domenica 16 settembre 2012

Sesta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti - Sulla manifestazione del 20 settembre 2012, in favore del governo legittimo siriano, davanti a piazza Montecitorio.

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Nei generi letterari che abbiamo studiato a scuola abbiamo visto come esistano parecchi artifici retorici, per iniziare una poesia o uno scritto qualsiasi. Anche su mio suggerimento, a quanto pare, il dottor Valli ha ormai preso l’abitudine di scrivere una serie di interventi legati all’attualità, rivolgendosi al nostro Signor Stefano Gatti, al quale pure io mi ero rivolto, ma senza ottenere risposta. Il signor Gatti conosce certamente la piazza Montecitorio, essendo presente alla Sala della Lupa, meglio della “Bufala”, il giorno in cui la signora Fiammetta Nirenstein presentava al mondo la sua Indagine privata sull’antisemitismo, di cui tutti parlano senza che nessuno sappia dove sia e cosa sia. Fu in quella occasione che il signor Gatti, scrivendo dell’evento e della mia critica all’evento, fece il mio nome, senza poi rispondere alla mia replica. Non ho la stessa costanza del dottor Valli nello scrivere al signor Valli, ma credo che faccia bene a tentare di ottenere una risposta e gli faccia delega della mia precedente richiesta allo stesso Gatti... E dire che sua S. E. Flick rimproverava agli storici “revisionisti”, come il dott. Valli è, di non cercare il “dialogo”! Non ho la registrazione del “convegno”, ma se ricordo bene e le mie orecchie hanno ben inteso, è davvero una cosa che non sta né in cielo né in terra, detta per giunta da una Eccellenza. Non volendo pubblicare le lettere del dottor Valle senza mie righe di introduzione vorrei qui accennare, sul merito della lettera, ad un concetto che mi occupa sempre più la mente: quello di “antifascismo fascista” che è una sorta di traduzione nel contesto italiano di un altro concetto importante e necessario per destrutturare e demistificare una serie di luoghi comuni che ancora occupano le nostre piazze: l’«antisionismo sionista», di cui danno prova moltissimi che a parole dicono di essere favorevoli alla causa palestinese, ma se poi gli vai a toccare gli intimi recessi della «identità ebraica» nonché le politiche identitarie di numerosi soggetti e organizzazioni, allora ecco che scattano incredibili reazioni, su cui ora non possiamo soffermarci. Ci basta qui solo un accenno, mentalmente rivolto ad una persona innominata, la quale diceva di aver partecipato ad uno dei viaggio per rompere l’assedio per terra e per mare alla Striscia di Gaza, e di essere stato accolto al canto di “Bella Ciao”. Tutti ricordiamo le strofe della canzone: “Bella ciao, una mattina mi son svegliato, ed ho trovato in casa l’invasor”. Essendo passati molti anni da allora, uno si chiede: ma chi era l’invasore? Non abbiamo oggi oltre cento base americane sul suolo della patria Italia? Grazie ai nostri governanti non abbiamo sempre “tradito” in tutte le guerre che abbiamo combattuto, fino al tradimento del trattato di amicizia italo-libico? E qual è l’ideologia del tradimento? L’«antifascismo fascista»! Ma non finiscono qui le sorprese, anche se io qui non posso fare altro che enunciare tesi delle quali mi resta l’onere della dimostrazione, un onere che cercheremo di onorare. Il sionismo non è estraneo all’oggetto delle manifestazioni di Milano e di Roma, di cui qui si parla ed intorno alle quali si vengono ad appalesare evidenti divisioni. Sull’ideologia del sionismo si insiste molto da parte della Israel lobby nel ricondurla ad una padre nobile, che sarebbe il nostro Risorgimento ed il povero Mazzini, cui Bettino Craxi rimproverava la pratica dell’assassinio politico. Noi non crediamo che il padre del sionismo che dal 1948 ad oggi opera non solo una vera e propria pulizia etnica, cioè genocidio della Palestina, ma che è pure alla base di tutte le guerre del Vicino Oriente, non sia Mazzini e il Risorgimento, ma proprio l’«antifascismo fascista» che alimenta negli italiani e nella pubblicista un “senso di colpa”, un “debito verso Israele”, del tutto inesistente. Vorrei direi a tutti gli amici impegnati nella causa palestinese che il migliore aiuto che possiamo dare ai palestinese è quello di combattere il sionismo là dove ha le sue radici e la sua forza, cioè in Europa e in Italia. Il dott. Valli con il suo lavoro, con i suoi studi fa in questo senso un lavoro prezioso. E quale potrebbe essere il migliore destinatario dei suoi studi? Ma proprio il Signor Gatti! Egli ha magnifica occasione di poter replicare al dottor Valli, nello spirito e nello stile di quel “dialogo” di cui S. E. Flick lamentava la mancanza, di quanto egli enormemente si sbagli ed in tal modo condurci tutti sulla retta via. Non potremmo che essergli eternamente grati tutti noi per i quali vale la massima: “amicus Plato, sed magis amica veritas”.


