martedì 27 settembre 2016

Letture: 44. Federico Pizzarotti: «Una rivoluzione normale» (Mondadori, settembre 2016).

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Ho appena finito di leggere il libro sulla “strage di Bologna”. Passando a una nuova lettura, avendo ancora fresca la precedente, dove compare spesso la parola “beffa”, una prassi goliardica, mi viene in mente l’incidente automobilistico di Beppe Grillo: lui salta fuori dalla macchina che guidava e i suoi amici cadono nel precipizio, perdendovi la vita. L’avvio del libro di Pizzarotti non è fondato su “ipotesi” o su “beffe”, ma sul «realismo» che non può essere limitato al «dualismo» di «buoni e cattivi, giusto e sbagliato, onesti e disonesti» (p. 5). Già nell’incipit è contenuto una critica alla presunzione di superiorità morale che costituisce l’asse portante della propaganda grillina e talebana, mentre sta franando tutto l’edificio casaleggiano entro il quale si è voluto contenere e frenare uno spontaneo movimento di protesta, per non dire rivoluzionario, che nasce dalla implosione del vecchio sistema partitico.

Intanto una osservazione che a un lettore esperto salta agli occhi fin dalle prime righe. Siamo lontani anni luce da un altro libri uscito pochi mesi mesi prima: quello di Davide Barillari, di cui ci occupiamo qui, due numeri più avanti (n. 42), in queste schede di lettura, banali annotazioni in margine alle pagine. Quello di Barillari appare subito come fuffa che ha bisogno di un endorsement di Beppe Grillo, il cui nome risalta nella copertina e fa pensare a una sorta di co-autore. Si tratta invece di un brano di circostanza ed è probabile che Beppe il libro di Davide non lo abbia neppure letto, ma al massimo solo sfogliato... Ci ha premesso una pagina piuttosto generica ed essa stessa alquanto discutibile nella sua genericità, contraddetta peraltro dagli sviluppi sul campo. Berlusconi aveva parlato di Beppe come un novello Hitler, se ben ricordo ma non sapendo ritrovare la fonte (mi aiuti chi può)... Era parsa una esagerazione, come sono esagerazioni polemiche tutte le rappresentazioni di questo genere, ma se non ci si lascia ingannare dalla comicità del personaggio e si guarda con attenzione alla struttura organizzativa, messa a nudo dalle cause giudiziarie promosse su impulso di un attivista agguerrito, Roberto Motta, al quale mi sono subito associato, seguito da tanti altri altri in cause che si avvicendano una al seguito dell’altra, allora si vede che esiste un serio problema di democraticità all’interno del M5s. Gli attivisti non a rischio di espulsione sono i cosiddetti talebani, masse di fanatici che rischiano di trasformarsi in squadristi. Urge quanto mai la legge attuativa dell’art. 49 della costituzione. Se la memoria non mi inganna, uno degli avvocati messi in campo da Beppe Grillo, ha sostenuto che l’art. 49 della costituzione non ha bisogno di una legge applicativa. Mi sembra una posizione degna della peggiore partitocrazia, del comunismo staliniano, quello di “Buio a mezzanotte”.

Dicevamo sopra di un “dualismo” che porta alla presunzione di superiorità morale. Pizzarotti va subito nel cuore della questione: «è un grave errore» (p. 5). A differenza di altri libri, che non cito in confronto negativo (il bucato A è più bianco del bucato B), piace la capacità di entrare subito in medias res. È diretta ed esplicita la condanna di una politica e propaganda politica che si alimenta e campa tutta sulla demonizzazione dell’avversario:
Anziché fossilizzarci sulle categorie, penso che si debba innalzare il livello della politica proponendo soluzioni ai problemi e occupandoci meno dei “disastri” dell’avversario. In questo modo saremo in grado di fornire un contributo positivo all’Italia e agli italiani. Invece, molto spesso, la politica è fango e dita puntate.
Il brano si presta a un commento, anche criptico. Intanto, quello che ho sempre detto, dal primo giorno che ho aderito al M5s, non dalla vittoria di Pizzarotti nel maggio del 2012, quando fu eletto sindaco al ballottaggio. Ma pochi mesi più tardi, al risultato regionale siciliano dell’ottobre 2012. Io sono dell’estremo sud e il nord parmense era per me lontano, un altro mondo. Ma in una situazione come quella siciliana il voto al M5s significava che ormai la gente non aveva più la minima speranza neppure nel voto di scambio, non inteso necessariamente come fatto delittuoso, ma come la semplice speranza che se veniva eletta una persona amica e vicina le si poteva magari chiedere qualche favore. L’unica previsione che insieme ad un amico abbiamo fatto ed azzeccato fu che da lì a poco mesi il M5s sarebbe stato anche il primo partito alle politiche del febbraio 2013. E così fu.

Ma qui cominciano i guai. Il M5s non nasce per forza propria, ma è la conseguenza della dissoluzione e implosione del sistema politico-partitico italiano che non può più neppure attingere al depredamento delle risorse pubbliche: vi è poco o nulla da spremere, o non è più facile farlo come prima. E soprattutto si stenta a riconoscere ai politici la legittimità della loro funzione. A fronte di questo però, fino ad oggi, il M5s non ha dimostrato nessuna nuova cultura politica. Paradossalmente, contraddice i suoi stessi pochi principi. Un esempio? Il principio “uno vale uno” che voleva essere una sorta di democrazia diretta, una forma di orizzontalità dell’impegno politico, in opposizione al verticismo e al leaderismo. Intanto, i parlamentari - già miracolati in parlamento con procedura “talebana” - si sono trasformati in veri e propri commissario di partito. In pratica, i parlamentari sono l'organico direttivo del nuovo partito, quello che non esiste, il non-partito. Ed è esattamente il contrario della dottrina del liberalismo classico dello stato di diritto, dove i partiti servono per controllare gli eletti. Qui invece gli eletti controllano il partito formato dagli attivisti talebani: quelli che non si adeguano vengono espulsi, o “sospesi” che è stato il caso illustre di Pizzarotti, il caso che non può essere ignorato dai media, come stanno facendo con tutti gli altri “espulsi”.

Ho terminato di leggere il libro che è di 151 pagine e non avendo seguito il metodo dell’annotazione do quelle pagine dove avrei avuto qualcosa da osservare, dovrò rileggerlo una seconda volta, avendone ormai una visione d’insieme che è utile e risparmia possibili travisamenti. Posso conservare le osservazioni già fatte in apertura. Ai fini della mia analisi il libro è disturbato dai brani letterari, autobiografici, cose che toccano l'umanità e la privacy del personaggio pubblico Federico Pizzarotti che è qui oggetto del mio interesse. Non pochi i riferimenti a romanzi e opere cinematografiche, come a uomini politici presi come modello, ad es. John Kennedy. Nessun riferimento a opere di saggistica, storia, diritto, filosofia... Non sono però io in genere un lettore di romanzi né attribuisco soverchia importanza alla cinematografia. Quindi, espungo tutta questa parte dalla mia analisi, riducendo a pochi brani quelli di mio interesse.

In particolare, prima di dimenticarlo e re-iniziare la lettura del fortunatamente breve libro, vado ad un brano finale che ha attratto la mia attenzione: la data del 12 maggio 2016. Cosa successe allora? Divenne di dominio pubblico la notizia dell’avviso di garanzia a seguito di un esposto presentato e con udienza presso la procura fissata per il 27 maggio. Nella stessa mattinata del 12 maggio il mitico Staff anonimo di Beppe Grillo spediva una email, la cui struttura e connotati ben conosciamo pure noi Attivisti romani, per averne ricevuta in febbraio una a testa, di cui la mia è la più singolare. È utile riportare da pagine 142 il testo della email del mitico e anonimo «Staff di Beppe Grillo»:
Gentile Federico Pizzarotti,
abbiamo appreso la notizia da fonti di stampa che saresti indagato per il reato di concorso in abuso d’ufficio connesso ad alcune nomine fatte al Teatro Regio. Come per tutti gli altri casi che ci hanno interessato, siamo qui a chiederti la cortese trasmissione di copia dell’avviso di garanzia ricevuto e di tutti i documenti connessi alla vicenda che ti contesta la procura di Parma. Ti preghiamo di farcelo pervenire entro domani mattina, in modo da poter chiudere al più presto l’istruttoria avviata in ossequio ai codici di comportamento del Movimento 5 Stelle. Certi di una tua leale collaborazione, ne approfittiamo per mandarti i nostri saluti.
Non posso trattenermi dal comparare, sommariamente, questa email inviata il 12 maggio a Pizzarotti con quella a me inviata in febbraio. Ma prima qualche osservazione. Incredibile come questi Signori dello Staff dopo aver sempre detto peste e corna della stampa di regime ne dipendano interamente e senza nessun discernimento critico come fonte delle loro decisioni. Perlomeno, nel caso di Pizzarotti, comunicano il titolo del reato per il quale sarebbe indagato, ma non che gli sia stato contestato, giacché credo in questo caso vi sarebbe stata da parte della procura la richiesta di rinvio a giudizio, invece sappiamo da pochi giorni che vi è stata richiesta di archiviazione. Non voglio adesso scendere in dettagli, ma a me non mi fu neppure detto di quale capo di imputazione avrei dovuto difendermi presentando mie controdeduzioni entro dieci giorni. Immaginate che si abbia a ricevere un avviso di garanzia dove non è neppure scritto il reato per il quale si è indagati: quello che successe nel mio caso con analoga email spedita dal Mitico e Anonimo «Staff di Beppe Grillo», massima struttura dirigenziale del Movimento Cinque Stelle. Non sono però del tutto privo di immaginazione e venne io in soccorso dello Staff, scrivendo loro: guardate che se è per quella vecchia storia di sette anni fa, io sono stato assoluto con formula piena per inesistenza del fatto e del diritto. Vi allego ad ogni buon conto la mia Memoria difensiva (di pagine 17, disponibile in rete) presentata nel gennaio 2010 davanti al Collegio di Disciplina del Consiglio Universitario Nazionale e relativa delibera di assoluzione emanata qualche mese dopo.  E lo feci a meno di un’ora dal ricevimento della email di sospensione ed esclusione dalle Comunarie. Incredibile a dirsi ma vero, trascorsi i dieci giorni mi risposero che non avevano ricevuto nulla, e me perciò mi espellevano dal M5s, ma che potevo fare ricorso al Comitato di Appello, cosa che feci ma intimando a detto Comitato il termine di cinque giorni prima di adire io all’Autorità giudiziaria. Cosa che feci puntualmente, giungendo a me in data 12 aprile 2016, stesso giorno della morte di Gianroberto Casaleggio, il testo della Ordinanza cautelare di pagine 57 con la quale la Terza Sezione del Tribunale Civile di Roma stabiliva l'illegittimità della mia espulsione e ordinava il reintegro.

