venerdì 16 dicembre 2011

L’autore ebreo anti-sionista Stephen Lendman premiato per “migliore giornalismo di inchiesta” - Ecco un suo articolo sulla Palestina occupata


Come tutti sappiamo, esistono due comunità distinte di giornalismo nel mondo. Da una parte troviamo l’industria della propaganda di massa, con la catena di montaggio per assemblare i messaggi del potere, che formano l’apparato della disinformazione pubblica. Conosciamo bene i suoi addetti: definirli “giornalisti” è un insulto alla categoria. Ogni giorno invadono le nostre vite, bombardando le menti dei cittadini distratti con versioni fraudolente di quanto succede nel mondo e in casa nostra. Sono i “mercenari della stampa”, i “terroristi dell’informazione”. Sono tanti, sono implacabili, occupano ogni spazio della propaganda strisciante. Si insinuano nelle coscienze degli incauti per mezzo di strategie di comunicazione astute e ripetitive, studiate per il controllo delle menti, per soffocare la voce del buonsenso, per narcotizzare spettatori e lettori, riducendoli a consumatori passivi e acritici dell’informazione.

I più noti tra loro generano opinioni indotte che inevitabilmente portano il pubblico inconsapevole a sposare le cause dei poteri forti, a illudersi di sapere chi sono i cattivi, a esultare all’idea che presto la NATO farà cadere il “terribile” Assad della Siria dopo avere fatto fuori il “diabolico” Geddafi. Sono loro, i giornalisti asserviti al diktat sionista  –  per convinzione o per convenienza - che propagano false dottrine presentando l’Islam come nemico pubblico dell’Occidente e Israele come vittima circondata da terroristi. Sono loro che stanno spianando la strada per la guerra contro l’Iran preparando l’opinione pubblica occidentale ad approvarla. Una forma di giornalismo inglorioso, che semina odio tra le genti e genera schiavitù mentale volontaria, a beneficio degli oppressori.

Dall’altra parte c’è la comunità dei “truth tellers” – i giornalisti che raccontano la verità, che gridano a lettere cubitali nella blogosfera per metterci in guardia contro le aggressioni alla Siria, al Libano e all’Iran, gli unici paesi nella regione a rifiutare l’asservimento all’impero US/raeliano. Sono loro che ci svelano i 60.000 morti ammazzati dalle bombe della NATO sparate sulla Libia per “proteggere” i civili dal loro leader, mentre ogni giorno le massicce rivolte nel Bahrein e nel Yemen vengono represse nel sangue perché i loro dittatori sono appoggiati da USA e Gran Bretagna.

Sono loro che ogni singolo giorno ci prospettano le terribili conseguenze di un eventuale attacco all’Iran voluto da Israele, ben consapevoli che Israele non esiterebbe a fare uso dell’arsenale nucleare in suo possesso. Sono loro a ricordarci che non potrà esserci pace tra gli ulivi della Palestina, né altrove nel mondo, finché Israele continuerà ad esistere come entità politica, con le sue Lobby in controllo delle politiche estere e dei parlamenti occidentali.

Sono loro, accademici, intellettuali e autori di libri straordinari, che si sgolano in rete con scritti preziosi, nel tentativo di sovrapporre le loro voci preoccupate a quelle aggressive e spregiudicate dei media di massa. Sono loro che ogni giorno arricchiscono le nostre menti e coscienze con il linguaggio del giornalismo etico.

Sono loro i veri corrispondenti di guerra – quella dei Nord contro i Sud del mondo, quella dell’Occidente contro l’Islam, quella dei governi contro i cittadini, quella del terrorismo ecologico contro il sistema Terra, quella della finanza mondiale sionista contro i lavoratori che beneficia della deregolamentazione del settore finanziario attuata dalla classe politica occidentale corrotta, fin dai tempi di Reagan e della Thatcher.

Se ogni cittadino occidentale leggesse anche un solo articolo al giorno scritto da uno dei “giornalisti della verità”, è probabile che il nostro mondo si trasformerebbe in breve tempo. La verità rivelata a centinaia di milioni di occidentali rappresenta uno strumento molto potente per smascherare e contrastare le mire malsane dei pochi a spese dei tanti.

