lunedì 14 luglio 2014

Recensione: Ronald Dworkin, Religione senza dio. -

Ronald Dworkin, Religione senza Dio, Il Mulino, Bologna 1914, pp. 134, € 13,00

Come scrive Salvatore  Veca nel breve saggio introduttivo, la tesi che Dworkin espone in questo libro “genera un’interpretazione della religione o, meglio, dell’atteggiamento e del punto di vista religioso che, sul piano valoriale, accomuna persone che hanno credenze etiche basate sulla credenza in Dio e persone che hanno credenze etiche che non dipendono dalla credenza in un qualche dio. Il nucleo della condivisione coincide con la duplice risposta al valore intrinseco delle vite che abbiamo da vivere e al valore intrinseco dell’universo di cui facciamo parte” e che “la libertà religiosa può essere reinterpretata in modo più inclusivo e comprensivo come indipendenza etica delle persone, siano esse credenti in una religione con Dio o senza Dio”.

Dworkin scrive nel primo capitolo che “La religione è più profonda di Dio: questo è il filo conduttore del libro. La religione è una visione del mondo profonda, speciale ed esaustiva, secondo la quale un valore intrinseco e oggettivo permea tutte le cose; l’universo e le sue creature suscitano meraviglia; la vita umana ha uno scopo e l’universo ha un ordine”. E il fascino della divinità “derivava dal fatto che si pensava riuscissero a infondere valore e finalità nel mondo. Tuttavia, come sosterrò, la convinzione che il valore riceva l’avallo di un dio presuppone l’adesione alla realtà indipendente di tale valore. Un’adesione, quest’ultima, possibile anche per i non credenti. Perciò i teisti condividono con alcuni atei un impegno che è più fondamentale di ciò che li divide, e proprio questa fede condivisa potrebbe gettare le basi per una migliore comunicazione fra di essi”.

L’atteggiamento religioso – scrive Dworkin, “in definitiva riposa sulla fede … Ho affermato ciò principalmente allo scopo di mettere in risalto che anche la scienza e la matematica sono, allo stesso modo, questioni di fede”. Le religioni monoteiste “giudaismo, cristianesimo e islamismo – hanno due componenti: una scientifica e una valoriale”; la seconda “offre un certo numero di convinzioni su come le persone dovrebbero vivere e a che cosa dovrebbero dare valore. Alcune di queste sono convincimenti teologici, cioè convincimenti che sono parassitari rispetto all’assunto che esista un dio e che non avrebbero senso senza di esso”.

Quindi componente “scientifica” (cioè attinente a “giudizi di fatto” e non a scelte di valore), ma anche componente valoriale; “…Ma altri valori religiosi non sono teologici in questa maniera:sono almeno formalmente indipendenti da qualsiasi dio. I due valori religiosi paradigmatici che ho identificato sono indipendenti in questo senso”. Quel che conta realmente è che “la componente scientifica della religione convenzionale non può fondare la componente valoriale perché – per dirla in breve, almeno per ora – esse sono concettualmente indipendenti”.

Abbiamo cercato di sintetizzare al massimo le tesi del giurista americano; quanto ai problemi che pongono, non sono novità, ma fondati su interrogativi, risposte, convinzioni da secoli trattati dal pensiero occidentale.

Ad esempio il carattere della religione (e della teologia) di “fondazione” delle comunità umane, condiviso da Machiavelli, Vico, Hauriou, solo per citare alcuni dei tanti che se ne sono occupati. In tal senso le “novità”introdotte da Dworkin sono che è religione anche l’ateismo; l’effetto “costituente” che accomuna credenti e non credenti, quest’ultimi purché dotati di fede nei valori necessari all’esistenza comunitaria. Scrive Dworkin “Ciò che differenzia la religione devota a un dio da quella senza dio, cioè la scienza della religione di dio, non è altrettanto importante della fede nel valore che le accomuna”; che i valori sono tanto più costituenti quanto più sono percepiti come oggettivi “L’atteggiamento religioso rifiuta tutte le forme di naturalismo; sostiene che i valori sono reali e fondamentali e non mere manifestazioni di qualcos’altro”.

Tali affermazioni sono state formulate da secoli. Il carattere forte e politicamente fondante dell’ateismo (identificato nel socialismo) da Donoso Cortès; lo stesso la fede in idee, valori (da Donoso Cortès a ritroso in un certo senso già con Vico e  successivamente con Pareto e Mosca); il carattere “valoriale” e “non scientifico” ma fondante della “fede”, da tanti, tra cui Pareto.

A questo punto c’è da chiedersi quale sia l’effettiva “novità” di questo libro di Dworkin. La “novità” è che il giurista americano considera decisivo il rispetto delle scelte etiche individuali, facendone, secondo la tradizione liberale della libertà di pensiero (anche etico) il punto centrale della pacifica convivenza tra gli uomini. Questo è (tendenzialmente) vero per una società moderna, ma è (anche in questa) riduttivo perché insufficiente. Ossia l’ “indipendenza etica” sia come diritto verso gli altri, sia verso lo Stato è un importante “pezzo” dell’assetto valoriale della modernità, ma non basta. Anche perché è sbilenco verso il privato: in sostanza è una “libertà da”, e come tutte le “libertà da” costituisce un limite al potere pubblico, ma serve solo a metà a esercitarlo e legittimarlo. Per far questo occorre un insieme di principi, valori, sentimenti che attengano alla sfera pubblica, alla res publica. E che (spesso) si sostanziano sia in diritti (di partecipare alle scelte pubbliche) che in doveri (ad esempio difendere la comunità fino al sacrificio personale). E non basta neppure una condivisione di “valori”, occorre quella di esistenza e di storia.

L’altra novità è che, contrariamente a quanto ritengono tanti giuristi, anche quelli più ammirati delle sue idee, Dworkin ritiene insostituibile un senso di credenza, di fede per costituire e consolidare una comunità, peraltro rapportando il tutto  a diritti concreti e libertà reali.

In tempi di normativismo, di norme e procedure (e poco altro) anche questa è una (vecchia) novità. E non è poco. 
Teodoro  Klitsche de la Grange


Nessun commento: