Il 31 dicembre, su pressione della Israel Lobby, il presidente americano Barack Obama firmava una legge che imponeva nuove sanzioni economiche contro la Banca Centrale Iraniana - una mossa strategica che aveva lo scopo principale di dissuadere gli alleati degli USA a proseguire i rapporti economici con l’Iran (pena il negato accesso alle istituzioni finanziarie statunitensi) e di punire le banche e imprese che avessero continuato a importare il greggio dell’Iran e a servirsi del suo istituto finanziario per eventuali transazioni.
In altre parole, si trattava di «un’offerta che gli alleati non potevano rifiutare» : gli USA avevano già escluso le proprie banche da qualsiasi trattativa con la Banca Centrale Iraniana, e le potenze alleate venivano «invitate» ad aggregarsi in uno «spirito di cooperazione internazionale» che mirava a mettere in riga un paese, l'Iran, che ha l'ardire di sfidare la volontà di Washington e Tel Aviv, conservando la propria indipendenza politica a differenza dei vari signori del petrolio nella regione del Golfo asserviti ai padroni USA/GB/Israele.
Di conseguenza, il 23 gennaio 2012 i ministri degli esteri europei (da notare: non i ministri dell’economia) hanno approvato le sanzioni contro l’Iran che comprendevano: l’embargo al petrolio iraniano con divieto a tutte le compagnie petrolifere europee di importare il greggio dell’Iran, il congelamento dei beni della Banca Centrale Iraniana in Europa, e il divieto di fornire all’Iran diamanti, oro e altri metalli preziosi.
Come è noto, il pretesto ufficiale per le sanzioni è costringere l’Iran a chiudere gli impianti nucleari dove, a dire di USA e Israele, sarebbe in atto un presunto tentativo di produrre armi atomiche.
In realtà le sanzioni mirano al collasso dell’economia iraniana nella speranza che il popolo si rivolti contro il governo attuale. Si vuole, insomma, una ripetizione della storia degli anni ’50, quando il leader democratico Mossadech è stato rovesciato perché punito dai servizi segreti di USA e Gran Bretagna con sanzioni per avere osato nazionalizzare il petrolio iraniano. All’epoca, la CIA e la MI6 riuscirono a portare al potere lo scià Reza Palewi, che ha di fatto consegnato l’economia iraniana nelle mani delle potenze occidentali in cambio di ricchezza personale e potere. Per il popolo iraniano iniziava un periodo di grande sofferenza: per 25 anni l’odiato scià e la sua terribile polizia segreta instaurarono un regno di terrore. La rivoluzione Islamica del 1979 ne fu l’inevitabile conseguenza.
Il popolo iraniano non ha dimenticato gli orrori sotto lo scià imposto dal nemico, e sembra improbabile che la storia possa ripetersi secondo gli schemi del passato.
Le sanzioni comunque sono un espediente per provare a Israele che gli USA fanno sul serio in merito all'Iran e di fatto rappresentano il surrogato ad un attacco militare, fortemente voluto da Israele, ma per ora solo in cantiere per i motivi che illustreremo di seguito.
Come sappiamo, in seguito alla decisioni della UE di aggregarsi alle sanzioni imposte dagli USA, l’Iran ha reagito prontamente annunciando una serie di contromisure nei confronti dei paesi europei.
Infatti, l’Unione Europea prevedeva di interrompere l’import del petrolio iraniano a partire dal 1° luglio – e non prima - per dare ai vari paesi e alle rispettive compagnie petrolifere il tempo di organizzarsi in merito a nuovi fornitori e alle disposizioni logistiche. E invece l’Iran ha sorpreso tutti, annunciando l’intenzione di tagliare subito le forniture di greggio ad alcuni paesi europei, tra cui anche l’Italia.
Alcuni giorni dopo tale dichiarazione, l’Iran annunciava ufficialmente l’interruzione immediata della fornitura di greggio a Francia e Inghilterra, le due potenze europee più aggressive nel promuovere le sanzioni all’Iran e nel minacciare pubblicamente con interventi militari, peraltro illegali secondo le convenzioni internazionali, che consentono azioni belliche contro un altro paese solo per difendersi da un attacco militare. E sappiamo che l’Iran – o la Persia – non ha attaccato un paese straniero da oltre due secoli.
Commentava l’autore e storico americano Webster Griffin Tarpley durante un’intervista rilasciata al canale news RT: «L’Iran ha deciso di contrattaccare boicottando le potenze europee più minacciose, a iniziare dai due grandi bulli nel cortile della scuola imperialista, gli inglesi e i francesi, che ora sono talmente deboli da potere agire solo in tandem su una sorta di bicicletta imperialista costruita per due. Con ciò, l’Iran ha assestato un colpo formidabile ai due regimi arroganti, cogliendoli di sorpresa quando non si erano ancora organizzati per forniture alternative a quelle del greggio iraniano».
Tuttavia, l’Iran lasciava aperta la porta alle altre nazioni europee messe sull’avviso (Spagna, Olanda, Grecia, Portogallo e Italia), specificando che il flusso del petrolio sarebbe proseguito verso quei paesi che acconsentissero a firmare contratti import a lungo termine con condizioni di pagamento a vista e saldo tempestivo degli arretrati.
Subito i media si sono dati da fare per rendere note le dichiarazioni rassicuranti dei portavoce europei in reazione all’aut-aut presentato dall’Iran.
L’Italia si è affrettata a dichiarare che l’interruzione della fornitura del greggio iraniano non avrebbe creato alcun problema.
Vedremo di seguito, se tale ottimismo sia davvero giustificato, oppure se si tratta di dichiarazioni irresponsabili. Una cosa è certa: il pubblico italiano (e non solo quello italiano) viene tenuto all’oscuro delle reali conseguenze di uno stop del flusso del greggio iraniano, sia che entri in vigore subito o tra mesi.
In questo post alcuni esperti ci racconteranno la verità sul reale scenario che i paesi europei (e non solo quelli europei) si troveranno ad affrontare se saranno talmente folli da proseguire sulla linea dell’embargo per obbedire ai veri padroni dell’Italia e di altri paesi europei.
Meno risalto nei media hanno avuto invece le dichiarazioni di Mario Monti, che ammette le difficoltà che l’embargo creerà per l’economia italiana, tuttavia giustificando la decisione di aderire alle sanzioni contro l’Iran adducendo una serie di ragioni che hanno dell’incredibile a dir poco. In altre parti di questo post citeremo le parole di Monti raffrontarle alle dichiarazioni degli esperti che ci mettono in guardia contro l’ostilità verso l’Iran.
Intanto, l’annuncio dell’embargo del petrolio iraniano ha mandato in fibrillazione le borse e i mercati economici. Già si registra un aumento del prezzo di listino del greggio su base quotidiana. Nel giro di una settimana, il prezzo del Brent è salito da 119 a 125 dollari per barile. Da quando Obama ha firmato l’embargo al petrolio iraniano due mesi fa, in USA il prezzo della benzina è aumentato del 10 percento.
Per non parlare del fatto che la Vitol, la più grande società di commercio di greggio nel mondo con sedi in Rotterdam e Ginevra e operativa nel Canale di Suez, prevede che il prezzo del Brent arriverà entro breve a 150 dollari al barile, e che tale prezzo è destinato a non scendere in un futuro prevedibile, anzi ad aumentare ulteriormente. A meno che …
… A meno che non si metta fine immediatamente alla escalation delle tensioni intorno al “caso Iran” – un caso montato artificialmente e arbitrariamente da parte di Washington (+ Francia e Gran Bretagna) su istigazione di Israele e della sua Lobby che tiene il parlamento americano e quello britannico ben saldo nella sua morsa micidiale.
Gli esperti onesti che leggiamo e ascoltiamo regolarmente, concordano tutti che il prezzo del petrolio è destinato a salire alle stelle - certo anche in conseguenza dell’embargo import-export del greggio iraniano destinato a provocare un collasso economico nell’Occidente, ma soprattutto per via delle costanti minacce di un attacco militare all’Iran, che appunto secondo gli esperti onesti provocherebbe una catastrofe di proporzioni tali da mettere a serio rischio le condizioni di vita del genere umano per come le conosciamo.
E’ soprattutto la minaccia di una prospettiva bellica e la percezione di insicurezza che ne consegue, a rendere nervosi i mercati e le borse.
Secondo un rapporto pubblicato sul sito della CNN, che cita le analisi degli esperti in energia fossile: «Il fattore più importante per l’aumento del prezzo del petrolio, e di conseguenza del carburante, è la preoccupazione che le tensioni con l’Iran possano sfociare nella guerra, con la chiusura dello Stretto di Hormuz e quindi l’interruzione del flusso di petrolio dall’area del Golfo Persico».
Il rapporto fa notare, che dallo Stretto di Hormuz passano ogni giorno 17 milioni di barili di greggio, che ammontano ad un quinto della produzione mondiale.
Un quinto della produzione mondiale di petrolio che una guerra contro l’Iran impedirebbe di raggiungere le economie occidentali.
Eppure, sia Israele che Washington, come anche l’Agenzia dell’Onu per l’Energia Atomica e ogni governo al mondo, sono ben consapevoli che l’Iran non possiede armi nucleari, non le sta producendo, e non ha intenzione di produrle.
