domenica 29 aprile 2012

La lotta dei popoli arabi per affrancarsi dai loro dittatori, da Israele e dagli USA - Parte 1: Bahrein e Siria + Cosa ne pensa George Galloway


Nonostante le tante proteste, la gara del Gran Premio di Formula-1 del Bahrein 2012 è andato in onda domenica 22 aprile. Il mondo del capitalismo sfrenato ha celebrato il suo barbaro rito sacrificando i diritti umani sull'altare del profitto multi-miliardario, del culto sportivo fanatico, della volgare esibizione del potere ai danni di una popolazione oppressa.

Non solo: in molti paesi dell'Occidente schiavo dei diktat di USraele, nessun accenno alle violenze contro i cittadini nelle strade del Bahrein è stato fatto dai telecronisti che commentavano la gara. 

Eh certo: come conciliare la decisione della messa in onda di un evento sportivo con la realtà delle piste che nascondono il sangue dei caduti per la libertà versato ogni singolo giorno dal coraggioso popolo del Bahrein da oltre un anno. 

Cosa avrebbe potuto raccontare un telecronista? 

Che mentre va in onda l'evento sportivo per celebrare la potenza del regime i manifestanti vengono picchiati, arrestati, torturati e uccisi - ma ... che diamine: the show must go on!? 

Che da oltre un anno il popolo scende in piazza ogni singolo giorno per chiedere la fine del regime corrotto colluso con l'impero neo-con sionista? 

Che la popolazione del Bahrein vuole affrancarsi dal giogo dell'Occidente e di Israele? 

Che i regnanti del Bahrein, gli al-Khalifa, rappresentano un regime fantoccio messo al potere per proteggere gli interessi di USA e Gran Bretagna nell'area del Golfo? 

Che la "casa reale" degli al-Khalifa è una dinastia di pirati, briganti e assassini - reliquia di un passato feudale medievale di cui i popoli arabi - molto più evoluti dei loro tiranni - vogliono disfarsi? 

Che il Bahrein è una dittatura wahhabi oscurantista repressiva che brutalizza il popolo e permette ad eserciti STRANIERI del Golfo di sparare sulla popolazione che si ribella all'oppressione? 

Che le forze dell'ordine e le milizie saudite sul territorio terrorizzano uomini, donne, bambini, medici e infermieri, giornalisti, attivisti per i diritti umani e osservatori stranieri? 

Che decine e decine di combattenti per la libertà, compresi medici, giornalisti, accademici, intellettuali, magistrati e altri professionisti vengono arrestati e torturati per l'opposizione al regime, poi sottoposti a processi sommari in una corte militare senza assistenza legale e condannati a lunghe pene detentive e in decine di casi anche all'ergastolo? 

Che il Bahrein, così come Arabia Saudita, Giordania, Yemen, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, sono dittature arabe i cui despoti sono protetti dall'Occidente in cambio del loro silenzio sulla Palestina a salvaguardia dell'egemonia di Israele nella regione? 

Che nel Bahrein, come nella maggioranza dei regimi arabi, i dittatori al governo hanno l'ordine di reprimere e punire qualunque tentativo del popolo di alzare la testa e sollevare la "questione palestinese"? 

Che il "sovrano" del Bahrein, al-Khalifa, si vanta dei suoi rapporti ravvicinati con il Mossad, i servizi segreti israeliani? 

Che nei due giorni che precedevano la gara 600 manifestanti e attivisti sono stati arrestati? 

Che alla vigilia della gara un giovane combattente per la libertà è stato brutalizzato, torturato, ucciso e gettato sul tetto di un edificio per nasconderlo alla vista dei giornalisti? 

Che alla stampa estera è stato vietato l'ingresso nel Bahrein per nascondere la brutalità del regime nei giorni della manifestazione sportiva? E che i componenti dell'unica troupe riuscita ad infiltrasi, del Channel 4 britannico, sono stati terrorizzati, malmenati e arrestati per avere filmato scene di protesta fuori dal circuito della gara? 

Che i mezzi militari usati dai sauditi per invadere il Bahrein sono forniti da USA e Gran Bretagna? 

Che il gas tossico, i proiettili, le armi da fuoco, le granate, i manganelli usati per reprimere le proteste sono "made in USA"? 

Che l'Arabia Saudita è l'esecutore della repressione nel Bahrein in collusione con l'Occidente per paura che la rivolta si possa spargere a macchia d'olio nella regione del Golfo Persico? 

Che i vari dittatori dell'area del Golfo, la più ricca di petrolio nel pianeta, intascano i proventi del petrolio escludendo il popolo dall'accesso alle ricchezze? 

Che il potere dell'Occidente sull'isola del Bahrein è salvaguardato dalla 5a Flotta della Marina Militare degli Stati Uniti d'America di stanza nel porto di Manama, a pochi metri dal circuito di F1, per reprimere qualsiasi tentativo da parte delle popolazioni del Golfo di conquistare la sovranità dei propri paesi.


"Noi governiamo i governatori"




Ma quanto succede nel Bahrein vale per tutte le altre dittature della regione. Fa eccezione la repubblica islamica dell'Iran, affrancata dall'Impero neo-con sionista con la rivoluzione del 1979 e ora presa di mira da USraele perché rappresenta un esempio "pericoloso" per gli altri popoli del Golfo Persico e del Medio Oriente in generale.

Popoli che sono tutti in rivolta, specie in Yemen, Arabia Saudita, Giordania ed Egitto, le cui proteste vengono colpevolmente nascoste agli occhi dell'Occidente. Popoli tutti votati alla causa per la liberazione della regione e in particolare della Palestina. 

Scendono in piazza ogni singolo giorno, nei vari paesi del Golfo e nei paesi vicini alla Palestina occupata da Israele, ma vengono sistematicamente ignorati dai nostri media. 

Gridano: Via Israele, Via gli USA dai nostri paesi! Loro sì che sanno esattamente come stanno le cose, chi sono i padroni dei loro regimi - mentre agli occhi degli europei, gli USA vengono rappresentati come "liberatori" e gli israeliani come "vittime indifese".

Le condizioni di sudditanza a cui è soggetto il Bahrein e gli altri regimi nell'area del Golfo, fanno parte delle strategie politiche post-coloniali, il cui concetto veniva al meglio espresso dal britannico Lord Cromer ai tempi in cui l'Egitto era sotto il dominio della corona britannica:
«Noi non governiamo l'Egitto - governiamo i governatori dell'Egitto». 

Con amici come la superpotenza militare USA e i regimi arabi compiacenti, Israele non ha bisogno di sporcarsi le mani fuori "casa" per impedire ai popoli arabi di ribellarsi ai loro despoti e sollevarsi in massa per la liberazione dei fratelli in Palestina. 

Gli israeliani si limitano a brutalizzare il popolo palestinese ed occuparne il territorio. 

Come avrebbe potuto un telecronista raccontare le verità del Bahrein, gelosamente custodite dietro gli schermi e le scrivanie dei dirigenti dei media -- i "farabutti dei media", come li chiama Lendman --  sempre pronti a inchinarsi alle direttive dell'impero neo-con sionista che "governa i governi" di gran parte del pianeta, compresi i governi europei. 

La perdita di sovranità degli stati europei a seguito della seconda guerra mondiale è un dato incontestabile - sovranità consegnata di fatto agli USA sul piano politico, economico, militare - e a Israele sul piano ideologico e culturale.

Il ricatto morale che lo "stato ebraico" esercita sulle nostre società per farla franca con la cacciata del popolo a cui ha rubato le terre, è fonte di costante umiliazione dell’Europa, oppressa da un artificioso "senso di colpa" che i nostri media e le istituzioni deputate alla cultura e all’istruzione non perdono occasione di alimentare.

E’ l’indotto "senso di colpa", unito alle assurdità del "cristiano sionismo", a costituire il caposaldo ideologico senza il quale l’intero castello di menzogne su cui si fonda l’esistenza di Israele crollerebbe in un istante. [v. "Pulizia etnica della Palestina" di Ilàn Pappe]


Succedeva durante la gara

 

 

Ed è proprio l'autore ebreo americano Stephen Lendman che ha fornito in tre articoli successivi la cronaca più dettagliata degli eventi del Bahrein prima e durante la gara.

Scrive Lendman: 

«Immaginate un film in cui viene raccontata la cronaca di una gara automobilistica mentre intorno alla pista si svolgono scene di terrorismo di stato con sangue nelle strade e il fumo che sia alza dal gas tossico e dalle armi da fuoco degli sgherri del regime sguinzagliati sulla folla che protesta per i propri diritti. 

«Hollywood non produrrebbe mai un film in cui organizzatori, team e piloti vanno avanti con la gara infischiandosene altamente delle violenze e dei crimini che vengono commessi fuori dal circuito. 

«Nessuno mai scriverebbe una tale sceneggiatura - nessun produttore la finanzierebbe». 

Eppure nel mondo reale proprio questo è successo. A supervisionare la "sicurezza" è stato chiamato dal dittatore del Bahrein un uomo di Scotland Yard, l'ex comandante della polizia metropolitana di Londra, Peter Yates - discreditato per le violente repressioni contro i manifestanti di Londra. 

Alla domanda se la sicurezza nel corso della gara sarebbe stata garantita, Yates rispondeva: «certo che no - ma abbiamo dato l'ordine di sparare a vista su chiunque provi a disturbare il normale svolgimento della corsa». 

«Non aveva niente di normale la situazione di domenica 22 aprile nel Bahrein. Dichiarava l'attivista Ala'a Shehabi agli infiltrati della stampa britannica: ci sono veicoli blindati all'ingresso di ogni centro abitato. Il governo ha mandato un messaggio forte e chiaro. L'ordine è di sparare su chiunque tenti di uscire.

«Sorpreso a parlare con la stampa, Shehabi è stato poi arrestato». 

Shehabi è un economista, uno studioso, un autore, un attivista e ricercatore per l'Organizzazione per i Diritti Umani "BRAVO" e co-fondatore di "Bahrein Watch". 

Come riportato da Josh Halliday del "Guardian", Jonathan Miller di Channel 4 raccontava: «la polizia ci ha sorpresi a filmare - è stata estremamente aggressiva e ha attaccato violentemente il nostro autista e il Dr. Ala'a Shehabi. Le autorità hanno sequestrato le attrezzature e i computer. Ci hanno negato il permesso di prendere il volo di ritorno». 

Alla fine comunque l'intera troupe è riuscita a partire. Ma dell'autista non si sa più niente.

Sullo svolgimento della gara, Lendman racconta: 

«L'atmosfera era surreale. La partecipazione del pubblico era ridotta all'osso. Gli spettatori erano pochi. La tribuna normalmente gremita fino all'ultimo posto disponibile era mezza vuota. C'è da stupirsi che qualcuno abbia deciso di assistere alla gara ...» 

... Certo non gli abitanti del Bahrein. Ma sappiamo che un terzo della popolazione del Bahrein consiste di residenti stranieri. Ricordiamo che la capitale Manama è anche sede di un importante Distretto Finanziario internazionale - uno dei più prestigiosi in assoluto, non solo nella regione, ma nel mondo intero. Non sono le condizioni economiche l'oggetto di contestazione degli abitanti del Bahrein, ma le politiche di stampo coloniale che impediscono condizioni di democrazia e sovranità della nazione.


Chi ha vinto? Chi ha perso?




Continua Lendman:

«Gli osservatori dicono che fossero più numerosi gli agenti in borghese che gli spettatori. Dicevano anche, che la maggioranza dei team, piloti, meccanici, ingegneri e altro personale avrebbe preferito non partecipare.

«La reputazione della Formula-1 è stata offuscata. Nonostante ci sia stato un vincitore decretato dalla bandiera a scacchi, l'evento non è stato una vittoria ma una parodia.

«La strategia mediatica della casa reale al-Khalifa che doveva risollevare l'immagine screditata del regime si è rivelata un fallimento totale. Il pubblico sapeva di assistere ad una farsa» ...

... eccetto ovviamente per i tifosi incalliti in cerca di facili emozioni generate dalla vista di uno spettacolo pericoloso, o dalla "vittoria" dell'oggetto di culto.

