mercoledì 29 maggio 2013

Pensiero ribelle: una recensione di Klitsche de la Grange ad Alain de Benoit.

Alain de Benoist, Pensiero ribelle (vol. II), Controcorrente, Napoli 2012, pp. 446, € 30,00.

Esce il secondo volume di “Pensiero Ribelle”, antologia di brevi saggi, interviste ed articoli  di de Benoist che spazia per tutti gli interessi (e sono tanti) dell’autore e per argomenti che vanno dall’attualità (degli ultimi quindici anni) alla storia delle idee, a considerazioni su pensatori del XX secolo. Il carattere antologico e l’“ampio spettro” degli argomenti non consentono di fare un’analisi unitaria, se non per ricordare l’esigenza che per un pensiero ribelle con possibilità d’incidenza e successo occorre seguire due regole (che i lettori di altri lavori di de Benoist conoscono): non sbagliare epoca, ossia non affrontare le difficoltà del presente con modelli del passato; e non sbagliare nemico (cosa in cui cade l’Europa e l’Italia in particolare). Perché il nemico non è l’islam né le altre civiltà del pianeta, ma è l’Occidente, e le estreme propaggini del pensiero occidentale, in piena decadenza. Come scriveva un acuto giurista francese come Maurice Hauriou le crisi (epocali) sono provocate dal denaro e dal pensiero critico (e sterile). E nell’attuale fase della storia europea (e non solo) c’è la prevalenza di entrambi.

Due eccezioni, per l’importanza che rivestono, occorre però farle (per il resto si rinvia al volume, così denso di pensiero).

Alain de Benoist
La prima è sul liberalismo. Sostiene de Benoist, rispondendo alla domanda dell’intervistatore sul giudizio che da sul liberalismo “Per riprendere una nota formula, un giudizio ‘globalmente negativo’! Bisogna tuttavia sapere di cosa si parla. Se per ‘liberale’ si intende ‘tollerante’, o ancora ‘ostile alla burocrazia’ non avrei evidentemente nessuna difficoltà a riprendere, per quanto mi riguarda, il termine. Ma lo storico delle idee sa bene che tali accezioni sono triviali”, perché occorre caratterizzare il liberalismo, sia pure in poche righe: “Filosoficamente, il liberalismo è anzitutto una dottrina individualista, le cui radici vanno cercate nel pensiero nominalista, il quale afferma che ‘non c’è essere al di là dell’essere singolare’… la società nascerebbe in maniera contrattuale, in forma di patto razionale che degli individui sottoscriverebbero liberamente… Se ne deducono subito parecchie conseguenze: che l’individuo è titolare di diritti dipendenti dalla propria natura, e dunque anteriori alla formazione del corpo sociale; che questi diritti sono ‘inalienabili e imprescrittibili’, di modo che ogni potere che non li consideri come tali è illegittimo”. Per cui si intrecciano nel liberalismo “tutta una serie di temi – razionalismo, utilitarismo, universalismo-egualitarismo, ecc. – ricorrenti nel pensiero liberale. Sono quei temi che, come lei sa, hanno fornito alla modernità i suoi fondamenti concettuali”. A questo de Benoist oppone che “Per me, l’uomo è un ‘animale sociale’ la cui esistenza è consustanziale a quella della società… non c’è dunque alcun titolare di diritti fuori dalla vita sociale, e in quest’ultima non ci sono che beneficiari. La vita economica rappresenta non una ‘sfera’, ma una dimensione della vita sociale, che ogni società tradizionale pone per di più al livello più basso della sua scala di valori”. E la politica è il luogo della sovranità e della legittimità-. La società “non è la somma degli atomi individuali che la compongono, ma, in una prospettiva ‘olistica’, un corpo collettivo il cui bene comune prevale, senza sopprimerli, sui soli interessi delle parti”. E la stesa libertà, in una prospettiva che deriva dalla “libertà degli antichi” così definita da B. Constant “non si definisce come la possibilità di sfuggire all’autorità politica o di sottrarsi alla vita pubblica, ma come la possibilità di parteciparvi”. Sul piano economico il pensatore francese critica il liberalismo e, ancor più, la mitizzazione del mercato, anche se “Storicamente parlando, il sistema capitalista si è mostrato incontestabilmente più efficace dei sistemi economici dei ‘paesi del socialismo reale’”. Indubbiamente del capitalismo si possono sottolineare molti elementi negativi, ma resta l’incontestabile superiorità sul comunismo. Tuttavia l’efficacia non è un fine in se “Essa definisce sempre soltanto i mezzi utilizzati per raggiungere un fine, senza dirci niente del valore di questo fine. Sembra proprio che qui la finalità sia la produzione di un numero sempre crescente di merci”. E il fine suddetto è estraneo a tutte le culture tradizionali. De Benoist non è contro il mercato; rifiuta che la logica del mercato prevalga su tutte le altre. “Per usare una formula, sono per una società con mercato, ma contro una società di mercato”.

La seconda è l’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo de Benoist questa “pretende di regolare problemi politici su una base puramente giuridica, Questa pretesa ignora la natura del politico la sua essenza è appunto di non dipendere da alcun principio che non gli sia proprio”. E, in effetti, appartiene alla natura del politico la capacità ordinatrice ossia di proteggere e dare un ordine alla comunità (anche) attraverso il diritto (è questo che dipende da quello non viceversa). Peraltro il diritto naturale moderno è sostanzialmente diverso da quello dell’antichità greco-romana “Per gli antichi, il diritto si definisce come l’equità in seno a una relazione: la giustizia consiste nell’attribuire a ciascuno la parte che gli spetta. È dunque un diritto oggettivo. L’ideologia dei diritti si fonda, al contrario, sull’idea di un diritto soggettivo, che appare solo tardivamente nella storia… Questo diritto soggettivo ha origine nel nominalismo, che costituisce la matrice originaria dell’individualismo moderno. Per Guglielmo di Occam, il diritto non è più un giusto rapporto tra le cose, ma il riflesso di una legge voluta da Dio… c’è uno sfondo religioso dell’ideologia dei diritti dell’uomo – il che, d’altronde, non le impedirà di formularsi storicamente in un contesto nettamente ostile alla religione. Si potrebbe ancora aggiungere che l’ideologia dei diritti è, con ogni evidenza, diventata una religione secolare”. Di fatto tale ideologia diventa la “derivazione” paretiana dell’estensione planetaria del capitalismo, cui fornisce l’ideologia umanitaria di cui ha bisogno. “Non è più in nome della ‘vera fede’, della ‘civilità’, del ‘progresso’, se non addirittura del ‘pesante fardello dell’uomo bianco’ che l’Occidente si crede autorizzato a dettare legge sulle pratiche sociali e culturali esistenti nel mondo, ma in nome della morale incarnata dal diritto”. La quale tende a creare un nuovo dispotismo: quello in nome del bene “la trasformazione del diritto internazionale sotto l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo non permette ai deboli di fronteggiare meglio i potenti, ma fornisce ai potenti un pretesto per aggredire i deboli che li disturbano. È ciò che vediamo oggi in Iraq. All’interno delle nostre società,  l’ideologia dei diritti dell’uomo permette di instaurare a poco a poco, in perfetta buona coscienza, una società di sorveglianza generalizzata”.

Nel complesso, come tutti i libri di de Benoist è pieno di idee (originali)ed è quindi una boccata d’aria fresca nel contesto di un’epoca di decadenza, che, per riportarci a una frase dell’autore “produce essenzialmente bruttezza, menzogna e viltà”.

