta del compromesso con Israele ricevette 296 voti in favore e solo 4 contrari.
Fu proprio in occasione di quel voto storico del PNC che ebbi la prima conversazione con Arafat – la prima di una serie molto lunga.
Appena rimasti soli, Arafat estrasse un piccolo taccuino dalla tasca e sventolandolo con aria trionfale disse: «E’ tutto annotato qui». Con ciò intendeva dire, che aveva preso nota di ogni singola conversazione con ognuno dei delegati nel corso di quei lunghi anni.
Poi, con un gran sorriso sul volto e una voce che suggeriva l’incredulità di quanto appena accaduto, Arafat disse questo:
«E’ stato un viaggio lungo ma siamo arrivati lontano. Niente più discorsi sul cacciare gli ebrei in mare. Ora siamo pronti a vivere come loro vicini in un piccolo stato tutto nostro. È un miracolo».
Era davvero un miracolo, e Arafat lo aveva reso possibile. Da parte sua, aveva preparato il terreno per una pace basata su condizioni che qualsiasi governo e popolo razionale in Israele avrebbe accettato con sollievo. Nessun altro leader palestinese avrebbe potuto ottenere un tale risultato.
Il problema quindi non era che Israele non abbia trovato partner palestinesi per la pace. Il problema è che sono i palestinesi a non avere mai trovato un interlocutore israeliano disposto alla pace.
Israele oppone il terrorismo alla pace
Menachem Begin, probabilmente il terrorista di maggior successo dei tempi moderni e forse di tutti i tempi, era allora il primo ministro di Israele. «Arafat il terrorista» era qualcosa che Begin e i capi della Likud potevano gestire. Ma «Arafat il pacifista» non erano pronti ad accettarlo. Ecco perché nel 1982 Begin ha permesso al generale Ariel Sharon, allora ministro alla Difesa israeliano, di condurre l’esercito israeliano fino a Beirut (sede dell'OLP di Arafat) con l’obiettivo di liquidare l’intera leadership del l'OLP e distruggerne l’infrastruttura.
Ma questa era solo la fase uno del piano di Sharon (che dopo la campagna del Libano del 1982 ricevette il soprannome di «macellaio di Sabra e Shatila»). Se fosse riuscito il suo piano in Beirut, avrebbe proseguito con il progetto per la destabilizzazione della Giordania e la caduta della monarchia giordana hascemita. Fatto questo, l'intenzione era di dire ai palestinesi: «Visto che dovete avere uno stato vostro, eccolo – la Giordania. Ve la potete prendere».
Per mettere in atto il piano, Sharon aveva instaurato in Cisgiordania una sorta di governo fantoccio in attesa di un regime su cui regnare, che consisteva di 70 collaborazionisti palestinesi. Appena Sharon avesse spodestato il re Hussein della Giordania, i 70 palestinesi sarebbero stati traghettati in Giordania per mezzo di elicotteri.
Il re Hussein di Giordania -- che peraltro conoscevo molto bene personalmente -- mi disse che lui e tutti i leader arabi erano da tempo del tutto consapevoli di quelle che erano le intenzioni di Sharon.
Hussein mi confermò anche una faccenda che mi aveva rivelato Arafat.
Poco prima che Sharon lanciasse la sua invasione del Libano per liquidare l'OLP, i leader arabi del Golfo si incontrarono in segreto, escludendo perfino la presenza dei consiglieri, per concordare un messaggio da inviare al presidente americano Reagan.
Il messaggio era che quando Sharon avesse invaso il Libano per liquidare l'OLP, i leader arabi non avrebbero creato alcun problema per gli Stati Uniti o per Israele.
La fonte di Arafat per tali informazioni è stato uno dei leader arabi del Golfo che era presente alla riunione segreta – il sultano Qaboos dell'Oman (tuttora il sovrano dell’Oman). Il suo messaggio ad Arafat era stato questo:
«Quando Sharon vi attaccherà in Beirut, chiederete il nostro aiuto e non lo otterrete. Stai molto attento».
Tutto questo e molto altro ancora è raccontato nel mio libro, con dovizia di dettagli ben documentati.
Rabin assassinato perché voleva il compromesso
Ci fu un momento, nella storia, in cui Arafat trovò un possibile e anche probabile interlocutore per la pace nella veste del premier israeliano Yitzhak Rabin; ma come ho saputo dalle mie fonti, Rabin entrò negli accordi di Oslo avviati da Arafat solo con grande riluttanza perché temeva di essere assassinato da qualcuno della propria cerchia.
Come sappiamo, i suoi timori si rivelarono del tutto giustificati.