«La vera vittoria è stata conseguita dal popolo del Bahrein» - continua Stephen Lendman. «Nonostante il tentativo di escludere la stampa dal circuito presidiato dalle guardie, i media sociali hanno raccontato la verità. Invece di focalizzare l'attenzione sulla gara, hanno fornito il resoconto delle violenze commesse dalla polizia di stato e dalle forze di sicurezza in assetto da sommossa dispiegate con mezzi blindati intorno al circuito.

«Hanno raccontato episodi come quello di un gruppo di circa dieci ragazze con biglietti per la gara che dalla loro posizione tra gli spettatori hanno iniziato a manifestare pacificamente, ma sono state arrestate e picchiate e portate in una centrale di polizia nota per le torture ai prigionieri, mentre ai genitori è stato negato il permesso di visitare e assistere le figlie.

«Perfino il New York Times [che Lendman attacca ogni giorno nei suoi articoli per la posizione filo-sionista del giornale] ha parlato delle proteste citando le parole di alcuni combattenti per la libertà e menzionando il caso del direttore del Centro per i Diritti Umani del Bahrein, Abdulhadi al-Khawaja, in carcere da oltre un anno per essere uno dei leader della rivolta, condannato all'ergastolo, e da oltre due mesi in regime di sciopero della fame». 


Che fine ha fatto il prigioniero? 



Proprio quel giorno, al-Khawaja -- ormai allo stremo delle forze -- annunciava la decisione di rifiutare perfino l'acqua e chiedeva la presenza del proprio legale per dettare il testamento.

E mentre scrivo è arrivata la notizia che da qualche giorno non si hanno più notizie del grande combattente al-Khwaja. Le autorità hanno detto alla moglie che suo marito non si trova più nell'ospedale militare in cui era stato ricoverato perché allo stremo delle forze. Si teme che sia ormai deceduto, dopo oltre due mesi di astensione dal cibo e diversi giorni di rifiuto dell'acqua.

La moglie, Khadija al-Mousawi, raccontava ieri all'agenzia francese AFP, che dal lunedì dopo la gara non riceveva più notizie del marito e che le veniva impedito anche di visitare la figlia Zainab, arrestata il sabato prima della gara di F1 per avere organizzato una protesta in favore di suo padre.

Abdulhadi al-Khawaja, che ha la doppia cittadinanza danese-bahreini, è stato condannato all'ergastolo nel giugno del 2011 con l'accusa di istigazione alla protesta contro il regime. Lo sciopero della fame è iniziato nella prima metà di febbraio.


Ecclestone e il regime del Bahrein screditati

 


Scriveva Ian Black sul Guardian di Londra:

... nonostante sia fallito l'intento di fermare la gara, i cittadini del Bahrein «hanno ottenuto una grande vittoria morale contro il loro governo attirando l'attenzione sulle tensioni e repressioni nello stato del Golfo...».

Black ha anche citato un analista dell'Istituto di Ricerca Brookings Doha Center - Shadi Hamid - che dichiarava:
«Per il regime del Bahrein, la gara di F1 si è rivelata un colossale fallimento, terribilmente imbarazzante. Per l'opposizione ha rappresentato la manna dal cielo».  

In merito al molto discusso e ormai screditato Bernie Ecclestone, responsabile della decisione di fare svolgere il Gran Premio del Bahrein, commenta Richard Williams del Guardian : «il leader supremo della F1 ha l'abitudine di prendere i soldi senza fare domande. ... uno sport la cui coscienza è stata turbata solo dal suo impatto ambientale appare ora come un paria». 

Commenta Stephen Lendman:  

«Ecclestone e il CdA della F1 si sono coperti di vergogna con la decisione di gareggiare nonostante lo spargimento di sangue ... hanno trasformato la competizione sportiva in perversione sportiva. ... L'avidità del multimiliardario Ecclestone è insaziabile ...»

Alla polemica contestazione della stampa, Ecclestone rispondeva dicendo : «invece di scaldarvi tanto per il Bahrein, andate a raccontare cosa succede in Siria».

Parafrasato, ecco il significato delle parole di Ecclestone: «non è nel Bahrein che dovete cercare un tiranno che brutalizza e uccide il suo popolo, ma in Siria».


La Siria resiste contro Israele

 


Come sappiamo, la versione fraudolenta sulla Siria che i media vomitano ogni giorno sui nostri schermi e sulla carta stampata è una menzogna di cui TUTTI i governi e le persone bene informate sono consapevoli, senza tuttavia ammetterlo. E' una menzogna che vuole nascondere le intenzioni dei paesi NATO, decisi ad offrire la Siria come prossima preda alle mire espansioniste di Israele, che da decenni tenta di appropriarsi della Siria dopo avere già rubato le Alture del Golan.

«Non fatevi ingannare da quanto raccontano i media sulla Siria - dichiarava alcune settimane fa il co-fondatore di Free Gaza, l'americano Paul Larudee, in visita nel Libano per la Marcia su Gerusalemme. «C'è Israele dietro le violenze della Siria».

Sono le gang terroriste finanziate e armate da Israele, USA, Francia, Inghilterra, Arabia Saudita, Turchia, Qatar e altri alleati dell'impero neocon-sionista che seminano morte e distruzione in Siria, mentre il popolo regolarmente manifesta in difesa del proprio leader Assad, che è riuscito finora a respingere l'aggressione predatoria di Israele.

Anche in Siria un anno fa iniziavano le proteste, ma non per il rovesciamento del governo, quanto per chiedere legittime riforme - come avviene in ogni nazione di questo pianeta. Ma sappiamo che - analogamente a quanto successo in Libia - Israele e l'Occidente hanno infiltrato le proteste con mercenari stranieri e armato certe sfere dell'opposizione siriana, imputando ad Assad la responsabilità dei massacri - le cui vittime sono in maggioranza i soldati dell'esercito regolare siriano e gli agenti delle forze dell'ordine.

Certo non è Assad a dare l'ordine di massacrare i suoi soldati e di fare esplodere ordigni nelle caserme.

La Siria sta lottando con le unghie e con i denti per mantenere la propria sovranità e indipendenza dall'onnivoro e vorace impero neo-con sionista che tenta di instaurare anche in Siria un governo fantoccio filo sionista, filo-occidentale.

Purtroppo i nostri media forniscono la versione che racconta il canale Al-Jazeera.

Già colpevole di avere fornito le falsità mediatiche che hanno legittimato l'intervento in Libia agli occhi del pubblico occidentale, ora Al-Jazeera sta ripetendo lo stesso giochino sporco anche riguardo alla Siria. 

Ricordiamo che Al-Jazeera è la televisione di stato del Qatar - promotore attivo dell'aggressione al Libano e ora attivamente coinvolto nelle violenze in Siria.

Nelle ultime settimane, vari dirigenti dell'emittente, compreso il direttore generale Wadah Kanfar, si sono dimessi, uno dopo l'altro, in aperta contestazione con le strategie mediatiche ingannevoli di Al-Jazeera English, il canale a diffusione internazionale che ai suoi esordi rappresentava una vera e propria rivoluzione nel mondo delle news a diffusione mondiale, ma che ora si è uniformata alle menzogne raccontate dai vari organi di propaganda sionista come CNN, BBC, FOX NEWS, France 24, Deutsche Welle - per citare i canali più noti.

Ma a volte ciò che è ovvio non può essere ignorato. Proprio ieri il sito web di Deutsche Welle e il sito della testata turca Today's Zaman evidenziavano quanto fosse determinata la leadership politica di Israele a sostituire il presidente siriano Assad con un governo disposto al compromesso politico con Tel Aviv e Washington e a tagliare i ponti con il movimento di resistenza libanese Hezbollah. 

Tuttavia, Israele è considerata un nemico sia dal governo che dall'opposizione della Siria, motivo per cui Tel Avviv non può tentare di influenzare direttamente l'opposizione interna e deve quindi delegare il lavoro sporco agli alleati nella regione e in Washington.

L'occupazione israeliana delle Alture del Golan, un terreno molto fertile rubato alla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, rappresenta una ferita aperta molto dolente per il popolo siriano. Per questo, qualsiasi gruppo di opposizione siriano che entrasse in contatto con agenti israeliani verrebbe percepito come un traditore. 

Tra l'altro, Israele si trova in una posizione scomoda ora nella regione. Non ha rappresentanze diplomatiche nei paesi confinanti con la Siria: Iraq, Libano e Turchia [in Turchia esiste, ma di recente è stata degradata a un livello inferiore]. 

E nella confinante Giordania le cose si mettono male per Israele: ogni singolo giorno il popolo manifesta per le riforme chieste da tempo, tra cui, prima sulla lista, l'interruzione dei rapporti diplomatici con Israele. Nel giro di un anno, ovvero dall'inizio della rivolta del popolo giordano, è la quarta volta che il re di Giordania ha dovuto sostituire il primo ministro. Anche l'ultimo premier nominato appena due giorni fa è stato subito contestato dal popolo, sceso in piazza ieri gridando: «Tarawneh, non ti abbiamo eletto - te ne devi andare». 

La stessa condizione vige in Egitto, dove mesi fa il popolo ha cacciato l'ambasciatore israeliano con tutto il personale diplomatico. Sono poi "rientrati dalla finestra" i diplomatici del regime sionista, ma non hanno ora una sede fissa. Ma di Egitto e Giordania parleremo altrove - specie dell'Egitto che sta conseguendo alcune vittorie importanti nella lotta contro Israele.

* * *

Il commento di George Galloway

 



Non hanno più amici nella regione, USA e Israele - solo alleati di comodo: dittatori corrotti fino al midollo e traditori dei loro popoli.

Traditori a tal punto da fare parte della cospirazione contro le nazioni arabe che tentano di resistere all'impero sionista - come hanno fatto Arabia Saudita e Qatar contro la Libia e come fanno ora in Siria.

Traditori a tal punto da agire come cani da guardia in favore di Israele contro i fratelli palestinesi - come fanno i despoti di Egitto e Giordania.

Non erano re, gli usurpatori di Giordania, Arabia Saudita e Bahrein, prima di essere messi sul trono artificialmente creato dalle potenze coloniali di America e Gran Bretagna per tenere gli arabi sotto scacco, divisi tra loro, ridotti a sentinelle del crimine che si perpetrava ai danni dei palestinesi mentre i sionisti si insediavano nel territorio in ondate immigratorie - molto prima dell'ascesa del nazismo in Germania.

«Puoi mettere una corona sulla testa di uno sciacallo - ma lui non sarà mai un re», commentava George Galloway due giorni fa nella sua trasmissione sul canale Press-tv, in cui il famoso politico scozzese dialoga in diretta con gli spettatori che chiamano da tutto il mondo.

La puntata commentava gli eventi del Bahrein e la complicità dell'Arabia Saudita nell'opprimere le popolazioni del Golfo, specie in Yemen e Bahrein dove i sauditi sono presenti con carri armati e sparano sulla popolazione inerme che vuole liberarsi dai dittatori, da Washington, da Israele.

«Sono segretamente in combutta con Israele e apertamente alleati con gli Stati Uniti d'America nei crimini commessi contro il mondo islamico» - continuava Galloway. «Nessun musulmano, nessun arabo che li guardi in faccia, questi criminali, si sognerebbe mai di chiamarli "re"...»

«Prestano il fianco a Israele nelle violenze contro i palestinesi, ma si scagliano contro l'Iran che si impegna in favore dei popoli arabi» - commentava indignata una spettatrice britannica parlando della casa reale saudita.

Senza la protezione fornita da Washington, i tiranni arabi non resisterebbero un solo giorno alla furia delle popolazioni.

I popoli del mondo - Oriente e Occidente, Sud e Nord - vogliono convivere pacificamente. Presto, coloro  che seminano discordia e inganno e violenza, mettendo gli uni contro gli altri con l'insinuazione che esistano popoli votati alla distruzione di altri, verranno smascherati e sconfitti nel loro perverso intento.



martedì 17 aprile 2012

Scene di protesta sul tetto dell'ambasciata del Bahrein in Londra


Oggi due giovani londinesi originari del Bahrein, nella loro disperazione sono saliti sul tetto dell'ambasciata del Bahrain in Londra, arrampicandosi - sembra - dall'esterno. Mentre scrivo, vedo uno di loro, Moussa Abd Ali, sventolare la bandiera del suo paese martoriato; mentre il compagno, Ali Mushaiema, mantiene i contatti con il mondo per mezzo del suo cellulare, seduto sul cornicione del tetto.