Teodoro Klitsche de la Grange

sabato 11 maggio 2013

Sullo “ius soli” ed altro - L’attacco mediatico generalizzato contro il Movimento

 Post in elaborazione.

Ormai sono così numerosi i media che ad ogni ora del giorno sparano contro il Movimento Cinque Stelle che sarebbe proprio impossibile controbattere ad ognuno di essi ed ai singoli personaggi, stipendiati, che vengono mobilitati allo scopo. Forse è proprio ciò che vogliono: il singolar tenzone. Ma sarebbe un grande spreco di energia personale: ed è forse proprio questo che vogliono!

L’oscenità istigatrice in TV
Avrei incominciato con un taglio diverso se non avessi appena visto un signore della 7 (credo una Coffee Break), attorniata da diffamatori di professione che parlavano di “violenza verbale”, addossando questa colpa ad un terzo rigorosamente assente. Credo che sappiano quale sia la reazione di non pochi telespettatori nel vedere i loro volti impuniti e rivoltanti. Lo sanno e se ne infischiano allegramente. Il Movimento fa paura e loro ce la mettono tutta nel restringere l’area del consenso almeno in quelle fasce di pubblico che possono da loro venire influenzate... Ma non era di questo che volevamo parlare, bensì di un tema che cercheremo di trattare il più brevemente possibile.

Nella giornata di ieri due sono stati i temi di attacco contro Grillo, temi che vedo continuano ancora oggi. Intanto, mi ha sorpreso vedere in diretta che la giornalista di RaiNews24 che ha fatto la domanda a Letta era la stessa presente al momento della sparatoria di Preiti in piazza Montecitorio. La domanda a Letta nel corso della conferenza stampa congiunta con Schultz mi è parsa del tutto fuori tema. Per Preiti io non arrivo a pensare che fosse qualcosa di organizzato dai servizi segreti. Credo invece nella spontaneità e normalità del tragico fatto: un disoccupato disperato che voleva farla finita in quel modo, anziché con un suicidio anonimo e solitario, magari accompagnato da un dicreto biglietto: "scusate, per il disturbo!”  Così piacciono i suicidi al nostro ceto politico, a vertici delle istituzioni, sempre in prima fila ai funerali.

Non credo ad una montatura di regime sulla pelle di un disperato, mi sembra alquanto improbabile una simile messa in scena, ma credo invece all’uso strumentale di tutto ciò che accade, fosse anche una foglia caduta dall’albero, da parte dei media di regime. Un tempo si diceva per indicare la deontologia giornalistica: “i fatti separati dalle opinioni”. Ed era già abbastanza difficile perché un fatto ha sempre bisogno di essere interpretato da una mente umana e le interpretazioni di uno stesso fatto possono essere mutevoli. Ma qui, ormai, non si tratta più di interpretazione, bensì di forzatura vera e propria di ogni fatto per farlo tornare utile al proprio padrone o datore di lavoro. È come se a ogni notizia un giornalista o un direttore di giornale o di tv dicesse a se stesso: come posso far tornare utile alla mia parte questa notizia? È un riflesso condizionato che si svolge in modo istantaneo. Il cervello funziona secondo questo schema ed è inutile aspettarsi la famosa “oggettività”, che una volta mi è capitato di veder respingere con sdegno dal direttore di una nota radio: lui non era e non voleva essere “oggettivo”, bensì “soggettivo”! Se ne faceva un vanto ed una bandiera.

Sarebbe improbo seguire tutti i talk show o leggere i giornali online o su carta. Basta prenderne a caso pochi e si ha la constatazione di un fuoco quotidiano contro il Movimento. È vera e propria guerra mediatica, guerra ideologica. Ed hanno poi l’incredibile faccia tosta di addossare al Movimento la “violenza verbale”, preludio alla violenza fisica, e la pratica dell’insulto. Vi è da sperare che questa campagna di diffamazione sempre più scoperta si ritorca contro, facendo perdere in credibilità tutto il sistema dei media. I cittadini si potrebbero convincere della giustezza della proposta del movimento di togliere ogni finanziamento pubblico a giornali e televisioni, a disciplinare il budget pubblicitario e quanto altro per ottenere una informazione davvero indipendente, posta al servizio dei cittadini e non complice della loro oppressione e manipolazione. Le stesse risorse così risparmiate potrebbero essere destinate al potenziamento della rete, con effetti benefici sull’economia e l’occupazione. Ma lo sanno e lo temono. Da qui la loro reazione feroce come mai si è visto prima.

Lo ius solis, dicevamo. Cosa dunque? La posizione di Beppe Grillo è quanto mai improntata a buon senso, ma si è attirata l’ostilità di SEL che rimprovera al Movimento di essere sulle stesse posizioni di «Fratelli d’Italia», dove molto mi fa sorridere questa espressione scelta come simbolo e bandiera politica. Si tratta in realtà di tre posizioni distinte su uno stesso argomento.

A SEL e a «Fratelli d’Italia» si può ascrivere una posizione ideologica a fronte di una impostazione pragmatica ed anti-ideologica del Movimento Cinque Stelle. In SEL si trovano i residuo di quel vetero comunismo che aveva la sua categoria concettuale fondamentale nella Classe ovvero nel Proletariato. Per il concetto di «classe» è del tutto inesistente l’idea di «cittadinanza» e comunità nazionale. Sono tutti “operai”, “borghesi”, oppure “capitalisti” e poco importa il colore della pelle, la lingua, le tradizioni, la religione, i costumi... tutti piccoli ed irrilevanti dettagli. Per cui se i mille stupri che ogni giorno pare avvengano nel Congo – patria di origine del neoministro che ha messo all’ordine del giorno la concessione della cittadinanza per ius soli – vengono a partorire in Italia, magari con un ponte aereo disposto allo scopo dalla neoministra, noi avremmo mille nuovi cittadini italiani al giorno.

In una trasmissione della famigerato Zanzara – la stessa che ha teso l’agguato al Prof. Becchi – il più scaltro Roberto Fiore, leader di Forza Nuova, ha proposta alla nuova ministra di ritornarsene in Congo per fare opera di contrasto a questo incredibile numero di stupri quotidiani. Naturalmente, su Fiore sono piovute le prevedibili accuse di razzismo, che poco però hanno turbato il destinatario. Il problema esiste ed è serio, ma per gli accennati pregiudizi ideologici è inutile aspettarsi una soluzione da una forza politica, il SEL, che con il 3 % dei voti ha messo sul seggio di presidente della Camera una Boldrini, che fin dai primi giorni è uscita da ogni riserbo istituzionale per rivestire i panni della Pasionaria. Ma che “pasionaria”! A senso unico diremmo. Di lei si sa, si è detto, che viene dagli uffici ONU di assistenza ai profughi. Ma quali profughi? Nella nostra epoca i «profughi» per antonomasia sono i 750.000 palestinesi che con una operazione di autentica «pulizia etnica» (Ilan Pappe) sono stati espulsi dalla Palestina, consentendo in tal modo la nascita dello «Stato ebraico d’Israele», subito ricevuto dalla Boldrini, senza fare nessuna menzione a quei profughi che malgrado un riconoscimento ONU attendono ancora di poter rientrare nelle loro case di cui conservano le chiavi e gli atti proprietà e nel loro villaggi, ahimé distrutti e di cui Beppe Grillo ha fatto vedere le immagini. Da qui l’ostilità ebraico-israeliana verso Beppe e verso il Movimento, da qui l’azione ostile di una Lobby che ha il controllo dei media, non sono in Italia.