Il sionista fanatico che assassinò Rabin, probabilmente con la complicità di alcuni all’interno dei servizi di sicurezza israeliani, non era affatto mentalmente squilibrato come voleva la versione ufficiale. Sapeva esattamente quello che stava facendo: uccidendo Rabin sarebbe morto anche il processo di pace avviato da Arafat.
Da quel momento in poi la credibilità di Arafat presso il suo popolo subì un processo di lenta erosione.
Il motivo è semplice da spiegare. Ciò che Arafat aveva detto in effetti in tutti quegli anni era stato: «Fidati di me. Permettetemi di perseguire le mie politiche di compromesso con Israele, perché otterrò risultati concreti per voi».
La triste realtà era, che Arafat non poteva ottenere niente per il suo popolo, perché i leader di Israele non avevano alcuna intenzione di accettare la pace né la soluzione dei due Stati che Arafat offriva.
E gli ebrei di Israele non erano in grado di sfidare la follia dei loro leader, perché avevano subìto il lavaggio del cervello della propaganda sionista.
Arafat: il triste epilogo di una vita di lotte
Le accuse che oggi vengono mosse ad Arafat da parte di alcuni intellettuali e attivisti è che nel processo di pace di Oslo, Arafat abbia di fatto consegnato il controllo della politica palestinese a Israele e ai sionisti.
Durante la mia ultima conversazione con Arafat prima della sua morte -- e penso che sia stato assassinato mediante avvelenamento -- gli ho chiesto se, ripensandoci, non fosse arrivato alla conclusione di avere fatto l'errore della sua vita e di avere tradito in effetti il suo popolo mettendo la propria buona fede e quella dei palestinesi nelle mani di Israele, nella speranza che Israele avrebbe rispettato gli impegni per la pace.
La prima parte della sua risposta lasciava intendere, che quando Arafat aveva avviato le trattative di Oslo, credeva sinceramente di non avere altra scelta -- perché Israele aveva dalla sua tutto il potere, mentre ai palestinesi non rimaneva altro che una mera speranza nel riconoscimento dei propri diritti.
Nella seconda parte della sua risposta, Arafat spiegò con voce mista di rabbia e quieta disperazione, che se le grandi potenze, e gli Stati Uniti soprattutto, avessero sostenuto la sua politica del compromesso con Israele dopo che Arafat aveva stretto la mano di Rabin sul prato della Casa Bianca, il processo di pace di Oslo avrebbe potuto conseguire la pace sulla base di condizioni appena accettabili per la maggioranza dei palestinesi.
Penso che in questo Arafat avesse ragione. L'amministrazione Clinton non appoggiò Arafat come avrebbe dovuto fare anche nell'interesse dell'America.
E questo perché la Lobby sionista si è data da fare giorno e notte per vanificare gli sforzi sia di Rabin sia di Arafat, e alla fine riuscì nell’intento di cambiare le carte in tavola circa l’accordo firmato.
Capivo benissimo, all’epoca, ciò che stava succedendo in quel momento, per via di un commento fatto da Shimon Peres durante una nostra conversazione nel 1984.
Allora Peres era il leader del partito laburista israeliano in opposizione al primo governo Begin – un governo di coalizione con in testa il partito di destra della Likud.
Peres allora sperava di vincere le prossime elezioni, negando all’ex terrorista Menachem Begin un secondo mandato come premier di Israele.
In quel momento io agivo come mediatore tra Arafat e Peres all’interno di una trattativa che in segreto esplorava possibili condizioni per un accordo di pace.
Durante la mia prima conversazione privata con Peres, all'inizio delle trattative, ho usato il termine «Lobby israeliana», mandando Peres su tutte le furie. Quasi urlando, mi interruppe dicendo: «Lei non capisce! Non è una Israel lobby! Si tratta di una Likud lobby! E’ questo il problema!»
Personalmente preferisco chiamarla Lobby Sionista, perché non credo che tutti gli israeliani si sentano rappresentati dalla Lobby.
A questo punto vorrei specificare un aspetto importante. Come spiego nel mio libro, non è tanto la lobby sionista che dobbiamo biasimare per come agisce - per esecrabile che sia, in fondo non fa che tirare l’acqua al suo mulino secondo le regole del gioco politico che conosciamo.
Da biasimare è soprattutto il sistema politico americano corrotto, che mette la democrazia in vendita al maggior offerente. La lobby sionista è uno degli offerenti, e l'influenza che è in grado di comprare le consente di controllare il parlamento e il Presidente americano sulle decisioni politiche in merito a Palestina e Israele.