Anche Federico Pizzarotti rispose alla sconcertante email dello Staff di Beppe Grillo. E pubblica a pag. 142-43  il testo della sua lettera che riportiamo di seguito:
Gentilissimo anonimo Staff,
forse vi siete dimenticati che sono un sindaco eletto e un pubblico ufficiale, e a una mail anonima non fornisco nessun documento. Soprattutto per una indagine in corso che coinvolge me, altri membri del Cda, e una fondazione. Innanzitutto citatemi quali sarebbero i regolamenti cui fate riferimento, in cui vengono espressi tempi, modi e situazioni. Voi da mesi non rispondete alle diverse e-mail su cui chiediamo chiarimenti in merito alla situazione del nostro consiglio comunale, forse dovreste preoccuparvi anche di quello. Per altri approfondimenti fatemi chiamare dal responsabile dei Comuni Luigi Di Maio.
Distinti saluti
sindaco Federico Pizzarotti
Ed il giorno dopo arriva a Pizzarotti la famosa sospensione di cui tutti sappiamo e di cui tutti hanno parlato e continuano a parlare. E pure noi, quei tre temerari - Dr. Roberto Motta, avv. Paolo Palleschi, Prof. Antonio Caracciolo, rappresentati dall’Avv. Lorenzo Borrè, e coadiuvato da uno Staff amico di dieci legali, i cui nome sono stati resi pubblici e che vengono di tanto in tanto informati e consultati -, i tre Signor Nessuno che hanno osato muovere causa al Divino Beppe, che in barba all’«uno vale  uno», lui vale e conta per tutti, e tutti gli altro sono quelli che il Marchese del Grillo diceva contare un... nulla! È di oggi una manifestazione di panico del comico genovese, che si sente mancare la terra sotto i piedi e fa del vittimismo, lui che non ha mai ascoltato nessuno delle centinaia, forse migliaia di attivisti anonimi che venivano espulsi con un calcio sul dietro, senza un grazie, e soprattutto senza uno straccio di perché: non erano deputati e senatori! Erano e sono semplici militanti attivisti che spesso non hanno neppure i soldi per rivolgersi a un avvocato.

Ma veniamo al punto, prima di procedere a una seconda lettura sequenziale del libro. Occhio alle date: è del 12 maggio la mail di contestazione ed sospensione dal M5s del sindaco Federico Pizzarotti. È del 12 aprile la notizia mediatica della Ordinanza del Tribunale Civile che reintegrava nei loro diritti di iscritti al M5s i tre ricorrenti romani, espulsi dalle Comunarie, che si sono svolte egualmente malgrado il vulnus alla loro legittimità inferto dalla Ordinanza del Tribunale. Un loro comunicato ricordo che recitava “Il M5s romano va avanti...” e adesso ballano, insieme alla bella Virginia.

Cercando di prevedere le mosse di Federico, con il quale non si riusciva a stabilire un contatto pubblico e diretto, ci si chiedeva: “ma perché non si rivolge a un giudice per invalidare la sospensione? Il Tribunale di Roma (e a venire quello di Napoli) gli hanno aperto la strada? A lui e a chiunque si senta leso nei suoi diritti politici ex art. 49 della costituzione? I commenti meno benevoli - non se ne abbia Federico se legge - è che non fosse un ragazzo molto sveglio, anche se un bravo ragazzo. Ora però, dopo la sua conferenza stampa del lunedì 3 ottobre (il nostro testo è in progress), una sua dichiarazione che citiamo a memoria ci fa comprendere un suo diverso modo di pensare: lui non crede ai ricorsi presso un giudice. Io gli ho lasciato un commento che è difficile ritrovare fra le parecchie migliaia in cui si trova. Ed è questo, all'incirca, nel senso: tu hai indubbiamente una tua visibilità come sindaco di Parma, il primo sindaco 5s, ma l’oscuro attivista quale speranza può avere se non si rivolge a un giudice? Per tutta la vita gli resterà l’onta della cacciata senza motivo (altro che le "poche regole” violate!) e pure  accompagnate da male parole (gli “sporchi dentro” che hanno fatto fioccare a Beppe tre distinte querele penali, per le quali dovrebbe aver ricevuto o dovrebbe ricevere relativo “avviso di garanzia” che a sua volta Beppe dovrebbe rendere pubblico).

Ci sembra qui di notare una incoerenza di Federico Pizzarotti, o meglio qualcosa di cui lui non si accorge e che invece a noi sembra chiara. Giustamente, Pizzarotti antepone il suo ruolo istituzionale di Sindaco di Parma a tutte le indebite pressioni che riceve dallo Staff anonimo. Tutto il libro è una sorta di autocelebrazione del suo status di sindaco di tutti i cittadini parmensi. Gli sfugge forse il fatto che l'iscrizione a un partito politico e il connesso ruolo di cittadini forniti di diritti politici è una status giuridicamente non inferiore a quello di Sindaco, che è tale in quanto eletto da cittadini che godono dei diritti politici. L’adesione e militanza in un qualsiasi partito è un loro diritto, non un regalo che ricevono da Beppe Grillo...

Quindi, a mio avviso, Federico Pizzarotti avrebbe dovuto vedere non la sua singola e illegittima sospensione, ma quella di ogni altro attivista che non si chiami Federico Pizzarotti ed abbia la sua visibilità. Se avesse impugnato la sua sospensione davanti a un giudice Federico Pizzarotti non avrebbe agito uti singulus ma uti universus, e così avrebbe tutelato ogni iscritto al M5s, senza lasciare libero il campo ai Talebani che proprio nella sua pagina continuano a insultarlo in modo tale da far vergognare tutti gli altri iscritti e i milioni di cittadini che con speranza hanno votato il M5s, stanche della vecchia partitocrazia. Pizzarotti rivolgendosi a un giudice avrebbe fatto traballare le sedie dell'anonimo Staff, che con il loro anonimato pretendono di tenere in scacco tutta la democrazia italiana: altro che massoneria!

Non mi piace procedere per congetture, ma il motivo del silenzio di Pizzarotti davanti alle cause degli attivisti romani e napoletani potrebbe essere - secondo taluni - motivato da “furbizia”: aveva in mente di andarsene dal M5s, di cercare nuove alleanze, e di prepararsi una lista per il secondo mandato in Parma... Cose peraltro legittime. Ma avrebbe sempre potuto farle, associandole a una lotta interna per la democrazia, un bene che è di tutti i cittadini. Alle competizioni elettorale partecipano tutte le liste ammesse, ma di ognuna di esse i cittadini devono che hanno tutte eguale legittimità democratica... Pensando che non l'abbia, la legge ha vietato la ricostituzione del disciolto partito fascista.... ma qui ci avventuriamo in un campo minato dove saltano in aria i fondamentali diritti di libertà in materia di pensiero e sua espressione. È un’altra storia che abbiamo raccontato altrove.

Procediamo adesso, con calma, a una seconda lettura sequenziale di tutto il libro di Pizzarotti, incominciando dal titolo:  «una rivoluzione normale». Cosa è una “rivoluzione” e per giunta “normale”?                                                        



(segue)

sabato 24 settembre 2016

Paolo Becchi: «Il Movimento 5 Stelle: uno o trino?»

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Il tema toccato da questo articolo è quanto mai cruciale. Riguarda le ordinanze del Tribunale di Roma da noi pubblicate su questo blog in data 12 aprile 2016 e quella successiva ma collegata del Tribunale di Napoli del 14 luglio 2016. Vi è stata in Napoli nello stesso mese di luglio una conferenza stampa, ma dopo sui delicatissimi problemi che ne discendono sembra calato una sorta di silenzio stampa. Eppure il terremoto in corso dentro il M5s hanno come loro epicentro proprio quelle due Ordinanze che presto si trasformeranno in sentenze di merito, non restando altro da trattare che le spese processuali. È difficile ipotizzare che uno stesso giudice smentisca se stesso a pochi mesi di distanza. Poiché nel frattempo Beppe Grillo, anziché leggere le Ordinanze emesse, ha continuato a parlare prima ancora di pensare - come dice lui stesso in una intervista con Paquale Elia - si è ritrovato tre distinte querele per diffamazione, delle quali dovrà pur tenere qualche conto. Al tempo stesso sorgono una miriade di associazioni che si ispirano ai principi del M5s, ma non intendono dipendere da uno Staff anonimo e irresponsabile. Un quadro piuttosto confuso, senza che da quei giornalisti che vanno a caccia di gossip ci si possa aspettare elementi utili di informazione e di chiarimento. Come ebbe a dire in un Forum londinese, il giornalista John Pilger, l’informazione altro non è che una “emanazione del potere”, e se - come sembra - il M5s è destinato al potere, i media già cominciano ad allinearsi.

 AC
Il MoVimento 5 Stelle: uno o trino?
Paolo Becchi

Mentre la stampa è occupata  dal gossip  a 5  stelle  su  telefonate in punto di morte  tra  l’Ayatollah e il guru e  dalla kermesse che oggi si apre a  Palermo per la quale è annunciata  l’esibizione  di  Raggi-o di luce  che  canterà  Io voglio  per me le tue carezze…  a cui seguirà Maio-nese  con Perdono, perdono, perdono, e allo spettacolo non potrà  ovviamente mancare il premio Nobel per la  cultura  ridotta  a farsa e parodia,   mi concentrerò oggi  su una difficile questione di  teologia politica: il  MoVimento è uno o trino? 

Le coordinate per orientarsi nella soluzione  del quesito  teologico non si trovano tuttavia nei testi sacri ma in due  Ordinanze cautelari di due distinti Tribunali italiani. La prima ordinanza, emessa dal Tribunale di Roma nell’aprile 2016, ha appurato  che esistono due omonime, ma distinte associazioni denominate appunto “MoVimento 5 Stelle”: quella fondata nell’ottobre del 2009 da Grillo e Casaleggio e che annovera oltre centomila  iscritti, e un’altra, fondata nel dicembre del 2012. La seconda è l’ordinanza del Tribunale di Napoli, pronunciata nel luglio 2016, la quale ha rilevato - di conserva - che l’associazione Movimento 5 Stelle fondata nell’ottobre del 2009 è da considerarsi un partito a tutti gli effetti e che essa deve pertanto rispettare non solo le regole codicistiche che disciplinano le associazioni, ma anche il principio del diritto di esistenza, al suo interno, di correnti di  minoranza, come qualsiasi altro partito. 

L’ordinanza dei giudici partenopei ha inoltre rilevato la nullità del regolamento espulsioni pubblicato sul blog nel dicembre del 2014, costringendo i vertici dell’associazione a indire in fretta e furia, il 20 luglio del 2016, una votazione per la  per “la conferma delle modifiche di aggiornamento al Non Statuto e al Regolamento del MoVimento 5 Stelle”, votazione poi rinviata sine die con un post scriptum, dopo che l’avvocato Lorenzo Borrè, difensore degli espulsi nei due procedimenti conclusisi con le suddette ordinanze, aveva fatto correttamente rilevare che le modifiche dello Statuto non potevano essere approvate con una votazione on line. E ad oggi le votazioni che dovevano concludersi in occasione della ormai imminente  kermesse di Palermo non sono state ancora avviate...