Diverse le matrici ideologiche di «Fratelli d’Italia», che si possono far risalire per grandi alla dottrina fascista della razza, ma soprattutto hanno analogie con lo “ius sanguinis” dei coloni americani che hanno cancellato dal suolo americano la popolazione amerinda per un verso, e per l’altro con i coloni israeliani che in virtù di un loro peculiarissimo “ius sanguinis” vogliono estirpare dal suolo qualsiasi traccia degli autoctoni palestinesi. Si tratta di una ideologia quanto mai miserabile che ha prodotto nove parlamentari, cui i media fanno da cassa di risonanza come fossero 90. A fronte di queste due diverse posizioni ideologiche la posizione del Movimento ha per così dire una connotazione “geografica”. Per usare l’immagine precedente delle donne congolesi quotidianamente stuprate, l’Italia diventerebbe una regione del Congo se con assistenza ministeriale e ponte aereo ogni giorno sbarcassero mille stuprate congolesi per partorire nei nostri ospedali ed in tal modo acquisire la cittadinanza italiana. Lo stupro in Congo potrebbe diventare un passaporto per la cittadinanza italiana. Ci diranno che abbiamo forzato l’immagine, ma pare sia stato lo stesso presidente Grasso – collega della Boldrini – ha parlare di “puerpere”. Che vuol dire? Di quali puerpere si tratta? Giunte in Italia come?

Naturalmente, gli italiani – in buona parte cattolici – possono ben sentirsi “ecumenici” ed aprire le porte d’Italia alle genti di ogni parte del mondo, senza se e senza ma, sulla base di un “diritto universale alla cittadinanza”, che fa parte dell’ideologia politica di SEL, ma è giusto che siano essi stessi con un referendum a deciderlo, e non quattro parlamentari che hanno solo a cuore le loro ristrette vedute e che poco si curano degli effettivi interessi degli italiani. Questo ha detto Beppe Grillo ed sono parole improntate a italico buon senso.


venerdì 10 maggio 2013

Il nipote di Gianni che risponde a Beppe Grillo su Rainews24 su “popolo”, “sovranità popolare”, “colpo di stato”.

Ho appena visto una giornalista televisiva di RaiNews24, che con una dichiarazione attribuita a Beppe Grillo si porgeva ammiccante a Enrico Letta, nipote – non di Rameau – ma di Gianni Letta, sottosegretario di Berlusconi, per averne una risposta di comodo, per la quale non era previsto il contraddittorio, seduta stante e nella stessa sede contestuale. Noi non abbiamo nessuna delega a replicare per conto di Beppe, ma abbiamo sufficiente autonomia di giudizio per i nostri apprezzamenti. Al momento non abbiamo neppure il contesto originale delle affermazioni attribuite a Grillo dalla giornalista televisiva: quella del “colpo di stato” a noi nota, e di cui ci eravamo occupati nel Forum del Movimento, era vecchia ed oggi sul blog non leggiamo aggiornamenti al riguardo. Ma la sostanza non cambia: tanto si è parlato di giaguari e leopardi che ormai le parole non solo sono prive di senso, ma hanno bisogno di un timbro governativo per poter circolare. Fra poco verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il vocabolario e le espressioni che gli italiani possono usare senza incorrere in sanzioni. Altro che colpo che di stato! Qui si è abolito l’elementare diritto alla libertà di pensiero, di espressione e di critica politica.


Inoltre, ormai parlare di “sovranità popolare” è una vera e propria burla, altro che “insulto”. Del popolo italiano e della sua sovranità ci si fa beffe, perché in pratica non si ritiene che esista per davvero e dunque tutti vi si possono appellare, sapendo che nessuno mai risponderà né per assentire né per dissentire. Ciò che veramente interessa è che il popolo non si possa ribellare, non faccia “eversione”. La vera e più autentica immagine di cosa il «Potere», all’interno del suo «Palazzo», ci è stata offerta dall’ineffabile Gasparri con il suo dito media alzato dietro sbarramenti di poliziotti armati di tutto punto: di qua Lui e di là il Popolo italiano.  Come l’araba fenice, che ci sia ognuno lo dice dove sia e come stia e viva e cosa mangi, se e quando mangia, a nessuno di costoro importa per davvero.  Al popolo italiano ed alla sua sovranità che loro stessi rappresenterebbero i Letta, zio e nipote, possono attribuire tutto e il contrario di tutto...

Il solo popolo che risponde è quello detto grillino, ma appunto a questo popolo, governo e sua stampa, offrono quotidiani “insulti” e menzogne, mentre ogni giorno il popolo vero si esprime con suicidi e fallimenti... I Letta se la prendono comoda: a giugno, a settembre, fra 18 mesi... La quotidianità dell’esistere non gira nei loro orologi e non è segnata nei loro calendari. Non ci resta che aspettare alla prova dei fatti le mirabolanti promesse del Nipote, che non ha certo potuto negare la sua parentela, ma ne ha solo rettificato la durata: non venti anni, durata della relazione politica dello zio Gianni con i governi di Berlusconi, ma 46 anni retrocedendo all’anno di nascita di Enrico. Ed è anche questa una ammissione importante. In Italia, conta molto in quale famiglia si nasce: il destino individuale è in buona parte segnato, nel bene e nel male. Si è pure detto che negli USA – nostro modello – è normale che una stessa famiglia, a guisa di una casata nobiliare, tiri fuori non pochi leader politici: i Kennedy, i Bush. Anche qui con una differenza importante: almeno sono dello stesso partito! In Italia, rispetto alla famiglia, la militanza partitica è indifferente, o meglio i differenti e opposti partiti, rigorosamente “avversari” e mai “nemici”, sono in realtà uno stesso identico partito, come i Letta – zio e nipote – dimostrano anche con la prova del DNA.

Altra risposta del Nipote è su una imitazione del programma politico del Movimento: il taglio della indennità ai ministri, per decreto. E viene rinfacciato a Beppe di non riuscire ad ottenere dai suoi parlamentari la rinuncia ad ogni emolumento sopra i 3000 euro netti. Non è proprio così, ma non è questo il punto che ci interessa. D’intesa, stampa e regime, stanno giocando la carta di far apparire in dissenso Beppe Grillo ed i suoi parlamentare, ed il Movimento con il Movimento. Questo gioco è stato iniziato da Bersani, accompagnato dal Nipote, i quali erano andati per rompere, per spaccare il Movimento, e si sono trovati proprio loro spaccati ed allo sbando. Dovranno essere proprio bravi a raccontargliela al loro elettorato, almeno a quella parte che non vive direttamente con il finanziamento pubblico, sul quale in Nipote non annuncia nessun decreto. Si può obiettare che Beppe non può disporre di decreti, per impegnare ad un patto liberamente sottoscritto dai parlamentari Cinque Stelle che risponderanno agli Attivisti del loro operato. Ma se il Nipote vuole andare avanti nella imitazione del programma di Cinque Stelle può andare per decreto ben oltre. Non solo al taglio del finanziamento pubblico dei partiti e dei loro giornali, ma anche nell’istituzione del “politometro”, che ha una retro-attività fino ai 20 anni. Sempre per decreto, il Nipote potrebbe chiedere la restituzione delle indennità a ministri e sottosegretari fino a 20 anni fa, quando appunto iniziò l’era dei Letta, zio e nipote, uno con il PD (o precursori) e l’altro con il PDmenoL.