Infatti poche ore fa Ali Mushaiema parlava in diretta con la redazione di Press TV mentre andavano in onda le immagini dei due coraggiosi attivisti sul tetto dell'ambasciata.



Al momento la polizia metropolitana di Londra ha chiuso al traffico l'area di Belgrave Square su cui si affacciano anche le ambasciate della Germania e della Siria, oltre a quella del Bahrein. L'ambasciata del Bahrein per ora non risponde alle chiamate.


Il 4 aprile i due ragazzi erano entrati in sciopero della fame ed avevano iniziato un sit-in di fronte all'ambasciata USA in Londra, ma non avevano ricevuto attenzione alcuna. Ecco perciò la decisione di un gesto che avrebbe sicuramente provocato una reazione - perlomeno dei media.


Cosa chiedono i due ragazzi del Bahrein?
I lettori abituali di questo blog sicuramente ricorderanno i nostri rapporti sulla rivolta del Bahrein iniziata nel febbraio del 2011; la terribile repressione delle forze dell'ordine con grande spargimento di sangue; la distruzione dell'iconico monumento nella piazza centrale di Manama, simbolo della rivolta; l'arrivo nel Bahrein delle forze di invasione dalla confinante Arabia Saudita e da altri stati del Golfo Persico, interpellati dal tiranno del Bahrein, il "re" Hamad al-Khalifa, l'attuale sovrano ed esponente di una dinastia di signorotti whahhabi di stampo oscurantista repressivo -- in stridente contrasto con la filosofia umanistica dell'Islam -- che nei secoli si sono imposti nella regione mediante scorribande violente, brigantaggio e pirateria.


Due secoli fa la corona colonialista britannica ha consegnato alla famiglia degli al-Khalifa lo scettro della "Perla del Golfo", la bella isola del Bahrain, le cui acque sono ricche di perle di qualità eccelsa.



Da allora gli al-Khalifa sono i sovrani fantoccio agli ordini del padrone britannico, ma in tempi più recenti soprattutto servi di USA e Israele -- analogamente a tutti gli altri stati del Golfo Persico ad eccezione dell'Iran, che lotta coraggiosamente per mantenere la propria sovranità conquistata con grande coraggio mediante la rivoluzione islamica del 1979.

Nei nostri reportage del 2011 raccontavamo degli ospedali della capitale Manama presi di assalto dalle forze di invasione per impedire al personale medico di curare i manifestanti feriti, mentre i medici e i chirurghi che si ribellavano ad un ordine tanto oltraggioso, venivano strappati ai feriti durante gli interventi salvavita, per poi essere brutalizzati, arrestati e in alcuni casi perfino fucilati sul posto, nel pronto soccorso, dove la stessa sorte poi toccava ai feriti in cura.

A oltre un anno dall'inizio della rivoluzione, niente è stato risolto - anzi la piccola isola, di grande importanza strategica nell'area del Golfo, è precipitata nel caos. La popolazione non ha mai smesso di manifestare un solo giorno e il bilancio dei morti e feriti è terribile. Muoiono di morte violenta, i manifestanti, soffocati dal gas tossico sparato anche all'interno delle abitazioni, abbattuti dai mitra dei poliziotti bahreini e delle milizie saudite, schiacciati dalle jeep della polizia che investono di proposito a grande velocità gli uomini, le donne e i bambini che non riescono a fuggire in tempo. 

Il personale medico degli ospedali si trova in maggioranza nelle patrie galere, come gran parte degli esponenti della resistenza. Le testimonianze parlano di torture sistematiche, di stupri ai prigionieri, sia uomini che donne, di centinaia di condanne a vita e perfino esecuzioni.

La 5a flotta della marina militare americana, da decenni di stanza nel porto della capitale Manama è passiva complice, non interviene, sta a guardare mentre l'orrore si manifesta sotto gli occhi indifferenti dei militari americani.

Tra i condannati all'ergastolo troviamo anche Abdulhadi al-Khawaja, direttore del centro per i Diritti Umani del Bahrein - un uomo di grande spessore umano, pluri-premiato e insignito della cittadinanza onoraria danese per il suo straordinario impegno sul fronte nazionale e internazionale della lotta per i diritti dell'uomo.

Un anno fa al-Khawaja veniva prelevato di notte in casa propria in seguito ad un raid violento che ha terrorizzato la numerosa famiglia, compresi anziani e bambini.  Per settimane, al-Khawaja era stato il quotidiano corrispondente per Press TV da Manama, raccontando via Skype in diretta gli orrori del regime e della repressione violenta ai danni dei cittadini che chiedevano condizioni di democrazia.

Anche le figlie di Abdulhadi, Myriam e Zainab al-Khawaja, sono attive nel Centro per i Diritti Umani del Bahrein, e fanno ora parte della resistenza, viaggiando nel mondo occidentale per informare sulle condizioni che affrontano i cittadini del Bahrein, manifestando in patria a fianco del popolo, come vere principesse della rivolta, spesso malmenate e arrestate, come mostra l'immagine in basso di Zainab, che in quell'occasione venne trascinata per i capelli, in manette, verso il van della polizia.



Da 65 giorni ormai, Abdulhadi al-Khawaja è in regime di sciopero della fame in protesta dell'«insulto alla dignità dell'uomo» per le torture e umiliazioni subite, rifiutando qualsiasi apporto di cibo. In realtà non è sicuro che sia ancora in vita. L'ultima volta che al suo avvocato è stata concessa la visita al proprio cliente risale a una decina di giorni fa. Già allora, al-Khawaja era allo stremo delle forze, non riusciva a parlare né a muoversi: era vicino al collasso cardio-circolatorio. 

Essendo al-Khawaja anche di nazionalità danese, l'ambasciatrice della Danimarca nel Bahrein da qualche tempo sta tentando -- finora senza successo -- di ottenere la consegna del prigioniero per il trasferimento su suolo danese.

Il mondo viene tenuto totalmente all'oscuro di quanto succede nel Bahrain, mentre i media vomitano ogni giorno sui nostri schermi le versioni fraudolente delle violenze in Siria, provocate di proposito da gang terroriste e mercenarie al soldo del Mossad, della CIA, dei francesi, dei britannici, dell'Arabia Saudita, del Qatar e perfino della Turchia, che negli ultimi tempi ha operato un'improvvisa inversione di marcia, inspiegabile agli occhi dei politologi, alleandosi con l'impero sionista USraeliano -- come viene chiamato dai lettori e autori nella blogosfera di lingua inglese -- e pugnalando la Siria alle spalle.

Mentre al tiranno del Bahrein, che si vanta del suo ruolo di guardiano degli interessi occidentali e israeliani nella regione, vengono forniti i mezzi per reprimere la popolazione, al presidente siriano Assad viene ordinato di "cessare il fuoco", che equivale a consegnare la popolazione alle violenze degli invasori stranieri, e il territorio della Siria a Israele. Poco si curano i presunti difensori del popolo siriano, che i cittadini sono dalla parte del loro leader.

La Siria è da tempo nel mirino di Israele, in quanto si oppone alle mire espansioniste del regime sionista. E' ovvio: chi si ribella all'egemonia di Israele e agli interessi di USA viene spazzato via -- come la Libia, ora lacerata dalla guerra civile. La Siria e l'Iran sono i prossimi sulla lista. Russia e Cina sono l'ambita preda finale.

Per tornare ai nostri due coraggiosi eroi sul tetto dell'ambasciata londinese del Bahrein: Ali Mushaiema e Moussa Abd-Ali.


Chiedono giustizia, i due ragazzi, chiedono che il mondo venga informato di quanto succede nel loro paese, chiedono che vengano liberati i prigionieri politici, il personale medico, gli attivisti della resistenza condannati al carcere a vita.

Chiedono che cessino le torture, gli stupri, le fucilazioni, le sparizioni degli attivisti, di cui le famiglie non ricevono più notizie, le morti dovute al gas tossico "made in USA".

Chiedono la liberazione di Abdulhadi al-Khawaja e protestano perché il leader della resistenza, Hassan Mushaiema, figlio di Ali che siede disperato sul tetto dell'ambasciata, è in carcere e non riceve le cure per il cancro che lo consuma.



Diceva poco fa Ali al telefono in collegamento con Press TV dal tetto dell'ambasciata: «Non mi muoverò di qui. Mio padre ha il diritto di essere curato. Il mio popolo ha il diritto di essere ascoltato. Il mio paese ha il diritto alla sovranità, alla democrazia, alla liberazione dal giogo di Israele e delle forze coloniali occidentali. Non mi farò catturare. Sono disposto a dare la vita per la libertà del mio paese».


Per domenica prossima, 22 Aprile, è stata confermata la tappa del Gran Premio di Formula 1 nel Bahrein. Nonostante la forte pressione dietro le quinte per annullare la gara, il dittatore Hamad al-Khalifa ha dato l'OK per lo svolgimento della corsa.


L'intenzione è di ostentare una situazione di normalità nel Bahrein.

In Manama e altre parti dell'isola, per questa settimana è prevista una partecipazione massiccia alle proteste contro lo svolgimento della gara, che si terranno ogni giorno, fino alla domenica della gara.

Solo poche settimane fa, per il 1° anniversario della rivoluzione è scesa nelle strade la metà della popolazione del Bahrein. Immaginate: la metà dell'intera popolazione! Ma niente è stato trasmesso sugli schermi occidentali dai "farabutti dei media di massa", come li chiama l'autore ebreo Stephen Lendman.

Germania e Danimarca hanno annunciato l'intenzione di non trasmettere la gara nei rispettivi paesi.
Ma anche altri paesi stanno valutando l'ipotesi del black-out mediatico della manifestazione sportiva.

E l'Italia? Che farà l'Italia il 22 aprile se il gran premio si svolgerà come previsto? Si schiererà dalla parte degli oppressi oppure dei suoi colleghi alleati di USraele?

* * *

Ora sono le 2:30 di notte e arriva la conferma da parte delle autorità di Londra che i due ragazzi del Bahrein si trovano tuttora sul tetto dell'ambasciata ...

Intanto Press TV ha pubblicato un video-reportage sull'accaduto.



martedì 3 aprile 2012

L'importanza della verità storica per smascherare il sionismo e ottenere giustizia per la Palestina: parla l'autore Alan Hart


Introduzione al discorso di Alan Hart, trascritto e tradotto in basso.

Oggi 3 bambini di Gaza - di 2, 5 e 6 anni - morivano bruciati vivi a causa di un incendio provocato da una candela accesa, usata per sopperire alla carenza cronica di corrente elettrica in Gaza.

Da mesi ormai, anche l'ultima centrale elettrica ancora attiva in Gaza  ha smesso di funzionare, eccetto per poche ore al giorno, perché Israele impedisce la fornitura di carburante per la centrale elettrica e vieta all'Egitto di subentrare con forniture alternative - tanto per ribadire chi comanda in Egitto e in altri paesi della regione.

Solo pochi giorni fa erano morti due bambini in un ospedale in Gaza, un neonato di 45 giorni e una bambina di 4 anni, perché i respiratori artificiali cui erano collegati per sopravvivere, non funzionavano più a causa della carenza di carburante per il generatore autonomo dell'ospedale.

Anche i pazienti in dialisi sono in pericolo di vita.

«Mentre l'attenzione del mondo viene dirottata altrove, Israele è libera di seminare terrore, morte e distruzione con impunità. ... Israele e i suoi crimini contro l'umanità non saranno più tollerati a lungo. E' ora che i palestinesi abbiano la giustizia a lungo negata. E' solo questione di tempo».  Queste le parole con cui e l'autore ebreo americano Stephen Lendman termina uno dei suoi innumerevoli articoli sul calvario  palestinese. Ogni articolo di Lendman che riguarda Israele termina invariabilmente con l'enfasi sulla necessità di mettere fine all'occupazione sionista della Palestina e soprattutto all'assedio di Gaza.