In tutto questo bailamme non è dato capire quale sia allora la funzione dell’associazione “Movimento 5 Stelle” costituita da Beppe Grillo, Enrico Grillo e Enrico Maria Nadasi (commercialista di Grillo)  nel dicembre 2012 e avente codice fiscale 95162920102 (mentre, lo diciamo en passant, l’associazione fondata nel 2009 non risulta neppure avere codice fiscale....) e quale sia la ragione della modifica del suo Statuto avvenuta nel dicembre del 2015, modifica mai divulgata dalla stampa, e per questo lo facciamo qui riportandone alcuni estratti,  con cui - tra l’altro - è stato abiurato il principio dell’«uno vale uno», atteso che mentre l’articolo 12 dello Statuto originario (quello del dicembre del 2012) prevedeva che alle assemblee dell’associazione partecipassero tutti i soci (divisi nelle categorie di soci fondatori, soci ordinari e soci sostenitori, questi ultimi individuati negli “aderenti al movimento 5 stelle che abbiano votato in rete i candidati del M5S”), il nuovo  Statuto del 2015 consente la partecipazione alle assemblee ai soli soci fondatori (i due Grillo e Nadasi) e ai soci ordinari, e parrebbe esista un solo socio ordinario,  vale a dire Gianroberto Casaleggio, il cui nome  sino ad allora  non era presente  in documenti ufficiali. Fatto sta che alla data del 29.4.2016, come risulta dal verbale di assemblea totalitaria che si trova pubblicato sul portale all’indirizzo http://www.movimento5stelle.it/rendiconti/Associazione_Movimento_5_Stelle_rendiconto_2015.pdf ,  non rientrano tra gli  aventi diritto di voto alle assemblee né i parlamentari eletti (tantomeno sindaci e consiglieri regionali e comunali nelle liste M5S) e nemmeno i membri del direttorio, circostanza di una certa rilevanza se sol si considera che, come specificato, all’art. 3 dello Statuto modificato nel dicembre 2015 unica titolare del contrassegno del Movimento 5 stelle è l’associazione costituita nel 2012 (mentre l’associazione fondata nel 2009, quella cui sono iscritti oltre centomila persone, non rileva). Insomma, al momento attuale il simbolo  è ancora di fatto nelle mani di Grillo, o meglio di quella seconda associazione formata dai due Grillo più Nadasi. Deciderà di passare la titolarità del simbolo ai parlamentari, ad alcuni di essi, magari allargando l’associazione o lascerà le cose come stanno, in attesa di tempi migliori? Ci sarà una fusione tra questa associazione e  la nuova associazione Rousseau fondata da Casaleggio padre col figlio, poco prima di morire, e senza Grillo? O, molto più probabilmente,  le due associazioni interagiranno, sanando  la spaccatura tra Grillo e Casaleggio padre? 

Due Associazioni  che portano  lo stesso nome e in più ora  anche la nuova Associazione  Rousseau; questi sono al momento i fatti.  Se Grillo vuole rilanciare il Movimento e mettere un po’ di ordine  nel pollaio, prima che a capitan Pizza venga la tentazione di portargli via le uova, domenica a Palermo    dovrà lanciare  una nuova struttura organizzativa  del M5s, quella direttoriale è  legata ad una fase del Movimento superata  con la morte di Gianroberto  Casaleggio.  

Ma c’è qualcosa d’altro ancora.  E' presto detto: si tratta del Comitato promotore Italia 5 Stelle, comitato con un proprio codice fiscale e di cui risulta legale rappresentante Roberta Lombardi, beneficiario delle donazioni sollecitate dal portale del Movimento 5 stelle per il nuovo evento di Palermo e che è stato già destinatario delle sottoscrizioni per l’organizzazione di Italia 5 Stelle 2015 a Imola, atteso che l’iban per le donazioni a Italia 5 Stelle 2015 è lo stesso di quello per le donazioni a Italia 5 Stelle 2016. Perché questo Comitato distinto? Ah saperlo! Ma da un MoVimento che fa della trasparenza il proprio mantra ci si aspetterebbe la pubblicazione dello Statuto di detto Comitato che maneggia quattrini,  così da comprenderne le finalità e conoscerne i componenti... intanto accontentatevi, a proposito di trasparenza ecco alcune pagine dello Statuto vigente, con tanto di firme autentiche, di cui nessun giornale ha sinora parlato.

Letture: 43. Valerio Cutonilli, Rosario Priore: «I segreti di Bologna. La verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana» (Chiare Lettere, agosto 2016)

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I segreti “ipotizzati”?
Repetita iuvant: questa non è una “recensione” nel senso che richiede l’avvenuta lettura del libro per intero e il confronto critico con altri testi e documenti. In questo senso si tratta di un lavoro accademico che ha senso farlo se conviene farlo, se il gioco vale la candela. È invece una scheda in corso di lettura del libro, lettura che potrà non giungere all’ultima pagina se viene a mancare l’interesse o per qualsiasi altro motivo. Dei filosofi antichi, i Presocratici, possediamo solo frammenti, non l'opera intera, ma ognuno di quei singoli frammenti può valere per la nostra formazione culturale più di intere biblioteche costituitesi con l’invenzione della stampa. Ma non voglio ora indugiare oltre sulla forma “libro” o “frammento” o “aforisma” come momenti di acquisizione e trasmissione della conoscenza. Il tema mi affascina molto, ma non è ora questo il discorso sul quale voglio intrattenere i miei Sei lettori.

Ancora prima di averlo aperto, ed iniziarne la lettura integrale, che spero di aver completata per il 29 settembre prossimo, data di una presentazione pubblica del libro in una sala romana, il libro suscita in me alcune reazioni mentali. Uno del tutto personale, attinente la mia incolumità e uno scampato pericolo. La strage alla stazione ferroviaria di Bologna avvenne il 2 agosto 1982. In quell’anno io lavoravo, a tempo pieno, come impiegato, in Roma, alla casa editrice Giuffrè, nella redazione dell’Enciclopedia del Diritto, a fianco della Cassazione, al palazzo di Giustizia. Le nostre ferie erano legate a quelle giudiziarie, dal 1° agosto al 15 settembre, e durante il mese di agosto la Redazione era chiuso e le ferie erano d’obbligo per tutti in quel periodo. Io andavo sempre in Germania a fare vacanze e tentare di migliorare così il mio tedesco. Insomma, con il treno ero passato da qualche giorno per la stazione di Bologna ed ebbi dopo la notizia di ciò che era successo. Avrei potuto trovarmi anche io, come vittima, in una situazione di pericolo... Di cosa successe, di come e perché, non ho mai saputo nulla. Adesso, dopo 36 anni, acquisto in libreria un libro che mi annuncia «la verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana». Apprendo che si tratta del “più grave” atto nella lunga sequenza di attentati terroristici in una stagione che per me ha un’altra data ancora più significativa: l’uccisione nel maggio del 1978 di Aldo Moro, del quale ero stato studente ed ero ancora troppo giovane per capirne la statura e l’importanza storica. Quel che è certo è che la sua morte, la sua uccisione, non ha mai cessato di turbarmi, per tutta la problematica connessa al tema della nonviolenza, o meglio dell’uso della violenza nella lotta politica ai vari livelli possibili: da quella legittimante della rivoluzione francese da cui è poi nato lo stato moderno di diritto e tutte le costituzione europee a quella dei movimenti di resistenza e di legittima opposizione alla invasione e occupazione, come quella palestinese, di cui leggo trattasi nel libro.

Rosario Priore (n. 1939)
«La verità non ha tempo: non è mai troppo tardi per raccontarla». Questo l’esordio del libro per la penna di Rosario Priore. È un esordio che non mi piace ed urta la mia sensibilità di persona impegnata nella lotta per la libertà di pensiero, di espressione, di ricerca, di insegnamento. Una verità che giunge dopo che la vittima di una non-verità è marcita e morta in carcere giunge “troppo tardi” non solo per la vittima, ma anche per tutti quelli che avevano creduto nella sua innocenza... La verità non è avulsa dal tempo... La Verità impone, esige di essere testimoniata e gridata appena se ne ha conoscenza e certezza... Tutto il cristianesimo non avrebbe avuto senso se la sua “Verità” avesse potuto essere rinviata a tempi politicamente più propizi... Stento poi a credere che la non-verità ovvero la Menzogna possa essere racchiusa in un solo «atto», sia pure esso il «più grave della storia italiano». Thomas Hobbes nella sua introduzione al Leviatano parla di “regno delle tenebre”, ma si tratta di un intero processo storico, di un’epoca, mai di un singolo “atto”... Non vogliamo però fare un torto al libro e ai suoi autori, e cerchiamo di andare avanti nella lettura, prima di anticipare giudizi.

Valerio Cutonilli
È certamente scomodo alzarsi dal divano, dove comodamente si svolge la lettura del libro, per venire alla tastiera a redigere qualche osservazione in corso di lettura. Cerchiamo di farlo il meno possibile, ma non posso non rilevare la conclusione delle prefazione di Priore (pp. 5-10), che termina con questa frase: «Ora sarà il lettore a giudicare se le nostre ipotesi siano fondate o no». Caspita! Non più dunque «la verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana» promesso o annunciato in copertina nel sottotitolo, ma solo “ipotesi” che tocca al Lettore - a me! - “giudicare” se “siano fondate o no”.  Una bella responsabilità! E che faccio io nella vita? Il magistrato?... Già mi stanno sulla stomaco alcune sentenze, che ho dovuto subire, e che sospetto come influenzate da un “clima politica” su materie sensibili, dove mi turba il pensiero dell’opera diretta o indiretta di sayanim, o almeno di un “clima” la cui esistenza sfata il mito di un giudice vicario sulla terra del Giudice divino che sta in cielo. Adesso, leggendo un libro, tocca a me valutare la fondatezza di “ipotesi” giudiziarie... Chi non è giudice, deve valutare il lavoro dei giudici. Io non so, e poco mi interessa, se esista e sia fondata una “pista palestinese”, ma se Rosario Priore vuol sapere da me cosa ne penso della “questione palestinese” o meglio della “questione sionista” - intrecciate l’una con l’altra come le due facce di uina stessa medaglia -, allora non è il 2 agosto 1980 la data da tenere in mente e da cui partire, ma un’altra (trascura il giorno e la data) dell’anno 1882, quando i primi Biluim (coloni ebrei sionisti) sbarcavano in Palestina, avendo già perfettamente in mente quella “pulizia etnica” che giungerà a compimento nel maggio del 1948, e che avrà un opposto significato per ebrei israeliani e palestinesi: per gli uni sarà un giorno di festa, la fondazione dello stato ebraico di Israele, e per gli altri la «Nakba», la catastrofe, la disfatta nazionale, l’ingiustizia somma subita. Se poi si tratta di valutare le responsabilità politiche ed etiche dell’Italia in tutto il corso di questa storia (1882-2016), allora la cosa travalica qualsiasi competenza di giudice. Altro che lodo Moro! Un “lodo” che peraltro rivelava pragmatismo e buon senso. In fatto di violazione di “patti” sottoscritti, di tradimenti, ahimé è una costante della nostra storia. Come italiano, che vive nel 2016, brucio di vergogna alla rappresentazione pur sommaria, non certo giudiziaria, di come un patto di amicizia italo-libico, fresco di inchiostro, sia stato platealmente e sfacciamente violato con tutti i crismi di stato nel 2011 con l’aggressione alla Libia, fatta dai nostri Alleati, per nostra vergogna e disonore, e con i nostri politici tutti che hanno presto presto dimenticato e vanno a baciare il didietro a personaggi il cui senso dell’onore - se mai ancora esistesse quella cosa che si chiama onore - imporrebbe di muovere loro guerra. Non so se sia fondato o meno la “pista palestinese”, e poco mi importa, e poco influisce nel mio giudizio storico complessivo, ma così messa mi sembra un regalo alla propaganda sionista. E poiché si procede, a detto di Rosario Priore, per “ipotesi”, non vedo perché dovrei escludere questa ipotesi. E se si fa una facile ricerca nella letteratura di propaganda sionista, si vede come ci si frega le mani all’idea di poter strumentalizzare la “pista palestinese” per legittimare una “pulizia etnica” che accompagna la nascita della Repubblica italiana... Mah! Andiamo avanti nella lettura, che non capiamo quale verità debba finalmente svelarci, sia pure per ipotesi.

