venerdì 16 dicembre 2011

L’autore ebreo anti-sionista Stephen Lendman premiato per “migliore giornalismo di inchiesta” - Ecco un suo articolo sulla Palestina occupata


Come tutti sappiamo, esistono due comunità distinte di giornalismo nel mondo. Da una parte troviamo l’industria della propaganda di massa, con la catena di montaggio per assemblare i messaggi del potere, che formano l’apparato della disinformazione pubblica. Conosciamo bene i suoi addetti: definirli “giornalisti” è un insulto alla categoria. Ogni giorno invadono le nostre vite, bombardando le menti dei cittadini distratti con versioni fraudolente di quanto succede nel mondo e in casa nostra. Sono i “mercenari della stampa”, i “terroristi dell’informazione”. Sono tanti, sono implacabili, occupano ogni spazio della propaganda strisciante. Si insinuano nelle coscienze degli incauti per mezzo di strategie di comunicazione astute e ripetitive, studiate per il controllo delle menti, per soffocare la voce del buonsenso, per narcotizzare spettatori e lettori, riducendoli a consumatori passivi e acritici dell’informazione.

I più noti tra loro generano opinioni indotte che inevitabilmente portano il pubblico inconsapevole a sposare le cause dei poteri forti, a illudersi di sapere chi sono i cattivi, a esultare all’idea che presto la NATO farà cadere il “terribile” Assad della Siria dopo avere fatto fuori il “diabolico” Geddafi. Sono loro, i giornalisti asserviti al diktat sionista  –  per convinzione o per convenienza - che propagano false dottrine presentando l’Islam come nemico pubblico dell’Occidente e Israele come vittima circondata da terroristi. Sono loro che stanno spianando la strada per la guerra contro l’Iran preparando l’opinione pubblica occidentale ad approvarla. Una forma di giornalismo inglorioso, che semina odio tra le genti e genera schiavitù mentale volontaria, a beneficio degli oppressori.

Dall’altra parte c’è la comunità dei “truth tellers” – i giornalisti che raccontano la verità, che gridano a lettere cubitali nella blogosfera per metterci in guardia contro le aggressioni alla Siria, al Libano e all’Iran, gli unici paesi nella regione a rifiutare l’asservimento all’impero US/raeliano. Sono loro che ci svelano i 60.000 morti ammazzati dalle bombe della NATO sparate sulla Libia per “proteggere” i civili dal loro leader, mentre ogni giorno le massicce rivolte nel Bahrein e nel Yemen vengono represse nel sangue perché i loro dittatori sono appoggiati da USA e Gran Bretagna.

Sono loro che ogni singolo giorno ci prospettano le terribili conseguenze di un eventuale attacco all’Iran voluto da Israele, ben consapevoli che Israele non esiterebbe a fare uso dell’arsenale nucleare in suo possesso. Sono loro a ricordarci che non potrà esserci pace tra gli ulivi della Palestina, né altrove nel mondo, finché Israele continuerà ad esistere come entità politica, con le sue Lobby in controllo delle politiche estere e dei parlamenti occidentali.

Sono loro, accademici, intellettuali e autori di libri straordinari, che si sgolano in rete con scritti preziosi, nel tentativo di sovrapporre le loro voci preoccupate a quelle aggressive e spregiudicate dei media di massa. Sono loro che ogni giorno arricchiscono le nostre menti e coscienze con il linguaggio del giornalismo etico.

Sono loro i veri corrispondenti di guerra – quella dei Nord contro i Sud del mondo, quella dell’Occidente contro l’Islam, quella dei governi contro i cittadini, quella del terrorismo ecologico contro il sistema Terra, quella della finanza mondiale sionista contro i lavoratori che beneficia della deregolamentazione del settore finanziario attuata dalla classe politica occidentale corrotta, fin dai tempi di Reagan e della Thatcher.

Se ogni cittadino occidentale leggesse anche un solo articolo al giorno scritto da uno dei “giornalisti della verità”, è probabile che il nostro mondo si trasformerebbe in breve tempo. La verità rivelata a centinaia di milioni di occidentali rappresenta uno strumento molto potente per smascherare e contrastare le mire malsane dei pochi a spese dei tanti.