Se ci sarà l’occasione durante la discussione che seguirà, vi dirò che cosa mi ha raccontato il presidente Carter sulle opportunità limitate di cui dispone un presidente americano nell’affrontare la lobby sionista, anche qualora avesse la volontà e il coraggio di farlo.
PERCHE' LA VERITA' STORICA E' IMPORTANTE?
Gentile pubblico in sala, dopo questa sintetica spiegazione dell'essenza della verità storica -- illustrata estesamente nel mio libro anche per mezzo di molteplici aneddoti e conversazioni -- termino il mio contributo principale alla conferenza sollevando una domanda e fornendo la mia personale risposta.
La domanda è: perché la verità storica è tanto importante?
O
meglio: perché è tanto importante superare e abbattere i confini
imposti dal sionismo che vuole sopprimere il dibattito onesto e
informato?
Introdurrò la mia risposta fornendo tre brevi osservazioni di carattere generale.
1 - Israele è stata progettata molto prima che nascesse il nazismo
Penso che lo stato sionista di Israele oggi rappresenti un mostro fuori controllo. Un mostro affamato della massima quantità di terra araba con il minor numero possibile di Arabi, non è minimamente interessato alla pace basata su condizioni che garantiscano ai Palestinesi un minimo di giustizia.
Un mostro che è una vera minaccia non solo per la pace nella regione e nel mondo, ma anche per la sicurezza e il benessere degli ebrei ovunque nel mondo.
Mentre scrivevo il testo di questa presentazione, destinata ad un pubblico tedesco, mi chiedevo quanti cittadini tedeschi siano consapevoli di ciò che sto per dire.
Gli ebrei sionisti avevano progettato lo stato di Israele nel cuore delle terre arabe, in Palestina, fin dalla fine del 19esimo secolo.
Hanno perseguito tale obiettivo con tutte le forze fin dal principio, decenni prima dell’ascesa del nazismo. Eppure, quasi sicuramente, lo stato di Israele non sarebbe mai nato se Adolf Hitler non fosse esistito e non ci fosse stato l’Olocausto perpetrato dai nazisti.
Perché?
Prima delle atrocità del nazismo, la stragrande maggioranza degli ebrei ovunque nel mondo e in particolare molti ebrei Americani illustri -- tra cui l'allora proprietario del New York Times -- erano totalmente contrari al progetto sionista in Palestina. Lo ritenevano un piano immorale. Temevano che avrebbe provocato un conflitto senza fine con gli Arabi e con l’intero mondo Islamico. Ma più di ogni altra cosa temevano che qualora le grandi potenze mondiali avessero permesso al sionismo di ottenere ciò che voleva, presto si sarebbe scatenata una violenta ondata di anti-semitismo su vasta scala.
Per la maggioranza degli ebrei oggi nel mondo, il titolo del mio libro -- Zionism: the real enemy of the Jews (Sionismo: il vero nemico degli ebrei) -- è molto scomodo, troppo scomodo, e alcuni si sentono profondamente offesi e oltraggiati da queste parole; eppure sono convinto che se fossero ancora vivi, oggi, i tanti oppositori ebrei al sionismo di quel periodo pre-olocausto, approverebbero la mia affermazione formulata nel titolo.
Il mio caro amico ebreo Ilan Pappe, autore di “La pulizia etnica della Palestina”, ha descritto il titolo del mio libro come «La verità in sette parole».
2 - Israele NON è uno stato ebraico
La seconda osservazione riguarda la mia ripetuta enfasi sul fatto che Israele è uno stato sionista e non uno stato ebraico.
In realtà è molto semplice. Come può Israele chiamarsi stato ebraico quando per un quarto i suoi cittadini sono Arabi israeliani, principalmente di fede musulmana?
Israele diventerà uno stato ebraico solo se ricorrerà ad una fase finale di pulizia etnica per rimuovere tutti i palestinesi dalla terra occupata da Israele.
A mio avviso questa è una possibilità molto reale e credo possa verificarsi in un futuro prevedibile. Non abbiamo tempo qui e ora per soffermarci su quali sarebbero le conseguenze e perché. Per ora mi limiterò a questa osservazione:
la pulizia etnica finale del popolo palestinese sulla terra occupata da Israele renderebbe inevitabile uno scontro di civiltà – Islam vs l’Occidente cristiano e giudaico. Che forse è proprio ciò che vogliono i sionisti radicali e i loro soci neo-con americani.
E arrivo alla terza osservazione, che mi porterà direttamente a fornire la risposta alla domanda sul perché la verità storica sia tanto importante.