La tesi ipotesi del libro
Post Scriptum. Attenzione! Non sto giustificando in nessun modo la strage di Bologna, che considero esecrabile e condannabile in sommo grado,  chiunque ne siano stati gli autori! Oltretutto, per quanto ho sopra detto, poco ci era mancato che non ne fossi io stesso una vittima. Il libro, dopo 36 anni dai fatti, riveste oggi un interesse forse esclusivamente storico e politico. E quindi si tratta prevalentemente di decidere sotto quale angolatura debba essere letto e cosa gli Autori chiedano o si aspettino dai Lettori, nel caso di specie, da chi qui scrive, rivolto non agli Autori, i quali avendo scritto il libro probabilmente considerano concluso lavoro, dal quale si aspettano utili, ma ai suoi Sei lettori di questo Blog, verso i quali ritiene di avere qualche responsabilità. Ma l’atto dello scrivere può essere anche una forma di riflessione, tutta rivolta all’interno: in interiore homine, dove si dice che abita la verità e perfino dio.

Al lettore l’ardua sentenza!
Di Noam Chomski ho letto diversi libri, non tutti, e li leggo sempre con interesse e senza annoiarmi. Me ne ricordo uno, particolarmente interessante e istruttivo, per il modo in cui analizzava un altro libro, criticandolo attraversa la mera analisi testuale. Volevo sorvolare la pagina 18 dove leggo:

«...Grazie al pentimento di suo fratello, però, i carabinieri avranno la conferma della collaborazione tra le Br e l’ala oltranzista della resistenza palestinese».
Non sarei stato a cercare il pelo nell’uovo nel brano sopra riportato, se poco più avanti, a pagina 22, non avessi trovato quest’altro:
«La pericolosità di quei missili era tale era tale che Tel Aviv aveva escogitato un’azione molto rischiosa per neutralizzarli. Piombato di notte all’interno di una base nemica, un manipolo di paracadutisti aveva sequestrato il radar usato per orientare in battaglia i Sam-2. L’apparecchio era stato dal terreno e portato via in elicottero. Un’autentica beffa che le autorità egiziane si ostineranno a negare per anni».
È un ex-magistrato che scrive questi brani? Mi chiedo se in quegli anni in cui esercitava la professione mi fossi trovato sotto il suo giudizio e fossi stato di nient’altro colpevole che di sola simpatia ed empatia con la causa palestinese, cosa poteva capitarmi. Al tempo stesso, avendo poca esperienza di tribunali, mi sovviene il ricordo di una causa recente, che non ho voluto appellare, non perché meno convinto delle mie ragioni, ma perché privo di fiducia nel giudice di primo grado e di quello che avrei trovato in secondo grado. Finché si tratta di giudicare ladri di pollo, si può avere una ragionevole certezza sulla equanimità dei giudici, ma quando si toccano temi politici, nulla garantisce che il giudice, anche inconsapevolmente e convintamente, si adegui al “clima politico” dominante o sensibile alle sue corde. Non sto parlando male dei giudici, ma voglio dire semplicemente che sono uomini pure loro, non semidei.

Se confrontiamo i termini del primo brano, singolarmente e nel  loro insieme (grazie, pentimento, conferma, Br, ala oltranzista e infine resistenza palestinese) con l’andamento empatico del secondo brano, a me viene fuori il sospetto di una assunzione di campo. Non mi scandalizza se l’autore della narrazione ha simpatie sioniste, ma desidero saperlo. Addirittura in quella che un’azione di guerra vera e propria si parla di “sequestro” come fosse una partita di merci contraffatte in una normale operazione di polizia e della nostrana guardia di finanza. Infine il narratore se la ride con la “beffa”, come se la guerra, fra contendenti impari in armamenti, fosse una sequenza di “beffe” e non una tragedia che nel caso della questione palestinesi dura ormai di più di Cento Anni (1882-2016).

A proposito di “sequestri” e di “beffe” il mio pensiero va ad altro: nel 1986, in piena Roma, credo in Via Veneto, fu “sequestrato” dagli agenti israeliani Mordecai Vanunu, la cui colpa era quella di aver rivelato al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana: altro che missiletti Sam-2. Come italiano, e romano, la “beffa” fu fatta a me! Non l’ho mai perdonato e mai ho perdonato quei magistrati che non perseguirono quel crimine, che gli inglesi sul loro territorio non permisero. In terra vive, l’Italia, lo si poteva fare, era consentito, era concesso... Non ho letto nessun libro che mi abbia dato la verità su quel fatto del 1986, ancora più recente di quello del 1980, narrato in questo libro di Cutonilli e Priore. Si può certamente obiettare che la strage di Bologna, con le sue vittime, è cosa più grave, ma il “sequestro” Vanunu, in territorio italiano, è cosa che ancora mi offende, mentre le vittime di Bologna riposano ormai in pace e non hanno di che indignarsi.

Insomma, non sono prevenuto contro il libro edito da Chiare Lettere. L’ho comprato con le migliori intenzioni e mi proponevo di fare bella figura alla prossima presentazione del 29 settembre, dimostrando di averlo già letto, ma le prime impressioni che ricavo dalla lettura sono quelle che ho scritto. Faccio però ora il bravo e cerco di giungere alla fine del libro (270 pagine) senza fare - spero - altre osservazioni. Da un punto di vista filologico credo che sarebbe stato opportuno distinguere la parte di testo che è di Rosario Priore, nato nel 1939 e magistrato in pensione, da quella scritta da Valerio Cutonilli. Probabilmente, la parte scritta da Priore è la sola introduzione (pp. 5-10) e tutto il resto è stato redatto da Cutonilli, non in che anno nato, ma certamente più giovane di Rosario Priore.

Sono arrivato a pad. 38 e l’impianto del libro sembra piuttosto semplice. Spero di non dover fare altre osservazioni e di giungere rapidamente alla fine. L’Autore, come ovvio, orientato verso la “pista palestinese”, non può fare a meno di dare un qualche inquadramento storico della questione palestinese, almeno quanto basta per dare un contesto alla sua ipotesi. Altrimenti il lettore comune, ignaro di problemi mediorientali, non capirebbe per nulla cosa possano entrarci i palestinesi con la strage di Bologna dell’agosto 1980. Sulla base di altre mie letture, ed una modesta conoscenza della geopolitica mediorientale, posso condividere quanto ebbe a dire addirittura un ebreo israeliano in una conferenza alla Fondazione Basso. Si tratta di Jeff Halper, noto per le sue lotte in Israele contro l’abbattimento delle case dei palestinesi, se ben ricordo. La tesi che a me sembra ovvia e che getta una pesantissima responsabilità sulla politica estera dei paesi europei, Italia inclusa,  è tutta la forza di Israele non sta nella sua eccellenza tecnologica o perfino nella superiore intelligenza e moralità degli israeliani, ma nel sostegno costante da parte occidentale in tutti gli àmbiti: un flusso di denaro e di aiuti e forniture di ogni genere va dagli Usa in primis e dai paesi europei, Italia inclusa. L’Italia a sua volta è sotto il tallone degli Usa fin dal 1945. E negli Usa la comunità ebraica è di gran lunga la più potenza e influenza in modo massicio e determinante la politica estera americana. Cito soltanto il libro di Mearsheimer e Walt, per non essere tacciato di parzialità in questo mio giudizio. Non credo che si debbano spendere troppe parole per dimostrare che la sofferenza dei palestinesi e le guerre centenarie in Medio Oriente sono un magnifico regalo delle potenze europee che si spartite le spoglie dell’Impero ottomano. Non ho mai viaggiato nei paesi arabi e mai lo farò, perché mi sentirei a disagio per le responsabilità storiche dell’Europa, Italia inclusa, nel nostro Vicino Oriente, nel quale andrebbe fatta una ben diversa politica, che però non ci è consentita dalla nostra sudditanza agli Stati Uniti e allo stesso stato di Israele, che presso di noi ha una lobby potentissima.

Quindi, fermo restando, che non posso certo approvare, allietarmi, giustificare minimamente un qualsiasi atto terroristico che produca vittime innocenti, non avrei gran che di che stupirmi, se la “pista palestinese” venisse ad essere accertata. Sarei ancora più perplesso sulla effettiva utilità alla causa palestinese di un simile attentato. Mi sembrerebbe più logico un “false flag”: gli israeliani sono maestri insuperati in questo genere di operazioni. La tesi più che fondata è che vi è stata almeno dalla dichiarazione Balfour in poi un colpevole sostegno degli Usa e dell‘opera a una consapevole “pulizia etnica” della Palestina sul modello sperimentato della “pulizia etnica” dei pellerossa. Non ci si bagna però due volte nella stessa acqua e se è riuscita l'operazione pellerossa, mi pare più difficile riservare lo stesso “destino” ai palestinesi. Ed è anche comprensibile che la migliore arma di cui i palestinesi possono disporre è di natura non militare: risvegliare la coscienza etico-politica dei cittadini europei, ed italiani in particolare. Parafrasando una frase ricorrente che trovavo in documenti tedeschi della seconda guerra mondiale, possiamo dire per la questione israelo-palestinese: “questa è una guerra ideologica, mediatica”, che si combatte con la propaganda, con libri, articoli su giornali, trasmissioni televisive, dichiarazioni di politici, con una produzione legislativa che pretende di combattere l’odio, di stabilire la giusta e veritiera memoria della Storia, che punisce l’orientamento anti-israeliano, ma non punisce anzi favorisce quello anti-palestinese, anti-islamico, anti-arabo.