La comunità internazionale del giornalismo etico ogni anno celebra il “giornalismo di eccellenza” con l’assegnazione dei premi di categoria, che vengono consegnati in Città del Messico da parte del Club de Periodistas nel mese di dicembre. Sono riconoscimenti di grande prestigio, noti nell’ambiente come “gli Oscar del giornalismo etico”. Le categorie premiate sono tante e i giornalisti sono di varie nazionalità.

Il premio internazionale per la categoria “giornalismo di inchiesta” quest'anno è stato aggiudicato all’unanimità all’autore americano Stephen Lendman, ormai noto ai lettori di questo blog, universalmente apprezzato per il grande impegno sul fronte della lotta contro il sionismo e contro ogni forma di oppressione e violazione dei diritti umani.


Il premio per la categoria “corrispondente di guerra” è stato assegnato al canadese Mahdi Darius Nazemroaya per i preziosi reportage dal fronte della Libia durante i mesi dei bombardamenti NATO sulla popolazione civile libica, in cui raccontava la verità opposta alle menzogne della NATO prontamente servite al pubblico avido di giustizialismo come forma compensatoria di ingiustizie subite in casa propria.

Stephen Lendman è un autore e conduttore radiofonico che vive in Chicago. E’ uno degli autori più prolifici e apprezzati nella blogosfera. Alla veneranda età di 77 anni scrive ogni giorno due articoli, uno dei quali tocca regolarmente il tema della causa palestinese, del sionismo, dei crimini di Israele, delle guerre americane volute dall’insaziabile appetito dei sionisti di Tel-Aviv e Washington. Nei suoi articoli Stephen Lendman attacca la stampa sionista su base quotidiana, opponendo alla falsa propaganda la versione dei fatti ben circostanziata e documentata.

Lendman è anche l'autore di un libro sullo strapotere del settore finanziario di Wall Street, pubblicato nel settembre di quest'anno e subito diventato un best-seller per la tematica di grande attualità.

Il programma radiofonico condotto da Stephen Lendman rappresenta un salotto politico in cui convergono gli esponenti del mondo accademico anti-sionista, anti-corporativo. In ogni puntata Stephen si intrattiene con uno degli autori a noi noti, in una conversazione tra uomini di coscienza preoccupati della sorte dei popoli. Un tema ricorrente è la situazione del Medio Oriente e dell’Iran nel mirino dell’Impero. Oggi, con crescente frequenza, le analisi degli autori portano ad una conclusione inquietante: che gli appetiti voraci del mostro neo-con sionista non saranno placati finché non avrà divorato anche la preda più ambita – la Cina.

L’ospite di Lendman nella trasmissione di oggi, data in cui Obama ha annunciato la fine dell’occupazione dell’Iraq, era James Petras, autore di tante pagine memorabili di denuncia a questa guerra di aggressione estrema e distruzione di una civiltà millenaria molto avanzata di cui i cittadini occidentali sanno poco e niente. Durante la trasmissione, i due autori facevano notare che in realtà l’Iraq rimaneva occupato da almeno 18.000 soldati americani, migliaia di contractors delle organizzazioni paramilitari mercenarie, oltre che dalle migliaia di funzionari americani in controllo del paese. Il resto del contingente americano di stanza in Iraq, veniva in realtà destinato ad altre aree del Golfo per continuare l’occupazione della regione.  

L’anno scorso il premio per il giornalismo di inchiesta era stato assegnato proprio a James Petras, docente di New York, autore di numerosi libri sulle politiche sioniste americane, noto alla blogosfera mondiale per il suo attivismo pro-palestinese e i suoi articoli di feroce critica a Israele e alle politiche imperialiste americane.

Durante la conversazione, tra Lendman e Petras, è stato toccato anche il tema della recente scoperta macabra fatta in USA: che fino al 2008 i resti dei soldati americani caduti in Iraq, comprese le membra dei mutilati, sono stati gettati in una discarica non lontana da Washington, una fossa da riempire, destinata a terreno edificabile.