La comunità internazionale del giornalismo etico ogni anno celebra il “giornalismo di eccellenza” con l’assegnazione dei premi di categoria, che vengono consegnati in Città del Messico da parte del Club de Periodistas nel mese di dicembre. Sono riconoscimenti di grande prestigio, noti nell’ambiente come “gli Oscar del giornalismo etico”. Le categorie premiate sono tante e i giornalisti sono di varie nazionalità.

Il premio internazionale per la categoria “giornalismo di inchiesta” quest'anno è stato aggiudicato all’unanimità all’autore americano Stephen Lendman, ormai noto ai lettori di questo blog, universalmente apprezzato per il grande impegno sul fronte della lotta contro il sionismo e contro ogni forma di oppressione e violazione dei diritti umani.


Il premio per la categoria “corrispondente di guerra” è stato assegnato al canadese Mahdi Darius Nazemroaya per i preziosi reportage dal fronte della Libia durante i mesi dei bombardamenti NATO sulla popolazione civile libica, in cui raccontava la verità opposta alle menzogne della NATO prontamente servite al pubblico avido di giustizialismo come forma compensatoria di ingiustizie subite in casa propria.

Stephen Lendman è un autore e conduttore radiofonico che vive in Chicago. E’ uno degli autori più prolifici e apprezzati nella blogosfera. Alla veneranda età di 77 anni scrive ogni giorno due articoli, uno dei quali tocca regolarmente il tema della causa palestinese, del sionismo, dei crimini di Israele, delle guerre americane volute dall’insaziabile appetito dei sionisti di Tel-Aviv e Washington. Nei suoi articoli Stephen Lendman attacca la stampa sionista su base quotidiana, opponendo alla falsa propaganda la versione dei fatti ben circostanziata e documentata.

Lendman è anche l'autore di un libro sullo strapotere del settore finanziario di Wall Street, pubblicato nel settembre di quest'anno e subito diventato un best-seller per la tematica di grande attualità.

Il programma radiofonico condotto da Stephen Lendman rappresenta un salotto politico in cui convergono gli esponenti del mondo accademico anti-sionista, anti-corporativo. In ogni puntata Stephen si intrattiene con uno degli autori a noi noti, in una conversazione tra uomini di coscienza preoccupati della sorte dei popoli. Un tema ricorrente è la situazione del Medio Oriente e dell’Iran nel mirino dell’Impero. Oggi, con crescente frequenza, le analisi degli autori portano ad una conclusione inquietante: che gli appetiti voraci del mostro neo-con sionista non saranno placati finché non avrà divorato anche la preda più ambita – la Cina.

L’ospite di Lendman nella trasmissione di oggi, data in cui Obama ha annunciato la fine dell’occupazione dell’Iraq, era James Petras, autore di tante pagine memorabili di denuncia a questa guerra di aggressione estrema e distruzione di una civiltà millenaria molto avanzata di cui i cittadini occidentali sanno poco e niente. Durante la trasmissione, i due autori facevano notare che in realtà l’Iraq rimaneva occupato da almeno 18.000 soldati americani, migliaia di contractors delle organizzazioni paramilitari mercenarie, oltre che dalle migliaia di funzionari americani in controllo del paese. Il resto del contingente americano di stanza in Iraq, veniva in realtà destinato ad altre aree del Golfo per continuare l’occupazione della regione.  

L’anno scorso il premio per il giornalismo di inchiesta era stato assegnato proprio a James Petras, docente di New York, autore di numerosi libri sulle politiche sioniste americane, noto alla blogosfera mondiale per il suo attivismo pro-palestinese e i suoi articoli di feroce critica a Israele e alle politiche imperialiste americane.

Durante la conversazione, tra Lendman e Petras, è stato toccato anche il tema della recente scoperta macabra fatta in USA: che fino al 2008 i resti dei soldati americani caduti in Iraq, comprese le membra dei mutilati, sono stati gettati in una discarica non lontana da Washington, una fossa da riempire, destinata a terreno edificabile.

Nonostante sia ebreo di origine, Stephen Lendman si considera «prima di tutto un uomo di coscienza» che non può esimersi dal denunciare i crimini di Israele nei confronti dei palestinesi. Il suo impegno senza compromessi non è rimasto senza conseguenze: da tempo la cerchia di amici e parenti ebrei lo ha ripudiato, e altrettanto hanno fatto molti dei familiari.