In questo contesto, direi, si colloca il libro di cui stiamo parlando, e che cerco di leggere rapidamente, finendolo di leggere in tempo per la presentazione romana del 29 settembre, dove mi asterrò dall’intervenire ed ascolterò in silenzio e con attenzione ciò che avranno da dire gli altri che interverranno: ho più interesse ad ascoltare che a parlare. Sono arrivato intanto a pagina, dove ancora mi colpisce il termine “beffare” che ripete la “beffa” di pagina 22: «I primi a beffare il Fronte Popolare sono stati proprio gli israeliani» (p. 73): “un’impresa spettacolare”: siamo a Hollywood. Sembra di leggere una lite di condominio... E comunque non solo non vedo la fondatezza o meno delle “ipotesi” di cui parla Priore a pagina 10, ma il loro interesse e soprattutto non vedo la tesi del libro: dove vuole arrivare? Dove vuole andare a parare? Quello che finora appare è la mancanza di sovranità non solo dell’Italia, in particolare, ma di tutti gli stati europei, che in un conflitto oramai secolare, iniziato con la prima guerra mondiale per la spartizione dei territori dell’Impero ottomano non è mai cessata, e della quale l’Europo, che ha il culto della Memoria, ha però perso memoria storia, e davanti alle tragedie del nostro tempo appare come un passante del tutto sprovveduto.

Sono a pagina 89 ed ancora non trovo la tesi del libro di pagine 270 circa, ma trovo questo passaggio:
«In Italia, ancora oggi, non c’è consapevolezza dell’enorme partita giocata intorno alla questione degli euromissili che hanno posto fine alla superiorità militare sovietica».
Consapevolezza di che? e di chi? Ricordando Manzoni, a me pare che in caso di conflitto USA-Russia i primi stracci a saltare in aria sono proprio quanti risiedono in Italia. E posto, ma non ne sono per nulla convinto, e non sono però un esperto di cose militari, posto che sia venuta meno la superiorità militare sovietica (oggi russa), quale altra superiorità vi si è sostituita? Quella americana (e indirettamente israeliana, per la nota influenza determinante di Israele sulla politica estera americana) in territorio italiano, dove sono 130 le basi americane, che siamo noi stessi a pagare? Fatta eccezione, per il pagamento del carburante per lo spostamento delle nostre navi, come mi fu detto in un convegno di militari...

Sono arrivato a pag. 105 e sembra prendere corpo l’impianto narrativo: poiché gli italiani, da sempre traditori, non rispettano più il “lodo Moro” (che non esiste ma esiste), subiscono con la strage di Bologna una ritorsione da parte dell’ala “oltranzista” della guerriglia palestinese (uso io il termine “guerriglia, guerriglieri” al posto del termine connotativo “terrorismo, terroristi” preferito dagli autori). Ma siamo sempre alle “ipotesi” di pagina 10: non di risultanze processuali. Il lettore, espressamente appellato da Priore («Ora sarà il lettore a giudicare se le nostre ipotesi siano fondate o meno»). Ma cosa ha fatto nella vita Rosario Priore? Il magistrato? E vuole dal povero lettore di un libro, letto con noia e di malavoglia, quella “verità” che un magistrato non ha saputo dare sul mero, nudo e crudo svolgimento dei fatti? Chi ha rubato il pollo? Chi ha messo la bomba? Al giudice, in quanto giudice, non competono valutazioni di carattere politico, strategico, geopolitico... Sono ad di sopra della sua ordinaria comprensione. Spesso ne capisce assai meno di un comune cittadino...

Il lettore, dunque. Innanzitutto, senza se e senza ma, la piena e assolutà pietà per le vittime innocenti, alle quali deve essere resa giustizia chiunque sia stato l’autore, ma non prendendo chiunque a caso, giusto per dire che giustizia è stata fatta e gabbare così il santo. Penso che le vittime sarebbero ancora più vittime, se venissero strumentalizzate e della loro morte venisse incolpato un innocente. Questa sì che sarebbe una “beffa”, fatta ai morti, e dunque un sacrilegio. Ma anche accettando, per ipotesi, fondata o meno, l’ipotesi dei due autori, avremmo una scissione di piani, con giudizi anche diametralmente opposti.

Ferma condanna degli autori ipotizzati del crimine, ma possibile condanna - almeno come opzione politica, a seconda di quale campo della battaglia si scelga di stare, se con i palestinesi o gli israeliani - della politica seguita da Cossiga, dopo l’uccisione di Moro, che essendo lui ministro dell’interno non ha saputo evitare. Se per assurdo la strage di Bologna avesse un meccanico nesso di causalità con la politica derivante dalla violazione dell’inesistente esistente “lodo Moro”, allora la responsabilità della strage dovrebbe essere ricondotta alla Causa Prima che muove le altre cause.

Pur ammettendo, per assurdo, la tesi della ritorsione, dubito della utilità di una simile azione efferata, che quanto meno avrebbe dovuto essere rivendicata. Che senso avrebbe altrimenti una “ritorsione”  se non si dice e si fa sapere di aver fatto quella tal cosa come ritorsione alla tal altra? Siamo al di fuori della politica. Anche ammettendo, per assurdo, l’ipotesi Priore/Cutonilli, troverei più logico e plausibile un intervento del sempre presente Mossad per far cadere sulla causa palestinese l’impopolarità di una strage che offende la coscienza di un intero popolo, quello italiano, del cui sostegno la causa palestinese ha disperato bisogno. Ma andiamo avanti nella lettura...

Tutta questa la prova?
E ci sto andando avanti, ma senza fare segni sulla pagina, o ricavare estratti per poi farne il confronto. Mi affido alla memoria, che adesso mi dice come nella pagine iniziali, ad un qualche punta, la presenza di una certa persona in Bologna, diventa un indizio rilevante, quasi una prova a sostegno delle ipotesi sulle quali è chiamato a giudicare il lettore. Ahimè! E mi viene in mente come il povero Mordecai Vanunu fu attirato da Londra (dove non poteva essere rapito) da una avvenente spia che inscenò un innamoramento per poterlo poi fare rapire a Roma, dove si poteva farlo in terra vile... Che ci vuole con una scusa qualsiasi da parte del Mossad ad attirare una persona in un luogo?.... Non poteva già allora essere stato messo a punto un piano che affiora adesso, sia pure per ipotesi?... Io io stesso, che scrivo, non ero passato da Bologna con il treno pochi giorni prima della strage?... Mi sono finora immaginato, sia pure per ipotesa remota, come una possibile vittima, ma ipotesi per ipotesi le vie dell’inferno sono lastricate di ipotesi non avrei potuto io avere avuto parte nell’attentato? Non ero un allievo prediletto di Aldo Moro?... Insomma, non mi sembra serio procedere per ipotesi per sostenere operazioni che fatalmente sono di propaganda politica e si prestano alla strumentalizzazione politica. Se gli autori vogliono porre il problema della collocazione dei governi al potere rispetto alla questione palestinese, è una cosa; ma se vogliono fare quei processi che i magistrati non hanno saputo condurre, non hanno istruiti, e renderne giudice il lettore di un libro, la cosa mi sembra alquanto bislacca. Ma andiamo avanti...

In altri termini, riassumendo, qual è lo scopo del libro? Vuole darci la verità “vera” sulla strage di Bologna finora processualmente accertata? Ne ha gli elementi probatori che prima mancavano? Si riapra il processo! Tutto è possibile...  Vuole dare una ricostruzione storica di una opposizione irriducibile, insanabile, incomponibile, non mediabile israelo-palestinese il cui inizio io riporto all’anno 1882? Nel primo caso il Lettore non ha alcun potere, non ha strumenti e meno che mai questi possono essere costituiti da un libro. Nel secondo caso il libro stesso si colloca in una pubblicistica dove la neutralità non è in alcun modo possibile: o si sta con gli uni, o si sta con gli altri; o da una parte, o dall’altra. Ogni tentativo di terzietà è semplicemente un inganno.

Accidenti! Cosa ti trovo a pagina 120? Buttato e detto lì come se fosse un’inezia... Senza battere ciglio, i narratori di beffe, ci rivelano che lo stato italiano nella persona delle massime autorità, legittimate dal voto popolare, quello delle gente comune, che passa o si trova per strada, nei negozi, nelle stazioni, anche in quella di Bologna, ordina, esegue, è complice di volgarissimi omicidi, che accadono per “ragion di stato”, e quale stato? il loro! ... Gli Autori sono uomini d’onore, hanno chiaramente una eticità, vogliono e cercano una “verità”, ma quale verità? Quale verità vogliono raccontare? Quale verità pensano di avere scoperto? Ne hanno già individuato ed ammesso una più grande di quella della strage di Bologna, e non se ne accorgono... una verità che hanno sotto il naso e che supera quella di Bologna, la ingloba il sé... È forse meglio che trascriva per intero il brano che cercherò di commentare, con i metodi dell’analisi linguistica, come ho visto fare a Chomski:
«...Cossiga, in realtà, è a conoscenza del ricatto libico sin dal novembre del 1979. È stato informato dal generale dei carabinieri, volato in Libia per tentare una ricomposizione bonaria dei dissidi. Questa volta il premier Cossiga non impone la linea intransigente adottata nel caso dell’Fplp. Le relazioni commerciali con Tripoli sono indispensabili per l’economia italiana sempre più in crisi. L’esigenza di tutelare gli interessi nostrani in Libia obbliga a una scelta sofferta e contraddittoria. Nella primavera del 1980, Santovito ottiene il via libera. Il Sismi può consegnare ai servizi segreti di Gheddafi la lista dei dissidenti con l’indicazione delle date per agire. La mattanza degli esuli prosegue per settimane, a Roma e Milano. L’11 giugno, alla stazione ferroviaria del capoluogo lombardo, viene ucciso Azzedine Lahderi. Questa volta sono colpiti anche gli interessi italiani perché la vittima è un informatore del Sismi...».
Spero che il testo nella sua narrativa e nello stile con cui la narrativa viene fatta sia autoevidente, senza costringerci a diffonderci troppo. Siamo di fronte a un omicidio di stato e gli autori non percepiscono di avere qui la “verità” che cercano - a quanto pare - cercano altrove, per addossarne ad altri la colpa e responsabilità. Che differenza c’è nel brano sopra riportato da un qualsiasi omicidio di mafia? In Hobbes, il principio fondante del Leviatano è la relazione protezione-obbedienza. Uno Stato esiste perché non abbiano a compiersi mai e per nessuna ragione degli omicidi, essendo la vita il bene supremo al quale nessuno può rinunciare. Il reo è punito sulla base di una sentenza per aver violato una legge. Ma lo Stato non è autore o complice di omicidi come può esserlo un qualsiasi capo mafioso. La “verità” alla quale normalmente ci riferiamo ha un contenuto di eticità, giustizia, sacralità...  Non è la soluzione di un rebus, di un cruciverba. In fondo, nel “lodo Moro” si puntava alla salvezza di vite umane, non alla loro uccisione. Il post-Moro (il suo “lodo”) ha generato una successione di eventi, prevedibili, dove la vita umana non ha più nessun valore. Che senso ha cercare la verità nella stazione di Bologna, quando la si trova già nella stazione di Milano? Insomma, la ricerca del libro non ha propriamente come suo oggetto la ricerca della “verità”, ma punta a una “pista palestinese” che possa tornare utili ai brutti ceffi della nostra storia, uno più brutto dell’altro senza che nessuno si salvi. Paradossalmente, i morti innocenti rischiano di essere colpevoli di nient’altro che della loro innocenza, per essere in qualche modo, astratto, fittizio, remotissimo, colpevoli della legittimazione degli uomini al potere che anziché proteggere le vite le sacrificano ai loro cinismi. I morti innocenti ammazzati erano elettori di Cossiga, o degli uomini di governo i cui nomi sono fatti nel libro?... Non so riesco a focalizzare la questione della rappresentanza politica, l’istituto per il quale un premier è un premier, in un’epoca in cui si incomincia a parlare della democrazia diretta come possibile e necessario superamento di una gestione del potere che non garantisce né le nostre vite né il benessere né la dignità né i diritti che sulla carta e nelle leggi sono solennemente dichiarati e per la cui garanzia esistono apparati e corpi dello stato... Rosario Priore ha pronunciato per tutta la sua esistenza sentenze in nome del popolo italiano.