Nonostante sia ebreo di origine, Stephen Lendman si considera «prima di tutto un uomo di coscienza» che non può esimersi dal denunciare i crimini di Israele nei confronti dei palestinesi. Il suo impegno senza compromessi non è rimasto senza conseguenze: da tempo la cerchia di amici e parenti ebrei lo ha ripudiato, e altrettanto hanno fatto molti dei familiari.

Mi scriveva Stephen in una mail recente: «ho ricevuto centinaia di mail di felicitazioni per il premio ricevuto, in maggioranza da parte della comunità accademica nord-americana. I membri della mia famiglia – ad eccezione di due - hanno ignorato l’evento nonostante li abbia informati. Sono sicuro che il motivo è la franchezza dei miei scritti sulla questione Palestina/Israele, la ragione principale del premio di cui sono stato insignito». 

Nel commentare l’evento della premiazione, Stephen Lendman dichiarava: «La cerimonia è stata magnifica. Gli organizzatori mi hanno riservato cortesie degne di un sovrano. Sarò per sempre grato di questa esperienza unica nella vita. Hanno partecipato ospiti illustri, oltre ai giornalisti messicani e stranieri e i rappresentanti della stampa. Un portavoce del governo messicano ha letto un messaggio del presidente Felipe Calderon per i premiati».

Stephen Lendman  e Mahdi Nazemroaya sono stati invitati a rilasciare una breve intervista per un programma trasmesso ovunque nell’America Latina. Stephen ha iniziato il suo discorso dicendo: «Oggi questo gringo americano è orgoglioso di essere chiamato “periodista”».

«Tradotto significa giornalista – specificava Stephen in un suo commento successivo -  ma per il “Club dei Giornalisti” messicano significa molto più di questo. L’anno prossimo sarà il loro 60esimo anniversario. Ogni anno onorano i giornalisti per il loro contributo alla verità».

Nel suo discorso di fronte al Club, Stephen dichiarava: «Sono profondamente commosso per l’onore ricevuto. Conserverò gelosamente il ricordo di questo giorno e mi impegnerò per essere sempre all’altezza del suo significato».

Anche noi abbiamo voluto rendere omaggio al neo-premiato giornalista di inchiesta, pubblicando di seguito l’articolo scritto dall’autore il 29 novembre per la Giornata Internazionale della Solidarietà alla Palestina. Siamo sicuri di fare cosa gradita all'autore, in quanto è proprio la sorte dei palestinesi la questione che a Stephen Lendman sta maggiormente a cuore.

* * *



- Giornata Internazionale della Solidarietà con la Palestina - 
di Stephen Lendman

- per i Palestinesi solo un altro giorno di ordinaria follia -


Istituita dall’ONU nel 1977, la Giornata Internazionale della Solidarietà con il Popolo Palestinese viene celebrata il 29 novembre e commemora la data in cui, nel 1947, venne adottata  la Risoluzione ONU 181 malgrado l’opposizione dei Palestinesi.

La Risoluzione è nota con il nome di Piano di Spartizione della Palestina. Consegnava il 56% della Palestina storica agli ebrei (che costituivano un terzo della popolazione),e il 42% ai palestinesi.

Gerusalemme venne dichiarata Città Internazionale e affidata ad un Consiglio di Amministrazione Fiduciario dell’ONU. Ufficialmente lo è tuttora. L’area comprende l’intera Gerusalemme, Betlemme, e Beit Sahour – in modo da includere tutti i luoghi sacri cristiani.

La Risoluzione 181 prevedeva anche la nascita di uno Stato Arabo Indipendente. La data per la dichiarazione ufficiale di tale stato era stata fissata per il 1° ottobre del 1948. Il testo sollecitava “tutti i Governi e Popoli ad astenersi da qualsiasi azione che possa ostacolare o ritardare la realizzazione di queste raccomandazioni”. Al Consiglio di Sicurezza veniva affidato il compito di “adottare le misure necessarie affinché il piano fosse implementato come previsto”. Il piano doveva garantire “una pace giusta e duratura …”.

Ma ciò che avvenne in seguito è noto a tutti. Prima che si potesse attuare il piano dell’ONU (comunque contro la volontà dei palestinesi), i sionisti avviarono la loro “guerra per l’indipendenza” e dichiararono l’esistenza dello stato di Israele nel maggio del 1948.

