domenica 1 novembre 2015

9. Letture: E. BARTOLOMEI, D. CARMINATI, A. TRADARDI: «Gaza e l’industria israeliana della violenza», DeriveApprodi 2015.

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Il titolo stava per essere un’altro: «Quattro amici all’Odradec: Presentazione del libro di..., presente uno degli autori», ma poi avendo già da tempo in mente una scheda di lettura, ha prevalso il format già dato ai post di questo genere. Intanto l’Odradec non è un bar, ma una libreria che ha tratto il suo nome da un personaggio kafkiano. È un ambiente piccolo e raccolto che consente proprio per questo un dibattito fra presentatori del libro, l’Autore e il pubblico composto spesso da amici e conoscenti. Il dibattito sorge spontaneo senza alcuna soggezione. E così è stato anche questa volta per il libro di cui diremo e che dopo averlo già letto sotto l’ombrellone, questa estate, lo rileggeremo ancora una volta per farne estratti significativi, seguiti da nostro commento. Il libro era stato comprato da me in una Libreria Feltrinelli insieme ad un altro di Pappe e Chomsky, che ho letto pure sotto l’ombrellone e che è contestuale a quello degli autori italiani, di cui si dirà qua subito qualcosa, rinviando nel tempo ulteriori e più analitiche considerazioni.

Odradec
Avendo oggi poco tempo da dedicare alla scrittura di questa scheda, entro subito in medias res non tanto del contenuto del libro quanto del dibattito kafkiano che si è svolto alla librerie, fra amici che hanno tutti a cuore la causa palestinese, ma vedute divergenti sulle cause e sulle soluzioni da dare al più spinoso di tutti i problemi del Medio Oriente, alla radice di tutte le guerre passate e presenti, come sostene (vedi altra scheda) Alberto Mariantoni già nel 1991. Cos’è il sionismo? Scartiamo subito le accezioni positivi che addirittura ne fanno il cugino o il fratello del nostro Risorgimento, ossia della mitologia fondativa dello Stato italiano oltre 150 anni fa. Esso fu in realtà una barbara sequela di annessioni allo stato sabaudo-piemontese dei precedenti stati italiani, che avrebbero potuto dare allora vita ad una vera struttura federale, risparmiandoci l’odierno ordinamento regionale che a oltre 40 anni dalla sua istituzione si è rivelato un’industria della corruzione e del ladrocinio, fatta apposta per foraggiare un ceto politico che della politica ha fatto un mezzo per far carriera e fortuna. Purtroppo, la nozione di “mafia” è alquanto riduttiva, essendo impiegata per indicare persone destinate – se acciuffate – a finire nelle patrie galere, ma esclude dalla sua definizione chi sta nelle leve del potere e che però non meno “mafioso” di quanti ricevono il crisma da una sentenza giudiziaria. Tuttavia, la nozione di «Risorgimento» non arrivava a teorizzare una vera e propria pulizia etnica ad opera dei piemontesi che sbarcando in Sicilia e in Calabria, scacciava dai loro paesi siciliani e calabresi per insediarvi comunità di immigrati piemontesi. Anzi, succedeva al contrario: i primi esattori piemontesi delle tasse erano loro ad  essere fatti sparire senza lasciare tracce. Il “Risorgimento” italiano – ci è stato insegnato alle scuole elementari – vedeva risorgere tutti i “fratelli” italiani, che finalmente dopo tanti secoli, anzi millenni, ritrovavano la perduta Unità. In Palestina, nel 1861 la popolazione ebraica autoctona, cioè pur essa araba,  era appena il 3,5 % della popolazione complessiva, seguendo a grande distanza la maggioranza araba islamica (oltre il 90 %) e quella araba cristiana (intorno al 5 %). Vivevano tutte in pace queste componenti, che facevano perfino insieme manifestazioni contro gli immigrati ebrei sionisti che ebbero la strada aperta dagli inglesi, con la Dichiarazione Balfour... fino ad arrivare alla grande pulizia etnica del 1948: tutti quelli che non fossero ebrei se ne dovevano andar via... ed è questa anche oggi l’ideologia fondativa dello «Stato ebraico di Israele», senza la quale Israele non esisterebbe più e tornerebbe a chiamarsi anche sulle carte geografiche «Palestina» o «Terra Santa». Da quelle parti gli immigrati ebrei, venuti per lo più dall’est Europa e che ancora conservano in tasca il passaporto, lo sanno bene e fanno di tutto per sostenere il regime del caos in tutto il Medio Oriente: solo dalla rovina generale, dalla balcanizzazione, dalla guerra reciproca permanente e fratricida di tutti gli stati arabi (oltre 300 milioni di abitanti), Israele può aspirare al suo sogno di realizzare la Grande Israele, in pratica lo stato dominatore ed egemone di tutto il Medio Oriente... E quindi non devono esservi stati rivali e concorrenti, come potevano essere Iraq, Siria, Libia, Egitto (fatto fuori), Giordiania (docile servo)...