Antonio Caracciolo

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Sesta lettera 
del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti


Gentile signor Gatti,

Stefano Gatti
    mi scuso innanzitutto per l’insistenza. Avrei voluto risentirLa più avanti, dopo la manifestazione pro-Siria che si terrà il 20 settembre a Montecitorio. La conoscerà certo, la piazza. È quella la cui pavimentazione indica una menorah coi bracci che spingono nel Gran Tempio le sette fiammelle. A illuminare i saggi fatti eleggere dagli azionisti di maggioranza del Belpaese.

    Si tranquillizzi, gentile Gatti, oggi la mia grafomania non riguarda Lei, ma un tizio ben più inquietante nonché supponente. Vede, la partecipazione alla manifestazione del 14 luglio – quella che Le permise di definirmi «famigerato» – mi si sta rivelando come lo scoperchiamento del vaso di Pandora o forse, con immagine a Lei più familiare, come il vaticinio della Strega di Endor.

    Qualche giorno prima di Lei, il 19 luglio, irruppe infatti nella mia vita l’allora a me ignoto Fulvio Grimaldi. Un comunista. Di quelli duri e puri. Col paraocchi. Di quelli che non gliela si fa. Uno di quelli che nella manifestazione romana del 16 giugno aveva infarcito di antifascismo il suo «anti-imperialismo». Compilò due righe, che penso mi riguardassero: «Poi c’è anche un brano significativo di un relatore al raduno del 14 luglio a Milano, con in tasca il gagliardetto della X MAS, la cui conclusione fa l’apoteosi dei nazifascisti in lotta per la civiltà nell’ultima guerra mondiale».

    Ora, vista tale presentazione, l’ignaro lettore potrebbe immaginarsi un relatore ultraottantenne dotato non solo di gagliardetto, ma anche di basco ed elmetto. O, al contrario, una testa rasata dedita, dopo qualche boccale di birra, a tatuarsi di emblemi proibiti. Sbagliato. Non avevo alcun gagliardetto. Né in vista, né in tasca. Anche perché, pur apprezzando altamente la Decima dal punto di vista della ribellione morale, non l’ho mai ritenuta l’espressione più compiuta della RSI.

    Vedano, gentile Gatti e isteroide Grimaldi, la più compiuta espressione spirituale dell’Ultima Italia, la più intelligente – nel senso di «avere capito» il nocciolo del contendere – non è stata quella, pur pregevole, militare, ma quella politica. Rappresentata, ad esempio, dalle Brigate Nere.

    E delle Brigate Nere portavo lo spirito non nelle tasche, ma nel cervello e nel cuore. E tuttavia non ho, per rispetto ai pro-siriani di altra parte, mai fatto «l’apoteosi dei nazifascisti in lotta per la civiltà». Anche perché lo ritenevo di cattivo gusto. Mica come il Grimaldi, antropologicamente a me repulsivo. La mia era, semplicemente, la constatazione di un’affinità: «Quella in atto è la stessa guerra che, con ben altre speranze, fu combattuta settanta anni fa dall’Europa. Contro gli stessi nemici, gli affamatori dei popoli liberi. Allora, contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente. Oggi, contro il Sistema demoliberale, maschera dell’Alta Finanza. La Siria è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà».

    Ora, sfido chiunque a definire «apoteosi» la mia esposizione. Quanto alla «lotta per la civiltà» solo un tizio come il suddetto può credere che io usi il termine «la» civiltà per intendere «la mia» civiltà. Non ho mai condiviso la distinzione spengleriana tra civiltà e civilizzazione. La ritengo non solo un inutile artifizio, ma anche l’espressione di un giudizio di valore inappropriato per un vero studioso. Il che, certo, non toglie che io giudichi la civiltà comunista, la civiltà demoliberale e la civiltà ebraica – tanto per dirne tre – come un qualcosa di alieno al mio sentire, alla mia etica, alla mia visione del mondo. E pur tuttavia, anch’esse sono civiltà. Per quanto ignobili, ed anzi esiziali.

    Non contento di avere insultato le altre componenti del fronte pro-Siria, il 12 settembre il Grande Schizzinoso torna alla carica persino nei miei confronti. Nei miei confronti, caro Gatti! Ma ci pensa? E cosa t’inventa, stavolta? Sulle orme del Suo «famigerato», mi definisce «un ceffo»: «La bella faccia pulita della Siria veniva imbrattata dal discorso di un ceffo che, esaltando le potenze dell’Asse (quelle della genocida colonizzazione pre-Nato di Africa e Asia), ne compiangeva la sconfitta». Sant’iddio, «un ceffo»! Ma che gli ho fatto, ma che vi ho fatto per essere tanto inurbani?

    Ora, giudichi Lei se nelle mie parole vi fosse una qualsiasi «esaltazione». Inoltre il Grande Bilioso, usando (a sproposito) il termine «genocidio», si mostra, malgrado l’innata prosopopea, carente di storia. Se poi per l’Italia il pensiero del lettore potrebbe andare a Libia ed Etiopia, e per la Germania all’Africa del Sud-Ovest, non riesco a vedere cosa le potenze «dell’Asse» avrebbero fatto in Asia. A meno che il Nostro – magari per ignoranza – consideri il Giappone parte dell’«Asse» (a essere indulgenti, potremmo concedergli il «Tripartito»). E quanto al «Blut und Erde» strologato in un altro passo, anche i sassi sanno che l’espressione corretta è «Blut und Boden».