Se Giacomo Casanova si trova in un città, ed in quella città si consuma un adulterio clandestino, ne è responsabile il noto Casanova, che ha consolidata fama di seduttore. E così lo stesso Casanova viene ritenuto responsabili di tutti gli adulteri nascosti che avvengono nelle città grandi e piccole in cui si trova a passare: lascia una scia... Questo mi sembra il livello delle “ipotesi” che dovrebbero portare alla «pista palestinese»: anzi alla «ritorsione palestinese», come se i governi tutti non avessero da rispondere su una “pulizia etnica della Palestina”, fonte di ogni illegittimità fondativa di qualsivoglia stato di diritto. Per il resto, dalla lettura del libro, condotto fin oltre la metà delle sue pagine, direi che i due autori non hanno nessuna o poca cognizione di cosa sia la «pulizia etnica della Palestina» (per tutti Pappe) e di cosa sia il sionismo (fondamentale: Gilad Atzmon). Curiosamente, nel libro è citata una ex spia del Mossad, Victor Ostrovsky, autore di un libro di rivelazioni sulla natura e i metodi del Mossad: Attraverso l’inganno. In questo libro si rivela l’esistenza della rete dei sayanim, cui un autore come Atzmon mostra credere, e di cui si parla in forma romanzata da parte di altri autori. Sayanim possono trovarsi dappertutto... Ed anche la “pista palestinese” potrebbe non esserne immune. Gli autori insistono sull’«oltranzismo» di una componente palestinese richiamata nel libro, ma viene dato semplicemente per presuppo un “oltransismo” di cui non ci si chiede la natura. È da chiedersi se non sia “oltranzismo” da parte di un giudice in pensione, e di un suo giovane collaboratore,  la ricerca alla stazione di Bologna di una “verità” che gli organi inquirenti e i servizi segreti dello Stato non hanno saputo o voluto dare... Tutto questo mi sembra molto sospetto, senza che la “verità”, quale che sia, stia a me meno a cuore che ai due autori, i quali forse prediligono una verità piuttosto che un’altra.

Sono arrivato a p. 218. Non manca molto alla fine del libro e credo di aver ormai compreso ipotesi e tesi degli autori. Potrei cessare di scriverne ancora, ma in questa pagina emerge un “indizio” importante che svela non i segreti di Bologna, che restano tali, malgrado il libro, ma le intenzioni e le idealità politiche degli autori. Non si finisce mai di approfondire un argomento ed anche noi adottiamo qui il principio della verità provvisoria. Può anche darsi che gli autori non siano consapevoli dei loro stessi pregiudizi politici. Ed è così che resto sorpreso alla menzione di Sabra e Shatila, dove viene ignorata qualsiasi responsabilità dell’esercito israeliano che aveva invaso il Libano. Ignoranza dovuto alla necessità di un excursus enciclopedico per illustrare l’ipotesi della «pista» o «ritorsione» palestinese? Numerosi altri indizi e termini linguistici che si trovano nel libro e che ci siamo astenuto dall’evidenziare ad uno ad uno fanno pensare a un pregiudizio filo-israeliano e quindi il sospetto di un intero libro confezionato e redatto secondo i criteri dell’Hasbara. Non che personalmente cambierebbe alcunché per noi la fondatezza di una “pista” o “ritorsione” palestinese. Se i due autori sono in grado di dimostrarla, lo facciano! Il nostro giudizio etico-politico e storico sulla questione palestinese, ossia la “pulizia etnica” del 1948, già pensata nel 1882, o sul sionismo nella definizione datane da Gilad Atzmon, non mutano di una virgola. Anzi, se a tanto si sia potuto giungere, questo non fa che aggravare la responsabilità storica degli stati europei che hanno devastato il Vicino Oriente almeno a far data dal 1911 in poi. Perché 1911, anno della conquista italiana dello “scatolone di sabbia”? Perché una tesi che mi è capitato di ascoltare sarebbe questo il vero inizio della prima guerra mondiale... Una tesi seducente. Ho letto il libro perché mi è stato segnalato fortemente da un amico che doveva promuoverlo per favorire gli autori suoi amici... Peccato, che non lo abbia letto neppure lui ed abbia lasciato a me questo compito. A parte alcune ricostruzione storiche di eventi, dove ho potuto apprendere cose che non sapevo, mi sembra però fallito nel suo scopo doppiamente: a) sul piano strettamente giudiziario-processuale si basa - come è detto dallo stesso Priore - su “ipotesi”, niente altro che ipotesi; b) sul piano extra-giudiziario i due autori si avventurano in questioni geopolitiche ed etiche della cui natura o non paiono consapevoli o sono vittime esse stessi di pregiudizi indotti da una pubblicistica fortemente condizionata. Ci dispiace per i due autori, verso i quali non abbiamo nulla di personale, e ci dispiace per l’Amico che ci ha attenzionato il libro, facendocelo comprare e leggere: lo vogliamo finire di leggere in giornata, perché per domani 27 settembre ne è annunciato un altro, presso Mondadori, del sindaco Pizzarotti sul M5s. E questo ci interessa di più e vogliamo essere libero per domani, per un’altra scheda di lettura, a questa successiva.

(segue: trattasi di testo non definitivo, ancora in elaborazione)

Nino Galloni: «Risorse scarse secondo Raggi e Fassina»

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Antonino Galloni, fb
Con il consenso dell’Autore, Nino Galloni, e con generale presunzione di liberatoria da ogni copyright raccolgo con sistematicità in «Civium Libertas» tutti gli articoli che trovo già in rete, indicando ogni volta accuratamente la fonte, e dando al sito originario comunicazione della nostra ripubblicazione, o altri originali che l’Autore vorrà mandarmi, e che saranno disponibili a quanti vorranno ripubblicarli nei loro siti. Si tratta per me di un lavoro redazionale aggiuntivo rispetto a quello dell’Autore. Perché lo faccio? In due parole: non sono digiuno di studi economici ed ho sostenuto in modo dignitoso nei miei studi universitari non pochi esami di economia. Ma non ho fatto di questa disciplina la mia professione, orientata invece alla filosofia. L’approccio di Nino Galloni alla scienza economica mi riesce congeniale e mi è di sprone a riprendere dagli scaffali i vecchi manuali universitari, andando oltre inseguendo quella attualità dei problemi economici, degli “scenari economici”, che - come già mi insegnavano i vecchi maestri - è la migliore introduzione alla scienza economica. L’articolo è ripreso da «Scenari economici» del 22 settembre 2016, dove esce con egual titolo, ed è stato “posted” da Antonio Maria Rinaldi.

AC

La tematica della scarsità delle risorse rappresenta il confine tra la possibilità e l’impossibilità del cambiamento: nel mondo di oggi le risorse scarse sono quelle fisiche (naturali ed umane) non più quelle monetarie e finanziarie.

Infatti, dopo il 1971, è caduto l’ultimo velo sul sottostante aureo della moneta; in seguito ci sono stati eccessi, è vero, ma il sottostante della moneta sono sempre stati il lavoro, le attività produttive, le capacità tecnologiche. A esempio di eccessi, i petrodollari dovettero la loro esplosione alla decisione USA di stampare dollari e titoli pubblici per importare materie prime (soprattutto petrolio): fu un vulnus al buon senso ed inaugurò tensioni inflattive e speculazioni varie.

Ma, tornando alla regola, gli Stati possono emettere moneta o delegare gli Istituti di emissione a farlo con banconote a corso legale (l’Europa si è rovinata la vita trasformando tale moneta comune in qualcosa di scarso, artificiosamente scarso, scarso solo per i cittadini comuni e gli Stati stessi); le banche ordinarie sono abilitate ad emettere moneta – a proprio credito e debito dei prenditori – e lo fanno o poco o troppo o male; i privati e le amministrazioni in difficoltà (proprio quelle che hanno abbandonato la sovranità monetaria) possono emettere moneta fiduciaria, come furono le cambiali del miracolo economico italiano quando le lire scarseggiavano, ma le capacità imprenditive e produttive del Paese no.

Oggi, nel mondo, si stanno sviluppando piattaforme finanziarie, meccanismi di compensazione tra crediti e debiti e non solo, monete complementari e matematiche, anticipazioni su imposte fiscali future e cash flow industriali: in Italia tutto ciò sta cominciando da poco tempo perché le amministrazioni pubbliche – a differenza di quasi tutti gli altri Paesi – non aiutano, almeno finora.

Quindi, dire, come hanno fatto la Sindaca e Stefano Fassina che le risorse sono scarse implica una di queste tre conseguenze:
 a) intendere la giustizia sociale come un togliere ai ricchi per dare ai poveri;
 b) togliere ai poveri per fare investimenti;
 c) non fare niente perché non ci sono risorse.

• Il caso a) richiede di specificare cosa si intenda per ricchi, in quanto il sistema, a regime, può e deve far lavorare tutti, al limite con un’imposizione non esagerata – come oggi – ma seriamente progressiva; ma i veri ricchi sono pochi e togliere ai ricchi non basta per portare i poveri ad un livello di vita decente se non c’è un piano di sviluppo con obiettivo di valorizzare tutte le risorse disponibili.

• Il caso b) implica l’impoverimento della classe media e, quindi, blocca gli investimenti più consistenti, quelli dei privati, perché questi ultimi non vedono la ragione di farli se le prospettive dell’economia sono depresse.