E tanto per fugare ogni dubbio in proposito, il 23 febbraio un articolo del Los Angeles Times rivelava che secondo un rapporto congiunto presentato dalle 16 agenzie di intelligence americane “Tehran non sta tentando di produrre armi nucleari”. Addirittura il rapporto del 2007 e del 2011 presentato dal parte dell’agenzia americana NIE (National Intelligence Estimate) esprimeva “fiducia elevata” nella natura pacifica del programma nucleare iraniano.
Per non parlare del fatto che L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, i cui ispettori da anni stanno monitorando costantemente gli impianti nucleari dell’Iran, non ha mai trovato prove che avvallino la tesi secondo cui il programma nucleare civile di Teheran sia stato deviato verso la produzione di armi nucleari.
E allora, perché l’Iran viene costantemente minacciato di attacco militare?
Urge dunque una risposta a due quesiti importanti, tra loro collegati:
1 - Chi, da decenni ormai, vuole attaccare l’Iran’ e perché - pur comprendendo le conseguenze disastrose per tutti noi, ovunque nel mondo? E chi invece sta tentando di evitarla?
2 - Quale sarà l’impatto dell’embargo iraniano sul sistema energetico e sull’economia mondiale, specie quella europea e compresa ovviamente quella italiana?
Ma la domanda più intrigante, che nei media non viene affrontata, è sicuramente questa:
3 - A chi gioverà in ultima analisi l’embargo del petrolio iraniano imposto dall’Occidente?
La risposta a questa domanda è davvero sorprendente, come si vedrà in seguito, in altre parti di questo post.
E quindi, prima di dare la parola agli esperti che illustrano le conseguenze disastrose dell’embargo al greggio iraniano per le economie occidentali, analizziamo brevemente le ragioni reali delle minacce di guerra e delle continue sanzioni arbitrarie e illegali contro l’Iran - che sono ragioni politiche e non di prevenzione nucleare, e sono la conseguenza della ferma volontà dell’Iran a conservare la propria sovranità politica, economica e militare conseguita con la rivoluzione del 1979.
Ci sembrava importante fornire la possibilità di capire se i dolori che risulteranno dalla probabile crisi energetica prossima ventura saranno da imputare all’Iran, oppure ai governi irresponsabili che scelgono di accontentare gli USA e Israele invece di fare gli interessi dei cittadini che sono chiamati a servire con responsabilità, lealtà e onestà.
Parte 1
Chi vuole la guerra contro l'Iran e perché
Chi vuole la guerra contro l'Iran e perché
Con la rivoluzione del 1979 l’Iran è riuscito ad affrancarsi dal giogo del regime imperialista americano/britannico, uscendo dalla sua nefasta sfera di influenza nella regione.
Due fattori importanti hanno da allora caratterizzato la nuova Repubblica Islamica dell’Iran sul piano internazionale, modificando gli assetti economici e sociali e le alleanze politiche, nell’area mediorientale.
1- L’Iran entrava in aperto conflitto con Israele, rovesciando le politiche filo-israeliane adottate dal precedente governo fantoccio dello Scià di Persia asservito agli USA, ed erigendosi a paladino della causa palestinese insieme a due alleati affini, Libano e Siria: gli unici governi arabi che ad oggi hanno resistito alla pressione di Israele e al ricatto di Washington di accettare l’egemonia di Israele nella regione.
2 – L’Iran prendeva controllo delle proprie risorse petrolifere, che durante l’era dello Scià Reza Palehwi erano a piena disposizione per lo sfruttamento da parte delle compagnie petrolifere occidentali, in particolare quelle britanniche.
Sia Washington che Tel Aviv hanno da allora messo in atto strategie aggressive nel tentativo di rovesciare il nuovo governo iraniano e sostituirlo con un regime piegato al volere dell’impero e con connotati filo-sionisti, alla stregua dei vari “dittatori da quattro soldi” (per citare Lendman) che opprimono i popoli arabi.
Sì, perché a differenza delle dittature coloniali occidentali, quelle arabe non mirano all’espansione coloniale e al dominio politico in paesi lontani per sfruttarne le risorse. Tutto ciò che quei despoti arabi da operetta chiedono, è intascare personalmente i proventi del petrolio per godersi la vita nel lusso più sfrenato, vivere di sfarzi e di feste e di festini, giocare nei casinò e accumulare ricchezze favolose che potrebbero fare vivere nella prosperità popoli interi. Per contro opprimono i loro popoli imponendo le regole scaturite da una mentalità oscurantista wahhabi che è l’antitesi dei valori dell’Islam.
Il prezzo da pagare per i loro privilegi è la “sottomissione alla volontà di Washington e Israele” – la nuova religione che ha sostituito quella del Profeta - e la rinuncia a contrastare Israele, abbandonando i fratelli palestinesi al loro terribile destino, di fatto condannandoli ad essere spazzati via dall’entità sionista.
Da ormai un anno, in ognuno di questi regimi cleptocratici produttori di petrolio – Bahrein, Yemen, Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Qatar, Giordania - è in atto una rivolta sistematica, una rivoluzione sanguinosa ma invisibile perché ignorata dai media per proteggere gli alleati dei neo-con di Washington, i complici di Tel Aviv.
In totale contrasto con gli altri paesi produttori di petrolio della regione, la Repubblica Islamica post-rivoluzione dell’Iran è fondata su princìpi sociali che rispettano la sovranità del popolo riconoscendo ai cittadini la partecipazione ai proventi del petrolio, e inoltre si pone sulla scena politica mediorientale in opposizione al regime sionista di Israele, che l’Iran vede e denuncia apertamente per quello che di fatto rappresenta per il mondo arabo: il brutale oppressore del popolo palestinese, il nemico alieno trapiantato in Terra Santa, nel cuore delle terre arabe, scatenando l’inferno.
Fin dagli anni ’80, Washington e Israele hanno tentato sistematicamente, e senza successo, di rovesciare il governo iraniano post-rivoluzione.
Nel 1980 Washington fornì al dittatore dell’Iraq, Saddam Hussein, il supporto economico e militare per invadere l’Iran. Nel settembre del 1980 l’esercito e l’aviazione dell’Iraq attaccarono l’Iran contemporaneamente, iniziando una guerra di aggressione che durò nove anni. Ma il governo iraniano ne uscì fortificato nella propria posizione di resistenza contro i predatori occidentali.
Da allora, la guerra di USA/Israele contro l’Iran si articola su diversi fronti: tentativi di sabotaggi informatici e industriali, multipli cicli di sanzioni economiche, tentativi di paralizzare la Banca Centrale Iraniana e le esportazioni di petrolio, omicidi mirati – specie degli scienziati nucleari – attentati per mezzo di esplosivi, stragi nelle moschee, spionaggio con l’uso di droni e satelliti, false accuse, e soprattutto sistematiche campagne diffamatorie mirate all’isolamento politico e diplomatico di Tehran.
Commenta l’autore americano Stephen Lendman: «Quando le sfere neo-con sioniste di Washington decidono di rovesciare un governo, non si fermano di fronte a niente; ogni mezzo, anche il più spregiudicato, diventa lecito per dichiarare “missione compiuta”. Contro la Siria e l’Iran stanno letteralmente rischiando di scatenare la terza guerra mondiale, vista la probabilità che Cina e Russia interverrebbero per difendere i propri interessi vitali».
Continua Lendman: «USA e Israele minacciano la guerra per scopi illegali che i leader mondiali dovrebbero denunciare. L’America vuole un regime filo-Occidentale che sostituisca il governo iraniano indipendente. Israele vuole il dominio indisturbato sulla regione. Invece di opporsi, la maggioranza dei governi si accoda servilmente nonostante i rischi per i rispettivi paesi. Di conseguenza, l’umanità è in bilico».
Con il pretesto di volere impedire una presunta e mai provata intenzione dell’Iran di produrre armi nucleari, Israele e la sua potente Lobby continuano a spingere Washington ad attaccare l’Iran. Sono ben consapevoli che senza l’appoggio della super-potenza militare di Washington l’esito di un attacco militare all’Iran sarebbe rischioso per il regime sionista.
Commenta Stephen Lendman: «Sembra tuttavia che non tutti nelle alte sfere politiche in USA e in Israele siano disposti a correre i rischi dell’assoluta follia che rappresenta un attacco all’Iran e alla Siria. Per ora, i più ragionevoli sembrano prevalere sulle teste calde irresponsabili. Ricordo che nell’epoca della guerra fredda, specie ai tempi di Reagan, c’erano quei mentecatti in certe sfere di influenza del potere americano – le stesse di oggi – (neo-con sionisti) che volevano a tutti i costi un attacco nucleare all’Unione Sovietica. Ma per fortuna si trovavano in inferiorità numerica e non hanno prevalso. E spero con tutte le mie forze che non prevalgano neanche questa volta, perché le conseguenze sarebbero catastrofiche. E che non ci siano dubbi: sarebbero catastrofiche per il mondo intero – nessun paese sarebbe al riparo dal conflitto su vasta scala che ne scaturirebbe».
Era proprio durante l’era Reagan che l’America ha visto l’ascesa al potere della corrente dei neo-conservatori, la cui paternità viene attribuita all’ebreo Irving Kristol, di origini europee ma nato in USA. Oggi, uno degli esponenti più influenti nelle sfere neo-con sioniste è proprio William “Bill” Kristol, figlio dell’ideologo dei neo-conservatori, che possiamo vedere regolarmente la sera nel salotto politico del canale americano Fox News di Murdoch, insieme ad un altro sionista radicale, Charles Krauthammer, sputare sentenze contro l’Iran e tutto ciò che si oppone al dominio di Israele.