Gianantonio Valli
    Quanto a «ceffo», giudichi Lei. Posso assicurarLe non solo che ero decorosamente vestito, giacca elegante, sobria cravatta, volto serio, portamento dignitoso, ma anche che mi ero sbarbato e sfoggiavo un bel taglio di capelli... Un «ceffo»! ma quale «ceffo», suvvia! In particolare, se confrontato col look da sessantottino male invecchiato e peggio inacidito del Grimaldi. Per non dire della sua verbosità, ridicolmente futuristica e lievemente paranoide. O sotto l’effetto di un trip.

    E non cito le scene che recitò a Tripoli! Ad esempio, quando si rotolava sul pavimento della stanza d’albergo, starnazzando di trovarsi sotto un bombardamento, in mano la videocamera ondeggiante che ne riprendeva il volto contratto. Alta simulazione di giornalismo professionale. Salvo poi dichiarare, ad un allibito spettatore della stanza vicina, allarmato per il chiasso, che si trattava di un gioco per farsi bello col nipotino. Oh, sinistri, sinistri! eterni bambini, pecoroni frustrati e rancorosi.

    Ma eleviamo il discorso! Il privilegio dell’ignoranza e il vanto dell’idiozia li lascio a chi cerca ancor oggi di ingannare i cervelli predicando la «pace». A coloro che usano termini ammuffiti come colonialismo e imperialismo. A quei sinistri che, in questa capitale lotta per la libertà, si adontano per l’intervento dei pro-siriani di altra parte politica. Trotzkisti. Leninisti. Stalinisti. Anarcoidi. Vermiciattoli. Gentucola. Affetta da blocchi mentali. Da blocchi culturali. Da blocchi psichici.

    Il nemico dei popoli non è oggi l’imperialismo. È il Nuovo Ordine Mondiale. È il mondialismo, l’universalismo, il cosmopolitismo. È il «volemose bene» planetario. Lo stucchevole termine imperialismo proietta le menti in un quadro emotivo e relazionale ottocentesco, in un’epoca nella quale ancora vivevano e operavano le nazioni. Combattendosi l’un l’altra per i propri valori, i propri sogni, i propri deliri, i propri interessi. Legittimi o illegittimi, a noi graditi o meno che fossero.

    Il quadro è radicalmente cambiato. Oggi stanno per scomparire tutte le nazioni, per decomporsi tutti i popoli, sezioni di un ammasso planetario dominato neanche più da una nazione, ma da un’unica, mostruosa entità. Un mostro ideologico-finanziario. Una entità apolide che ha inventato a suo uso e consumo, ed imposto all’universo mondo, la farsa dei Diritti Umani.

    La guerra culturale, da due millenni promossa contro l’Europa da un sistema di valori non europeo, ha usato delle libertà concessegli dalla buona fede europea per insinuarsi dappertutto, minare ogni Stato, annientare la spiritualità dei popoli che ne hanno accolto i portaparola. Le guerre, la lotta politica, il saccheggio e gli accordi – eterni da che mondo è mondo – sono sempre avvenuti tra popoli che vivevano dei propri valori come pesci nell’acqua. Ma oggi il mare è sporco, e domani sarà morto. Dobbiamo forse attendere, senza nulla dire né fare, che vengano annientate tutte le comunità naturali, le etnie, le culture, i popoli, le nazioni, al fine di trasformare questi infiniti mondi spirituali in mefitiche zone commerciali nelle quali l’individuo vegeti in una vita sempre più breve?

    L’uomo solo e disincarnato, contrariamente all'insegnamento cristiano, marxista e liberale non vale alcunché, è nulla. I Diritti Umani sono la più atroce impostura, inventata a profitto di coloro che ne parlano per dissolvere ogni comunità non sintonizzata sulle loro frequenze. Sono l’arma intellettuale per distruggere le razze, le nazioni, l’umanità, forse anche la vita sulla Terra.

    Una cultura è un insieme coerente di memorie che garantisce la coesione di un popolo, impedendogli di scomparire in una poltiglia di «esseri umani». Per giudicare rettamente dell’aggressione alla Siria, e per essa ad ogni altro popolo ribelle al Pensiero Unico e alla Grande Usura, per giudicare rettamente di ogni altro evento della storia, la scala non è comunque quella degli anni e degli individui, ma quella dei decenni, dei secoli, dei cicli di civiltà, delle razze e delle nazioni. Unità intermedie tra la nullità concreta dell’individuo e la nullità astratta dell’Umanità.

    Gentile Gatti, paranoide Grimaldi, inneggiamo concordi al popolo siriano e al suo Presidente! Inneggiamo a quanto, per tutti, rappresentano in termini di libertà e dignità.

Cuveglio, 15 settembre 2012
   


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