La tesi degli autori del libro è che il sionismo è semplicemente «colonialismo di insediamento», quando tutti sanno che ormai il colonialismo nella sua forma classica per lo meno è scomparso dappertutto. A questa tesi si contrappone quella di Gilad Atzmon che suona all’incirca così: il sionismo è «primatismo razziale a carattere globale». Su questa tesi del “colonialismo” gli amici autori del libro sono quanto mai testardi e ostinati e non accettano un confronto con l’altra tesi di Atzmon, che da Abunim, Omar Bargouti (BDS...) è stato addirittura tacciato di “antisemitismo” in un documento reso pubblico in rete. L’accusa viene da “palestinesi” o amici di palestinesi ed è rivolta ad un “sabra”, cioè ad una persona, Gilad Atzmon, che è nato in Israele, è un “ebreo” (ma lui dice di se stesso ex ebreo), aveva il nonno che era un terrorista dell’Irgun e gli aveva servito il sionismo DOC insieme con il latte materno, ha fatto il servizio militare nell’esercito israeliano (ma nella banda musicale), ed all’età di trent’anni ha abbandonato per sempre Israele ritenendo che quella fosse una terra sottratta ai palestinesi. A questa persona i Signori del BDS o pro Palestina hanno mosso l’accusa di antisemitismo! Ovviamente, non stiamo qui ora a dire cosa sia l’«antisemitismo» e tutte le complesse e intricate questioni sulla “identità ebraica” che Atzmon tratta nel suo libro che è certamente di contenuto filosofico, e non storico, ma questo non significa che esso non getti una luce risolutiva su un dibattito storiografico che spesso brancola nel buio, parlando di cose che come i problemi identitari hanno natura filosofica. È una vecchia problematica che richiama i nomi di Augusto Del Noce che proponeva una «storia filosofia» per poter interpretare e comprendere il presente, o Ernst Nolte che scrive libri di storia in senso proprio ma con una interpretazione “transpolitica”. Atzmon - direi - si colloca in questa tradizione di filosofia della storia.

Se la tesi dei due stati, che possano vivere in pace l’uno accanto all’altro, è - come ha lucidamente detto lo stesso Tradardi - è essa stessa una tesi “sionista”, non vi è oggi - dopo oltre venti anni da Oslo – chi essendo intellettualmente onesto non vede che è una vera e propria truffa, che serve a consentire nelle eterne more del “processo di pace” di condurre a termine la “pulizia etnica”, mai cessata dal 1948 ad oggi, come dice in più luoghi lo stesso Ilan Pappe, arroccato pure lui sulla tesi del “colonialismo”, ma con ampie aperture al riconoscimento del contenuto “razzista” del sionismo. E se dunque non è più da discorrere sulla fattibilità e plausibilità dei Due Stati, cosa altro allora? Risposta di Tradardi e degli autori del libro ma anche di un ampio strato fra i sostenitori della causa palestinese: lo Stato Unico dove tutti, ebrei e palestinesi, e tutti quelli che vogliono popolare quella striscia di terra, possano vivere con eguali diritti, volendosi bene e “scurdandosi o passato”. Mi sembra per un verso quanto mai ingenuo e non meno “sionista” della tesi dei due stati, e per l’altro verso piuttosto prepotente e “colonialista” pretendendo di sostituirsi alla libera determinazione dei palestinesi stessi e non tenendo conto che meno che mai i “coloni” israeliani accetterebbero lo “stato binazionale”, come vanno chiaramente dicendo... piuttosto tirerebbero fuori dalla tasca il loro passaporto di provenienza e sarebbe l’Europa a doversi gestire anche il problema dei “migranti” di ritorno, “migranti” affatto speciali... La soluzione di Atzmon al problema? Di recente, in questo blog, ha espresso la soluzione dello “scioglimento pacifico” dello Stato di Israele... Non si dimentichi che Lelio Basso aveva proposto la rottura delle relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele. Gli Stati Uniti, ispirati da Israele, sono maestri insuperati nell’arte del “cambio di regime” e dell’abbattimento degli stati, delle sanzioni e simili... Non mancherebbe né la dottrina né la prassi per applicare a Israele gli stessi metodi che ha usato e va usando contro altri Stati, ben più legittimi di quanto lo sia lo «Stato ebraico di Israele», istituito da Stalin e sostenuto da una catena di complicità internazionali oltre che da lobbies potentissime in grado di influenzare e tenere sotto scacco i governi degli stati. Poiché non parlo a fantasia, cito per tutti il volume di Mearheimer e Walt, cui sarà dedicata un’apposita successiva scheda di lettura, ma di questo volume ci eravamo già occupati. Del resto, lo stesso Tradardi ha portato nel corso del dibattito nuovi elementi di conoscenza sull’opera di infiltrazione dell’Hasbara nel nostro paese: si tratta di inserire anche questi dati in una schema più generale di interpretazione, cosa che invece Atzmon fa, quando parla dell’essenza del potere ebraico, un potere che consiste nel fatto che non se ne possa e non se ne debba parlare.

La tesi del sionismo come “colonialismo di insediamento” è poco convincente anche per un motivo alquanto semplice. Quando si dice “colonialismo” occorre risalire a una “madrepatria”, dalla quale partono i coloni per occupare una terra lontana, abitata o non... È quale sarebbe la “madrepatria” in questo caso? La Gran Bretagna? I diversi paesi dell’Est Europa? L’Italia? Dunque, lo «Stato ebraico di Israele» sarebbe una “colonia” dell’Italia? Non viceversa?... Sono tante le assurdità cui si va incontro a voler prendere seriamente in considerazione una simile tesi che nasce dalla timidezza, a vole essere generosi, davanti a conclusioni che non è difficile trarre sulla base di fatti evidenti che si offrono ogni giorno davanti ai nostri occhi, ma anche sulla scorta di una serena ed oggettiva ricognizione storica, poniamo dal 1861 in poi, delle vicende che hanno martoriato la Palestina.

(segue)

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