A distanza di molti decenni, la pace rimane una chimera e la Palestina è sempre occupata.

Le potenze mondiali non sono mai intervenute e oltre 8 milioni di palestinesi rimangono in attesa di giustizia, compresi i profughi e i palestinesi della diaspora.

Privo di qualsiasi potere di influenza, il Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese si riunisce ogni anno nella sede dell’Onu per osservare la Giornata della Solidarietà Internazionale. L’ipocrisia rituale si sostituisce a politiche efficaci per la Liberazione.

I palestinesi meritano impegno per la giustizia negata, non cerimonie. Un giorno, forse, i decenni di pazienza saranno ricompensati.

Il 29 novembre, i popoli ovunque nel mondo hanno espresso la loro solidarietà con la Palestina. In Gaza i membri dell’International Solidarity Movement di Beit Hanoun e altri gruppi palestinesi si sono messi in marcia verso le zone vietate da Israele per liberare migliaia di palloncini con bandiere palestinesi.

I palloncini si sono librati nel cielo, oltrepassando le frontiere che imprigionano la popolazione di Gaza. Riflettevano lo spirito del popolo che si strugge per la libertà. Un attivista palestinese ha fatto appello alle genti del mondo chiedendo di «isolare Israele nella comunità internazionale e di esercitare pressione in tutte le sue forme finché l’occupazione della Palestina avrà termine».

Radhika Sainath del Solidarity Movement dichiarava: «Oggi l’intero mondo libero è contrario all’occupazione, agli insediamenti e al muro di separazione. Continueremo la nostra opera in Palestina, con gli attivisti palestinesi, finché riusciremo a portare Libertà e Giustizia in Palestina».

Press TV riportava sui movimenti di attivismo pro-palestinese nel mondo, che ovunque bruciavano bandiere israeliane, simboli di repressione.  Gli abitanti di Gaza lanciavano le bandiere palestinesi al di là delle barriere costituite dal recinto elettrico che delimita la zona cuscinetto e impedisce ai palestinesi di accedere al 30% delle terre coltivabili.

E Israele come ha “celebrato” la Giornata?

In risposta alle manifestazioni del 29 Novembre, il giorno dopo Israele ha inviato carri armati, bulldozer e veicoli militari in Gaza. I soldati hanno aperto il fuoco dalle torrette di osservazione. L’artiglieria dei carri armati ha colpito le case a est di Khan Younis.

Le terre coltivate di Jahor al-Dik e Maqbola sono state distrutte. Gli elicotteri da guerra circolavano di continuo sull’area. Gaza rimane zona di guerra. Uomini, donne e bambini vengono colpiti costantemente.

E cosa faceva l’ONU? Il solito.

Il 28 novembre l’ONU accusava la Siria di “gravi violazioni dei diritti umani”. Il fatto che in Siria le uccisioni e altre atrocità sono opera di mercenari e membri di Al Qaeda reclutati dalle potenze occidentali non veniva specificato.

Né l’Onu condannava Israele per i quotidiani crimini contro l’umanità commessi contro i Palestinesi.

Il Segretario generale Ban Ki-moon funge unicamente da strumento dell’Impero. Dal suo ordine del giorno, gli obiettivi di pace e giustizia sono completamente assenti. Di conseguenza, i Palestinesi, i Libici, gli Iracheni, gli Afgani, i Bahreini, i Yemeniti, gli Egiziani, i Sauditi, i Somali, e altri milioni di esseri umani soffrono in modo atroce.

Ban Ki-moon non ha pronunciato parola quando a metà novembre Israele ha tagliato completamente la corrente elettrica di Gaza, «come al solito abusando del falso alibi della sicurezza», dichiarava il ministro per l’energia palestinese, Kanaan Ubeid.

L’elettricità è stata tagliata per 9 giorni interi.

Il 26 novembre Israele dichiarava che l’erogazione di acqua ed elettricità cesserà su base permanente se Fatah e Hamas formeranno un governo unitario come annunciato.

Il 29 novembre, data della Giornata della Solidarietà, il Centro Palestinese per i Diritti Umani condannava Israele per avere impedito ad una squadra di tecnici di ripristinare una rete elettrica di Gaza. Ad oggi non è stata riattivata.

La crisi elettrica genera gravi condizioni di disagio in Gaza, soprattutto ora che il freddo si fa sentire. Attualmente Gaza riceve solo un terzo del fabbisogno elettrico, in minima parte generato in Gaza e in Egitto e per il resto proveniente da Israele in misura del tutto inadeguata. 

La Società per la Distribuzione Elettrica di Gaza gestisce la situazione come può per mezzo di un piano di emergenza che comporta la mancanza di corrente elettrica per quasi metà della giornata. La malignità di Israele sta esacerbando le condizioni di grave disagio, violando le leggi internazionali.

Ufficialmente i palestinesi sono persone protette, ma Israele li tratta come criminali. I capi di stato delle potenze mondiali non intervengono, né tanto meno le autorità dell’ONU.

Ma l’elenco dei diritti violati da Israele è lungo.

Il Centro Hamoked per la Difesa dell’Individuo ha pubblicato sul proprio sito l’elenco degli abusi perpetrati da Israele su base regolare, tra cui:

1 – Il Muro di Separazione che accerchia le aree abitate dai palestinesi nelle zone in cui i coloni si sono insediati illegalmente. Il muro viola le leggi internazionali, sconvolge la vita dei palestinesi sui propri territori, ostruisce i diritti al culto religioso negando l’accesso ai luoghi sacri, rappresenta una punizione collettiva dei civili che Israele come entità di occupazione avrebbe l’obbligo di proteggere.

2 – I corpi dei palestinesi uccisi non vengono restituiti ai familiari, eccetto in casi sporadici. Dal 1988 la Hamoked ha fornito rappresentanza a centinaia di famiglie addolorate.

3 – Viene negata l’unificazione delle famiglie: Israele dichiara che i palestinesi non ne abbiano diritto e solo in casi rari “concede la riunificazione come atto di pura benevolenza”. Di conseguenza, la separazione forzata colpisce “decine di migliaia” di palestinesi di Gaza, cui viene impedito di raggiungere le famiglie nei territori palestinesi .

4 – Revoca della residenza. Dal 1967 a oggi Israele ha revocato la residenza a centinaia di migliaia di palestinesi residenti nei territori a loro ufficialmente assegnati.  In altre parole, i palestinesi che viaggiano all’estero devono depositare la propria carta di identità al momento del passaggio alle frontiere (sempre controllate dai militari israeliani, anche quelle non confinanti con Israele) e ricevono in cambio una “exit card” valida per 3 anni. Coloro che non ritornano entro tale scadenza, vengono dichiarati “emigrati all’estero”. La residenza viene revocata definitivamente, ad eccezione di casi isolati. Tale revoca viola i diritti internazionali, compresa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, secondo cui «ognuno ha il diritto di partire dal proprio paese e da qualsiasi altro, conservando il diritto di ritornare [articolo 13(2)]».

5 – Residenza in Gerusalemme: da quando nel 1967 Israele ha illegalmente annesso Gerusalemme Est (ufficialmente riservata ai palestinesi), i residenti palestinesi subiscono varie forme di oppressione, comprese «barriere invisibili che incidono sulla vita quotidiana».

Israele ignora ogni legge internazionale con impunità.

I palestinesi non hanno diritti di alcun tipo. La loro vita è un inferno. Sanno di doversi aspettare qualunque sciagura da un momento all’altro, compreso lo sfratto forzato o la demolizione delle case per fare spazio a nuovi insediamenti di coloni israeliani.

La Hamoked assiste di continuo i palestinesi nel denunciare casi di abuso, anche presso la Corte Suprema. Ma perfino quando le sentenze sono favorevoli ai palestinesi, le disposizioni del tribunale non vengono applicate. Le autorità israeliane semplicemente ostruiscono o rimandano all’infinito l’esecuzione degli ordini del tribunale, provocando gravi sofferenze ai palestinesi.

Abusi terribili contro i palestinesi sono all’ordine del giorno.

Vediamo cosa è successo nella sola giornata del 30 novembre.

- I bulldozer dell’esercito israeliano hanno completamente sradicato ogni coltivazione del villaggio agricolo di Mas-ha, distruggendo anche gli allevamenti degli animali.