Di fatto, è importante specificare, che sono soprattutto gli esponenti americani della Israel Lobby che spingono per l’attacco all’Iran. Loro osservano la scena politica da una miope prospettiva americana. Per via della privilegiata posizione geografica, gli USA sono inespugnabili: nessuno si sognerebbe di invadere i cieli sopra Washington, ben sapendo che verrebbero abbattuti all’istante (ecco perché nell’immaginario di Hollywood solo gli alieni attaccano l’America); né è possibile invadere gli USA via terra, considerando che al Nord il paese confina con il Canada, il cui governo è filo-americano e filo-sionista; e al Sud confina con il Mexico, che certo non rappresenta un pericolo.
La Lobby dunque spinge per un intervento militare contro l’Iran. Lo conferma in un articolo il politologo ebreo americano M. J. Rosenberg, che commenta: «Le sfere neo-con sioniste che rappresentano gli interessi di Israele a Washington stanno facendo pressione su Obama perché si decida ad attaccare l’Iran o acconsenta che lo faccia Israele». Rosenberg, che era il direttore del Israel Policy Forum aggiungeva: «Questo è un anno di elezioni e nessuno a Washington si azzarda a dire NO a Netanyahu nel periodo pre-elettorale».
Riferendosi al congresso della AIPAC che inizia proprio oggi e come ogni anno vedrà il presidente israeliano protagonista nella capitale americana parlando di fronte al parlamento USA e con ciò umiliando il presidente degli Stati Uniti, Rosenberg commentava: «L’entusiasmo per la guerra salirà alle stelle in Marzo, quando la AIPAC si riunirà per la convention annuale».
Ma in Washington e in Tel Aviv non tutti sono d’accordo sull'attaccare l'Iran - che certo non è un paese isolato e può contare sull'appoggio di Russia e Cina - le due potenze mondiali ammiraglie del polo di opposizione a quello occidentale.
Il giornale israeliano Haaretz pubblicava giorni fa le preoccupazioni espresse dal presidente israeliano Shimon Peres, che metteva in guardia i falchi israeliani contro un attacco all’Iran. Non che Peres sia una "colomba" - ma come tanti in Israele non chiude gli occhi sulla realtà che l’Iran negli ultimi anni ha sviluppato potenti strumenti bellici dotati delle tecnologie più avanzate in grado di rispondere efficacemente al fuoco israeliano creando gravi danni al regime sionista.
Dalia Dassa Kaye della influente RAND Corporation americana - un istituto di ricerca nel campo delle strategie politiche, di impronta conservatrice filo-sionista - commentava in un articolo pubblicato sul Los Angeles Times : «i sostenitori di un attacco all'Iran devono considerare che le conseguenze a lungo termine saranno disastrose per Israele sul piano della sicurezza»
Gli esperti che leggiamo e ascoltiamo ci fanno notare che a nessun paese arabo verrebbe mai in mente di lanciare un attacco militare contro Israele - tantomeno lo farebbe l’Iran, ben consapevole che si tratterebbe di una missione suicida, visto che interverrebbe immediatamente la super-potenza militare USA.
Ed è proprio questo che la corrente politica più ragionevole di Washington e del Pentagono vuole evitare.
Chi segue i media americani ha potuto sentire le recenti dichiarazioni di allarme espresse da vari funzionari delle sfere militari e dei servizi segreti con conservano un minimo di senso della realtà.
Una settimana fa, nella trasmissione politica condotta da Fareed Zakaria sulla CNN, ha suscitato scalpore l'analisi del capo di Stato Maggiore americano, il Generale Martin Dempsey, che nel commentare le tensioni crescenti intorno all'Iran faceva notare che: «A nostro avviso, l'Iran è un attore razionale nell'arena politica internazionale», e che un attacco al paese, oltre a rappresentare un fattore di alto rischio, sarebbe ingiustificato in quanto «i funzionari americani non credono affatto che l'Iran sia intenzionato a produrre armi nucleari».
Il Generale Dempsey con ciò non faceva che ripetere il messaggio già personalmente espresso alla leadership israeliana durante la sua visita in gennaio di quest'anno.
Le parole del gen. Dempsey circa il comportamento razionale dell'Iran venivano spiegate da Jeff Steinberg della Executive Intelligence Review, dicendo: «l'Iran sta attivamente producendo uranio arricchito del 20%, che è del tutto legale secondo il Trattato di Non-Proliferazione a cui l'Iran ha aderito. Tale processo di arricchimento avviene peraltro sotto la costante vigilanza dell'Agenzia Atomica internazionale. Altrettanto è legale il programma di modernizzazione dei missili balistici dell'Iran. Si tratta degli stessi sistemi di difesa che possiede la maggioranza dei paesi ovunque nel mondo.
Continua Steinberg: «Il caso che si tenta di montare contro l'Iran segue gli stessi schemi di falsa propaganda che hanno preceduto l'invasione illegale dell'Iraq, quando veniva ventilato lo spauracchio delle armi di distruzione di massa, dell'intenzione di Saddam Hussein di attaccare l'Occidente e di una prossima nube nucleare sopra l'Europa. Sappiamo tutti cosa è successo in seguito. Si spera che questa volta i popoli non si facciano ingannare. Ma siccome non ci sono garanzie, persone come il Gen. Dempsey stanno cercando di contrastare la disinformazione che proviene soprattutto dai media e da parte di certe sfere oligarchiche in USA e Gran Bretagna che vogliono la guerra. Le guerre da sempre rappresentano un mezzo efficace per tentare di salvare un'economia sul collasso senza modificare gli assetti del potere».
Alcuni giorni prima, il 16 febbraio, il direttore della National Intelligence, James Clapper, appariva di fronte alla Commissione per i Servizi Armati del Senato americano al fianco del neo-direttore della CIA, il Gen. David Petraeus, per testimoniare sul "caso Iran". James Clapper confermava le conclusioni del rapporto congiunto delle 16 Agenzie di Intelligence che facevano capo all'Agenzia da lui diretta, dichiarando: «Secondo le nostre stime, l'Iran non ha intenzione di produrre armi nucleari».
Durante la stessa sessione nel Senato americano, sia Petraeus, che il ministro alla Difesa e capo del Pentagono, Leon Panetta, che lo stesso Gen. Dempsey (capo di Stato Maggiore), confermavano le conclusioni del direttore Clapper: pur non escludendo la possibilità che in un futuro non prevedibile l'Iran possa decidere di produrre armi nucleari, la presunta minaccia iraniana è per ora solo una montatura.
Ma perfino il presidente Obama, intervistato da Matt Lauer delle NBC durante il Superbowl, esprimeva la speranza di potere risolvere il "problema" iraniano per mezzo della diplomazia.
Come mai tanti personaggi competenti si affrettano a sgonfiare "la minaccia Iran", e come mai un rapporto di alto profilo della comunità dell'Intelligence americana viene consegnato al Los Angeles Times e al New York Times per rivelarne il contenuto?
E ancora: se in USA si è consapevoli che l'Iran non rappresenta una minaccia, perché vengono imposte sanzioni economiche al paese?
L'analisi di Franklin Lamb
L'analisi più pertinente viene fornita dal giurista americano Franklin Lamb, che durante un'intervista rilasciata al canale di news internazionale Press-TV commentava:
«E' molto significativo che il rapporto congiunto della comunità dei servizi segreti (NIE) - che è il livello più alto di intelligence prodotto negli Stati Uniti - dopo visione da parte del presidente Obama, sia stato distribuito anche al Parlamento e alle testate più influenti. Soprattutto considerando, che la conclusione unanime delle Agenzie è la totale assenza di prove che l'Iran abbia intenzione di produrre armi nucleari.
«Questo è un fatto senza precedenti e solleva molti interrogativi sulle intenzioni del governo Obama in merito all'Iran.
«Prima di tutto viene da chiedere: significa che le sanzioni imposte dagli USA saranno revocate?
«E che farà l'Europa? - visto che hanno aderito alle sanzioni solo perché imposte dagli USA che dicevano di avere tutte quelle "prove schiaccianti" ...
«Oppure - come qualcuno sospetta - significa che non è mai stato il nucleare iraniano la ragione delle sanzioni, ma che si mira a rovesciare il legittimo governo iraniano?
«Personalmente penso che la consegna del rapporto al New York Times per la divulgazione del contenuto, sia mirata a inviare un segnale di disapprovazione a Israele.
«Come sapete, Netanyahu arriverà in USA il 4 marzo per il convegno della AIPAC, e porterà nuove prove da Israele a sostegno della tesi sulla presunta produzione di armi nucleari in Iran, dicendo che sono prove inconfutabili raccolte dal Mossad. Ma con tutte le dichiarazioni dei funzionari americani di questi giorni, Netanyahu non verrà preso sul serio dal parlamento USA che ha potuto intanto leggere il rapporto dell'Intelligence.
«Credo che l'amministrazione Obama e il Pentagono abbiano concluso che appunto l'Iran sia "un attore razionale", come ora ammetteranno tutti in Washington, arrivando alla conclusione che invece sia Israele a non essere affatto razionale - anzi, che sia Israele il vero fattore di rischio nell'intera equazione.