3 - La verità storica: potere contrattuale per la giustizia
L’incredibile fermezza e sovrumana costanza dei palestinesi occupati e oppressi è la ROCCIA a cui siamo ancorati tutti noi che cerchiamo di promuovere la verità storica.
Ammiro i palestinesi, oppressi e sotto occupazione, perché se esiste un popolo in terra che dovrebbe sentirsi disumanizzato dal trattamento umiliante che subisce, dovrebbe essere il popolo palestinese.
Ma non sono loro i disumanizzati - lo sono i loro oppressori. E questo non è solo il mio parere. È anche il parere di alcuni ebrei israeliani.
Continuando semplicemente ad esistere e a rimanere sul suolo palestinese senza cedere alla pressione di Israele e senza accettare le briciole dalla sua tavola, i palestinesi oppressi della Cisgiordania e del campo di prigionia che è la Striscia di Gaza stanno facendo in pratica tutto il possibile per contenere il mostro sionista.
Ma c'è una realtà politica di fondo da affrontare ed è questa.
La lotta per la giustizia in favore dei palestinesi, che è la chiave per la pace per tutti noi, non sarà vinta o persa in Israele-Palestina, e neanche nella regione. Sarà vinta o persa nelle principali capitali del mondo occidentale e soprattutto in Washington. Ma...
IL PROBLEMA NUMERO 1 - è che a causa della straordinaria potenza e influenza della Lobby sionista in tutte le sue molteplici manifestazioni, i nostri leader e governi non faranno uso del proprio peso politico per mettere Israele in riga, fino a quando non saranno spinti da un’opinione pubblica informata, dalle espressioni di vera democrazia in azione.
Nel contesto americano ad esempio, nessun presidente americano sarà mai libero di fare uso del potere politico che ha e che potrebbe esercitare su Israele, fino a quando un numero sufficiente di parlamentari americani non arrivi al punto di temere l’opinione del proprio elettorato più di quanto tema di contrariare la lobby sionista.
IL PROBLEMA NUMERO 2 - è che i cittadini, gli elettori delle nazioni occidentali, e gli americani in particolare, sono troppo DISINFORMATI per sentire la necessità di fare pressione - anche perché, con la complicità dei media di massa, sono stati condizionati dalla propaganda sionista a credere una versione della storia che semplicemente NON E’ VERA.
E quindi in sintesi dico questo.
La verità storica è essenziale per dare ai cittadini il potere contrattuale necessario a mettere in moto la macchina democratica in favore della giustizia per i palestinesi e della pace per tutti noi.
Senza questo potere contrattuale basato sulla padronanza della verità storica, non esiste a mio avviso alcuna possibilità di ottenere la giustizia per i palestinesi – né la pace per tutti noi. E il cancro di questo conflitto alla fine ci consumerà, tutti.
* * *
Voglio concludere con un appello per una qualche assistenza che permetta di promuovere la verità storica qui in Germania.
Nelle prossime settimane sarà pubblicata l'edizione tedesca del Volume 1 del mio libro. È possibile che la Lobby sionista qui in Germania utilizzerà la sua influenza per impedire che il libro venga presentato nella Fiera del Libro di Francoforte. Staremo a vedere. Ma i volumi 2 e 3 non saranno pubblicati, non potranno essere pubblicati, a meno che l'editore non riceva assistenza finanziaria per pagare la traduzione. Se qualcuno di voi ha un’idea su come tale assistenza possa essere fornita, vi chiedo la cortesia di rivolgervi all’organizzatrice della manifestazione, che conoscete bene.
Se avessi scritto un libro epico pro-sionista, i finanziamenti dei facoltosi sostenitori di Israele sarebbero arrivati copiosi per promozioni di ogni tipo, e perfino per la produzione di un film di Hollywood basato sul contenuto del libro.
E’ triste considerare che le risorse messe a disposizione per raccontare le falsità storiche siano da sempre illimitate, mentre la verità non ha generato un sostegno finanziario significativo da nessuna fonte.
E questa, a mio avviso, è la ragione principale per cui, fino ad oggi, il potere sionista ha trionfato sui diritti dei palestinesi.
A rischio di espormi ad accuse di ingenuità, rimango fermo nel mio credo che i cittadini delle nazioni occidentali, SE adeguatamente informati sulla verità storica circa la natura del conflitto intorno alla Palestina divenuta Israele, spingerebbero i loro governi ad agire, a esercitare la leva politica di cui dispongono, per portare la giustizia per i palestinesi e la pace per tutti noi, ovunque nel mondo, e insisterebbero fino a quando i governi abbiano mostrato risultati.
Grazie.
art. originale:
http://www.alanhart.net/essence-of-the-suppressed-truth/