Mi scriveva Stephen in una mail recente: «ho ricevuto centinaia di mail di felicitazioni per il premio ricevuto, in maggioranza da parte della comunità accademica nord-americana. I membri della mia famiglia – ad eccezione di due - hanno ignorato l’evento nonostante li abbia informati. Sono sicuro che il motivo è la franchezza dei miei scritti sulla questione Palestina/Israele, la ragione principale del premio di cui sono stato insignito». 

Nel commentare l’evento della premiazione, Stephen Lendman dichiarava: «La cerimonia è stata magnifica. Gli organizzatori mi hanno riservato cortesie degne di un sovrano. Sarò per sempre grato di questa esperienza unica nella vita. Hanno partecipato ospiti illustri, oltre ai giornalisti messicani e stranieri e i rappresentanti della stampa. Un portavoce del governo messicano ha letto un messaggio del presidente Felipe Calderon per i premiati».

Stephen Lendman  e Mahdi Nazemroaya sono stati invitati a rilasciare una breve intervista per un programma trasmesso ovunque nell’America Latina. Stephen ha iniziato il suo discorso dicendo: «Oggi questo gringo americano è orgoglioso di essere chiamato “periodista”».

«Tradotto significa giornalista – specificava Stephen in un suo commento successivo -  ma per il “Club dei Giornalisti” messicano significa molto più di questo. L’anno prossimo sarà il loro 60esimo anniversario. Ogni anno onorano i giornalisti per il loro contributo alla verità».

Nel suo discorso di fronte al Club, Stephen dichiarava: «Sono profondamente commosso per l’onore ricevuto. Conserverò gelosamente il ricordo di questo giorno e mi impegnerò per essere sempre all’altezza del suo significato».

Anche noi abbiamo voluto rendere omaggio al neo-premiato giornalista di inchiesta, pubblicando di seguito l’articolo scritto dall’autore il 29 novembre per la Giornata Internazionale della Solidarietà alla Palestina. Siamo sicuri di fare cosa gradita all'autore, in quanto è proprio la sorte dei palestinesi la questione che a Stephen Lendman sta maggiormente a cuore.

* * *



- Giornata Internazionale della Solidarietà con la Palestina - 
di Stephen Lendman

- per i Palestinesi solo un altro giorno di ordinaria follia -


Istituita dall’ONU nel 1977, la Giornata Internazionale della Solidarietà con il Popolo Palestinese viene celebrata il 29 novembre e commemora la data in cui, nel 1947, venne adottata  la Risoluzione ONU 181 malgrado l’opposizione dei Palestinesi.

La Risoluzione è nota con il nome di Piano di Spartizione della Palestina. Consegnava il 56% della Palestina storica agli ebrei (che costituivano un terzo della popolazione),e il 42% ai palestinesi.

Gerusalemme venne dichiarata Città Internazionale e affidata ad un Consiglio di Amministrazione Fiduciario dell’ONU. Ufficialmente lo è tuttora. L’area comprende l’intera Gerusalemme, Betlemme, e Beit Sahour – in modo da includere tutti i luoghi sacri cristiani.

La Risoluzione 181 prevedeva anche la nascita di uno Stato Arabo Indipendente. La data per la dichiarazione ufficiale di tale stato era stata fissata per il 1° ottobre del 1948. Il testo sollecitava “tutti i Governi e Popoli ad astenersi da qualsiasi azione che possa ostacolare o ritardare la realizzazione di queste raccomandazioni”. Al Consiglio di Sicurezza veniva affidato il compito di “adottare le misure necessarie affinché il piano fosse implementato come previsto”. Il piano doveva garantire “una pace giusta e duratura …”.

Ma ciò che avvenne in seguito è noto a tutti. Prima che si potesse attuare il piano dell’ONU (comunque contro la volontà dei palestinesi), i sionisti avviarono la loro “guerra per l’indipendenza” e dichiararono l’esistenza dello stato di Israele nel maggio del 1948.

A distanza di molti decenni, la pace rimane una chimera e la Palestina è sempre occupata.

Le potenze mondiali non sono mai intervenute e oltre 8 milioni di palestinesi rimangono in attesa di giustizia, compresi i profughi e i palestinesi della diaspora.