«E quindi, penso che il rapporto dell'Intelligence e le dichiarazioni dei funzionari USA a pochi giorni dall'arrivo di Netanyahu servano proprio per preparare il terreno in vista dell'incontro tra Obama e il premier israeliano. E credo che sarà un incontro più teso del solito. Alle strategie di Obama, Netanyahu opporrà i risultati di un rapporto che Abe Foxman, della ADL (Anti-Defamation League), sta divulgando ad alta voce, secondo il quale il 52% degli ebrei americani questa volta intende votare per il candidato Repubblicano che vincerà la primarie: Gingrich, Romney, o Santorum (che fanno a gara con invettive contro l'Iran per ingraziarsi Israele e la AIPAC). E si sa che finora l'85% degli elettori ebrei ha sempre votato per i Democratici. Foxman cerca di influenzare il voto ebraico in USA, dicendo a gran voce che un secondo mandato di Obama rappresenterebbe pericoli senza precedenti per Israele.
Conclude Franklin Lamb dicendo: «Nei prossimi giorni vedremo come evolverà la situazione. Ma se alla luce delle rivelazioni e dichiarazioni che arrivano da Washington le sanzioni contro l'Iran non verranno revocate, saranno da considerare alla stregua di un vero e proprio atto di guerra, a mio avviso».
Dopo lo scalpore mediatico suscitato dai commenti del Capo di Stato Maggiore Dempsey nella trasmissione molto seguita di Fareed Zakaria sulla CNN, la reazione di forte disapprovazione da parte di Israele non si è fatta attendere.
Il messaggio a Israele: parla Zbigniew Brzezinski
A questo punto è arrivata la bomba mediatica che nessuno si aspettava
Per ribadire a Israele e al mondo come la pensa la Casa Bianca, nella trasmissione di Fareed Zakaria della settimana successiva all'intervista del Gen. Dempsey è intervenuto, questa volta, uno degli uomini più influenti e carismatici delle sfere Democratiche di Washington: Zbigniew Brzezinski - che ha servito come consigliere di stato per la sicurezza nazionale sotto due presidenti americani, Kennedy e Carter, ed è tuttora una delle figure diplomatiche più influenti sulla scena politica mondiale.
Alla domanda del conservatore filo-sionista Zakaria su "come si svilupperà la crisi dell'Iran" - Brzezinsky rispondeva senza mezzi termini dichiarando:
«Tutto dipenderà da quanto saremo determinati, lucidi ed espliciti qui a Washington. Se saremo ambigui, potrebbe finire molto ma molto male davvero.
«Dobbiamo essere chiari con l'Iran in merito al nucleare. ... Ma soprattutto dobbiamo essere molto chiari con i nostri amici in Israele, dicendo che non vogliamo la guerra, che una guerra non è necessaria. Che noi non faremo la guerra. E che loro non faranno la guerra servendosi del nostro spazio aereo sopra l'Iraq (da notare: "nostro", per ribadire l'arroganza di qualunque politico americano).
«Se loro decideranno di fare la guerra, noi non li appoggeremo: saranno soli e ne subiranno tutte le conseguenze. Perché il prezzo che pagheremo se Israele inizierà una guerra massiccia, che l'Iran interpreterà come una decisione presa con la connivenza degli Stati Uniti, sarà disastroso per noi nella regione, soprattutto in Afghanistan e in Iraq. E sarà disastroso per il flusso del petrolio, e in generale per gli equilibri nel Medio Oriente.
«Gli israeliani saranno tentati di attaccare nel periodo che precederà le elezioni presidenziali degli USA, che si sta avvicinando.
«Per questo penso che il presidente (Obama) quando incontrerà Netanyahu il 5 marzo, dovrà prima di tutto tenere a mente come è stato umiliato l'anno scorso durante lo stesso evento (congresso AIPAC) dal premier israeliano. Un presidente degli Stati Uniti non dovrebbe accettare una simile umiliazione.
«Obama dovrà ricordarsi che lui rappresenta gli interessi nazionali dell'America e dovrà essere molto chiaro (con Netanyahu) su quali sono questi interessi. Che un attacco israeliano all'Iran non è compatibile con i nostri interessi. Che ci danneggerebbe. Che gli iraniani ci riterranno responsabili e agiranno di conseguenza e noi ne pagheremo il prezzo. Che questo non è accettabile.
«Non dimentichiamo che in Israele molti sono realisti e non vogliono questa guerra. E parlo dei vertici nel Mossad e nell'Intelligence militare.
«Ma anche la comunità ebraica in America è contraria alla guerra contro l'Iran. Solo quelli nelle alte sfere simpatizzanti della Likud (destra israeliana) spingono per la guerra (come appunto la AIPAC).
«E quindi Obama (nel suo incontro con Netanyahu) dovrà ricordarsi di avere un certo grado di credibilità politica non solo in USA, ma anche in Israele».
Nel rispondere ad una domanda sulla Siria, Brzezinski commentava che la situazione è molto complicata, per via dei molteplici interessi regionali e globali coinvolti, che vedono soprattutto Iran e Arabia Saudita schierati rispettivamente a capo dei due poli contrapposti. Si dichiarava anche contrario ad un intervento diretto degli USA.
«Ma la vera complicazione - specificava Brzezinski - risiede nel fatto che "anche" gli israeliani hanno un interesse nella questione della Siria. Israele certo non vuole vedere una Siria forte e unita emergere dal conflitto».
Brzezinski inoltre rispondeva a domande su Obama e sulla situazione in Palestina.
«Obama capisce il mondo meglio di qualsiasi altro politico. E non starò a sprecare tempo per illustrare il divario tra lui e i candidati Repubblicani che dicono cose talmente primitive da essere imbarazzanti.
«Mi chiedo tuttavia se Obama sia dotato della necessaria determinazione e fiducia in sé per agire con saggezza. E lo dubito, visti i risultati ad esempio nel Medio Oriente.
«Nell'affrontare la questione Palestina/Israele, ha parlato tanto ma al momento cruciale si è tirato indietro. E ora la situazione è questa: se non ci sarà una soluzione di pace entro breve, i Palestinesi pagheranno un prezzo molto alto; ma a lungo termine, sarà Israele a essere a rischio. E nel frattempo sono i nostri interessi a soffrire le conseguenze».
* * *
Brzezinsky - che non dimentichiamo, è uno dei falchi nelle file Democratiche - non ammetterebbe mai che in realtà la soluzione al problema "Israele" sarebbe davvero semplice. Basterebbe, ad esempio, che gli USA smettessero di porre il veto ad ogni Risoluzione ONU nei confronti del regime sionista. Tutto il resto verrebbe di conseguenza. Le nazioni ormai sono tutte con i Palestinesi.
Brzezinsky ha parlato di molto altro ancora, specie su quale ruolo dovrebbe giocare l'America «nella nuova realtà del risveglio politico globale, alla luce della crisi americana e dello spostamento del centro di gravità del potere dall'Occidente verso l'Est».
Tuttavia noi abbiamo estrapolato solo le parti di nostro interesse per il tema che affrontiamo in questo post. Magari si potrà riprendere l'intervista di Brzezinski in futuro. Comunque il video dell'intervista è pubblicato sul sito della CNN, come tutte le puntate del programma di Fareed Zakaria.
E' invece importante seguire lo sviluppo di questa nuova diatriba tra USA e Israele.
Le reazioni di Israele
Le reazioni di Israele
La reazione di Israele ai messaggi da Washington non si è fatta attendere. Come di consueto, la leadership politica del regime sionista si è distinta per arroganza e mancanza di senso della realtà.
«Non avvertiremo Washington prima di lanciare un attacco agli impianti nucleari dell'Iran». Questo, secondo l'agenzia Associated Press, il messaggio congiunto del premier Netanyahu e del ministro alla difesa Ehud Barak consegnato ai funzionari americani in visita in Tel Aviv.
Secondo un articolo del Wall Street Journal del 18 febbraio, in Israele sarebbero furiosi per l'atteggiamento "soft" degli USA in merito al programma nucleare iraniano. Accusano la Casa Bianca di "tentativi intenzionali" per sminuire l'efficacia delle minacce di guerra da parte di Israele contro l'Iran. Secondo l'articolo, Netanyahu avrebbe chiesto a Washington di fare pressione sull'Iran specificando pubblicamente quali limiti Tehran non deve oltrepassare, e avrebbe esortato Obama "a insistere pubblicamente che tutte le opzione contro l'Iran sono tutt'ora valide".
Oltre a Washington, anche altri paesi - tra cui Russia, Cina e Germania - hanno messo in guardia Israele contro un attacco all'Iran, facendo notare che le conseguenze sarebbero state disastrose, non solo per la regione mediorientale, ma per il mondo intero.
Il 27 febbraio, il premier russo Putin dichiarava: «se Israele attaccherà l'Iran l'esito sarebbe catastrofico e la portata del disastro impossibile da immaginare».
Arrivava prontamente la reazione del ministro degli esteri israeliano, l'estremista di destra Avigdor Lieberman, che in risposta agli avvertimenti provenienti da USA e Russia dichiarava durante un'intervista rilasciata all'emittente israeliana Channel 2 che Tel Aviv non intende tenere conto degli avvertimenti e che le decisioni di Israele «non sono affari loro» (di USA e Russia).
Tuttavia il parlamentare israeliano Zeev Bielsky faceva notare che le capacità difensive di Israele non sarebbero in grado di offrire una protezione adeguata in caso di una ritorsione militare iraniana. Perfino il ministro alla difesa Ehud Barak ammetteva la vulnerabilità di Israele nel dicembre scorso, aggiungendo che qualora l'Iran avesse risposto al fuoco israeliano «neanche 500 cittadini israeliani avrebbero perso la vita».