E veniamo al presunto “colpo di stato” e alla presunta “figuraccia” di Beppe, che non sa nulla del Cile, dove vi fu un “colpo di stato”, che invece non si è ripetuto in Italia, quasi che un “colpo di stato” abbia una ed una sola modalità. Ma cosa significa poi in fondo questo “colpo di stato”? Inutile stare a sentire i costituzionalisti, i quali ci spiegheranno che le procedure seguite sono state tutte regolari e legittime ed è pertanto un parlare a sproposito. Ma Grillo lo dice e molti lo pensano che qualcosa di strano è stato fatto. Ed allora vediamo cosa può sembrare tanto strano da essere percepito come “colpo di Stato”, poco importa se non secondo il modello cileno o ungherese. Del Movimento Cinque Stelle, che ha ottenuto da nulla il 25 % risultando di botto il primo partito italiano, che già per questo avrebbe avuto titolo a formare il governo, si sa ormai a iosa e senza speranza che non lo si può utilizzare a formare nessuna coalizione, volendo il Movimento mandare a casa tutti gli altri, che ormai se ne sono convinti e se ne sono fatti una ragione. Se al 25 % del Movimento si aggiunge il 25 % degli astenuti, il cui voto si può pure interpretare come anti-sistema, ne viene fuori una maggioranza reale che non si può “scongelare”, “addomesticare” o “responsabilizzare”. E cosa succede se questa maggioranza reale converge verso un reale “cambiamento”, che ha tutto il carattere di una rivoluzione tanto vera e radicale quanto legittima? Poco ci manca e lor signori lo sanno. Ed ecco che succede ciò che contraddice clamorosamente quanto era stato detto da almeno venti anni a questa parte: l’alleanza PD-PDL! Non è questo un “colpo di stato” in barba a quei coglioni di italiani che vengono spinti nei recinti bestiame dove mettono una croce sulla scheda? Si badi bene che il Movimento Cinque Stelle con il suo principio “uno vale uno” propugna una forma di democrazia diretta ed il superamento della rappresentanza politica, che è in realtà una forma dell’oppressione sempre più intollerabile ed ingiustificata in un’epoca in cui si può organizzare l’«intelligenza collettiva» di un popolo, un’intelligenza che ha solo bisogno di essere liberata dalla menzogna. Lo hanno capito ed hanno azionato le procedure per scongiurare la “rivoluzione francese senza ghigliottina” impersonata dal Movimento Cinque Stelle, contro il quale da settimane è stata lanciata la strategia dell’«insulto» – questo sì che è vero “insulto” –, della denigrazione, della diffamazione, della disinformazione allo scopo di ridurre nel tempo l’area del consenso possibile. Se il Movimento continua a crescere, anche solo di pochi punti, il pericolo aumenta per il regime: occorre perciò prender tempo. La crisi, il disagio sociale, è l’ultima cosa che interessi a questi signori. Ciò che vogliono è di avere un poco di ossigeno, un poco di respiro, sperando e facendo di tutto affinché la marea si abbassi e retroceda. Eccolo, il “colpo di Stato”. Non il modello cileno, ma il modello Gattopardo, che in Italia ha una lunga tradizione. È da prevedere che contro il Movimento si scatenerà tutta la repressione di cui il regime è capace: eccolo il colpo di stato! Sono in pericolo le libertà fondamentali. Eludere la costituzione è un giochino da ragazzi. Si possono affittare tutti i “costituzionalisti” che si vogliono, ben felici costoro di prestare i loro servizi ad ogni offerente.

A testimone della regolarità delle procedure seguite è chiamato il presidente Giorgio Napolitano... chi? La stessa persona che nel 1956 plaudiva ai carri armati che entravano in Ungheria? Cosa era quello? un “colpo di stato”? Una invasione militare?... Cose lontane? E l’aggressione alla Libia, che vide la partecipazione dell’Italia, come ha riconosciuto l’ospite americano Kerry? Il nostro presidente Napolitano ha avuto qualche ruolo? Lui dice che non è stato violato il chiaro dettato dell’art. 11 della costituzione, come non lo è stato in Afghanistan, dove vengono sprecati miliardi di euro che mancano per la copertura della cassa integrazione. Lui lo dice e la stampa di regime lo ripete e noi dobbiamo crederci e non possiamo permetterci di dubitarne, perché sarebbe “violenza verbale” dire che la guerra è guerra, e che ha niente a che fare con la pace, che il tradimento del trattato di amicizia italo-libico fu tradimento, e che non ha niente a che fare con la lealtà, e che un “colpo di stato” può essere riconosciuto come tale in una delle sue tante forme possibile. Si tratta di intendersi sulle parole. È ancora recente la defenestrazione del governo Berlusconi, per la quale il Grande Leader ha mostrato di essere un burattino rovesciabile come un birillo, al cui servizio il Grande Zio faceva da sottosegretario. È oggi sotto i nostri occhi il Regno vigente del Nipote, sul quale incombe quello dello Zio: da zio a nipote, da nipote a zio. Dove sta l’«insulto»? Chi insulta chi?

giovedì 9 maggio 2013

L’«accerchiamento» del Movimento e la sua costante denigrazione. – Per una nuova cultura politica da opporre all’ideologia del regime

Chi ha osservato l’atteggiamento dei media prima e dopo le elezioni politiche dello scorso febbraio forse converrà con me nel notare una iniziale curiosità verso un Movimento che aveva caratteri di novità, seguita negli ultimi giorni da una aperta e sempre più faziosa ostilità che assume i contenuti della diffamazione e della falsificazione, o almeno del travisamento di ogni notizia che riguarda il Movimento. I telegiornali della sera, quando riportano il testo dell’ultimo articolo del blog di Beppe Grillo, aggiungono sempre qualche frase per sminuirne la portata, facendolo apparire come qualcosa di strampalato.

Siamo ormai all’individuazione del «nemico», una parola che nel galateo della politica non dovrebbe apparire, secondo quanto essi stessi dicono: si è e si può essere “avversari” – dicono – ma non si è mai e non si deve essere “nemici”, perché questo termine evoca scenari non consentiti in una repubblica spartitoria, dove tutte le risorse pubbliche sono state depredate, il paese portato alla rovina e gli stessi uomini che ne sono responsabili pretendono di essere ora i medici ed i salvatori della patria. In effetti, per il “Nemico” il problema è nel riconoscerlo, nell’individuarne la presenza e l’ubicazione, ma negarne l’esistenza significa decretarne il trionfo. Tutta la questione ha connotati filosofici e politici di cui non si ha la necessaria comprensione anche per l’influenza deleteria di un giornalismo, che è esso stesso emanazione del potere dominante. Di un Potere che ha i suoi luoghi, i suoi «Palazzi»,  che non sono i luoghi della «rappresentanza politica» degli Italiani, la cui “sovranità” è stata da gran tempo svenduta allo straniero ed alla Finanza, e che sono nelle piazze, occupandole, possono riconquistare la loro sovranità ed esercitare una democrazia diretta, oggi resa possibile dalla tecnica e dall’organizzazione dell’intelligenza collettiva del popolo italiano. L’istituto della “rappresentanza politica”, con cui un cittadino è costretto ad innalzare un altro al di sopra di se, è ormai chiaramente riconosciuto come la forma dell’oppressione e le negazione stessa di ogni idea di democrazia.

