Chi scrive ha da
anni la convinzione che nel cambio tra la vecchia sinistra pre 1989 e la
contemporanea radical-chic, si è
caduti, almeno per certi versi, dalla padella nella brace. Qualcuno, anche se
non con la coerenza e l’approfondimento di Sallusti, ritiene che il marxismo
avesse degli aspetti, per dirla à la Spengler,
faustiani, ossia di apprezzamento – a
tratti di vera e propria esaltazione – di quello che l’occidente e la sua
ultima versione, cioè il capitalismo
borghese (dal XIX secolo) aveva realizzato.
I vecchi
comunisti, scrive Sallusti, “accettavano la Rivoluzione industriale come fatto
storico-economico, dandone persino un giudizio positivo il che già li
collocherebbe tra gli eretici, al tempo in cui la sinistra continentale vota
compatta all’Europarlamento una surreale legge per il Ripristino della natura,
motivo più che sufficiente per giustificare il rimpianto inconsolabile
dell’autore” (è la prima tesi “eretica”). Credevano nell’autonomia della
politica… “sia come oggetto di studio che come tecnicalità (anche troppo)
spiccia, la consideravano un valore acquisito da Machiavelli (due). Infine,
scusate se è poco, il Vecchio Comunista riconosceva appunto l’esistenza, la
specificità e addirittura l’eccezionalità di un’entità meta-storica a sé stante,
una postilla chiamata Occidente. Non voleva cancellare la nostra cultura,
intendeva celebrarne i fasti nella Società Perfetta” (siamo a tre).
Invece i
sinistri odierni, scrive Sallusti “Aboliscono la storia, questo è il punto di
fondo, in favore di una posticcia metafisica buonista. Per questo sono ancora
più pericolosi”, e hanno sostituito alla società senza classi, la “salvezza del
pianeta”.
Analizzando le
tre principali fratture elencate, quanto al produttivismo, l’autore evidenzia
anche altri punti di incontro tra pensiero marxista e liberale-libertario. Tra
i quali la polemica antiburocratica e antiparassitaria, iniziata dal giovane
Marx con una rappresentazione, tuttora insuperata, della Weltaschauung del burocrate nella “Critica della filosofia
hegeliana del diritto pubblico”. E della centralità della fabbrica (e dei
consigli di fabbrica) nel pensiero di Gramsci.
Quanto al
realismo, Sallusti ricorda la polemica di Marx ed Engels contro il socialismo
utopistico (Fourier, Saint Simon): ora si passa dalla “nuova Gerusalemme” della
società senza classi al “vitello d’oro” (ma non sarà ottone?) del gretinismo
planetario, cioè la salvezza dell’ambiente, E sostanzialmente con la negazione
della politica – e del “politico”, salvaguardata (eccome) dalla prassi del
comunismo vintage, che la nuova
sinistra occulta o non considera. E così tende ad eliminare il conflitto e la
lotta (cioè l’amico-nemico), senza – ovviamente – riuscirci perché fa parte
della condizione umana e perché crea, insieme dei nemici nuovi, negandoli (l’industriale
inquinatore, la partita IVA, l’evasore) favorendo così una tecno-burocrazia di
cui è la chiassosa (e subordinata) banda.
L’occidentalismo
del vecchio comunista è evidente “Marx rimane hegeliano fino alla fine, dunque
non cessa mai di essere occidentalista”; per cui “non si sognerebbe mai di
rimuovere il padre, e di celebrare questo suicidio culturale chiamato Cancel
Culture”. Per cui, contrariamente alla cultura Woke “Ogni volta che c’è
occidentalizzazione c’è civilizzazione, è il teorema di Marx, ed è una
spettacolare, a lungo occultata ma definitiva stroncatura ante litteram della lagna (auto)colpevolizzante Woke”.
L’irrazionalismo stigmatizzato da Lukacs è oggi incarnato nella cultura
Woke. Questa (scrive Sallusti) non
sfugge alla dialettica amico-nemico, anzi è il nemico “nemico implacabile,
perché più ancora che la Ragione (qui saremmo ancora a Lukacs) sente di avere i
Buoni Sentimenti dalla sua, è Wokista”. É nemico interno e il suo abito mentale è l’oicofobia (Scruton). Cioè il
rifiuto della (propria) civiltà occidentale.
Per cui conclude
l’autore nostalgicamente sui vecchi comunisti: “li rimpiango amaramente, non è
nemmeno più nostalgia struggente, è un appello disperato, è una seduta
storico-spiritica, sono un vedovo inconsolabile dei Vecchi Comunisti”; mentre i
nuovi sinistri “non perseguono la
sintesi dell’uguaglianza, non hanno una meta, vivono in un eterno presente
ringretinito e perseguono l’apocalisse petalosa, la mera e benpensante
distruzione della ragione, della (nostra) storia, della (nostra) civiltà”. C’è
ancora tempo per fermarli: ma di danni, purtroppo, ne hanno già fatti tanti.