Preferiamo non commentare le parole di un ministro alla difesa disposto a sacrificare 500 dei cittadini che è chiamato a proteggere, perché lui e il resto del governo vogliono attaccare un paese che forse - in un ipotetico futuro - potrebbe decidere di avviare la produzione di una testata nucleare.
Eppure, Israele continua con la sua retorica che sarebbe l'Iran a volere attaccare Israele. E in Occidente viene fatto credere ai cittadini che sia proprio l'Iran a volere la guerra.
Ma vediamo se questa è un'ipotesi realistica.
Tanto per cominciare, l'Iran avrebbe motivi validi per vendicare le uccisioni dei vari scienziati nucleari iraniani eseguite in tempi recenti e meno recenti. Ora che la Clinton ha pubblicamente dichiarato l'estraneità degli USA alle uccisioni, l'unico sospettato plausibile rimane il Mossad (servizi segreti israeliani). Sappiamo inoltre che il giornalista di inchiesta Mark Perry aveva rivelato su Foreign Policy che agenti del Mossad si fingevano agenti della CIA, a Londra, usando dollari americani per reclutare i terroristi dell'organizzazione Jundallah, responsabile di tanti attacchi terroristici contro l'Iran.
Per non parlare del fatto che l'Iran avrebbe tutte le ragioni per ritenere un vero atto di aggressione le sanzioni economiche imposte dall'Occidente per forzare la chiusura degli impianti nucleari - che gli USA stessi ammettono non essere destinati alla produzione di armi nucleari, come è ben consapevole ogni governo di questo mondo.
In altre parole, l'Iran avrebbe tutte le ragioni per chiudere lo Stretto di Hormuz (nell'area del Golfo Persico) in risposta all'embargo del petrolio e il boicottaggio della Banca Centrale Iraniana. Se l'Iran volesse la guerra, con la chiusura dello Stretto la otterrebbe nel giro di ore, perché USA e Gran Bretagna sono presenti da mesi nel Golfo Persico con le minacciose porta-aerei per paura della ritorsione iraniana alle sanzioni ingiustificate. Per non parlare del fatto che la 5a Flotta della Marina Militare americana è stazionata proprio di fronte allo Stretto di Hormuz, nel Bahrein, pronta a entrare in azione immediatamente se gli USA vogliono attaccare l'Iran.
Ma l'Iran si guarda bene dal provocare una guerra con gli USA - o con Israele, che sarebbe la stessa cosa.
Come scrive Patrick J. Buchanan in un articolo per il famoso sito AtiWar.com dal titolo "Chi vuole la guerra con l'Iran?":
«La guerra con gli Stati Uniti sarebbe un disastro per l'Iran. ... La Marina Militare iraniana, la maggior parte dell'arsenale militare, la difesa anti-aerea e anti-cacciatorpediniere e il sistema dei missili strategici, verrebbe distrutta; come anche gran parte delle infrastrutture della nazione. L'orologio strategico dell'Iran tornerebbe indietro di molti anni».
Ecco spiegato il VERO motivo per cui Israele vuole la guerra contro l'Iran: perché accada proprio lo scenario appena descritto. Come menzionato in alto, Israele vuole dominare la regione incontrastata. Se cade l'Iran, cadono i suoi protettorati, Libano e Siria, e Israele si può espandere indisturbata.
E la guerra la vogliono anche tutti i vari sedicenti "amici" di Israele negli Stati Uniti: i neo-con sionisti ai vertici della Israel Lobby; i neo-con sionisti cristiani evangelici, che sono tanti e sono ricchi e influenti e determinano le politiche del partito repubblicano; i tre candidati repubblicani che ora si scannano a vicenda per vincere la nomination e opporre la propria candidatura a quella di Obama nelle presidenziali di novembre - parliamo di Romney, Gingrich e Santorum (ribattezzato "Sanatorium" da George Galloway, per motivi ben noti a chi segue nei media le dichiarazioni da "sanatorio" del triumvirato repubblicano.
La campagna elettorale americana si sta configurando proprio intorno alla questione dell'Iran. Se a novembre vinceranno i repubblicani, le probabilità di una guerra contro l'Iran aumenteranno in modo esponenziale.
Ma il regime sionista e i suoi compari in USA insistono di volere attaccare l'Iran perché rappresenterebbe "una minaccia esistenziale" per Israele.
Davvero!? Vediamo.
Israele possiede almeno 200 testate nucleari e la capacità di lanciarle con tre mezzi diversi, tra cui i vari sottomarini nucleari generosamente regalati a Israele dalla Germania.
Mentre l'Iran non ha mai costruito, né tantomeno testato un'arma nucleare. Anche volendo, impiegherebbe anni per produrre armi nucleari a partire dal momento in cui decidesse di iniziare la produzione.
Chi rappresenta una "minaccia esistenziale" per chi, allora?
Potrebbero rispondere i palestinesi, i libanesi e i siriani, che l'hanno assaggiata sulla propria pelle, una versione della minaccia esistenziale di cui parliamo. La conoscono bene, la minaccia nucleare, in Libano e in Palestina, visto che hanno subìto gli effetti delle armi all'uranio impoverito che impiega la "difesa" israeliana.
E non dimentichiamo la famosa "Opzione Sansone" (da "muoia Sansone con tutti i Filistei") che Israele da sempre minaccia di mettere in atto, se messa all'angolo.
E' l'Iran la minaccia esistenziale per Israele, o viceversa?
Andiamo ora ad analizzare la questione dell'embargo al petrolio iraniano: quali saranno le conseguenze e a chi gioveranno.
Parte 2
Quale sarà l’impatto dell’embargo iraniano
sul sistema energetico, sull’economia mondiale,
specie quella europea,
e compresa ovviamente quella italiana?
Quale sarà l’impatto dell’embargo iraniano
sul sistema energetico, sull’economia mondiale,
specie quella europea,
e compresa ovviamente quella italiana?
Come illustrato in alto, il 19 febbraio l'Iran annunciava l'avvenuta interruzione della fornitura di petrolio a Francia e Inghilterra, mettendo sull'avviso altri paesi europei, tra cui l'Italia, che presto anche a loro sarebbe toccata la stessa sorte qualora non avessero revocato le sanzioni all'Iran firmando un contratto di import del greggio a lungo termine con condizioni di pagamento a vista.
La mossa strategica rappresentava il contrattacco sferrato in risposta alle sanzioni economiche sancite dall'Unione Europea il 23 gennaio, che prevedevano tra l'altro l'embargo del petrolio iraniano con entrata in vigore prevista a partire dal 1° luglio.
Come ampiamente discusso nella Parte 1 di questo post, gli USA e la UE hanno imposto le sanzioni all'Iran ostentando ufficialmente una presunta preoccupazione per la presunta minaccia che rappresenterebbe il programma nucleare a scopi pacifici dell’Iran.
Le motivazioni della contromossa decisa dall'Iran vengono al meglio illustrate dall'editorialista e politologo iraniano Nader Mokhtari in una breve intervista rilasciata a Press-TV il giorno in cui l'Iran decideva lo stop delle forniture alle raffinerie francesi e inglesi. Seguono le analisi fornite da un esperto nel mercato dell'energia fossile.
Le interviste sono molto interessanti e non lasciano spazio ad eventuali illusioni sulla possibilità di sostituire il petrolio iraniano senza incorrere in enormi difficoltà tecniche ed economiche, sempre ammesso che sia possibile trovare fornitori alternativi, come vedremo.
Parla Nader Mokhtari
Press-TV: Perché l'Iran ha scelto di interrompere le esportazioni di petrolio alle società francesi e inglesi?
Mokhtari: «Il commercio è una strada a doppio senso. Si offrono beni in cambio di pagamenti. Ciò che è accaduto è che la Francia e cinque altre nazioni europee sono in grave ritardo sui loro pagamenti per il petrolio iraniano.
«Ovunque nei media si dice che sia la preoccupazione per l'energia nucleare dell'Iran la ragione dell'embargo al greggio iraniano; ma le fonti iraniane forniscono una versione alternativa. Se l'Europa pensa di potere evitare il saldo degli arretrati e inoltre ricevere il petrolio regolarmente fino al 1° luglio, per una fornitura gratuita di quasi un anno, si illudono di avere a che fare con dei sprovveduti.
«Devono imparare a pagare le bollette e comportarsi da adulti, in Europa. Ma la realtà dei fatti è che non sono in grado di pagare i conti e tantomeno i debiti arretrati -, motivo per cui il rating della loro capacità di solvenza viene ora degradato. E quindi attribuire le sanzioni a presunte preoccupazioni per il nucleare iraniano altro non è che un comodo espediente per evitare le proprie responsabilità».
Press-TV: Cosa ne pensi delle dichiarazioni dall'Occidente, secondo cui l'embargo all'import del greggio iraniano provocherà gravi danni economici all'Iran?
Mokhtari: «Ottanta raffinerie in Europa ricevono il petrolio iraniano, che è un greggio pulito, di alta qualità. E' dorato nella struttura e molto leggero. E' del tutto diverso dal greggio dell'Arabia Saudita, che è pesante, con una consistenza simile al catrame e con un alto contenuto di zolfo. Per un petrolio come quello dovranno ricalibrare le loro raffinerie. E non è cosa facile.