Per almeno venti anni, PD (ultima rinominazione della Sinistra Comunista e Socialista) e il PDL  (dal nome pure cangiante, ma Forza Italia) hanno voluto dare agli italiani lo spettacolo di una fittizia contrapposizione, mentre si spartivano le spoglie del paese. Nei talk show recitavano lo spettacolo dei cani e dei gatti, o dei ladri di Pisa che litigano di giorno per andare a rubare insieme la notte. In ultimo hanno infine gettato la maschera, mettendosi insieme in uno stesso governo e continuando a spartire tutto quello che ancora si può spartire. Indecente è stata la costituzione delle Commissioni parlamentari, che potevano essere già formate all’apertura del nuovo parlamento, ma che sono state rinviate fino ad oggi per la sola ragione che dovevano essere spartite le presidenze e quanto altro. Il sistema non riesce a funzionare al di fuori di una logica spartitoria. Sono fatti così ed è ingenuo aspettarsi che questi uomini possano essere diversi da ciò che appaiono.

Ed allora? Non basta il 25 % del Movimento, ma occorre che esso sia almeno il 75 %. È questo che gli italiani dovranno capire nei prossimi mesi. Vi dovranno perciò essere massicci spostamenti di voto dell’elettorato tradizionale dei partiti oltre che una discesa in campo degli astensionisti puri e duri. Solo per questa via vi potrà essere una qualche speranza di salvezza. Ma questo significa anche un grande impegno da parte degli “attivisti” che dovranno essere capaci sempre più di un loro valore aggiunto, rispetto a ciò che Beppe e Casaleggio hanno costruito fino ad oggi: non tutto può gravare sulle loro spalle. Nel 1945 fu programmata la distruzione politica del popolo italiano, della sua sovranità, della sua economia, della sua cultura. Il ceto politico ne fu l’esecutore designato. Non per nulla ogni governante italiano fa viaggi all’estero per avere l’approvazione del Vincitore del 1945. Si parla continuamente di “clausole segrete” nel trattato di pace: un “segreto” assai strano, non si capisce da chi custodito.

I media dunque hanno individuato il “nemico” nel Movimento e l’informazione che danno è tipica della propaganda di guerra, con tutti i suoi attributi e le sue tecniche: omissione, manipolazione, falsificazione, denigrazione, diffamazione. Lo sapevamo e dovevamo aspettarcelo in ragione della nostra radicale diversità ed opposizione. Va perciò costruito un nostro sistema di informazione alternativa e soprattutto una nuova cultura politica in grado di dare risposte e soluzioni a tutti i problemi che la situazione concreta, ogn’ora sempre più grave, richiede. Se oggi siamo “accerchiati” noi, l’avanzare della crisi sociale, economica, politica, etica, morale farà si che ad essere accerchiati siano gli stessi vecchi partiti ed i loro organi di informazione e propaganda.

sabato 4 maggio 2013

Repubblica aizza il Rettore dell’Università di Genova: stessa tecnica, dello “shock” a Roma ed ora a Genova una... “bufera”!

Post in elaborazione.

Quando nel 2009 mi attaccarono, sempre quelli di “Repubblica” in combutta con i loro committenti, titolarono: “Shock” all”università di Roma La Sapienza, che era invece tranquillissima e dove i docenti leggevano solo su “Repubblica” l’esistenza di uno shock, che in questo modo veniva creato ad arte. Direi che con uguale tecnica adesso si inventano una “bufera” che si concreterebbe in alcune davvero sciocche dichiarazioni attribuite al Rettore dell’Università di Genova, dove lavora il prof. Paolo Becchi, professore ordinario di filosofia del diritto. Dico attribuite perché dai giornalisti di “Repubblica” e dal loro uso fantasioso del virgolettato ci si può aspettare di tutto. Quali che siano state le dichiarazioni del prof. Paolo Becchi, un Rettore non ha funzioni di censura e noi dubitiamo fortemente che il rettore di Genova abbia veramente usato le espressioni che gli vengono attribuite...

Genova: a Saviano una honoris causa!
Pare ovvio che “Repubblica” tenti di aizzare i colleghi del prof. Becchi. Ci si dovranno aspettare cronisti con la telecamera che gireranno per i corridoi dell’università a chiedere come e quando il prof. Becchi abbia perso l’«uso del cervello»... E poi magari aizzeranno gli stessi studenti... Conosco gli scenari possibili e collaudati per averli già visti posti in essere... Non li descrivo nella loro interezza per ovvi motivi... Se davvero il Rettore avesse usato le espressioni che gli vengono attribuite (virgolettato), dimostrerebbe semplicemente di averne lui assai poco di “cervello”. Sarebbe una espressione ben più offensiva, impropria e lesiva per l’immagine che lui dovrebbe tutelare dell’università di Genova: un rettore che dice ad un suo professore di «non aver usato il cervello»... È il colmo!... I “fucili” del prof. Becchi sono una espressione metaforica, figurata, impersonale, come può confermare un analista del linguaggio, mentre l’espressione del rettore sul mancato “uso del cervello” in altrui persona avrebbe una inconcepibile e inammissibile caratterizzazione offensiva rivolta ad una particolare persona, che potrebbe a sua volta incaricare un collega avvocato e giurista di promuovere causa al rettore che avesse esorbitato dalle sue funzioni... Chiaramente sono queste ipotesi meramente accademiche...


Il rettore pare sia un medico e forse si intende in modo specialistico di anatomia del cervello, ma la sua specializzazione non gli consente nessuna particolare familiarità con i concetti della filosofia, della politica o del diritto e neppure con il linguaggio da usare nell’esercizio di una funzione pubblica di rappresentanza. E quindi farebbe meglio a non parlare su cose che non conosce e che nulla hanno a che fare con la medicina... Se volesse sapere qualcosa, correttezza vorrebbe che si informasse direttamente ed immediatamente dal prof. Becchi e non da ciò che ne dicono i media. Ed in ogni caso il prof. Becchi, almeno fuori delle mura universitarie, ha pieno diritto alla manifestazione delle sue opinioni. Che vorrebbe mai fare il rettore di Genova? Promuovere una azione disciplinare? Per cosa? Riteniamo che non ce ne sia nessun presupposto e che “Repubblica” ancora una volta dimostri di essere quel giornalaccio che è e che non ha nulla a che fare con una informazione oggettiva, non artatamente faziosa e strumentale, quale ci si aspetta da un giornale finanziato con denaro pubblico. Stupisce che un Rettore possa non aver compreso quale ruolo stia giocando la stampa, e “Repubblica” in particolare, in questa sporca faccenda, dove si tenta di screditare la prima forza politica uscita dalle urne, cioè il Movimento Cinque Stelle, e che non abbia compreso quale dovrebbe essere il ruolo di un rettore, a difesa della libertà di espressione dei docenti della sua università. La violenza non è quella metaforica dei “fucili”, ma ne abbiamo un tangibile e ben più consistente esempio in quella “mediatica” capitanata dal quotidiano di proprietà De Benedetti. L’ipocrisia è uno dei pilastri su cui si regge questo regime.

Paolo Becchi ed il «tritacarne del circo mediatico»


Post in elaborazione.