Mai come nella giornata di ieri, 30 marzo, abbiamo potuto constatare quanto siano determinati i popoli a liberare la Palestina dall'occupazione da parte dell'entità denominata Israele e ad affiancarsi ai palestinesi nella lotta per riprendere il possesso legittimo delle terre espropriate.

I popoli di 80 nazioni hanno partecipato, ieri, alla giornata per la Marcia Globale su Gerusalemme, che ha richiesto un anno intero di progettazione, pianificazione, organizzazione e coordinamento. 

Delegazioni con migliaia di attivisti provenienti da tutte la parti del mondo si sono unite, per l'evento, ai rifugiati palestinesi in Libano, Siria, Giordania ed Egitto per marciare sulle frontiere con la Palestina occupata, mentre altri hanno raggiunto i palestinesi in Cisgiordania e Gaza.


La loro partecipazione ha mandato un messaggio forte e chiaro a Israele e ai suoi apologisti nel mondo, ebrei e non ebrei, inteso a dichiarare che «non ci fermeremo finché la Palestina non sarà liberata, e i palestinesi avranno il diritto di tornare alla loro patria con Gerusalemme come sua capitale aperta al culto di tutte le religioni nate in Terra Santa», come spiegava una delle attiviste americane ai microfoni di Press-TV in Gaza.

Oltre alla Marcia su Gerusalemme, cui hanno partecipato anche i Rabbini della Neturei Karta, si sono tenute manifestazioni davanti alle ambasciate israeliane in molte capitali e metropoli del mondo, dall'Australia agli USA, passando per i paesi asiatici, la regione mediorientale, il Nord-Africa, l'Europa, l'America Latina e il Canada. Mentre nei paesi privi di rappresentazione diplomatica israeliana perché non riconoscono la legittimità dell'esistenza di Israele, le manifestazioni hanno avuto luogo di fronte alle ambasciate palestinesi per rendere omaggio ed esprimere il supporto per la causa della Resistenza palestinese.



Nel sud del Libano, presso la frontiera con Israele, il corrispondente di Press-Tv, Ali Rizk, ha incontrato e intervistato il direttore dell'organizzazione per la Marcia  Globale su Gerusalemme, lo storico attivista americano Paul Larudee, co-fondatore del Free Gaza Movement e, ancora prima, del Movimento Free Palestine, e ben noto al pubblico per avere organizzato e partecipato ad ogni spedizione via mare per Gaza, a partire dalla prima storica traversata del 2008 insieme a Vittorio Arrigoni e tanti altri a noi noti, e per essere stato varie volte catturato e imprigionato nelle galere israeliane e gravemente malmenato durante l'assalto alla Mavi Marmara.

Dichiarava Paul Larudee: «Non c'è alcun dubbio che la pressione internazionale su Israele è aumentata in tempi recenti in modo esponenziale. 

Spiegava Paul Larudee: «La pressione pubblica è importante e spiego perché. In questi anni di lotta per la liberazione della Palestina ho incontrato molti delegati e senatori del parlamento americano di entrambi gli schieramenti, repubblicano e democratico. Come sappiamo, nessuno di loro arriva alla carica di parlamentare senza il consueto "giuramento" alla Israel Lobby, e nessuno rimane in carica se non ha servito la Lobby fedelmente durante il proprio mandato.

«Invariabilmente - dichiarava Paul Larudee - i parlamentari che incontravo mi confidavano questo: se non ci impegniamo con la Israel Lobby per rappresentare gli interessi di Israele sia in pubblico che al momento di discutere le leggi in parlamento, veniamo perseguitati, politicamente o altrimenti. E' importante fare campagna di informazione per i cittadini sulla questione palestinese - ma non possiamo farlo noi. Per potere agire dobbiamo aspettare che i tempi siano maturi, e saranno maturi quando un numero sufficiente di elettori eserciterà forte pressione sui propri delegati in merito a Israele. Questo ci metterà in condizione di non potere più ignorare pubblicamente la questione della Palestina. Credimi, quello che siamo costretti a dire in pubblico non rispecchia quello che pensiamo e che diciamo su Israele in privato, a porte chiuse, anche discutendo tra noi. Credi che non siamo consapevoli di quanto succeda in Palestina? O che riusciamo a rimanere indifferenti?».

Ogni giorno l'isolamento di Israele da parte della comunità internazionale si intensifica. Nonostante la complicità decennale dei media nel sopprimere la verità storica su Israele creata per mezzo di terrorismo organizzato, la comunità degli uomini si sta svegliando in massa per rendersi conto dell'enorme menzogna che ha reso possibile quella che molti considerano l'ingiustizia più efferata dei nostri tempi: il furto della Palestina. Un furto perpetrato con il complice assenso delle potenze mondiali, e salvaguardato dai fantocci messi al governo di stati arabi artificialmente creati quasi un secolo fa nella penisola araba per proteggere gli interessi imperialisti occidentali e l'impresa sionista per l'egemonia di Israele nella regione.

Man mano che i popoli si schierano con la Palestina, invariabilmente ripudiano Israele: prendono coscienza del fatto che lo scopo politico del regime sionista non è offrire protezione agli ebrei nel mondo ma imporre il proprio dominio su altri popoli e sui loro governi. Prendono coscienza che, lungi dall'essere la «luce per le nazioni» come vuole la falsa propaganda sionista, Israele rappresenta un corpo alieno parassitario che si è instaurato nel mezzo del mondo islamico, demonizzando le genti musulmane delle cui terre si vuole impossessare e imponendo all'Occidente l'ostilità verso l'Islam.

Se Israele fosse stata concepita per offrire sicurezza agli ebrei, le sue strategie non sarebbero di violenza e oppressione e furto della vita altrui, con il rischio di attirare le ire dei popoli contro gli ebrei nel mondo.

Questo aspetto viene discusso in un recente articolo proprio da Alan Hart,  autore del discorso tradotto di seguito in questo post. Nel suo articolo, Alan Hart poneva una domanda nel titolo e forniva la sua personale risposta alla fine dello scritto, suscitando nella blogosfera una discussione più animata del solito.

Nel titolo, l'autore chiede: «E' inevitabile l'Olocausto II, o meglio una nuova ondata di ostilità violenta contro gli ebrei?».

«Sì, a meno che gli ebrei dell'Europa e dell'America prendano le distanze dal mostro sionista prima che sia troppo tardi». Questa la conclusione a cui arriva l'autore Alan Hart, in fondo all'articolo, dopo una lunga esposizione analitica che evidenzia quanto i crimini di Israele mettano a rischio gli ebrei nel mondo. 

Come emerge dal racconto di Paul Larudee nel descrivere le condizioni indispensabili per costringere i nostri parlamentari ad agire nei confronti di Israele, è necessario promuovere l'informazione e la discussione pubblica. 

Nel testo che segue, Alan Hart fornisce gli elementi storici essenziali per affrontare pubblicamente un dibattito che abbia lo scopo di smascherare le menzogne sioniste - ovvero la falsa propaganda che ha condizionato per decenni la benevolenza dei cittadini occidentali nei confronti di Israele, penalizzando il popolo palestinese e la sua causa per la legittima resistenza che in Occidente viene chiamata "terrorismo".

Alan Hart ci fa notare l'importanza che riveste la padronanza della verità storica, in quanto strumento  che genera il potere contrattuale nei confronti di coloro che sono nella posizione di intervenire ai fini della giustizia per la Palestina.

E vale la pena sottolineare che conoscere la verità storica è fondamentale per liberare le nostre società e le nostre menti dall'astuto ricatto sionista. 

Il ricatto più comune usato dagli apologisti di Israele per impedire il dibattito pubblico, è l'accusa di «ANTI-SEMITISMO» - un termine che contiene un inganno per legittimare l'occupazione della Palestina.

E' importante ricordare, che il termine «anti-semitismo» è stato coniato dagli ebrei dell'Europa centrale proprio nel periodo in cui iniziavano a progettare uno stato ebraico nel cuore della Palestina, e cioè intorno al 1882.

L'inganno contenuto nel termine stesso e nel suo uso ripetuto ad infinitum, viene svelato dal celeberrimo ex-ebreo, ex-israeliano Gilad Atzmon in una intervista  rilasciata durante il recente tour americano dell'autore e noto musicista.


Spiega Gilad Atzmon:

«L'invenzione e l'uso del termine anti-semitismo sono espedienti disonesti. Tanto per cominciare, la maggioranza degli ebrei nel mondo non è affatto di origini semite (ovvero, della regione nord-africana che comprende la Palestina). 

«Le organizzazioni sioniste come la ADL sono interessate ad usarle il termine di frequente perché rappresenta l’espediente per diffondere e sostenere pubblicamente il falso mito secondo cui gli ebrei bianchi (compresi quelli che occupano la Palestina provenienti dall’Europa) abbiano le proprie radici storiche nella regione palestinese. 

«In effetti, gli ebrei di pelle bianca discendono dalla popolazione dell’impero kazaro fondato nella regione del Mar Caspio 8 secoli dopo Cristo, i cui abitanti si convertirono al giudaismo senza avere alcuna connessione né biologica né storica con gli antichi ebrei della regione palestinese. Gli ebrei originari della regione, i sefarditi, hanno la pelle scura e sono in genere ebrei berberi - peraltro discriminati in Israele.  

«Gli archeologi fanno notare, giustamente, che sono i palestinesi i soli veri discendenti degli antichi ebrei della Palestina - poi convertiti al cristianesimo e successivamente all’Islam. 

«E quindi ciò che viene chiamato anti-semitismo non ha alcun senso, non esiste - soprattutto perché gli ebrei nel mondo non hanno origini o radici etniche in comune. Nonostante ciò, le politiche di identità ebraiche si basano su fattori etnici, razziali (sul falso assunto dell’origine collettiva in Palestina).»


Altri argomenti da opporre alla falsa accusa di «anti-semitismo» inteso come razzismo nei confronti degli ebrei vengono forniti da Alan Hart nel testo tradotto in basso. 

Ma sono molti altri i falsi miti che Alan Hart decostruisce nel testo, tra cui la presunta legittimità dell'esistenza di Israele come stato, la presunta minaccia esistenziale di Israele, l'affermazione che Israele voglia la pace con i palestinesi e i popoli della regione e soprattutto il falso assunto che Israele sia stata progettata in seguito alla persecuzione nazista degli ebrei.

In merito alla divulgazione della verità storica, nella parte finale del testo Alan Hart lancia un appello che mette l'accento sull'importanza di trovare editori nei vari paesi occidentali che abbiano il coraggio e la disponibilità finanziaria per pubblicare la sua opera in 3 volumi: «Sionismo: il vero nemico degli ebrei».

Già in precedenza abbiamo illustrato il contenuto significativo di questa opera epica, che permette al lettore di conoscere la VERITA' sull'impresa sionista e sul ricatto che ha condizionato in toto le politiche internazionali di un secolo e oltre di storia. 

Si tratta di un racconto vivo, narrato in gran parte in prima persona, in quanto Alan Hart stesso è stato protagonista, a partire dagli anni '60, di molte delle vicende narrate, interagendo personalmente con le figure chiave schierate dall'una parte e dall'altra del conflitto in Medio Oriente, e fungendo da mediatore ufficiale per i negoziati di pace tra il leader palestinese Arafat e l'israeliano Shimon Peres -- come emerge anche dal testo che segue. 

Sarà importante trovare anche in Italia un editore e un finanziatore per la traduzione e pubblicazione di un'opera così preziosa.

Dichiara Alan Hart alla fine del testo tradotto in basso:

«Se avessi scritto un libro epico pro-sionista, i finanziamenti dei facoltosi sostenitori di Israele sarebbero arrivati copiosi per  promozioni di ogni tipo, e perfino per la produzione di un film di Hollywood basato sul contenuto del libro.

«E’ triste considerare che le risorse messe a disposizione per raccontare le falsità storiche siano da sempre illimitate, mentre la verità non ha generato un sostegno finanziario significativo da nessuna fonte.

«E questa, a mio avviso, è la ragione principale per cui, fino ad oggi, il potere sionista ha trionfato sui diritti dei palestinesi».