«Ci vogliono mesi per gli interventi necessari ad adattare le raffinerie ad un greggio più pesante. Dopo di ché, raffinare un petrolio come quello saudita comporta il doppio del costo. E quei costi dovranno poi incidere sul prezzo ai clienti. E quindi, l'intera faccenda è davvero poco realistica, considerata la situazione in cui versa l'Europa.
«Per quanto riguarda l'Iran, il suo petrolio è tra i migliori al mondo. L'Iran non sarà mai a corto di clienti per il suo greggio o per i derivati. Fanno la fila per assicurarsi forniture dall'Iran, e a differenza dell'Europa pagano puntualmente. Non sarà difficile sostituire i clienti europei. Mentre per l'Europa sarà difficile sostituire il petrolio iraniano».
Il 1° marzo, un rapporto del Ministero dell'Energia degli Stati Uniti metteva in guardia sull'impatto che avrà l'esclusione del petrolio iraniano dai mercati nei paesi che aderiscono all'embargo iraniano, facendo notare, tra l'altro, che sarà difficile trovare fornitori alternativi, soprattutto perché l'output (la produzione) dell'OPEC destinato alle riserve di petrolio dei paesi clienti è diminuito quest'anno di un terzo rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Di nuovo invitato a commentare, Nader Mokhtari aggiungeva:
«Sembra proprio che si stiano dando la zappa sui piedi (in USA ed Europa). La decisione di escludere il petrolio iraniano è uno scherzo macabro. Forse non tutti sanno che nel mondo la domanda per i carburanti fossili è aumentata nonostante l'introduzione di forme di energia alternativa, e l'offerta esistente sul mercato del greggio non è sufficiente a compensare le carenze provocate dall'uscita di un fornitore.
«USA ed Europa partivano dal presupposto che altri paesi dell'OPEC, specie l'Arabia Saudita, avrebbero compensato per l'esclusione dell'Iran.
«Ma chiunque abbia una minima conoscenza del mercato di energia fossile, sa bene che l'Arabia Saudita non può aumentare la produzione, non in tempi prevedibili.
(L'Arabia Saudita produce intorno ai 10 milioni di barili al giorno, da ormai decenni. Da anni si rifiuta di incrementare la produzione per via dei costi che l'aumento comporterebbe; il numeroso clan della famiglia reale allargata, che intasca per intero i proventi del petrolio, da una parte non intende investire e spendere per un ulteriore profitto; dall'altra non si cura delle necessità della popolazione per nuovi posti di lavoro. Al secondo posto per produzione all'interno dell'OPEC c'è l'Iran, con 3,5 milioni di barili al giorno - n.d.t.)
Continua Mokhtari: «Costerebbe molti milioni e anni di lavoro all'Arabia Saudita portare la produzione ad un livello tale da compensare la perdita del petrolio iraniano in Occidente.
«Ma se anche l'Arabia Saudita acconsentisse ad un aumento della produzione, e fossa pronta - diciamo tra un anno o due - per una fornitura potenziata, ricordiamo che la qualità di quel greggio non è paragonabile al petrolio pulito iraniano.
«L'intera faccenda delle sanzioni e dell'embargo porta l'impronta della AIPAC e in Washington farebbero bene a disimpegnarsi e ad agire in modo realistico, comportandosi da adulti con l'Iran, come ci si comporta con un partner commerciale.
«Non si accorgono che è finita l'era in cui si poteva impunemente fare i bulli con altri paesi. Il pianeta è abitato da 7 miliardi di persone e non ci sono risorse a sufficienza da permetterci di fare a meno di un produttore importante come l'Iran».
Notizie inquietanti dall’Arabia Saudita.
Riportiamo qui una notizia che si tenta di nascondere nei media internazionali.
Alcuni giorni fa è stato fatto esplodere in Arabia Saudita il tratto più lungo dell'oleodotto che ogni giorno trasporta 6 milioni di barili del greggio saudita verso il terminal di Ras Tanrua.
E sembra che già in precedenza vi sia stato un sabotaggio analogo all'oleodotto.
La notizia non ha ancora avuto risonanza nei media mainstream, e si sospetta che la famiglia reale voglia mantenere il segreto, per non creare panico.
Commentava la notizia l'esperto in politiche mediorientali, Ali al-Ahmed, direttore della IGA di Washington:
«Da oltre un anno ormai, in Arabia Saudita è in corso una sistematica rivolta dei cittadini contro la dittatura saudita. Ogni giorno le guardie della monarchia aprono il fuoco sui manifestanti. Ogni giorno ci sono morti e feriti e arresti politici, con la gente che sparisce nei meandri del sistema giudiziario repressivo e non se ne sente più parlare. Ma in Arabia Saudita regna il black-out mediatico, e niente trapela all'esterno. E quindi è possibile che i cittadini ricorrano ad atti estremi per attirare l'attenzione del mondo sulle condizioni repressive e violente del paese. E' possibile che in mancanza delle riforme politiche e sociali, vogliano colpire la monarchia al cuore, dove fa più male per le tasche, per l’immagine, per lo status politico del regime nell’arena internazionale».
I mercati comunque sono allarmati. Vedremo cosa succederà.
Parla l'esperto del mercato petrolifero
Manoucher Takin, del Centro per gli Studi sull'Energia Globale con sede in Londra, non solo confermava quanto già esposto qui sopra da Mokhtari, ma rincarava la dose accennando anche alle problematiche di natura logistica che sorgono quando un qualsiasi paese voglia sostituire un fornitore di petrolio.
Spiega Takin:
«Prima di tutto, ogni raffineria è costruita e tarata per una particolare qualità di greggio. La pressione per le colonne della distillazione, le valvole, le pompe - l’intero sistema è progettato per ottimizzare e massimizzare la produzione di benzina, diesel, eccetera.
«Per raffinare un greggio diverso, bisogna sostituire delle parti e ri-calibrare parametri come pressione, pompe, temperatura, sistema dei freni. Comporta un investimento non indifferente. Per non parlare del fatto, che la raffineria non sarebbe operativa per tutto il tempo richiesto per l'intervento, che è alquanto lungo.
«Ma c'è un altro fattore importante da considerare, che incide sui costi e sul prezzo del carburante.
«Il petrolio viene venduto nel mondo intero attraverso una vasta rete di trasporto che utilizza petroliere e altre navi, grandi e piccole a seconda della quantità, servendosi delle compagnie che le operano, noleggiano, appaltano, ecc.
«Si tratta di una rete che opera in un equilibrio dinamico, interdipendente, funzionale alle rotte di trasporto, e ottimizzato per non incidere eccessivamente sul costo del trasporto e quindi sul prezzo del carburante.
«E quindi, la distribuzione avviene da A verso B nel modo più razionale possibile. Ricordiamo che il trasporto stesso necessita proprio delle risorse di carburante che si vuole mantenere a prezzi accessibili anche per chi effettua il trasporto di greggio e carburante.
«Qualunque modifica nei tasselli che compongono il puzzle della rete di distribuzione incide quindi sui costi per i produttori, per i distributori, gli importatori e infine sul costo del carburante, in una sorta di circolo vizioso.
«Per questo non bisognerebbe permettere che il petrolio diventi uno strumento politico. E devo dire che trovo davvero deplorevole che ora un petrolio pulito, assolutamente necessario come quello iraniano, venga usato per ricatti nelle sfere della politica estera.
«Ho lavorato a lungo nella sede della OPEC in Vienna e da tempo mi sono reso conto che il petrolio va gestito dagli operatori del settore senza interferenze per garantire il massimo dell'ottimizzazione di una risorsa così preziosa.
«E c'è un altro fattore - sempre di natura politica - che ora sta causando grandi preoccupazioni. Per compensare la perdita del petrolio iraniano, in USA e in Europa si è deciso di attingere alle cosiddette riserve strategiche di petrolio, anche per tenere sotto controllo i prezzi del petrolio che stanno aumentando a causa dell'incertezza dei mercati, artificialmente creata dalle manovre politiche. Si attinge alle riserve nella speranza che entro la fatidica scadenza del 1° luglio l’attuale situazione politica sia sedata e il reperimento del petrolio sia risolto.
«La riserva strategica consiste in una quantità ingente di greggio che si trova in diversi paesi industrializzati, membri dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, la OECD, con sede in Parigi, che dal 1970 ha il compito di gestire le riserve.
«Tali riserve strategiche di petrolio devono essere utilizzate solo in caso di emergenze causate da disastri naturali e simili.
«Le riserve strategiche sono talmente importanti, che ogni anno vengono messe in atto simulazioni per determinare quali paesi devono attingere alle riserve per determinate destinazioni. Sono paesi dell'Estremo Oriente come il Giappone, poi l'Australia e la Nuova Zelanda, alcuni paesi dell'Europa e gli Stati Uniti.
«Ma ora negli USA si fa pressione su Obama per attingere alla riserve. E questo crea un precedente politico pericoloso.
«E' preoccupante osservare questo nuovo trend per l'impiego delle riserve a causa di una crisi politica creata di proposito: per la prima volta si è ricorso all'impiego delle riserve dopo la guerra in Libia che ha provocato l'interruzione della fornitura di petrolio da questo paese.»
E l'Italia come si pone in merito all'embargo?
Alla luce delle considerazioni elencate, che sicuramente sono ben note alle sfere politiche dei paesi europei, vediamo come ha giustificato il nuovo premier italiano, Mario Monti, la decisione di aderire all'embargo del petrolio iraniano.