Quanto mai opportuna giunge la dignitosissima dichiarazione di Paolo Becchi, che si può leggere nel blog di Beppe Grillo e che riportiamo qui di seguito. Ci piace sottolineare la qualifica di “filosofo” che abbiamo aggiunto nella didascalia della foto. Una peculiarità di questo strano mestiere, che mi onoro di condividere con Paolo Becchi, è che non possiamo esimerci dal dovere di testimoniare sempre la Verità e di dire sempre senza riserve o tatticismi ciò che pensiamo, giusto o sbagliato che sia ed in una forma che sia comprensibile al popolo, parlando il linguaggio del popolo. Quindi la “ingenuità” è un onere del mestiere. La “ingenuità” ci impone di credere che l’Altro che ci sta di fronte sia sempre un uomo accomunabile all’idea di Bene e di Vero. Dobbiamo crederlo per poter continuare a sperare e ad operare in questa società anche nelle condizioni più avverse. È fin troppo facile ripetere ciò che gli altri dicono e vogliono sentir dire. Anche da chi nelle università ha il compito di occuparsi di una peculiare disciplina che si chiama filosofia. Ma può accadere che la dedizione allo studio della filosofia ci trasformi in “filosofi”, che non solo studiano la filosofia, ma vivono da “filosofi”, avendo come padri nobili un Socrate, che per non tradire la Verità accettò la morte. Quindi non solo studiosi e cultori di filosofia, ma filosofi che vivono filosoficamente e che soprattutto in periodi critici come questi sentono il supremo dovere di essere organi pensanti del loro popolo. Non “vanità” di apparire, ma dovere di essere presente in un momento in cui si giocano i destini di un popolo. Quindi è da considerare “santa” l’«ingenuità» di Paolo Becchi, che ha osato sfidare il «tritacarne del circo mediatico», ben sapendo a quali rischi andava incontro.
Il filosofo Paolo Becchi
Sono stato un grande ingenuo e sono caduto nella trappola che io stesso avevo previsto. Ho sperimentato sulla mia pelle che cosa significhi finire nel tritacarne del circo mediatico del nostro paese. Una ragione di più per suggerire a tutti di non partecipare a programmi radiofonici o televisivi. Mi auguro solo che quanto è successo non abbia danneggiato troppo il MoVimento. Il momento non è facile ma non bisogna scoraggiarsi. Giornali e televisioni hanno forse pensato di creare una lacerazione all' interno del MoVimento attaccandomi con una violenza inaudita, dopo avermi presentato come l’«ideologo» del MoVimento. Ma io non mi sono mai attribuito una tale etichetta; ho cercato solo di aiutare come il MoVimento e in questi ultimi ultimi giorni - devo ammetterlo - non ci sono riuscito. Spero nella comprensione di tutti gli attivisti.
Paolo Becchi  (Fonte)
Devo però dire di aver preceduto Paolo Becchi (e lui mi fu allora vicino) in questo «tritacarne del circo mediatico», quando nell’ottobre  del 2009 sempre su iniziativa di “Repubblica” fui dato in pasto al “circo mediatico” – benché da me non invitato o sollecitato – che mi attribuiva fantastiche lezioni, mai avvenute, nella mia università. Fui assolto nell’inchiesta disciplinare che ne seguì ed ho quindi avviato una causa civile, tuttora in corso, contro “Repubblica”, che -  neppure rispettosa del giudice sotto cui pende la causa - reitera le stesse menzogne di allora, attribuendomi in soprammercato una intervista mai concessa, per il solo scopo di danneggiare il Movimento Cinque Stelle ed inibire ad ogni cittadino l’esercizio dei suoi diritti politici, sanciti nell’art. 49 della costituzione.

È in atto una violentissima campagna di diffamazione contro il Movimento Cinque Stelle ed ogni personalità che abbia reso nota la sua simpatia o la sua adesione al Movimento. Non sono però invincibili questi signori ed anche la semplice consapevolezza della loro strategia, delle loro manovre, della loro disonestà, della loro malafede è un valido antidoto. La grande sfida in atto è nella forma della comunicazione. Il Movimento sta cercando dalla sua nascita (e con successo) di comunicare interagendo con i cittadini, evitando in linea di principio la forma totalitaria della comunicazione televisiva o radiofonica, dove uno solo o pochi parlano a molti che spesso vengono manipolati senza che essi stessi se ne accorgano e finendo di acquisire pregiudizi che poi ripetono come pappagalli: ci si accorge subito nei gazebo quando le persone ripetono le sciocchezze dei talk show, pensando di essere originali. L’informazione, questa informazione è una emanazione del potere, anzi del regime. Internet sfugge per fortuna al controllo esclusivo del potere ed è per questo in atto un tentativo di imbavagliare anche la rete, che è il veicolo privilegiato della comunicazione del Movimento. Purtroppo, non sempre gli elettori che hanno pure dato il loro consenso al Movimeno comprendono le insidie manipolatrici di talk show come quello di Michele Santoro e suoi degni Colleghi.

venerdì 3 maggio 2013

Sallusti il Graziato e Becchi il Dissacratore. - Prove crescenti di regime.

Post in elaborazione.

I miei Cinque Lettori sanno che i miei testi sono tutti in tempo reale: o così o non ne scrivo affatto. Tornando ieri sera sul tardi ho visto e mi è stato detto che i media si sono montati questa volta contro Paolo Becchi. Nell’ottobre del 2009 lo avevano fatto contro di me. Ormai ho una qualche esperienza di questo genere di operazioni. Tornando a casa ho visto la parte di «Servizio Pubblico», dove Sallusti ironizzava sul fatto che al Prof. Becchi potesse venir dato uno di quei sottosegretariati che elencava Travaglio. Subito ho pensato che se il prof. Becchi fosse stato presidente della Repubblica al posto di Napolitano certamente non avrebbe concesso a Sallusti quella Grazia che gli consente di tornare al suo posto di Pubblico Informatore o meglio Deformatore della presunta “opinione pubblica”.

Alessandro Sallusti
Leggendo qua e là a campione i commenti sulla vicenda, e certo non potendoli leggere tutti, un dato mi sembra vistosamente interessante: la netta divaricazione fra come la gente effettivamente pensa e come gli organi di regime ed i suoi agenti vorrebbe che pensasse. Ormai mi diventa sempre più trasparente il modo il cui il Conduttore di un talk show “conduce” una trasmissione orientata a coartare e conculcare la moltitudine (sono milioni di persone!) che passivamente e senza poter reagire segue questi spettacoli di regime. Per costoro ciò che non appare in televisione o non si legge nei giornali semplicemente non esiste. Questi signori hanno la pretesa di scrivere la realtà, che per loro è soltanto quella che loro descrivono. I punti di vista ammessi, i giudizi leciti sono soltanto i loro.

Bruno Vespa
Simili pretese lasciano esterrefatti. Tanto si preoccupano della “violenza”, ma giudicano violenza il sussulto della singola vittima e non quella esercitata in grande stile, a milioni di milioni,  dai loro padroni, che pagano loro un lauto stipendio per fare il lavoro che fanno. Non mi devo diffondere in esemplificazioni di questo assunto: ognuno ne può fare. In piazza Montecitorio avevamo avuto anche noi il “tunisino" che si era dato fuoco, ma la notizia è stata rigorosamente cancellata dagli Organi della Memoria. Vale di più uno che davanti a Montecitorio si cosparge di benzina e si dà fuoco o un Preiti che pensa di suicidarsi dopo aver ucciso un politico, e non trovandolo se la prende con uno di quei carabinieri posti a difesa degli stessi politici?

Michele Santoro
Perché abbiamo dimenticato l’Ustionato ed invece tanto insistiamo sul disoccupato calabrese di Rosarno? Becchi ha gettato lo scompiglio lanciando la tesi che dietro il gesto disperato di Preiti vi siano “poteri invisibili”. Essendo calabresi, a noi sembra più verosimile la tesi più semplice, non smentita dalle indagini: un disoccupato disperato, con la vita irrimediabilmente rovinata, il quale – non importa se a torto o a ragione – percepisce di fatto i politici tutti come causa della sua rovina esistenziale. Mi riesce difficile vederci dietro i servizi segreti, a meno che essi non emergano da riscontri processuali... ma... ma... Se però il Regime fa del caso Preiti un ottimo pretesto per una operazione di regime, allora poco importa che il caso fosse stato una messa in scena. È lo stesso. Il risultato è un “come se”. Ciò che conta è la strumentalizzazione del caso, l’uso che se ne fa, non la sua esatta e veridica genesi.