Il seguente testo è la trascrizione di un discorso che Alan Hart (centro) ha tenuto di fronte ad un pubblico tedesco in Freiburg, dove era stato invitato in qualità di relatore insieme a Gilad Atzmon (centro), Ken O’Keefe (destra) e alcuni studiosi palestinesi, per una conferenza dal titolo: «Palestina, Israele e Germania  – i confini del dibattito pubblico». Il  discorso di Alan Hart ha per titolo: «La complicità dei media di massa con il sionismo nella soppressione della verità storica».




* * *


La verità storica su Israele opposta alla versione 
della falsa propaganda sionista

di Alan Hart


Da tempo sono dell’avviso che il conflitto intorno alla Palestina occupata dallo stato sionista sia il CANCRO al cuore delle politiche internazionali; e credo che senza una cura questo cancro ci consumerà TUTTI.  Credo anche, che niente sia più importante che oltrepassare, e di fatto eliminare, i confini che ancora oggi impediscono il dibattito pubblico, informato e onesto, su CHI debba fare COSA perché ci sia giustizia per i Palestinesi e la pace per tutti ovunque nel mondo. Ecco perché sono lieto dell’opportunità di parlare oggi a voi, in occasione di questa conferenza.

Prima di entrare nel vivo della discussione, vorrei fare una premessa, e anche offrirvi una chiave – anzi LA CHIAVE – per comprendere.

Sia io personalmente che il mio libro «Sionismo: il vero nemico degli ebrei»  siamo considerati una spina nel fianco del regime sionista e anche dei regimi arabi corrotti e repressivi. E c’è una ragione valida: il mio libro mette il dito su una piaga tanto profonda quanto marcia. Il fatto è che non si può raccontare la verità sul sionismo senza raccontare la verità sui regimi arabi.

Come spiegherò tra breve, la verità è che, nonostante la falsa retorica del contrario, i regimi arabi non hanno mai avuto alcuna intenzione di combattere Israele per liberare la Palestina. E ciò aiuta a spiegare perché i regimi arabi sono da sempre complici dei sionisti nel volere sopprimere una verità storica molto scomoda. Stiamo parlando dei GOVERNI arabi, non dei popoli, che invece sono tutti dalla parte dei palestinesi.

Infatti la liberazione della Palestina è una delle componenti fondamentali delle rivolte arabe.

* * *

Ora la chiave per comprendere.

Si tratta della differenza tra giudaismo e sionismo ebraico.

- IL  GIUDAISMO è la religione ebraica, ma non è la religione di TUTTI gli ebrei, perché non tutti gli ebrei sono religiosi. Come il Cristianesimo e l'Islam, il Giudaismo si basa su una serie di principi etici e valori morali.

- IL  SIONISMO  EBRAICO  è un nazionalismo settario con caratteristiche parassitarie simil-coloniali, che ha creato uno stato per alcuni ebrei nel cuore dei territori arabi per mezzo di terrorismo e pulizia etnica, facendosi beffa del Giudaismo e dei suoi valori morali e princìpi etici. In realtà il Giudaismo religioso e il sionismo ebraico sono diametralmente opposti. Mi chiedo quanti di voi siano consapevoli che il ritorno degli ebrei nella terra della Israele biblica per mezzo di azioni forzate è una mira PROSCRITTA  e VIETATA dalla religione giudaica?

A mio avviso, la negazione della Nakba – la catastrofe provocata dagli ebrei sionisti in Palestina a partire dal 1948 mediante  pulizia etnica - è tanto esecrabile quanto la negazione dell'Olocausto ebraico provocato dai nazisti. Vale la pena notare che solo una minoranza esigua di cristiani e musulmani nega l'olocausto nazista, mentre gli ebrei che negano la pulizia etnica perpetrata dal sionismo rappresentano la maggioranza della comunità ebraica mondiale.


Anti-ISRAELISMO  e  Anti-SEMITISMO

Sono due i motivi per cui conoscere la differenza tra giudaismo e sionismo offre la chiave per la comprensione.

Il primo è che, conoscendo la differenza, si può capire perché sia del tutto possibile essere appassionatamente anti-sionisti (opposti all’occupazione sionista della Palestina) senza essere in alcun modo anti-semiti (nel senso di odio e disprezzo degli ebrei nel mondo per il fatto di essere ebrei).

Gli apologisti di Israele affermano che GIUDAISMO  e  SIONISMO  siano la stessa e medesima cosa. Si servono di questa falsità per muovere l’accusa che tutte le critiche mosse contro Israele siano una manifestazione di anti-semitismo. E questa è pura propaganda sionista a scopo di ricatto, finalizzata a fare tacere le critiche e impedire il dibattito informato e onesto sulle politiche e sui crimini di Israele. Ma quando si conosce la differenza tra giudaismo e sionismo, si è in possesso di argomenti validi per respingere false accuse di anti-semitismo solo per avere detto o scritto la verità – e spero che questo sia un pensiero confortante, specie per i tedeschi.

La seconda ragione per cui è importante capire la differenza tra giudaismo e sionismo, è che diventa chiaro il motivo per cui è sbagliato incolpare TUTTI gli ebrei ovunque nel mondo per i crimini di Israele.

Tuttavia, la possibilità che proprio questo possa succedere era stata prevista da un uomo lungimirante. Voglio leggervi le parole di avvertimento di Yehoshafat Harkabi, che è stato a lungo il direttore dell'Intelligence militare israeliana. Nel suo libro “L’ora fatale di Israele”, pubblicato nel 1986, scriveva questo:

«Israele è il criterio secondo cui tutti gli ebrei tenderanno a essere giudicati. Israele come stato ebraico è l’esempio del carattere ebraico, che proprio in Israele viene espresso e sintetizzato. L'anti-semitismo ha radici profonde e storiche. Tuttavia, qualsiasi difetto nella condotta di Israele, che inizialmente provocherà l’ANTI-ISRAELISMO, rischia di trasformarsi in prova empirica della validità per L’ANTI-SEMITISMO.  Sarebbe una tragica ironia, se lo stato ebraico, che mirava a risolvere il problema dell'anti-semitismo, dovesse diventare un fattore per il risveglio dell'anti-semitismo. Gli israeliani devono rendersi conto che il prezzo dei loro misfatti verrà pagato non solo da loro stessi, ma dagli ebrei nel mondo intero».

Assistiamo oggi ad una crescente ondata di anti-ISRAELISMO nel mondo, provocato dal potere arrogante di Israele, dal suo disprezzo per il diritto internazionale e dal suo FARISEISMO spaventoso. Secondo Harkabi, il fariseismo arrogante (self-righteousness, auto-rettitudine) costituisce la più grande minaccia all'esistenza di Israele. 

Se Israele mantiene il suo corso attuale, il pericolo è, proprio come ammoniva Harkabi, che l’anti-Israelismo si trasformi in anti-Semitismo, portando ad un probabile Olocausto II – ovvero ad un'altra grande persecuzione degli ebrei ovunque nel mondo che molto probabilmente inizierà in America. A mio avviso il pericolo -- molto reale -- che questo accada sarà notevolmente ridotto se in particolare i cittadini occidentali, tra cui vive la maggioranza degli ebrei nel mondo, diventerà consapevole della differenza tra giudaismo e sionismo.

Va detto inoltre, che è nell’interesse degli ebrei nel mondo intero -- e specie in Europa e America -- agire tempestivamente  per proteggersi nel prendere le distanze dallo stato sionista e dai suoi crimini. Il prologo del Volume 1 della mia opera sul sionismo ha per titolo Aspettando l'Apocalisse. In questo prologo cito il Dr. David Goldberg, un illustre rabbino liberale di Londra, che nel 2001 aveva dichiarato: «Forse è arrivato il momento per il giudaismo e il sionismo di prendere strade separate». Se oggi il rabbino fosse ancora tra noi, gli risponderei : «Non forse, ma con estrema urgenza!».


ISRAELE  HA  IL  DIRITTO  DI  ESISTERE?

Quando ho iniziato la mia carriera come giovane reporter – inizialmente per la ITN (la britannica Independent Television News) - il capo redattore, che apprezzavo molto, mi ha comunicato la mia missione sintetizzandola in una semplice frase: «il nostro compito è aiutare a mantenere viva la democrazia».

Il mio “j’accuse” oggi è, che a causa della complicità con il sionismo nella soppressione della verità storica in merito all’occupazione della Palestina ora chiamata Israele, i media di massa in tutto il mondo occidentale hanno tradito la causa della democrazia …

Il mio scopo principale oggi è quello di attirare l'attenzione su due degli elementi critici della verità soppressa, e poi a spiegare in sintesi, PERCHE’ la verità storica è così importante.

Ma prima affrontiamo una questione cruciale: se Israele abbia o no il diritto di esistere.

Secondo la versione mistificata della storia che viene raccontata oggi in Occidente, Israele avrebbe ricevuto il suo certificato di nascita, e quindi la sua legittimità, per mezzo della Risoluzione ONU del 29 novembre 1947 per la Spartizione della Palestina.

Questa affermazione è una totale assurdità.

In primo luogo, l'ONU senza il consenso della maggioranza del popolo palestinese NON  AVEVA  IL  DIRITTO  di decidere la partizione della Palestina o assegnare parte del suo territorio a una minoranza di immigrati alieni per consentire loro di fondare uno stato per sé stessi. Il termine "alieno" è corretto, perché gli ebrei che sono andati in Palestina in risposta al richiamo sionista, non avevano alcun legame biologico di alcun tipo con gli antichi ebrei. Erano soprattutto europei convertiti al giudaismo molto tempo dopo la fine della prima occupazione israelita della Palestina.

La nozione che ci siano due popoli con diritti egualitari alla rivendicazione della stessa Terra è una falsità.

Nonostante ciò, con un margine ridotto all’osso e solo dopo un voto truccato, nel novembre del 1947 l’Assemblea Generale dell'ONU fece passare una risoluzione per la partizione della Palestina e la creazione di due Stati, uno arabo e un ebraico, con Gerusalemme non facente parte di nessuno dei due.

Ma la risoluzione dell'Assemblea Generale  COSTITUIVA  DI  FATTO  SOLO  UNA  PROPOSTA – che senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza non sarebbe entrata in vigore.

La verità è che la proposta di partizione dell'Assemblea Generale  NON  ARRIVO’  MAI  al Consiglio di Sicurezza per l'esame.

Perché?

Perché gli Stati Uniti sapevano che, se approvata, la partizione poteva essere attuata solo con la forza; e il Presidente Truman non era disposto a usare la forza per partizionare la Palestina.

Così il piano di partizione divenne “viziato” (non valido) e la questione su cosa fare con la Palestina dopo il pasticcio combinato dalla Gran Bretagna -- lavandosene poi le mani -- ritornò all’attenzione dell'Assemblea Generale per una discussione ulteriore.

L'opzione preferita e proposta dagli Stati Uniti era la temporanea amministrazione fiduciaria da parte delle Nazioni Unite. Ma proprio mentre l'Assemblea Generale dibatteva su cosa fare, ISRAELE  DICHIARO’  UNILATERALMENTE  LA  PROPRIA  ESISTENZA  -  di fatto contro la volontà della comunità internazionale organizzata, compreso il governo Truman.

La verità storica è che lo stato sionista, che (come accennavo in precedenza) è stato creato mediante terrorismo e pulizia etnica, non aveva alcun diritto di esistere, né poteva averlo, a meno che …  

... A meno che non fosse riconosciuto e legittimato da coloro che sono stati espropriati dei loro diritti e della loro terra durante la creazione dello stato sionista.

Secondo il Diritto Internazionale solo i palestinesi potevano - e possono - conferire ad Israele la legittimità cui ambisce.

E tale legittimità era l'unica cosa che i sionisti non potevano e non possono prendere dai palestinesi con la forza.



LE MENZOGNE DELLA PROPAGANDA SIONISTA (1)

Parte 1 - Le guerre israeliane: non difesa ma attacco

E ora parliamo di quelle che considero le due maggiori e più efficaci menzogne della propaganda sionista, su cui si basa la versione mistificata della storia che oggi viene raccontata in Occidente.