Privo di qualsiasi potere di influenza, il Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese si riunisce ogni anno nella sede dell’Onu per osservare la Giornata della Solidarietà Internazionale. L’ipocrisia rituale si sostituisce a politiche efficaci per la Liberazione.

I palestinesi meritano impegno per la giustizia negata, non cerimonie. Un giorno, forse, i decenni di pazienza saranno ricompensati.

Il 29 novembre, i popoli ovunque nel mondo hanno espresso la loro solidarietà con la Palestina. In Gaza i membri dell’International Solidarity Movement di Beit Hanoun e altri gruppi palestinesi si sono messi in marcia verso le zone vietate da Israele per liberare migliaia di palloncini con bandiere palestinesi.

I palloncini si sono librati nel cielo, oltrepassando le frontiere che imprigionano la popolazione di Gaza. Riflettevano lo spirito del popolo che si strugge per la libertà. Un attivista palestinese ha fatto appello alle genti del mondo chiedendo di «isolare Israele nella comunità internazionale e di esercitare pressione in tutte le sue forme finché l’occupazione della Palestina avrà termine».

Radhika Sainath del Solidarity Movement dichiarava: «Oggi l’intero mondo libero è contrario all’occupazione, agli insediamenti e al muro di separazione. Continueremo la nostra opera in Palestina, con gli attivisti palestinesi, finché riusciremo a portare Libertà e Giustizia in Palestina».

Press TV riportava sui movimenti di attivismo pro-palestinese nel mondo, che ovunque bruciavano bandiere israeliane, simboli di repressione.  Gli abitanti di Gaza lanciavano le bandiere palestinesi al di là delle barriere costituite dal recinto elettrico che delimita la zona cuscinetto e impedisce ai palestinesi di accedere al 30% delle terre coltivabili.

E Israele come ha “celebrato” la Giornata?

In risposta alle manifestazioni del 29 Novembre, il giorno dopo Israele ha inviato carri armati, bulldozer e veicoli militari in Gaza. I soldati hanno aperto il fuoco dalle torrette di osservazione. L’artiglieria dei carri armati ha colpito le case a est di Khan Younis.

Le terre coltivate di Jahor al-Dik e Maqbola sono state distrutte. Gli elicotteri da guerra circolavano di continuo sull’area. Gaza rimane zona di guerra. Uomini, donne e bambini vengono colpiti costantemente.

E cosa faceva l’ONU? Il solito.

Il 28 novembre l’ONU accusava la Siria di “gravi violazioni dei diritti umani”. Il fatto che in Siria le uccisioni e altre atrocità sono opera di mercenari e membri di Al Qaeda reclutati dalle potenze occidentali non veniva specificato.

Né l’Onu condannava Israele per i quotidiani crimini contro l’umanità commessi contro i Palestinesi.

Il Segretario generale Ban Ki-moon funge unicamente da strumento dell’Impero. Dal suo ordine del giorno, gli obiettivi di pace e giustizia sono completamente assenti. Di conseguenza, i Palestinesi, i Libici, gli Iracheni, gli Afgani, i Bahreini, i Yemeniti, gli Egiziani, i Sauditi, i Somali, e altri milioni di esseri umani soffrono in modo atroce.

Ban Ki-moon non ha pronunciato parola quando a metà novembre Israele ha tagliato completamente la corrente elettrica di Gaza, «come al solito abusando del falso alibi della sicurezza», dichiarava il ministro per l’energia palestinese, Kanaan Ubeid.

L’elettricità è stata tagliata per 9 giorni interi.

Il 26 novembre Israele dichiarava che l’erogazione di acqua ed elettricità cesserà su base permanente se Fatah e Hamas formeranno un governo unitario come annunciato.

Il 29 novembre, data della Giornata della Solidarietà, il Centro Palestinese per i Diritti Umani condannava Israele per avere impedito ad una squadra di tecnici di ripristinare una rete elettrica di Gaza. Ad oggi non è stata riattivata.

La crisi elettrica genera gravi condizioni di disagio in Gaza, soprattutto ora che il freddo si fa sentire. Attualmente Gaza riceve solo un terzo del fabbisogno elettrico, in minima parte generato in Gaza e in Egitto e per il resto proveniente da Israele in misura del tutto inadeguata. 