Ecco il copia/incolla della notizia trovata in rete il 23 febbraio:
Titolo: Iran, Monti: “L’embargo petrolifero è un sacrificio da sostenere”
Noi non commentiamo e passiamo alla terza parte di questo dossier, in cui sarà interessante scoprire chi esce vincitore dall'intera faccenda dell'embargo al petrolio iraniano.ROMA – L'Italia e' tra i paesi che, visto la sua dipendenza energetica, risente dell'embargo petrolifero all'Iran ma ci sono ''decisioni internazionali alle quali un paese che è parte attiva della comunità internazionale non può sottrarsi anche quando comportano sacrifici''. Lo ha detto il premier Mario Monti spiegando che, nel caso iraniano non si tratta di ''sacrifici umani''.Anzi, nel caso dell'Iran, i sacrifici si fanno per ''per evitare altre vittime nei conflitti'', ha aggiunto. In altri casi, invece si e'' ''trattato di sacrifici cui sono stati chiamati, come nel caso delle tre vittime in Afghanistan dei giorni scorsi, persone delle forze armate''.L'Italia ''si è preoccupata di considerare e attivare fonti alternative'' ha poi proseguito il premier rispondendo ad una domanda sulle sanzioni petrolifere verso Teheran.Queste dunque le parole del presidente del Consiglio Mario Monti, in risposta ad una domanda nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente dell'Europarlamento Martin Schulz.
Parte 3
A chi gioverà in ultima analisi l’embargo del petrolio iraniano imposto dall’Occidente?
Ma è ovvio - all'Iran!
C'era da aspettarselo: data l'importanza che rappresenta la risorsa del petrolio e data l'alta qualità del greggio iraniano, le richieste sono arrivate subito. Come sono arrivate puntualmente per il gas naturale, altrettanto incluso nell'embargo.
Vari paesi si sono immediatamente prenotati per ricevere una maggiore quantità del petrolio iraniano - prima tra tutti la Cina, che il giorno dopo l'annuncio dell'Europa per l'embargo all'import ha annunciato di avere l'OK dell'Iran per l'incremento della fornitura di 500.000 barili al giorno.
In un post precedente di questo blog avevamo fatto notare che la principale ragione della guerra alla Libia era colpire al cuore l'economia della Cina, allora presente sul territorio con una forza lavoro di 30.000 uomini per costruire infrastrutture in Libia in cambio di un accesso garantito al petrolio libico di qualità extrafina. Questo è il modo consueto con cui la Cina opera nei paesi africani ricchi di petrolio: costruire infrastrutture in cambio dell'accesso assicurato al petrolio e altre risorse - che la Cina compra - non ruba come fanno altri !!! Sono molto ambìti i lavoratori cinesi in Africa, perché lavorano bene, rispettano gli accordi e hanno grande rispetto per la popolazione locale. E' una collaborazione che porta benefici ad entrambe le parti: «a win-win situation», per dirla in inglese, come dovrebbe essere la regola per ogni rapporto commerciale.
Ma sappiamo che i regimi coloniali occidentali non si comportano in modo etico nei paesi ricchi di materie prime, e tantomeno i sionisti presenti in Africa, che fanno di tutto per estromettere la Cina, corrompendo, ricattando, seminando discordia tra le popolazioni, provocando tensioni inter-religiose tra cristiani e musulmani che sfociano in conflitti violenti, come è successo in Sudan, ormai diviso in tre regioni, tra cui il Darfur ricco di petrolio. E come succede in Nigeria e in tanti altri paesi. I media a volte informano sulle violenze, ma regolarmente omettono di spiegare le vere ragioni politiche imperiali e sioniste responsabili dei conflitti.
La Cina, dunque, estromessa dall'importante mercato libico, ormai nelle mani della NATO (che tuttora fa strage di chiunque si opponga: 60 morti solo ieri) non ha aspettato un secondo per trarre vantaggio dall'embargo del greggio iraniano in Europa.
Ma oltre alla Cina - e alla Russia - anche altri paesi asiatici si sono messi in fila per incrementare l'import dall'Iran, compresi India, Pakistan, Corea del Sud e Giappone, che sono appunto alleati degli USA, ma si rifiutano di aderire all'embargo - il Giappone comunque aderisce ad altre sanzioni per non inimicarsi troppo gli USA.
Il Pakistan addirittura - nonostante le minacce esplicite di Washington - ha fatto sapere forte e chiaro, con grande scalpore suscitato nei media internazionali, che andrà avanti con il progetto del gasdotto Iran-Pakistan per l'import del gas naturale iraniano, anche esso sotto embargo.
Il Pakistan - con i suoi 200 milioni di abitanti - affronta enormi problemi di scarsità di energia e non intende sacrificare il progresso sociale alle politiche suicide dell'impero neo-con sionista, e quindi «non cederà alle pressioni esterne per interrompere i rapporti commerciali con un partner importante come l'Iran», secondo le dichiarazioni di Hina Rabbani Khar, ministro degli esteri, e del premier Gilani.
Anche il Tajikistan, che sta costruendo un tunnel in partnership con l'Iran per collegare i due paesi agevolando il trasporto di forniture, informa che intende avvantaggiarsi del petrolio iraniano ora in offerta. Subito dopo l'annuncio dell'embargo imposto dall'Europa, l'ambasciatore del Tajikistan in Iran, Dolat Ali Hatamov, annunciava ufficialmente l'intenzione del suo governo a importare il petrolio iraniano, come complemento alle forniture che arrivano dalla Russia.
«La costruzione di un oleodotto che collegherà Iran e Tajikistan per la fornitura del petrolio iraniano» viene ora discusso dai due paesi, come rivelava l'ambasciatore del Tajikistan durante la conferenza stampa in Tehran.
Solo pochi giorni dopo l'annuncio dell'embargo, l'Ukraina ha firmato un contratto con l'Iran per lo sviluppo di 3 giacimenti petroliferi nel sud dell'Iran, che prevede un investimento dell'Ukraina pari a 800 milioni di dollari. Il contratto è stato firmato tra un'affiliata della Compagnia Nazionale del Petrolio Iraniano (NIOC) e il consorzio ukraino-iraniano Inter Naft Gas Prom Pars Co.
Per quanto riguarda l'India, Washington aveva offerto di aiutare il paese per trovare fornitori alternativi, proponendo soprattutto l'Arabia Saudita, (proposta del tutto irrealistica come abbiamo visto in alto), ma l'India ha risposto: no grazie, il petrolio iraniano non si può sostituire in ragione della qualità.
Dopo questo schiaffo bruciante assestato a Washington, l'India ha sùbito annunciato l'aumento dell'import di petrolio iraniano e ha preso in noleggio l'enorme petroliera Mykonos Warrior che consentirà il trasporto del petrolio aggiuntivo da importare.
L'Europa affronta il fallimento del progetto Nabucco
Un altro colpo duro inflitto all'Europa, è il fatto che senza la partecipazione dell'Iran - escluso per via delle sanzioni - il progetto "Nabucco" non potrà andare in porto.
La portata del danno per l'Europa è incalcolabile.
Si tratta del progetto, sostenuto da USA e Unione Europea, per un gas-dotto lungo circa 4.000 kilometri, che dovrebbe collegare Turchia e Austria passando per Romania, Bulgaria e Ungheria.
Il suo obiettivo strategico è quello di mettere fine alla dipendenza dei paesi europei dal gas naturale russo.
La società Nabucco, che prevede di portare il gas naturale dal Mar Caspio e dal Medio Oriente verso l'Europa, dichiarava che l'inizio dei lavori è previsto per la fine del 2013, e che il gas-dotto potrà essere operativo forse entro la fine del 2017.
Ma gli osservatori non sono ottimisti circa tali scadenze e perfino circa la viabilità del gasdotto - perché dietro pressione degli Stati Uniti, l'Iran è stato lasciato fuori dal progetto.
Venendo a mancare la fornitura del gas naturale dell'Iran - che rappresentava il maggiore fornitore - gli investimenti per un'opera così mastodontica non saranno più giustificati e gli investitori saranno scoraggiati.
Le sfide che il progetto si troverebbe ad affrontare potrebbero non solo ritardare, ma addirittura annullare la costruzione del gasdotto.
Infatti, il gasdotto Nabucco è progettato per trasportare circa 30 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno. Una fornitura inferiore non ammortizzerebbe costi e investimenti. Il costo stimato ammonta ora a 12 miliardi di Euro, rispetto ai 7 miliardi previsti all'inizio.
Ma gli esperti fanno notare che i potenziali fornitori rimasti dopo l'esclusione dell'Iran, come Azerbaijan e Turkmenistan, non sono in grado di offrire oltre 10 miliardi di metri cubi complessivamente.
La Russia intanto si dà da fare con un progetto alternativo. Entro il 2015 prevede di portare a termine la costruzione del suo gasdotto "South Stream", che porterà il gas naturale russo attraverso il Mar Nero verso i paesi europei. Con ciò, la concorrenza all'eventuale gasdotto Nabucco sarebbe assicurata.
Secondo le analisi degli esperti, il gasdotto South Stream e le ingenti risorse di gas naturale della Russia rendono ora estremamente improbabile la realizzazione del progetto Nabucco, privato di rifornimenti vitali, senza i quali anche il prezzo del gas che ne risulterebbe non sarebbe concorrenziale con quello russo.
E dunque, l'Europa avrebbe avuto grandi benefici dalla fornitura del gas iraniano combinato a quello di altri paesi. Ma i grandi leader illuminati che decidono le sorti dei paesi europei non si curano degli interessi dei cittadini.