LA PRIMA menzogna è l’affermazione che Israele viva in costante pericolo di annientamento, la cosiddetta «respinta in mare» dei suoi ebrei. 

La verità storica, che viene interamente documentata attraverso i tre volumi del mio libro, è che l’esistenza di Israele non è mai stata messa, in alcun momento, in pericolo da parte delle forze arabe – né singole né congiunte. Non nel 1948. Non nel 1967. E nemmeno nel 1973. L’affermazione del contrario da parte dei sionisti rappresenta l’alibi che ha permesso alla sua creatura mostruosa, Israele, di farla franca dove contava maggiormente – in America e in Europa occidentale – facendo passare per auto-difesa la sua aggressione e sé stessa come la vittima mentre in realtà è l’aguzzino.

Nel tempo limitato a mia disposizione su questa piattaforma, oggi voglio concentrarmi sulla guerra del 1967, ma voglio spendere qualche parola anche sui combattimenti del 1973.


La verità sulla Guerra del 1967

Sì, è vero che quando Israele dichiarò unilateralmente la propria esistenza – un'azione che successivamente un noto leader sionista equiparò ad una dichiarazione di guerra contro gli arabi – i reparti di cinque eserciti arabi entrarono in Palestina. Ma il loro obiettivo non era la distruzione dello stato ebraico relativo al Piano di Partizione viziato. Il loro scopo era unicamente di prendere il controllo almeno del territorio assegnato per uno Stato Arabo secondo tale Piano. Ma fallirono miseramente.

Nel periodo iniziale dei combattimenti vi fu una tregua di 30 giorni. Durante la tregua, gli arabi non ricevettero un solo proiettile, una sola bomba, perché vi fu un embargo sulle armi. Ma le forze israeliane, per via della brillante pianificazione pre-bellica effettuata dal loro capo David Ben-Gurion, ricevettero armi e attrezzature di ogni genere. 

Quando i combattimenti ripresero, si trattava di 20.000 ARABI male in arnese, disorganizzati e completamente demoralizzati, contro 90.000 ISRAELIANI ben armati, ben guidati e altamente motivati.

Da allora in poi Israele divenne la superpotenza militare nella regione.

(Nel conto alla rovescia per quella prima guerra arabo-israeliana non era certo un segreto nelle sfere diplomatiche la speranza segreta coltivata da Ben-Gurion che gli Arabi avrebbero respinto la partizione e optato per la guerra, ben consapevole che Israele avrebbe ottenuto più terra araba dai combattimenti che non dalla politica e dalla diplomazia).

Posso parlare e scrivere sulla guerra del 1967 sulla base dell’esperienza personale, perché sono stato il primo corrispondente di guerra occidentale ad arrivare sulle rive del Canale di Suez con gli israeliani in avanzamento; e per via dei miei contatti nelle alte sfere diplomatiche – incluso il Gen. Maggiore Chaim Herzog, uno dei padri fondatori dell’Intelligence israeliana - ero al corrente delle trame segrete israeliane in previsione della guerra. Nel secondo giorno della guerra il generale Herzog mi disse: «se Nasser non fosse stato tanto stupido da darci un pretesto per la guerra, ne avremmo creato uno entro un anno, o al massimo 18 mesi».

A distanza di oltre 40 anni, la maggior parte degli ebrei e dei cittadini occidentali è ancora convinta che Israele sia "entrata" in guerra perché gli Arabi hanno attaccato per primi (la versione iniziale di Israele), oppure perché gli Arabi avessero l’intenzione di attaccare e Israele si sarebbe trovata costretta ad una guerra preventiva. 

La verità sulla guerra del 1967 può essere riassunta in una semplice affermazione: gli Arabi NON hanno attaccato, né avevano intenzione di attaccare.

L’intera verità, tuttavia, documentata nel mio libro, comprende i fatti seguenti.

Il premier israeliano di quell’epoca, il molto calunniato Levi Eshkol, ricopriva allora anche la carica di ministro alla difesa e non aveva alcuna intenzione di iniziare una guerra. Né la aveva il suo Capo di Stato Maggiore, Yitzhak Rabin. La loro intenzione era di condurre azioni militari molto limitate e per niente assimilabili ad una guerra, mirate a fare pressione sulla comunità internazionale affinché spingesse il presidente egiziano Nasser a riaprire lo Stretto di Tiran.

Invece Israele ha iniziato una guerra a tutti gli effetti perché così volevano i falchi militari e politici, che a tale scopo hanno diffuso la falsità che gli Arabi stessero per attaccare. Sapevano benissimo che era una menzogna, ma l’hanno sostenuta per attaccare Eshkol sul piano politico, facendolo passare per un debole agli occhi del paese. Al culmine della campagna di diffamazione contro Eshkol (che era saggio e NON debole) i falchi hanno chiesto a gran voce che il premier passasse il portafoglio della difesa a Moshé Dayan, che tutti ricordiamo come il signore della guerra con la benda sull’occhio e maestro dell’inganno. Appena quattro giorni dopo avere ottenuto il ministero che voleva, mentre i falchi israeliani avevano ottenuto il via libera dal presidente americano Johnson per annientare l’aviazione e l’esercito dell’Egitto, Israele ha iniziato la guerra. (Lindon Johnson era stato vice-presidente di John Kennedy, al quale era succeduto dopo l’assassinio del famoso presidente americano, n.d.t.)

Ciò che in realtà avvenne in Israele durante i giorni che precedettero la guerra fu qualcosa di molto simile ad un golpe militare, eseguito in segreto, a porte chiuse, senza colpo ferire. Per i falchi di Israele, in effetti, la guerra del 1967 significava portare a termine l’impresa iniziata nel 1948/49: creare la Grande Israele, con Gerusalemme -- l’intera Gerusalemme -- come capitale.

Avvenne questo. I falchi israeliani tesero una trappola al presidente egiziano Nasser minacciando la Siria. Sentendosi obbligato a salvare la faccia con la Siria, l’imprudente Nasser cadde nella trappola ad occhi aperti.

Nel lungo capitolo su questa guerra, con cui inizia il Volume 3 della mia opera, fornisco nomi e citazioni dei leader israeliani dell’epoca, che in seguito avevano ammesso la verità.


Ecco alcune citazioni.

- Il primo a rivelare la verità fu proprio il Capo di Stato Maggiore Yitzhak Rabin. In un’intervista pubblicata su Le Monde il 28 febbraio del 1968, Rabin disse questo: «Non credo che Nasser volesse la guerra. Le due divisioni che ha inviato nella Penisola del Sinai il 14 maggio (1967) non sarebbero state sufficienti a scatenare un’offensiva contro Israele. Lo sapeva lui e lo sapevamo noi.»

- Nel 1982 il primo ministro Begin si fece sfuggire questa osservazione in pubblico: «Nel giugno del 1967 avevamo una scelta. Le forze egiziane concentrate nel Sinai non erano affatto una prova che Nasser fosse davvero sul punto di attaccarci. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Noi abbiamo deciso di attaccare loro.»

Ognuno degli altri leader israeliani che cito nel libro, ammetteva che Israele non era mai stata a rischio di annientamento, e nemmeno di un attacco da parte degli Arabi.

- E come disse uno di loro, Mordecai Bentov, esponente del governo israeliano durante la guerra:

«L’intera storia dell’annientamento di Israele è stata inventata in ogni suo dettaglio e oltremodo esagerata a posteriori per giustificare l’annessione di altre terre Arabe».

Mentre scrivevo quel capitolo del mio libro, riflettevo con rabbia e dolore su quanti ebrei in Israele e nel mondo – in effetti la quasi totalità - sono stati ingannati dai leader israeliani e dai «spin doctors» sionisti che hanno cambiato le carte in tavola.

A mio parere, una delle accuse più schiaccianti da muovere ai media di massa in merito alla loro complicità con il sionismo nella soppressione della verità storica, è che a tutt’oggi raccontano una versione fraudolenta della guerra del ’67, nonostante i fatti storici – anche quelli da me narrati - siano stati acquisiti agli atti come verità ufficiale.

Domanda: perché i media di massa si prestano al gioco della complicità?

Molti credono che la risposta sia: «i media sono controllati dagli ebrei». Ma il fatto che gli ebrei siano i proprietari o abbiano il controllo dei media è solo una parte della spiegazione. L’argomento richiederebbe un esame approfondito, ma il nostro tempo qui e oggi è limitato. Per cui mi limiterò ad una semplice considerazione. Il guadagno dei giornali, ad esempio, non proviene dalla vendita delle copie. Proviene dalla vendita dello spazio pubblicitario. Ciò che i redattori temono maggiormente, è di perdere le entrate della pubblicità – un’eventualità molto probabile se le sfere sioniste si sentono offese dalla linea adottata da un giornale in contrasto con la linea voluta dai sionisti. E questa paura si traduce in auto-censura … Ma ci sarebbe molto altro da dire sull’argomento.

Riprendiamo il discorso sulla falsa propaganda in merito alle guerre e al presunto pericolo esistenziale di Israele.


La Guerra del 1973

Per i primi due o tre giorni della guerra del 1973 in pratica il mondo intero credeva che Israele fosse davvero sull’orlo della sconfitta e dell’annientamento. MA NON ERA COSI’. Nonostante il fatto che furono l'Egitto e la Siria a prendere l’iniziativa, il piano del presidente egiziano Sadat prevedeva unicamente di attraversare il canale di Suez e fermarsi lì. Ed è ciò che ha fatto. Da parte degli egiziani non c’era intenzione alcuna di attaccare Israele o cercare di riprendersi i territori egiziani occupati da Israele. Mentre lo scopo della Siria si limitava al tentativo di riprendersi le Alture del Golan sottratte alla Siria dagli israeliani.

Fondamentalmente si trattava di un’iniziativa di Sadat in segreto accordo con il nuovo segretario di stato americano, Henry Kissinger. Il ministro Kissinger voleva impartire ai suoi amici israeliani intransigenti una piccola lezione nella speranza che l’operazione si sarebbe tradotta in un processo di pace con l'Egitto. 

L’astuto Kissinger, davvero amico di Israele, sapeva che, tolto l’Egitto dalle ostilità, le altre forze arabe non avrebbero MAI potuto combattere Israele neanche volendo; e Israele sarebbe stata quindi completamente libera di imporre la propria volontà su tutto il mondo arabo.

Ma le cose si misero male per Sadat e Kissinger, quando i generali israeliani si resero conto che il loro amico americano aveva tramato con Sadat. Infatti, dietro suggerimento di Kissinger, il presidente americano Nixon rifiutò di rifornire Israele con le armi richieste. 

Con il generale Sharon in testa, i capi militari israeliani decisero di impartire sia a Kissinger che a Sadat una dura lezione.

Il ministro alla difesa israeliano Moshé Dayan ordinò di armare due missili con testate nucleari, con Cairo e Damasco come bersagli. 

Il messaggio di Dayan a Kissinger e Nixon era questo: «Se non ci date quello che vogliamo, faremo uso delle nostre testate nucleari».

La storia di questa guerra viene raccontata nel Volume 3 del mio libro, in un capitolo intitolato «La guerra del Yom Kippur e il ricatto nucleare».

L’affermazione che l'esistenza di Israele non è mai stata messa in pericolo, in nessun momento, da parte delle forze arabe singole o congiunte, è assistita da questo fatto.  

Quando il «caso Palestina» venne chiuso dalla vittoria di Israele nella campagna militare del 1948 e dall'annessione della Cisgiordania da parte della Giordania, si presumeva che questo avrebbe segnato la fine della Palestina per sempre. Si presumeva che NON ci sarebbe stata una rigenerazione del nazionalismo palestinese e che i palestinesi avrebbero accettato la propria sorte di agnello sacrificale sull'altare della convenienza politica.

Non solo. La verità è che, in segreto e nonostante la retorica del contrario, i regimi arabi condividevano la stessa speranza dei sionisti e delle grandi potenze: che il caso Palestina non sarebbe mai stato riaperto. Sapevano che altrimenti un giorno ci sarebbe stato lo scontro con Israele e con i suoi sostenitori: le grandi potenze mondiali e gli Stati Uniti in particolare.