La Società per la Distribuzione Elettrica di Gaza gestisce la situazione come può per mezzo di un piano di emergenza che comporta la mancanza di corrente elettrica per quasi metà della giornata. La malignità di Israele sta esacerbando le condizioni di grave disagio, violando le leggi internazionali.

Ufficialmente i palestinesi sono persone protette, ma Israele li tratta come criminali. I capi di stato delle potenze mondiali non intervengono, né tanto meno le autorità dell’ONU.

Ma l’elenco dei diritti violati da Israele è lungo.

Il Centro Hamoked per la Difesa dell’Individuo ha pubblicato sul proprio sito l’elenco degli abusi perpetrati da Israele su base regolare, tra cui:

1 – Il Muro di Separazione che accerchia le aree abitate dai palestinesi nelle zone in cui i coloni si sono insediati illegalmente. Il muro viola le leggi internazionali, sconvolge la vita dei palestinesi sui propri territori, ostruisce i diritti al culto religioso negando l’accesso ai luoghi sacri, rappresenta una punizione collettiva dei civili che Israele come entità di occupazione avrebbe l’obbligo di proteggere.

2 – I corpi dei palestinesi uccisi non vengono restituiti ai familiari, eccetto in casi sporadici. Dal 1988 la Hamoked ha fornito rappresentanza a centinaia di famiglie addolorate.

3 – Viene negata l’unificazione delle famiglie: Israele dichiara che i palestinesi non ne abbiano diritto e solo in casi rari “concede la riunificazione come atto di pura benevolenza”. Di conseguenza, la separazione forzata colpisce “decine di migliaia” di palestinesi di Gaza, cui viene impedito di raggiungere le famiglie nei territori palestinesi .

4 – Revoca della residenza. Dal 1967 a oggi Israele ha revocato la residenza a centinaia di migliaia di palestinesi residenti nei territori a loro ufficialmente assegnati.  In altre parole, i palestinesi che viaggiano all’estero devono depositare la propria carta di identità al momento del passaggio alle frontiere (sempre controllate dai militari israeliani, anche quelle non confinanti con Israele) e ricevono in cambio una “exit card” valida per 3 anni. Coloro che non ritornano entro tale scadenza, vengono dichiarati “emigrati all’estero”. La residenza viene revocata definitivamente, ad eccezione di casi isolati. Tale revoca viola i diritti internazionali, compresa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, secondo cui «ognuno ha il diritto di partire dal proprio paese e da qualsiasi altro, conservando il diritto di ritornare [articolo 13(2)]».

5 – Residenza in Gerusalemme: da quando nel 1967 Israele ha illegalmente annesso Gerusalemme Est (ufficialmente riservata ai palestinesi), i residenti palestinesi subiscono varie forme di oppressione, comprese «barriere invisibili che incidono sulla vita quotidiana».

Israele ignora ogni legge internazionale con impunità.

I palestinesi non hanno diritti di alcun tipo. La loro vita è un inferno. Sanno di doversi aspettare qualunque sciagura da un momento all’altro, compreso lo sfratto forzato o la demolizione delle case per fare spazio a nuovi insediamenti di coloni israeliani.

La Hamoked assiste di continuo i palestinesi nel denunciare casi di abuso, anche presso la Corte Suprema. Ma perfino quando le sentenze sono favorevoli ai palestinesi, le disposizioni del tribunale non vengono applicate. Le autorità israeliane semplicemente ostruiscono o rimandano all’infinito l’esecuzione degli ordini del tribunale, provocando gravi sofferenze ai palestinesi.

Abusi terribili contro i palestinesi sono all’ordine del giorno.

Vediamo cosa è successo nella sola giornata del 30 novembre.

- I bulldozer dell’esercito israeliano hanno completamente sradicato ogni coltivazione del villaggio agricolo di Mas-ha, distruggendo anche gli allevamenti degli animali.

- I soldati hanno aperto il fuoco su un centro abitato vicino a Gaza City.

- Altrove nella Palestina occupata, gli attivisti di “Peace Now” sono stati presi di mira con minacce di morte e di distruzione mediante esplosivi della sede della loro associazione.Atti come questi sono in genere opera dei coloni estremisti israeliani. Ma le autorità non fanno niente per fermarli.