Gad Lerner
Quali dunque gli scopi della strumentalizzazione? Per un verso aumentare il controllo e la repressione sociale: attenti alle leggi che verranno! Non ultimo il disegno di legge Amati della passata legislatura. E per un altro verso far sgonfiare il Movimento Cinque Stelle che ha raggiunto la pericolosa soglia del 25 %. Un Movimento certamente pacifico e non violento, dovuto alla genialità politica di Beppe Grillo. La sua debolezza è di non avere – parrebbe – quadri intermedi e di base. Tutto sembra reggersi sulle spalle del suoi Grillo e della sua ombra Casaleggio. Non sono certo i Mastrangeli, e le Salse ballerine che possono far crescere il Movimento. Queste sono solo mosche cocchiere. Quanto a Becchi a sempre detto di non essere l’Ideologo di un movimento che nasce come anti-ideologico e l’apparente sconfessione da parte dei “cittadini parlamentari” conferma ciò: non è il nostro “ideologo” e questa etichetta è stata attaccata al prof. Becchi dagli organi di informazione, non da noi.

Luigi Preiti
Vedremo prossimamente quali saranno gli sviluppi, che seguiremo in tempo reale. Io spero che una cosa capiscano i “cittadini parlamentari”: che la prima battaglia da combattere è per la libertà di pensiero, contro la polizia del pensiero, contro i Vespa, Sallusti, Santoro e Co; che proprio in una fase di profonda crisi sociale, economica, politica tutti i cittadini devo avere la piena libertà di potersi esprimere non con il linguaggio dei Sallusti, del Vespa, del politici ospiti nei loro talk show, ma con il linguaggio schietto, sincero, immediato del Popolo che è anche Voce di Dio.

Per andare un poco sul merito, stavo appunto leggendo un libro non recente del mio compianto amico Giano Accame che nel 1997 pubblicava una serie di sue lezioni con titolo: Il potere del denaro svuota le democrazie, dove a p. 52 si legge:
Giano Accame
«L’autonomia della banca centrale si è perfezionata con la legge 7.2.1992, n. 82, varata dal ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore di Bankitalia), che ha attribuito alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto (Tus) senza doverlo più concordare con il Tesoro. Semplice allineamento, del resto, alla nuova normativa europea. Lo stesso giorno il principio  dell’autonomia delle banche centrali stava infatti entrando in tutti gli ordinamenti giuridici dell’Unione europea per effetto del trattato di Maastricht, che l’impone all’art. 107. Gli Stati aderenti hanno inoltre accettata la rinuncia alla sovranità monetaria nazionale per trasferirla  con l’art. 105 alla Banca centrale europea (Bce). In tal modo le singole banche centrali dell’Unione europea, rese autonome dai poteri democratici nazionali, divengono invece dipendenti dalla Bce di cui entrano a far parte, ma in una gerarchia tutta bancaria, rigorosamente svincolata dalla politica».
Il senso del testo mi sembra chiaro ed anche il senso di ciò che intendeva dire Paolo Becchi. Pur avendo studiato non pochi esami di economia, non credo di capirne molto di economia, cui non credo al suo statuto di scienza, ma non credo che Michele Santoro ed il suo consulente ne capiscano molto di più e certamente non andrò ad apprendere proprio da loro quel che non so di economia. Che tutti i nostri mali vengano dalla finanza e dai banchieri, certamente “speculatori” che fanno capo ad altri speculatori, è cosa che tutti i cittadini credono. Un altro mio amico, un economista che ha fatto tremare Kohl, mi ha confermato il succo che penso di aver tratto dai suoi libri: quando ci sono persone, addirittura a milioni, con alta qualificazione professionale che potrebbero lavorare, che vogliono lavorare, ma non posso farlo, allora in questo caso è la politica a far difetto, ma noi abbiamo appena visto con il governo Letta che un “banchiere” è stato messo a capo dell’economia. Come possiamo salvarci? Questo regime non ci consente più neppure l’uso della metafora e dimostra di avere la coda di paglia ad ogni uso di immagini o esercizio dell’ironia, che in filosofia è un modo in cui il sapere si manifesta.

giovedì 2 maggio 2013

La polizia del pensiero nel governissimo Napolitano-Letta-Alfano

Post in elaborazione.

Il pensiero è più veloce della sua elaborazione in forma di scrittura, ma data la gravità del momento non possiamo indugiare a dare corpo a ciò che fin dalle prime battute ci sembra chiaro. Saremo necessariamente schematici, ma il tema della libertà del pensiero ci occupa ormai da anni e riusciamo a coglierne le minacce appena esse si profilano. Mi auguro che i cittadini portavoce del Movimento Cinque Stelle sviluppino presto una sensibilità al riguardo. Ne sono già le vittime fin dalle prime ore del governissimo. Se si osserva come si va gestendo il caso Preiti ci si accorge che lo si vuole sfruttare per mettere il bavaglio al 25% degli italiani che hanno votato Grillo, e fra questi 8.500.000 pare anche quello di Preiti, godendo dei diritti politici.

Fra i primi a capire la manovra vi è stato Adriano Celentano, che ha parlato di «sciacallaggio». Sulla non-violenza del Movimento Cinque Stelle non occorre dare prove, ma anzi se mai si può rimproverare al Movimento di aver agito da freno nel contenimento di una legittima rabbia ed insofferenza che viene dai ceti popolari e da quanti ogni giorno vengono spinti sulla via del fallimento e del suicidio. La distruzione del tessuto sociale avanza di giorno in giorno e legittimerebbe quelle che una volta si chiamavano “rivoluzioni”. Questo popolo, il popolo italiano, che ogni anno celebra la «festa della Liberazione», avrebbe bisogno di liberarsi innanzitutto dei suoi politici e dei suoi governanti che da oltre mezzo secolo la opprimono con ogni mezzo, di cui la strategia della menzogna e della diffamazione a mezzo stampa e televisione è uno degli strumenti preferiti.

Il popolo non parla il linguaggio dei fini dicitori, sempre meno fini, dei talk show televisivi, luoghi dove pochi parlano ed appaiono, esaltando la loro vanità, e dove i molti vedono ed ascoltano interamente passivi e spesso sprovvisti di autonomia di giudizio. Il popolo dice pane al pane e vino al vino. Si esprime anche con il linguaggio detto “volgare”. Ed è esattamente il linguaggio che Beppe Grillo ha usato in tutti questi anni per parlare al popolo. Inibirgli l’uso del linguaggio popolare significherebbe recidere il suo legame con il popolo e castrare il Movimento Cinque Stelle.

In passato conoscevamo l’espressione «strategia della tensione», che era gestita dal governo e dai servizi segreti italiani e stranieri. Ora siamo incolpati di una «strategia del disagio sociale» per il solo fatto di dire che ci sono sempre più disoccupati, sempre più fabbriche che chiudono, sempre più lavoratori e imprenditori che si suicidano e... perfino qualche disoccupato che vuole ammazzare il primo politico che gli capiti sotto tiro. Preiti non è riuscito nel suo intento e si è dovuto accontentare di una di quei carabinieri che prestavano servizio per la sicurezza degli stessi politici. Abbiamo visto l’ineffabile Gasparri alzare il dito medio protetto da cordoni di poliziotti.  Lo spettacolo non fa riflettere quanto sarebbe necessario. Di fronte ad un Battiato che è stato subito dimissionato da assessore siciliano della cultura noi abbiamo un Gasparri che continua a scialare all’impazzata in ogni talk show televisivo.