• Il caso c) è il classico suicidio di una classe dirigente che non vede come il limite ad una crescita possibile, responsabile ed auspicabile non sia dato dalle risorse finanziarie (le anticipazioni di entrate – per il pubblico e per i privati – non costituiscono un aumento del debito, bensì solo una scommessa sul reddito futuro), ma da quelle fisiche.

Queste ultime sono di tre tipi: lavoro vivo, tecnologie e ambiente.

Oggi, le tecnologie disponibili sono straordinarie; per carità di Roma cito solamente i rifiuti zero (zero cassonetti, zero camion, zero inquinamento, tanta buona elettricità per tutti). Diciamo che, a differenza dei secoli passati e dei millenni passati, la tecnologia (che è lavoro accumulato) risulta sovrabbondante rispetto alle esigenze.

Il lavoro vivo c’è, come testimoniano i dati sulla disoccupazione, sull’emigrazione, ma anche sulla immigrazione: quando non ci fossero più lavoratori disponibili, allora dovremmo fermare i nostri piani di sviluppo, manutenzione, cura, ripristino, recupero, valorizzazione di tutto ciò che abbiamo – moltissimo – ma non sappiamo gestire perché cadiamo nell’errore di pensare che non sia possibile ovviare alle apparenti, ma false, prospettive di scarsità delle risorse finanziarie necessarie.

L’ambiente viene inquinato (dal cemento, dalle emissioni nocive, ecc. perché si insiste su vecchie tecniche, vecchi materiali, scarsa manutenzione): con le tecnologie moderne, oggi disponibili, l’ambiente viene salvaguardato dallo sviluppo responsabile e dalla intensificazione del flusso energetico, non viceversa: frenare lo sviluppo significa stagnare su tecniche obsolete che fanno la fortuna dei soliti imbroglioni.

Cari tutti, bisogna aprire gli occhi, smascherare i paradigmi della scarsità, marciare verso la piena valorizzazione e la vera salvaguardia delle risorse disponibili! 
Nino Galloni

mercoledì 21 settembre 2016

Paolo Becchi e Cesare Sacchetti: «Il M5s ha violato le sue stesse regole: è l’inizio della fine per il Movimento?»

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Anche questo articolo, come il precedente mi giunge direttamente nel suo file di testo ed ignoro al momento se è apparso in qualche quotidiano: ne darò i riferimenti, appena e se noti. I temi toccati sono quanto mai trancianti. Qui però vorrei aggiungere di mio una severa critica a tutta la pletora degli attivisti romani. Non è che le cose non si sapessero o non si potessero prevedere. Non è che non ci fossero state le “coltellate alle spalle” di cui icasticamente parla il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Si è scelta la possibilità, regalata dalla contingenza politica, di andare comunque al potere: si sarebbe poi visto. I famosi tavoli tecnici di lavoro, se fossero stati davvero dei tavoli tecnici, avrebbero dovuto consentire un decollo ordinato della nuova amministrazione capitolina. Invece, erano dei centri di formazione delle cordate e di spartizione dei voti. Da questi “tavoli tecnici” non è venuta nessuna di quelle competenze tecniche di cui la cittadinanza ha disperato bisogno. Anzi, posso dire, per quanto a me noto, che sono stati congegnati proprio per allontanare le competenze tecniche, avvertite come una pericolosa concorrenza per il salto sulla diligenza.

 AC

IL M5S ha violato le sue stesse regole: è l’inizio della fine per il Movimento?
Di Paolo Becchi e Cesare Sacchetti

C’era un film di qualche anno fa dal titolo “L’aereo più pazzo del mondo”, nel quale i passeggeri di un volo di linea sono protagonisti di innumerevoli disavventure comiche, guidati da un equipaggio allo sbando che non riusciva a governare più l’aereo. Il M5S a Roma dà esattamente la stessa impressione, quella di un equipaggio completamente alla deriva che non sa più quale sia la rotta da seguire. Dopo la pioggia di dimissioni a catena innescate dall’ex Capo Gabinetto Raineri, sono seguite le dimissioni dell’Assessore al bilancio Minenna e dei dirigenti di AMA ed ATAC, è arrivata la conferma ufficiale che sia Virginia Raggi sia l’Assessore all’Ambiente, Paola Muraro, erano informate già dal 18 luglio dell’iscrizione nel registro degli indagati di quest’ultima avvenuta il 21 aprile 2016. Le dichiarazioni della Raggi e della Muraro vengono rilasciate davanti all’audizione della Commissione Eco-Mafie, davanti alla quale viene confermato che le due signore hanno clamorosamente mentito ai propri elettori e ai cittadini romani, quando affermavano in precedenza di non essere a conoscenza di alcuna notizia di indagine nei confronti di Paola Muraro.

Virginia Raggi ha precisato di aver informato il direttorio del Movimento di questa situazione, ma è lo stesso organismo che guida politicamente il Movimento  a smentire la versione del sindaco. Sembra di rivivere la situazione di qualche mese addietro nel comune di Quarto, quando il sindaco  Rosa Capuozzo dichiarò di aver informato il direttorio dell’indagine per voto di scambio dell’ex consigliere De Robbio, e anche in quella circostanza i membri del direttorio  si smarcarono e smentirono la versione della Capuozzo. A quanto pare nel M5S sembra di ripercorrere gli stessi accadimenti in maniera ciclica, ma Quarto non è Roma.

Un dato è certo: il M5S ha violato le sue stesse regole di trasparenza. Se si legge il “Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016” e precisamente la disciplina delle sanzioni all’art. 9 si troverà scritto che “Il Sindaco, ciascun Assessore e ciascun consigliere assume l’impegno etico di dimettersi se, durante il mandato, sarà condannato in sede penale, anche solo in primo grado. Assume altresì l’impegno etico di dimettersi laddove in seguito a fatti penalmente rilevanti venga iscritto nel registro degli indagati e la maggioranza degli iscritti al M5S mediante consultazione in rete ovvero i garanti del Movimento decidano per tale soluzione nel superiore interesse della preservazione dell’integrità del MoVimento 5 Stelle.” A questo punto appare del tutto evidente, sulla base di quel codice (peraltro a nostro avviso allucinante) che Paola Muraro debba dimettersi perché in flagrante violazione di questa prescrizione dal momento che non solo è stata confermata l’ufficialità dell’indagine per abuso d’ufficio a suo carico, ma appare ancora più grave che abbia nascosto questa importante notizia all’opinione pubblica, con il consenso del Sindaco Raggi.

La condotta della Raggi allo stesso tempo non spicca certo per correttezza ed etica, un tempo supremo vessillo che distingueva i candidati grillini dalla palude politica. Onestà, bla, bla, bla… ve lo ricordate, ebbene è proprio il Sindaco ad aver avallato la condotta scorretta dell’Assessore Muraro, e la giustificazione di aver informato il direttorio di questa circostanza non può essere certo considerata un alibi. Ad ogni modo, non era ” lo scaricabarile” considerato una pratica della peggiore politica di palazzo che il M5S aveva giurato di distruggere? I cittadini romani hanno eletto Virginia Raggi o un  direttorio e un mini-direttorio  privi di qualsiasi legittimazione giuridica e democratica? Appare del tutto evidente che dopo il caso Muraro, il M5S ha definitivamente superato il punto di non ritorno passato il quale non potrà mai più rivendicare alcuna verginità politica né presunta superiorità morale nei confronti dei suoi avversari.

 Di fronte alla circostanza di un’indagine penale, i grillini si stanno  comportando  come e peggio dei suoi predecessori. Difatti, se si scorre nuovamente il suddetto codice di comportamento, all’art. 5 si troverà la voce “trasparenza”, sotto la quale il sindaco eletto si impegna a informare i cittadini delle sue attività durante il suo mandato attraverso lo strumento di YouTube. Ovviamente i video e lo streaming on line sono solamente utili quando si tratta dei propri avversari oppure quando si tratta di mostrare le stanze del Campidoglio, con figli e familiari.

Una giunta formata da improbabili personaggi in cerca di autore,  vincolati da una sorta di contratto  che giustamente la Appendino si è rifiutata di firmare, e sostenuta da personalità tecniche, sarà priva in partenza delle qualità politiche e amministrative che servono a gestire una macchina complessa come quella capitolina. Anche la nuova scelta dell’ assessore al bilancio è sbagliata. Come lui stesso dichiara è stato convinto “dall’amico Sanmarco”, guarda caso il titolare  dello studio dove aveva lavorato la Raggi. Altro che scelta condivisa in streaming. Anche ammesso  che sia una persona giusta, è la persona giusta, ma nel posto sbagliato.  E la persona giusta, come tutti sanno, c’era e avrebbe rilanciato tutto  il Movimento. Scelte sbagliate in questo caso una seconda volta, scelte  sbagliate  in partenza come la Muraro , un sindaco paralizzato che si trova impossibilitato a governare perché eterodiretto da un direttorio e da un mini direttorio che impediscono  la normale gestione dell’amministrazione comunale. Beppe Grillo che comunica via sms le direttive da seguire. Ma è così che si governa Roma?

 Questo caso tra l’altro ha fatto anche emergere le mille contraddizioni che dilaniano il M5S, quando abbiamo assistito alla notte dei lunghi coltelli in salsa grillina con il mini-direttorio romano formato dal duo delle badesse Taverna-Lombardi che fa lo sgambetto all’odiata Virginia, per la troppa visibilità mediatica che  oscurava entrambe. Uno spettacolo disgustoso. Dall’ uno vale uno al tutti contro tutti, ecco quello che ora sta succedendo a Roma e sulla pelle dei romani.

 L’unico vero capo del Movimento era Gianroberto Casaleggio, solo la sua presenza, la sua autorità,  riusciva a frenare i protagonismi dei personaggi più in vista dell’universo grillino. Scomparso lui, chiunque si sente legittimato a impugnare lo scettro. E non è affatto detto che Grillo con il Vinavil riesca a incollare i cocci di un Movimento  che preso dalla frenesia del potere ha rinunciato ai suoi principi e alle sue visioni politiche. Un Movimento  con espulsi  reintegrati  perché cacciati  sulla base di un regolamento  illegale, con un sindaco che aspetta da mesi di sapere se fa ancora parte del Movimento o meno, con un nuovo  regolamento  che doveva essere approvato in rete, ma di cui  poi  non si è saputo più nulla e le votazioni sono saltate. E questo il  partito che  aspira a governare l’Italia?

 Faranno intervenire lo spirito del padre facendo parlare il figlio Davide? E con quale autorità, forse  quella che gli deriva dalla guida dell’azienda, la Casaleggio & Associati? Vengono in mente le parole di Paola Taverna di qualche mese fa: ”c’è un complotto per farci vincere”. Al momento sembra che l’unico complotto sia quelle del Movimento contro sé stesso. Comunque vada a finire il M5s ha  già tradito la sua stessa ragione d’essere, quella di restituire la politica ai cittadini, e quando la bolla  scoppierà e gli italiani si accorgeranno del bluff saranno cazzi amari per chi, come Di Maio, sogna di sostituire Renzi.  È solo questione di tempo.