- Sempre il 30 novembre, i soldati israeliani hanno arrestato tre giovani di Beit Ummar, in territorio palestinese. I soldati hanno fatto irruzione violenta nelle loro abitazioni. Nei giorni precedenti, altri 16 residenti del villaggio erano stati arrestati e messi in carcere. 13 di loro erano minorenni. Gli israeliani trattano i bambini e minorenni alla stregua di adulti.

- Per la terza volta consecutiva, il 30 novembre la detenzione di Nayef Rajoub, parlamentare di Hamas, è stata estesa per altri 6 mesi.

I palestinesi possono essere detenuti all’infinito senza formali accuse, per presunte ragioni di sicurezza. Si tratta di una violazione non solo dei diritti internazionali, ma anche delle leggi israeliane.

Dal 1989, Rajoub è stato arrestato numerose volte, malgrado non abbia commesso crimini di alcun tipo.

Lo stesso vale per tanti palestinesi, la cui unica colpa è di volere vivere come cittadini liberi nella propria Terra.

Ma Israele chiama questo “terrorismo”.

- Sempre nella giornata del 30 novembre, Israele ha intercettato e arrestato 10 pescatori di Gaza. In seguito i pescatori sono stati rilasciati, ma le barche, i loro mezzi di sussistenza, sono state sequestrate.

Come sappiamo, gli israeliani hanno posto limiti estremi alla pesca nelle acque di Gaza. I pescatori spesso tornano con la barca vuota, o anche danneggiata dall’artiglieria delle navi da guerra israeliane.

In luglio di quest’anno, la Commissione Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che l’industria della pesca di Gaza è in pratica scomparsa. Migliaia di cittadini in Gaza dipendono dalla pesca – ma Israele li taglia fuori dalla fonte di sussistenza, restringendo l’area della pesca a 3 kilometri dalle coste di Gaza, ormai priva di pesce. Le barche che si avvicinano al limite vengono intercettate dalle navi da guerra del regime, che spesso aprono il fuoco.  Oppure la marina militare usa i potenti cannoni spara-acqua che mandano i pescherecci quasi a fondo. Tutto questo è illegale, compreso il limite dell’area di pesca. Ma nessuno interviene – tanto meno l’ONU.

- Sempre il 30 novembre, al parlamentare palestinese Qays Abdul-Karim è stato vietato di uscire dai territori palestinesi per partecipare alla 27esima sessione del Parlamento dell’America Latina in compagnia di una delegazione di altri parlamentari. Alla frontiera con la Giordania era stato fermato e interrogato da un ufficiale israeliano sul motivo del suo viaggio. Rispose che era diretto a Panama per trovare supporto alla fine dell’occupazione israeliana dei territori assegnati ai Palestinesi. L’espatrio gli venne revocato. Per ora non è stato arrestato ma, come spesso succede, c’è da aspettarsi un raid notturno per prelevarlo da un momento all’altro.

Gli arresti notturni avvengono con penosa regolarità.

La vita nella Palestina occupata è un inferno. Israele opprime i palestinesi per il semplice motivo di essere musulmani e non ebrei. Anche i cittadini israeliani arabi sono sempre a rischio. Su base quotidiana affrontano la discriminazione politica, sociale, economica e culturale.

All’inizio di novembre, la sessione sud-africana del Russel Tribunal sulla Palestina accusava Israele di sottoporre i palestinesi a condizioni di apartheid istituzionalizzata per come viene definita dal diritto internazionale.

Le politiche israeliane sono caratterizzate da discriminazione di stampo razzista. L’apartheid è un crimine internazionale. I testimoni comparsi davanti al Russel Tribunal hanno fornito testimonianze e prove di un’inequivocabile regime di apartheid imposto su chiunque non sia ebreo.

Le politiche ufficiali di Israele seguono criteri di discriminazione, repressione, isolamento e altre forme di abuso. Nonostante la persecuzione sia un crimine contro l’umanità, Israele la pratica con impunità.

Il Russel Tribunal e altre organizzazioni sono decisi a mettere fine ad ogni forma di ingiustizia perpetrata da Israele. Niente al di sotto sotto della piena giustizia è accettabile e tollerabile. 

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