L'Iran invece continuerà a vendere il suo gas naturale come prima, ai clienti che certo non mancano.
Nonostante il paese sia destinato a soffrire per l'embargo di altre risorse, di cui non abbiamo parlato e che comunque creeranno difficoltà alla popolazione che certo non lo merita, l'Iran è il vincitore di tutta questa incredibile follia.
Soprattutto l'Iran è il vincitore morale, perché rimane comunque in piedi, saldo come una roccia, perché non cede alle pressioni, perché non intende abdicare ai princìpi etici che difende dall'epoca della Rivoluzione del '79, perché può contare sul supporto dei cittadini, che fanno fronte comune contro le interferenze dall'esterno.
E se qualcuno dubita dello spirito di unità che caratterizza la società iraniana, è sufficiente che guardi le immagini trasmesse sui canali internazionali alternativi nelle ricorrenze significative come l'anniversario della Rivoluzione o le Giornate di Solidarietà alla Palestina - o le ricorrenze religiose, che nell'Islam hanno un significato molto profondo e sono celebrate con partecipazione intensa.
Cosa è davvero l'Iran, rispetto all'Occidente?
Il 26 febbraio, il film iraniano "Nader and Simin: a separation" ha vinto l'Oscar come migliore film in lingua straniera, tra l'altro in competizione con un film israeliano.
Ecco le parole pronunciate dal regista Asghar Farhadi quando saliva sul palco del famoso Kodak Theater di Los Angeles per ricevere la prestigiosa statuetta in diretta mondiale e di fronte alla platea più influente nel mondo del cinema.
«In questo momento, molti iraniani nel mondo intero ci stanno guardando e immagino che saranno molto felici. Sono felici non solo per l'importanza del premio, ma perché in un periodo in cui i politici pronunciano parole di guerra e intimidazione e aggressione, il nome del loro paese, Iran, viene pronunciato qui per parlare della sua gloriosa cultura, una cultura antica e ricca che è stata nascosta sotto la polvere pesante della politica. Offro con orgoglio questo premio al popolo del mio paese, un popolo che rispetta tutte le culture e tutte le civiltà e disprezza l'ostilità e il risentimento».
E siamo molto felici anche noi per l'Oscar all'Iran, e porgiamo le nostre più sentite felicitazioni.
Giorni dopo, Joshua Blakeney di Veterans Today, commentava in diretta le straordinarie immagini delle elezioni parlamentari, in cui i cittadini hanno riconfermato con il voto la fiducia alle forze governative:
«Ciò che offre l'Iran, è la minaccia rappresentata dal suo buon esempio, perché se i popoli del Medio Oriente dovessero emulare la Rivoluzione Iraniana, sarebbero dolori per i despoti nella regione e per le potenze coloniali. ... Comunque l'era degli imperi coloniali occidentali sta arrivando alla fine. Loro vogliono governi schiavi. Che poi siano "democraticamente" eletti ma ben sottomessi, o che siano governi imposti senza elezioni come nell'area del Golfo, poco importa. Ciò che temono, sono paesi come l'Iran, che a differenza delle dittature nella regione eleggono veri governi con vere elezioni.
Ampliava il concetto Ralph Schoenman, autore del libro "La storia segreta del sionismo":
«L'Iran si pone in antitesi alle potenze filo-sioniste che vogliono smantellare la sovranità delle nazioni prese di mira e frammentare ogni paese nelle sue componenti etniche e religiose, per imporre il proprio dominio con spargimenti di sangue, come abbiamo visto in Libia, e come vediamo ovunque nella regione.
«L'Iran è una nazione che non persegue mire predatorie né si piega a chi le vuole imporre. E quindi dalla prospettiva di Israele e dei neo-con sionisti di Washington, l'Iran rappresenta un bersaglio e la sovranità del popolo rappresenta un ostacolo alle loro ambizioni per la predazione delle risorse e il dominio egemonico».
Iran e Occidente: parla l'esperto
Per concludere questo post, diamo la parola ancora una volta a Nader Mokhtari, di origine iraniana, ma cresciuto a Londra dove ha conseguito i suoi studi. Conosce bene le società occidentali, specie quella americana, ma conosce altrettanto bene l'Iran, dove vive e lavora da anni.
Le sue parole di commento alla giornata elettorale iraniana, illustrano bene cosa sia l'Iran, cosa rappresenti nel mondo, in contrapposizione alle politiche distruttive occidentali.
«Non credo che i politici occidentali o i loro padroni sionisti davvero capiscano cosa sia l'Iran e cosa abbia conseguito nei 33 anni dalla Rivoluzione. Credo che rimarrebbero scioccati se di fatto lo scoprissero, se riuscissero a mettere da parte i pregiudizi - sarebbero scioccati di trovare una comunità di uomini che vivono in pace e con il cuore aperto.
«Molte minoranze convivono in Iran da migliaia di anni, fianco a fianco, con l'unico scopo di offrire ai figli un futuro in un mondo vivibile.
«Non vedo come questo possa rappresentare una minaccia ad una super-potenza militare come gli USA con un arsenale nucleare di 8.500 testate nucleari, o alla Francia e all'Inghilterra o anche al regime sionista nella regione.
«E quelli che si prestano ad appoggiare le potenze occidentali nelle mire aggressive contro l'Iran, non fanno altro che mettere la popolazione iraniana a rischio.
«La propaganda avversa delle potenze occidentali è mirata a demonizzare e disumanizzare l'Iran, per fare all'Iran quello che hanno fatto all'Iraq, quello che hanno fatto all'Afghanistan, al Viet-Nam, alla Corea, ... la lista è lunga.
«Ciò che è avvenuto dopo la 2a Guerra Mondiale è un genocidio dopo l'altro delle popolazioni del pianeta per razziare le risorse.
«I banchieri sionisti e i loro complici la chiamano «gestione delle risorse». Ci sono perfino corsi universitari nelle società occidentali per imparare la nobile arte del razziare le risorse.
«Personalmente, sono cresciuto e ho conseguito gli studi in Occidente, e ho visto che il razzismo è istituzionalizzato nel sistema educativo e scolastico. Fin dalla tenera età ricevono la nozione che in questa regione siamo un popolo inferiore, che siamo stati sconfitti e che i loro leader storici sono dei supermen. E questo atteggiamento è talmente radicato, che ne sono inconsapevoli.
«Crescendo, vengono sottoposti ad una campagna mediatica accuratamente coreografata, che li strumentalizzerà durante la vita intera. E un poco alla volta, si radicalizza a loro insaputa l'idea che esistano popoli con vedute "estremiste", radicali, votate al terrorismo. Che esistano popoli inferiori che si possono sfruttare in massa se hanno risorse di cui l'Occidente ha bisogno per il "progresso".
«Non si rendono conto, che vengono manipolati per gli interessi di una élite che ha bisogno delle guerre per soddisfare la propria avidità.
«Ma forse ora cominciano ad aprire gli occhi, ora che sta succedendo a loro quello che è stato fatto ad altri popoli, ora che i banchieri, i politici, e le istituzioni che razziavano paesi lontani, si avventano proprio sui cittadini occidentali, li privano delle loro case, delle risorse, del lavoro, dei diritti.
«E forse ora iniziano a rendersi conto di essere stati raggirati. Ora alcuni si rivoltano contro i propri sistemi. Ora che subiscono la violenza della depauperazione, iniziano a mettere in discussione le motivazioni di chi ha ordinato la guerra e la depauperazione di altri, in paesi lontani, facendo credere che fossero interventi necessari, per scopi umanitari, o per tenere al sicuro i cittadini occidentali.
«Ora forse si rendono conto dell'inganno, che le loro risorse sono state impiegate per guerre che hanno portato profitti agli avidi e privazioni alle società occidentali. Ora vedono che non c'è un futuro nelle loro società.
«Ora nell'economia dominante del mondo, in America, c'è un intero strato sociale che vive nelle strade, accampato come può, a cui si aggiungono ogni giorno altre migliaia. Mentre i super-ricchi, i profittatori delle guerre e delle razzie nei paesi ricchi di risorse, ogni giorno aumentano il proprio capitale nelle banche off-shore.
«Non è questa la società che gli occidentali troveranno in Iran, se verranno a farci visita.
«E non è questa la società che vogliamo vedere in Occidente.
«Ne abbiamo abbastanza della visione del mondo che propone Hollywood, che propongono i media, con i pregiudizi, l'odio, la demonizzazione, la paura del diverso, la nozione che ci sono nemici che vogliono sovvertire le culture occidentali. Tutto questo deve sparire.
«Solo allora i popoli occidentali si renderanno conto che esiste una realtà molto diversa, che non c'è nessuno che vuole attaccarli, che non c'è l'uomo nero, o l'uomo giallo, che arriva nascondendo un coltello dietro la schiena. Questi sono gli incubi con cui i media e il cinema controllati dall'1% accendono le fantasie dei 99%, per nutrire l'immaginario con paure ignote, per schiavizzare le menti e asservirle ai fini del potere.
«E' così che si porta i cittadini a rinunciare volontariamente ai propri diritti.
«E' questo che non vogliamo più vedere in Occidente.
«Se non ci fosse tanta falsa propaganda, tutti andremmo d’accordo, popoli vicini e lontani.
«Ma se i popoli andassero d’accordo tra loro, proprio quel 1% perderebbe le ricchezze, e soprattutto il potere, quello di condizionare il resto del mondo ad agire nell'interesse di pochi».