L’insidia legislativa con cui reprimere il Movimento Cinque Stelle è già pronta da anni e si chiama legge Mancino-Taradash-Modigliani, di cui già nella passata legislatura si stava preparando un inasprimento. La manovra liberticida non è per nulla stata abbandonata e sarebbe per lo meno necessario che i cittadini portavoce aprissero gli occhi. In pratica si vuol negare in questo paese il diritto di opposizione.


mercoledì 1 maggio 2013

Il punto con il Movimento Cinque Stelle e tutto il resto

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Sono queste riflessioni in tempo reale, scritte sull’acqua del cyberspazio, ossia modificabili in ogni istante. Mai come in questi giorni ho assistito ai talk show, che detesto profondamente e che ritengo uno dei principali canali del controllo e dell’instupidimento sociale. Vi si vedono uomini e donne con lo scilinguaiolo pronto e che nel loro sciorinare parole vuote di senso logico, etico e morale fanno consistere la loro bravura politica, la loro arte di governo, la loro preparazione: buffoni che non fanno ridere, ma mettono in pericolo i televisori dentro i quali appaiono le loro facce. Quanto mai provvido è il codice di Cinque Stelle che fa divieto ai suoi parlamentari di parteciparvi.

Ed è perfettamente vero che è “disonorevole” comparirvi ed il “cretino” proprio in questo momento, in una trasmissione mattutina, ha fatto nuovamente ridere di sé e fatto gettare fango sul Movimento. Esemplare è stata perciò l’espulsione del senatore Mastrangeli, che assai impropriamente invoca la libertà di pensiero sancita nell’art. 21 della costituzione: non vede le minacce a questo diritto (e non è il solo!), dove esse si trovano, e se ne inventa dove non ne esistono affatto: dentro il Movimento Cinque Stelle dove esiste la più piena libertà di pensiero. Il suo programma ha tuttavia una gravissima carenza: la specifica menzione della difesa, tutela e ristabilimento della libertà di pensiero, di espressione, di ricerca, di insegnamento. Un punto di programma che non costa nulla e che è il fondamento stesso della democrazia, di quella democrazia che è stata soppressa da un vero e proprio “colpo di stato”, la cui natura è mistificata proprio da una informazione asservita a chi il “colpo di stato” lo ha fatto e lo sta portando avanti.

Non fu un “colpo di stato” quello consumato nella rielezione del presidente della Repubblica? Si tratta di intendersi sulle parole, per loro natura convenzionali. Abbiamo argomentato altrove, nel Forum del Movimento, perché a nostro avviso di “colpo di stato” si è trattato. Abbiamo tutti potuto vedere un chiarissimo sovvertimento della volontà popolare e della volontà degli elettori in particolare. Più sfacciato non poteva essere, ben certi i suoi attori di una piena impunità, a far data almeno dal 1993, quanto un referendum popolare plebiscitario stabilì la soppressione del finanziamento pubblico dei partiti.

Non vogliamo allungare un’analisi che in ragione della sua lunghezza sarebbe poi difficile da leggere, ma il criterio di lettura può essere quello di confrontare le ultime battute con i momenti iniziali del gioco. L’intento di Bersani – ormai lo si ammette apertamente – non era quello di fare un governo con Cinque Stelle, adottandone il programma, ma invece quello di ottenere agratis la fiducia, frantumando il neonato gruppo parlamentare. Una strategia perseguita con determinazione. È invece successo che a spaccarsi è stato proprio il PD, mentre il Movimento ha perso per strada solo un Mastrangeli, che nessuno vuole e di cui è meglio liberarsi. Il PD è stato infine costretto a gettare la maschera. E quale il quadro che oggi si presenta?

Un governo PD-PDL dopo che per venti anni, nei talk show, i parlamentari dell’uno e dell’altro partito hanno giocato a cane e gatti, dando ai loro elettori la falsa impressione di una “diversità” e di una “opposizione” irriducibile gli uni davanti agli altri. In realtà, si sono spartiti il bottino in tutti questi venti anni, quello che hanno perfino chiamato il “bene comune”, interpretato come bene loro, ad esclusione di tutti gli altri. In questo momento il “governissimo” appare “fortissimo” e l’irrisione verso il Movimento Cinque Stelle – che per un attimo aveva fatto paura – cresce di giorno in giorno. Scampato il pericolo, tutti (stampa e televisioni comprese) gettano la maschera.

Ma sono davvero “fortissimi”? È bene, per il Movimento, prepararsi al peggiore di tutti i regime nella storia dei 150 dell’Unificazione. Ad esempio, si parla – dopo Preiti – di “strumentalizzazione del disagio sociale” ovvero di “strategia del disagio sociale”, per fare intendere che non si deve neppure dire che in Italia ci sono i disoccupati e che i disoccupati sono esasperati e disperati, scegliendo chi di suicidarsi chi di ammazzare qualche politico prima di suicidarsi. Si deve dire – questo vuole il regime – che in Italia si sta bene e che il “governissimo” sta facendo benissimo e che presto prestissimo tutti saranno di nuovo felici e contenti. Questo vuole il regime e questo intendo dire quando dico che in Italia non vi è libertà di pensiero, ossia di critica politica, il cui linguaggio non può essere altro che il linguaggio popolare, non quello dei salotti o delle stesse stanze del potere. Mi auguro che Beppe legga queste righe e che nella prossima redazione del Programma venga aggiunto al primo posto la libertà di pensiero, ossia tutta una normativa per abrogare le leggi che di fatto impediscono l’esercizio della libertà di pensiero ed altri che invece la promuovano. Il tema è più complesso di quanto non sembri.

Al momento due paiono le mine pronte ad esplodere:

a) le contraddizioni interne ed oggettive ad un programma di governo che un vecchio marpione della politica come Bossi ha definito il classico “libro dei sogni”. Non ci sono le risorse per attuarlo, se si resta nella vecchia logica di regime. Letta, da autentico “servo”, è andato dalla Merkel ed all’estero per farsi autorizzare dai “padroni” a fare qualche marchingegno di tipo finanziario: ad aumentare un debito pubblico, i cui titoli io non comprerei. In realtà, l’unico modo per uscirne sarebbe non pagare gli interessi del debito pubblico esistente, ma questo lo potrebbe fare solo un “governo rivoluzionario” come Cinque Stelle: una “rivoluzione francese senza ghigliottina”, a fronte di chi la “ghigliottina” invece la vorrebbe.

b) Che farà il tradizionale elettorato del PD dopo essere stato così apertamente e platealmente preso per i fondelli? Che succederà appena quel milione di persone che da Berlusconi si sono visti promettere la restituzione dell’IMU si sentiranno pure loro presi per i fondelli? O se a Berlusconi dovesse andare male qualcuno dei suoi processi o se per qualsiasi ragione dovesse uscire fuori di scena? Anche per ragioni anagrafiche, non essendo egli abbastanza ricco da potersi comprare l’immortalità?

Sembra piuttosto fragile e illusoria la forza del governissimo. Ma ciò non deve spingere il Movimento al trionfalismo. Occorre prepararsi, assai velocemente, per raccogliere i cocci di un paese che avranno finito di distruggere. E su queste macerie bisognerà ricostruire il paese. È questa una grandissima sfida che richiede elevatissime capacità di governo e soprattutto la costruzione dell’unità politica del paese che deve consentire al Movimento il simbolico 100% dei consensi.