Ciò che i regimi arabi temevano in particolare era un eventuale Stato Palestinese. Sapevano che un tale stato avrebbe avuto caratteristiche di democrazia e avrebbe rappresentato un modello a cui tutte le popolazioni popoli arabe avrebbero aspirato. Il nazionalismo palestinese veniva pertanto percepito dai despoti arabi come una forza potenzialmente sovversiva.

Altrettanto, i leader israeliani erano consapevoli che una eventuale rigenerazione del nazionalismo palestinese avrebbe avuto come conseguenza che l’intero castello sionista – la legittimità di Israele ad esistere su terre palestinesi – sarebbe stata messa in seria discussione. 

Ed è proprio ciò che sta accadendo ora.


LE MENZOGNE DELLA PROPAGANDA SIONISTA (2)

Parte 2 - Chi non vuole il Processo di Pace?


LA SECONDA delle due maggiori e più efficaci menzogne della propaganda sionista, riguarda l’affermazione che Israele non avrebbe «mai avuto interlocutori per la pace» da parte dei palestinesi.

La migliore introduzione alla verità storica su questo aspetto è una frase contenuta in un libro alquanto notevole: Il muro di ferro, Israele e il Mondo Arabo, scritto da Avi Shlaim, uno dei maggiori revisionisti di Israele, e cioè, uno storico onesto. 

Scrive Avi Shlaim: 
«La documentazione in possesso del Ministero degli Esteri israeliano è piena colma di resoconti sulle manovre da parte di ambasciatori palestinesi inviati per manifestare la disponibilità a negoziare con Israele, già a partire dal settembre del 1948». 

Vale la pena ripetere «dal settembre del 1948». Avi è stato il primo ad avere accesso a questi file quando sono stati declassificati.

Nel tempo a mia disposizione oggi mi limiterò a soli due esempi di questa disponibilità, o pragmatismo, palestinese a negoziare. Che potrebbe anche essere visto come tradimento della causa palestinese.

Appena arrivato al potere in Egitto nel 1951 mediante un colpo di stato, Nasser segretamente segnalò che avrebbe voluto un accordo con Israele. 

Le intenzioni di Nasser vennero rivelate durante i suoi colloqui segreti con Moshe Sharret, allora ministro degli esteri di Israele e a mio avviso il solo leader israeliano completamente razionale del suo tempo. È stato anche per un breve periodo primo ministro quando Ben-Gurion si era dimesso per qualche tempo, perché alcuni dei suoi colleghi -- e forse lui stesso -- stavano cominciando a dubitare del suo stato mentale. 

Quando tornò in carica come premier, Ben-Gurion distrusse Sharret politicamente perché, in seguito ai negoziati segreti con Nasser, Sharret voleva fare la pace con gli Arabi accettando per Israele i confini previsti dall’Armistizio del 1948. 

Ma l'uomo che più di ogni altro si è impegnato nel preparare il terreno per la pace è stato il leader palestinese che avviò la lotta per riaprire la pratica della Palestina – il pragmatico Yasser Arafat. 


Arafat e il compromesso storico con Israele

Nel mio libro Arafat, terrorista o pacifista?, pubblicato per la prima volta nel 1984, ho rivelato che personalmente Arafat aveva accettato, seppure a malincuore, l’idea del compromesso storico con Israele fin dal 1968. Ripeto: già a partire dal 1968. 

Arafat aveva imparato a fidarsi di Nasser, che considerava una figura paterna affidabile. Era arrivato ad accettare che il presidente egiziano Nasser avesse ragione quando affermava che se la OLP -- l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina -- voleva essere presa sul serio da parte delle grandi potenze occidentali e orientali, doveva essere realistica e venire a patti con l’esistenza di Israele entro i confini antecedenti  la guerra del 1967.

Da quel momento, ci sono voluti ad Arafat cinque lunghi anni solo per convincere i colleghi di al-Fatah ad accettare l’impensabile: l’idea del compromesso storico con Israele. Inizialmente l'idea del compromesso veniva considerata inaccettabile praticamente per tutti i palestinesi, non solo perché si trattava di fare la pace con Israele in cambio del solo 22% del Territorio Palestinese storico, ma soprattutto perché significava rinunciare volontariamente al territorio sottratto e legittimare la presenza di Israele sul 78% del territorio palestinese.

Eppure Arafat ci riuscì infine – dopo una lunga lotta.

In seguito ci vollero altri cinque anni ad Arafat per fare accettare l’inaudito compromesso con Israele anche al PNC (il Consiglio Nazionale Palestinese), una sorta di parlamento palestinese in esilio e il più alto organo decisionale palestinese. 

In quel momento c'erano circa 300 rappresentanti del PNC in esilio nella Diaspora Palestinese globale.  Altri ancora si trovavano nei territori occupati in Palestina e perfino in Israele, ma le autorità israeliane non permetteva loro di viaggiare e quindi di partecipare alle riunioni del PNC, appunto all’estero.

In quei cinque anni Arafat ha dovuto fare opera di convincimento presso ogni singolo membro del PNC. E ha dovuto farlo impiegando mezzi democratici, come discussioni e dibattiti. Non poteva comportarsi come i suoi colleghi despoti dei regimi arabi che impongono la propria volontà con la forza. Lo ha fatto convocando tutti i 300 membri del PNC ovunque nel mondo, uno a uno, per singoli incontri faccia a faccia in Beirut.

Invariabilmente, durante questo primo giro di conversazioni, Arafat non riceveva altro che rifiuti alla sua proposta, oltre all’accusa che lui, Arafat, fosse un traditore e la prospettiva che sarebbe stato assassinato se avesse perseguito le sue politiche di compromesso con Israele. Arafat stava di fatto mettendo a rischio non solo la sua credibilità presso il popolo palestinese, ma certamente anche la sua vita.

Alla fine di ogni conversazione individuale, Arafat comunque invitava i delegati a tornare nei luoghi della Diaspora (all'estero, in esilio) in cui ognuno viveva  al momento, e a riflettere molto seriamente sulla proposta del compromesso. 

Se dopo il periodo di riflessione e la discussione della proposta con le proprie comunità i delegati si mostrassero ancora contrari alla sua politica, Arafat li avrebbe convocati a Beirut per una seconda conversazione.

Il voto finale del PNC nel 1979 rappresentò una vittoria schiacciante per Arafat. La proposta del compromesso con Israele ricevette 296 voti in favore e solo 4 contrari.

Fu proprio in occasione di quel voto storico del PNC che ebbi la prima conversazione con Arafat – la prima di una serie molto lunga. 

Appena rimasti soli, Arafat estrasse un piccolo taccuino dalla tasca e sventolandolo con aria trionfale disse: «E’ tutto annotato qui».  Con ciò intendeva dire, che aveva preso nota di ogni singola conversazione con ognuno dei delegati nel corso di quei lunghi anni. 

Poi, con un gran sorriso sul volto e una voce che suggeriva l’incredulità di quanto appena accaduto, Arafat disse questo

«E’ stato un viaggio lungo ma siamo arrivati lontano. Niente più discorsi sul cacciare gli ebrei in mare. Ora siamo pronti a vivere come loro vicini in un piccolo stato tutto nostro. È un miracolo».

Era davvero un miracolo, e Arafat lo aveva reso possibile. Da parte sua, aveva preparato il terreno per una pace basata su condizioni che qualsiasi governo e popolo razionale in Israele avrebbe accettato con sollievo. Nessun altro leader palestinese avrebbe potuto ottenere un tale risultato.

Il problema quindi non era che Israele non abbia trovato partner palestinesi per la pace. Il problema è che sono i palestinesi a non avere mai trovato un interlocutore israeliano disposto alla pace. 


Israele oppone il terrorismo alla pace

Menachem Begin, probabilmente il terrorista di maggior successo dei tempi moderni e forse di tutti i tempi, era allora il primo ministro di Israele.  «Arafat il terrorista» era qualcosa che Begin e i capi della Likud potevano gestire. Ma «Arafat il pacifista» non erano pronti ad accettarlo. Ecco perché nel 1982 Begin ha permesso al generale Ariel Sharon, allora ministro alla Difesa israeliano, di condurre l’esercito israeliano fino a Beirut (sede dell'OLP di Arafat) con l’obiettivo di liquidare l’intera leadership del l'OLP e distruggerne l’infrastruttura.

Ma questa era solo la fase uno del piano di Sharon (che dopo la campagna del Libano del 1982 ricevette il soprannome di «macellaio di Sabra e Shatila»). Se fosse riuscito il suo piano in Beirut, avrebbe proseguito con il progetto per la destabilizzazione della Giordania e la caduta della monarchia giordana hascemita. Fatto questo, l'intenzione era di dire ai palestinesi: «Visto che dovete avere uno stato vostro, eccolo – la Giordania. Ve la potete prendere». 

Per mettere in atto il piano, Sharon aveva instaurato in Cisgiordania una sorta di governo fantoccio in attesa di un regime su cui regnare, che consisteva di 70 collaborazionisti palestinesi. Appena Sharon avesse spodestato il re Hussein della Giordania, i 70 palestinesi sarebbero stati  traghettati in Giordania per mezzo di elicotteri.

Il re Hussein di Giordania -- che peraltro conoscevo molto bene personalmente -- mi disse che lui e tutti i leader arabi erano da tempo del tutto consapevoli  di quelle che erano le intenzioni di Sharon. 

Hussein mi confermò anche una faccenda che mi aveva rivelato Arafat. 

Poco prima che Sharon lanciasse la sua invasione del Libano per liquidare l'OLP, i leader arabi del Golfo si incontrarono in segreto, escludendo perfino la presenza dei consiglieri, per concordare un messaggio da inviare al presidente americano Reagan. 

Il messaggio era che quando Sharon avesse invaso il Libano per liquidare l'OLP, i leader arabi non avrebbero creato alcun problema per gli Stati Uniti o per Israele. 

La fonte di Arafat per tali informazioni è stato uno dei leader arabi del Golfo che era presente alla riunione segreta – il sultano Qaboos dell'Oman (tuttora il sovrano dell’Oman). Il suo messaggio ad Arafat era stato questo: 
«Quando Sharon vi attaccherà in Beirut, chiederete il nostro aiuto e non lo otterrete. Stai molto attento».

Tutto questo e molto altro ancora è raccontato nel mio libro, con dovizia di dettagli ben documentati.


Rabin assassinato perché voleva il compromesso

Ci fu un momento, nella storia, in cui Arafat trovò un possibile e anche probabile interlocutore per la pace nella veste del premier israeliano Yitzhak Rabin; ma come ho saputo dalle mie fonti, Rabin entrò negli accordi di Oslo avviati da Arafat solo con grande riluttanza perché temeva di essere assassinato da qualcuno della propria cerchia. 

Come sappiamo, i suoi timori si rivelarono del tutto giustificati.

Il sionista fanatico che assassinò Rabin, probabilmente con la complicità di alcuni all’interno dei servizi di sicurezza israeliani, non era affatto mentalmente squilibrato come voleva la versione ufficiale. Sapeva esattamente quello che stava facendo: uccidendo Rabin sarebbe morto anche il processo di pace avviato da Arafat.

Da quel momento in poi la credibilità di Arafat presso il suo popolo subì un processo di lenta erosione. 

Il motivo è semplice da spiegare. Ciò che Arafat aveva detto in effetti in tutti quegli anni era stato: «Fidati di me. Permettetemi di perseguire le mie politiche di compromesso con Israele, perché otterrò risultati concreti per voi». 

La triste realtà era, che Arafat non poteva ottenere niente per il suo popolo, perché i leader di Israele non avevano alcuna intenzione di accettare la pace né la soluzione dei due Stati che Arafat offriva. 

E gli ebrei di Israele non erano in grado di sfidare la follia dei loro leader, perché avevano subìto il lavaggio del cervello della propaganda sionista.


Arafat: il triste epilogo di una vita di lotte

Le accuse che oggi vengono mosse ad Arafat da parte di alcuni intellettuali e attivisti è che nel processo di pace di Oslo, Arafat abbia di fatto consegnato il controllo della politica palestinese a Israele e ai sionisti. 