Paolo Becchi: «Grillo, hai rotto i coglioni!»

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L’articolo mi giunge direttamente nel suo file di testo ed ignoro al momento se è apparso in qualche quotidiano: ne darò i riferimenti, appena e se noti. L’espressione rivolta a Grillo: “hai rotto i coglioni!” è icastico, ma non è certo Beppe Grillo che se ne può lamentare, essendo il suo linguaggio abituale ben più volgare e pecoreccio. Ne so personalmente qualcosa, avendo dovuto sporgere querela al Garante delle regole di civiltà del M5s. Ormai, i suoi messaggi, le sue sortite appaiono sempre più povere di contenuti politici e sembrano un disco rotto i suoi ripetuti “ragazzi meravigliosi, straordinari” con cui tenta di sovrapporre i suoi “miracolati” a una stragrande maggioranza di elettori ed italiani che hanno votato il M5s per non doversi astenere dal voto. L’immaginifico Beppe in fase di campagna elettorale, sponsorizzando la Virginia telegenica, avendo dichiarato che si sarebbe dato fuoco se Virginia non avesse vinto le elezioni... Forse non aveva previsto che andando le cose come vanno, si dovrà dare fuoco proprio perchè Virginia e il M5s hanno avuto in Roma uno strepitoso successo, al quale non segue capacità di governo. Certo, dopo i sei mesi che ha chiesto ieri a Otto e mezzo il “meraviglioso” Toninelli, visibilmente sulla difensiva, le cose potranno andare meglio, ce lo auguriamo per i cittadini romani, ma la caduta di immagine vi è comunque stata e non è rimediabile. Paolo Becchi da par suo mette il dito nella piaga.

 AC

Grillo, hai rotto i coglioni!
Paolo Becchi

    Sì, non c’è altro modo di dirlo, proprio non lo trovo: Grillo hai rotto i coglioni, non se ne può più. Non se ne può più di questo “balletto” – faccio “un passo indietro”, poi uno di lato, poi un po’ avanti, ora un po’ più a destra, ora un po’ più a sinistra. Facciamolo noi, allora, un passo indietro. Il M5S è stato guidato dalla direzione politica – per quanto “occulta” – di Gianroberto Casaleggio: con lui ha ottenuto i successi degli anni scorsi, con lui ha avuto una catena di comando rigidissima (a tratti persino autoritaria), ma funzionante. Quando Casaleggio, per via della malattia che purtroppo lo aveva colpito, ha capito che avrebbe dovuto necessariamente delegare ad altri il controllo sul Movimento, ha costituito il Direttorio. Ed è a quel punto che le cose sembravano essersi chiarite. Grillo, il “megafono”, la “voce” del Movimento, si è fatto da parte: e ciò, perché, dopo Casaleggio, il Movimento non poteva che definitivamente istituzionalizzarsi, diventare un partito come gli altri, con i suoi dirigenti, i suoi “vertici” , e così via. 

    Ma ecco che ora, con il “caso” Raggi, Grillo ritorna prepotentemente sulla scena: decide di nuovo lui, si incazza e tuona come ai vecchi tempi. Perché tutto ciò? La risposta è evidente, perché il M5S sta tentando, in tutti i modi, di sfuggire ad un principio che, volenti o no, ancora esiste e costituisce un caposaldo di ogni democrazia: la responsabilità politica. Se esiste un’organizzazione, un movimento, un partito, dev’essere sempre possibile individuare chiaramente chi, in esso, prende le decisioni politiche e se ne assume, di conseguenza, tutta la responsabilità. Perché è solo in questo modo che i cittadini potranno valutare l’operato di quel partito o di quel movimento. Questo  deve valere anche per i 5 Stelle. Se c’è un Direttorio, e se è esso che è responsabile, è solo lui che deve decidere. Se è Grillo a decidere, allora deve assumersi lui in persona la responsabilità politica delle sue scelte, e non fare “passi indietro”. 

    La domanda è: visto il totale fallimento del Direttorio, ha  Grillo il coraggio di assumersi questa responsabilità? Pare di no. Lui è il “garante”.  Risultato: nessuno è responsabile delle decisioni che il Movimento prende. Ecco perché è venuto il momento che qualcosa cambi definitivamente. Se Grillo vuole guidare il M5S, allora deve smetterla di “gestire” le cose a distanza, senza comparire mai se non per mettere le “pezze” quando la situazione, come a Roma, precipita. È lui che ha fondato il Movimento, che ha trascinato i cittadini nelle piazze: si assuma allora, ora che Casaleggio non c’è più, la leadership di questo nuovo partito. E non dica che questa parola non esiste nel Movimento. Leadership significa, nelle democrazie odierne, anzitutto visibilità. Significa anche smetterla di fingere di non impegnarsi mai nelle decisioni, salvo poi intervenire dando degli imbecilli a quelli che sbagliano. Significa guidare davvero il movimento come fanno tutti gli altri capi politici,  significa non solo fare campagna elettorale e  organizzare gli attivisti, ma darsi un programma politico preciso e regole interne, significa soprattutto assumersi tutta la responsabilità per ciò che i dirigenti del partito fanno e per come gli amministratori del partito  si comportano. 

    Grillo avrà  il coraggio per fare tutto questo? O continuerà a rompere di tanto in tanto i coglioni, come se fosse ancora il comico che sbraitava contro le multinazionali e le compagnie telefoniche?  Ma è uno spettacolo già visto, e  non fa più ridere.

martedì 20 settembre 2016

Paolo Becchi: «Il M5s non può bloccare Virginia Raggi».

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Continua su Libero di venerdì 16 settembre 2016 l’analisi di Paolo Becchi sulle evoluzioni e le giravolte del M5s. Si considera «le minacce di multe e ritiro del simbolo» che graverebbero su Virginia Raggi, che di certo all’indomani della sua schiacciante vittoria elettorale non naviga in acque tranquille, ovvero il suo “carro” dimostra di avere imbarcato i più variopinti personaggi. A furia di espellere, indignare, allontanare, emarginare tutte le competenze che potevano trovarsi all’interno del M5s, ci si trova con un gruppo di Talebani al governo oggi della Città di Roma, domani forse alla guida del paese, senza una capacità progettuale, senza un pensiero e una strategia politica: tutti gli ingredienti per una tragedia colossale. Tra le assurdità prodotte dalle Menti Occulte del M5s è da includere anche il regolamento elettorale interno e un sistema di penali non azionabili.

 AC

I numerosi inciampi della giunta pentastellata romana, accompagnati dalle tensioni tra l’entourage capitolino ed sindaco e i vertici di quello che ormai possiamo definire senza alcun dubbio il partito pentastellato, hanno portato i media in questi giorni ad evocare la possibilità di un esautoramento della Raggi in forza di quanto previsto nel «Codice di comportamento dei candidati del M5S alle elezioni di Roma 2016», sottoscritto dall’allora candidato sindaco.

L’eventualità è talmente concreta da aver spinto il sindaco a richiedere un parere ad uno studio legale della Capitale. Già questo porta a ritenere che le tensioni siano tutt’altro che risolte e che si sia raggiunta solo una tregua armata tra il sindaco e i vertici del partito. Non sono a conoscenza di quale sia stato il parere espresso dagli avvocati cui si è rivolta la Raggi, ma posso affermare con certezza che il Codice di comportamento non vincola giuridicamente in alcun modo il sindaco di Roma e che pertanto una sua eventuale violazione avrebbe tutt’al più conseguenze politiche che, come ben si sa, dipendono esclusivamente dai rapporti di forza. Cerco di fare qui un po’ di chiarezza perché i giornaloni in questi giorni in cui tutti i giornalisti sono d’improvviso diventati esperti del M5S, hanno scritto al riguardo solo fuffa.

Gli impegni in questione vincolano il sottoscrittore esclusivamente sotto un preteso profilo etico, ma sono in questo caso del tutto irrilevanti perché in palese contrasto con i princìpi giuridici previsti dal nostro ordinamento, in particolare il principio di autonomia e indipendenza sancito dal testo Unico degli Enti Locali e con lo stesso Statuto di Roma Capitale, fonti normative che dettano salvaguardie non aggirabili da un impegno di tipo privatistico, come è quello assunto dal sindaco. E di tanto doveva pur essere consapevole l’estensore del Regolamento visto che nel Codice in questione gli impegni assunti vengono definiti di carattere (non giuridico, ma) «etico», nulla di più dunque - a tutto voler concedere - di un’obbligazione morale, che è notoriamente incoercibile.

Ma vi è di più. Il Vietnam giudiziario che il Movimento sta vivendo nei Tribunali civili a seguito delle cause intentate da molti espulsi con il patrocinio dell’avv. Lorenzo Borrè, che non sta sbagliando un colpo, dovrebbe sconsigliare i vertici del M5S a impegolarsi in una nuova querelle, dal momento che le criticità del Codice di comportamento non attengono esclusivamente alla cogenza dei vincoli, ma anche al soggetto che potrebbe, nell’eventualità, cercare di farli valere: la ventilata (o minacciata) «revoca» del simbolo postula invero non solo un accertamento giudiziario che certifichi la validità del Codice e l’inadempimento da parte del sindaco, ma - prima di esso - la verifica della legittimità processuale del soggetto che dovrebbe far valere gli obblighi del Codice di comportamento.

E infatti, a ben vedere la dichiarazione di rispetto del Codice, salta subito agli occhi il particolare che essa contiene una serie di impegni a agire di concerto o con l’imprimatur del (cessato) «staff coordinato dai garanti del M5S» e dell’allora corrente diarchia Beppe Grillo / Gianroberto Casaleggio, ma con la morte di quest’ultimo viene a difettare il requisito della collegialità della decisione (il figlio di Casaleggio non succede al padre automaticamente) che costituiva un requisito di garanzia e maggior ponderatezza della funzione diindirizzo politico, funzione che quindi - stando all’interpretazione letterale del Codice etico - non può considerarsi residuata in capo al solo Grillo. Cavilli superabili? Rimarrebbe comunque la necessità di attendere almeno il primo grado di giudizio, se non addirittura tre gradi, per poter vedere (se del caso) legittimamente revocato il diritto di utilizzo del simbolo da parte del sindaco. Ed è noto che in questo Paese durano più i processi che le consiliature comunali...

Insomma: una bella grana che induce a ritenere che nessuno tenterà di togliere il simbolo a Virginia Raggi né la espellerà, né farà valere la penale di 150.000 euro prevista. Il sindaco scelga dunque tranquillamente l’assessore al bilancio senza farsi condizionare, e un nome di assoluto prestigio lo ha nel cassetto. Lo tiri fuori. Roma e i romani non possono continuare ad aspettare. Pensi a loro non al Direttorio. Un nuovo Pizzarotti nella situazione attuale Grillo non se lo può proprio permettere.