Durante la mia ultima conversazione con Arafat prima della sua morte -- e penso che sia stato assassinato mediante avvelenamento -- gli ho chiesto se, ripensandoci, non fosse arrivato alla conclusione di avere fatto l'errore della sua vita e di avere tradito in effetti il suo popolo mettendo la propria buona fede e quella dei palestinesi nelle mani di Israele, nella speranza che Israele avrebbe rispettato gli impegni per la pace.

La prima parte della sua risposta lasciava intendere, che quando Arafat aveva avviato le trattative di Oslo, credeva sinceramente di non avere altra scelta -- perché Israele aveva dalla sua tutto il potere, mentre ai palestinesi  non rimaneva altro che una mera speranza nel riconoscimento dei propri diritti.

Nella seconda parte della sua risposta, Arafat spiegò con voce mista di rabbia e quieta disperazione, che se le grandi potenze, e gli Stati Uniti soprattutto, avessero sostenuto la sua politica del compromesso con Israele dopo che Arafat aveva stretto la mano di Rabin sul prato della Casa Bianca, il processo di pace di Oslo avrebbe potuto conseguire la pace sulla base di condizioni appena accettabili per la maggioranza dei palestinesi.

Penso che in questo Arafat avesse ragione. L'amministrazione Clinton non appoggiò Arafat come avrebbe dovuto fare anche nell'interesse dell'America. 

E questo perché la Lobby sionista si è data da fare giorno e notte per vanificare gli sforzi sia di Rabin sia di Arafat, e alla fine riuscì nell’intento di cambiare le carte in tavola circa l’accordo firmato.


Capivo benissimo, all’epoca, ciò che stava succedendo in quel momento, per via di un commento fatto da Shimon Peres durante una nostra conversazione nel 1984. 

Allora Peres era il leader del partito laburista israeliano in opposizione al primo governo Begin – un governo di coalizione con in testa il partito di destra della Likud. Peres allora sperava di vincere le prossime elezioni, negando all’ex terrorista Menachem Begin un secondo mandato come premier di Israele. 

In quel momento io agivo come mediatore tra Arafat e Peres all’interno di una trattativa che in segreto esplorava possibili condizioni per un accordo di pace. 

Durante la mia prima conversazione privata con Peres, all'inizio delle trattative, ho usato il termine «Lobby israeliana», mandando Peres su tutte le furie. Quasi urlando, mi interruppe dicendo: «Lei non capisce! Non è una Israel lobby! Si tratta di una Likud lobby! E’ questo il problema!»

Personalmente preferisco chiamarla Lobby Sionista, perché non credo che tutti gli israeliani si sentano rappresentati dalla Lobby.

A questo punto vorrei specificare un aspetto importante. Come spiego nel mio libro, non è tanto la lobby sionista che dobbiamo biasimare per come agisce - per esecrabile che sia, in fondo non fa che tirare l’acqua al suo mulino secondo le regole del gioco politico che conosciamo. 

Da biasimare è soprattutto il sistema politico americano corrotto, che mette la democrazia  in vendita al maggior offerente. La lobby sionista è uno degli offerenti, e l'influenza che è in grado di comprare le consente di controllare il parlamento e il Presidente americano sulle decisioni politiche in merito a Palestina e Israele.

Se ci sarà l’occasione durante la discussione che seguirà, vi dirò che cosa mi ha raccontato il presidente Carter sulle opportunità limitate di cui dispone un presidente americano nell’affrontare la lobby sionista, anche qualora avesse la volontà e il coraggio di farlo.


PERCHE'  LA VERITA' STORICA E' IMPORTANTE?

Gentile pubblico in sala, dopo questa sintetica spiegazione dell'essenza della verità storica -- illustrata estesamente nel mio libro anche per mezzo di molteplici aneddoti e conversazioni -- termino il mio contributo principale alla conferenza sollevando una domanda e fornendo la mia personale risposta.

La domanda è: perché la verità storica è tanto importante?

O meglio: perché è tanto importante superare e abbattere i confini imposti dal sionismo che vuole sopprimere il dibattito onesto e informato?

Introdurrò la mia risposta fornendo tre brevi osservazioni di carattere generale.


1 - Israele è stata progettata molto prima che nascesse il nazismo 

Penso che lo stato sionista di Israele oggi rappresenti un mostro fuori controllo. Un mostro affamato della massima quantità di terra araba con il minor numero possibile di Arabi, non è minimamente interessato alla pace basata su condizioni che garantiscano ai Palestinesi un minimo di giustizia.

Un mostro che è una vera minaccia non solo per la pace nella regione e nel mondo, ma anche per la sicurezza e il benessere degli ebrei ovunque nel mondo.

Mentre scrivevo il testo di questa presentazione, destinata ad un pubblico tedesco, mi chiedevo quanti cittadini tedeschi siano consapevoli di ciò che sto per dire.

Gli ebrei sionisti avevano progettato lo stato di Israele nel cuore delle terre arabe, in Palestina, fin dalla fine del 19esimo secolo. 

Hanno perseguito tale obiettivo con tutte le forze fin dal principio, decenni prima dell’ascesa del nazismo. Eppure, quasi sicuramente, lo stato di Israele non sarebbe mai nato se Adolf Hitler non fosse esistito e non ci fosse stato l’Olocausto perpetrato dai nazisti. 

Perché?

Prima delle atrocità del nazismo, la stragrande maggioranza degli ebrei ovunque nel mondo e in particolare molti ebrei Americani illustri -- tra cui l'allora proprietario del New York Times -- erano totalmente contrari al progetto sionista in Palestina. Lo ritenevano un piano immorale. Temevano che avrebbe provocato un conflitto senza fine con gli Arabi e con l’intero mondo Islamico. Ma più di ogni altra cosa temevano che qualora le grandi potenze mondiali avessero permesso al sionismo di ottenere ciò che voleva, presto si sarebbe scatenata una violenta ondata di anti-semitismo su vasta scala.

Per la maggioranza degli ebrei oggi nel mondo, il titolo del mio libro -- Zionism: the real enemy of the Jews (Sionismo: il vero nemico degli ebrei) -- è molto scomodo, troppo scomodo, e alcuni si sentono profondamente offesi e oltraggiati da queste parole; eppure sono convinto che se fossero ancora vivi, oggi, i tanti oppositori ebrei al sionismo di quel periodo pre-olocausto, approverebbero la mia affermazione formulata nel titolo.

Il mio caro amico ebreo Ilan Pappe, autore di “La pulizia etnica della Palestina”, ha descritto il titolo del mio libro come «La verità in sette parole».


2 - Israele NON è uno stato ebraico

La seconda osservazione riguarda la mia ripetuta enfasi sul fatto che Israele è uno stato sionista e non uno stato ebraico.

In realtà è molto semplice. Come può Israele chiamarsi stato ebraico quando per un quarto i suoi cittadini sono Arabi israeliani, principalmente di fede musulmana?

Israele diventerà uno stato ebraico solo se ricorrerà ad una fase finale di pulizia etnica per rimuovere tutti i palestinesi dalla terra occupata da Israele.

A mio avviso questa è una possibilità molto reale e credo possa verificarsi in un futuro prevedibile. Non abbiamo tempo qui e ora per soffermarci su quali sarebbero le conseguenze e perché. Per ora mi limiterò a questa osservazione:  

la pulizia etnica finale del popolo palestinese sulla terra occupata da Israele renderebbe inevitabile uno scontro di civiltà – Islam vs l’Occidente cristiano e giudaico. Che forse è proprio ciò che vogliono i sionisti radicali e i loro soci neo-con americani.

E arrivo alla terza osservazione, che mi porterà direttamente a fornire la risposta alla domanda sul perché la verità storica sia tanto importante.


3 - La verità storica: potere contrattuale per la giustizia

L’incredibile fermezza e sovrumana costanza dei palestinesi occupati e oppressi è la ROCCIA  a cui siamo ancorati tutti noi che cerchiamo di promuovere la verità storica.

Ammiro i palestinesi, oppressi e sotto occupazione, perché se esiste un popolo in terra che dovrebbe sentirsi disumanizzato dal trattamento umiliante che subisce, dovrebbe essere il popolo palestinese. 

Ma non sono loro i disumanizzati - lo sono i loro oppressori. E questo non è solo il mio parere. È anche il parere di alcuni ebrei israeliani.

Continuando semplicemente ad esistere e a rimanere sul suolo palestinese senza cedere alla pressione di Israele e senza accettare le briciole dalla sua tavola, i palestinesi oppressi della Cisgiordania e del campo di prigionia che è la Striscia di Gaza stanno facendo in pratica tutto il possibile per contenere il mostro sionista.

Ma c'è una realtà politica di fondo da affrontare ed è questa.

La lotta per la giustizia in favore dei palestinesi, che è la chiave per la pace per tutti noi, non sarà vinta o persa in Israele-Palestina, e neanche nella regione. Sarà vinta o persa nelle principali capitali del mondo occidentale e soprattutto in Washington. Ma...

IL PROBLEMA NUMERO 1 - è che a causa della straordinaria potenza e influenza della Lobby sionista in tutte le sue molteplici manifestazioni, i nostri leader e governi non faranno uso del proprio peso politico per mettere Israele in riga, fino a quando non saranno spinti da un’opinione pubblica informata, dalle espressioni di vera democrazia in azione.

Nel contesto americano ad esempio, nessun presidente americano sarà mai libero di fare uso del potere politico che ha e che potrebbe esercitare su Israele, fino a quando un numero sufficiente di parlamentari americani non arrivi al punto di temere l’opinione del proprio elettorato più di quanto tema di contrariare la lobby sionista.

IL PROBLEMA  NUMERO  2 - è che i cittadini, gli elettori delle nazioni occidentali, e gli americani in particolare, sono troppo DISINFORMATI  per sentire la necessità di fare pressione - anche perché, con la complicità dei media di massa, sono stati condizionati dalla propaganda sionista a credere una versione della storia che semplicemente NON E’ VERA.



E quindi in sintesi dico questo.

La verità storica è essenziale per dare ai cittadini il potere contrattuale necessario a mettere in moto la macchina democratica in favore della giustizia per i palestinesi e della pace per tutti noi.  

Senza questo potere contrattuale basato sulla padronanza della verità storica, non esiste a mio avviso alcuna possibilità di ottenere la giustizia per i palestinesi – né la pace per tutti noi. E il cancro di questo conflitto alla fine ci consumerà, tutti.

* * *

Voglio concludere con un appello per una qualche assistenza che permetta di promuovere la verità storica qui in Germania.

Nelle prossime settimane sarà pubblicata l'edizione tedesca del Volume 1 del mio libro. È possibile che la Lobby sionista qui in Germania utilizzerà la sua influenza per impedire che il libro venga presentato nella Fiera del Libro di Francoforte. Staremo a vedere. Ma i volumi 2 e 3 non saranno pubblicati, non potranno essere pubblicati, a meno che l'editore non riceva assistenza finanziaria per pagare la traduzione. Se qualcuno di voi ha un’idea su come tale assistenza possa essere fornita, vi chiedo la cortesia di rivolgervi all’organizzatrice della manifestazione, che conoscete bene.

Se avessi scritto un libro epico pro-sionista, i finanziamenti dei facoltosi sostenitori di Israele sarebbero arrivati copiosi per  promozioni di ogni tipo, e perfino per la produzione di un film di Hollywood basato sul contenuto del libro.

E’ triste considerare che le risorse messe a disposizione per raccontare le falsità storiche siano da sempre illimitate, mentre la verità non ha generato un sostegno finanziario significativo da nessuna fonte.

E questa, a mio avviso, è la ragione principale per cui, fino ad oggi, il potere sionista ha trionfato sui diritti dei palestinesi.

A rischio di espormi ad accuse di ingenuità, rimango fermo nel mio credo che i cittadini delle nazioni occidentali, SE adeguatamente informati sulla verità storica circa la natura del conflitto intorno alla Palestina divenuta Israele, spingerebbero i loro governi ad agire, a esercitare la leva politica di cui dispongono, per portare la giustizia per i palestinesi e la pace per tutti noi, ovunque nel mondo, e insisterebbero fino a quando i governi abbiano mostrato risultati.

Grazie.

art. originale: http://www.alanhart.net/essence-of-the-suppressed-truth/