- I soldati hanno aperto il fuoco su un centro abitato vicino a Gaza City.

- Altrove nella Palestina occupata, gli attivisti di “Peace Now” sono stati presi di mira con minacce di morte e di distruzione mediante esplosivi della sede della loro associazione.Atti come questi sono in genere opera dei coloni estremisti israeliani. Ma le autorità non fanno niente per fermarli.

- Sempre il 30 novembre, i soldati israeliani hanno arrestato tre giovani di Beit Ummar, in territorio palestinese. I soldati hanno fatto irruzione violenta nelle loro abitazioni. Nei giorni precedenti, altri 16 residenti del villaggio erano stati arrestati e messi in carcere. 13 di loro erano minorenni. Gli israeliani trattano i bambini e minorenni alla stregua di adulti.

- Per la terza volta consecutiva, il 30 novembre la detenzione di Nayef Rajoub, parlamentare di Hamas, è stata estesa per altri 6 mesi.

I palestinesi possono essere detenuti all’infinito senza formali accuse, per presunte ragioni di sicurezza. Si tratta di una violazione non solo dei diritti internazionali, ma anche delle leggi israeliane.

Dal 1989, Rajoub è stato arrestato numerose volte, malgrado non abbia commesso crimini di alcun tipo.

Lo stesso vale per tanti palestinesi, la cui unica colpa è di volere vivere come cittadini liberi nella propria Terra.

Ma Israele chiama questo “terrorismo”.

- Sempre nella giornata del 30 novembre, Israele ha intercettato e arrestato 10 pescatori di Gaza. In seguito i pescatori sono stati rilasciati, ma le barche, i loro mezzi di sussistenza, sono state sequestrate.

Come sappiamo, gli israeliani hanno posto limiti estremi alla pesca nelle acque di Gaza. I pescatori spesso tornano con la barca vuota, o anche danneggiata dall’artiglieria delle navi da guerra israeliane.

In luglio di quest’anno, la Commissione Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che l’industria della pesca di Gaza è in pratica scomparsa. Migliaia di cittadini in Gaza dipendono dalla pesca – ma Israele li taglia fuori dalla fonte di sussistenza, restringendo l’area della pesca a 3 kilometri dalle coste di Gaza, ormai priva di pesce. Le barche che si avvicinano al limite vengono intercettate dalle navi da guerra del regime, che spesso aprono il fuoco.  Oppure la marina militare usa i potenti cannoni spara-acqua che mandano i pescherecci quasi a fondo. Tutto questo è illegale, compreso il limite dell’area di pesca. Ma nessuno interviene – tanto meno l’ONU.

- Sempre il 30 novembre, al parlamentare palestinese Qays Abdul-Karim è stato vietato di uscire dai territori palestinesi per partecipare alla 27esima sessione del Parlamento dell’America Latina in compagnia di una delegazione di altri parlamentari. Alla frontiera con la Giordania era stato fermato e interrogato da un ufficiale israeliano sul motivo del suo viaggio. Rispose che era diretto a Panama per trovare supporto alla fine dell’occupazione israeliana dei territori assegnati ai Palestinesi. L’espatrio gli venne revocato. Per ora non è stato arrestato ma, come spesso succede, c’è da aspettarsi un raid notturno per prelevarlo da un momento all’altro.

Gli arresti notturni avvengono con penosa regolarità.

La vita nella Palestina occupata è un inferno. Israele opprime i palestinesi per il semplice motivo di essere musulmani e non ebrei. Anche i cittadini israeliani arabi sono sempre a rischio. Su base quotidiana affrontano la discriminazione politica, sociale, economica e culturale.

All’inizio di novembre, la sessione sud-africana del Russel Tribunal sulla Palestina accusava Israele di sottoporre i palestinesi a condizioni di apartheid istituzionalizzata per come viene definita dal diritto internazionale.

Le politiche israeliane sono caratterizzate da discriminazione di stampo razzista. L’apartheid è un crimine internazionale. I testimoni comparsi davanti al Russel Tribunal hanno fornito testimonianze e prove di un’inequivocabile regime di apartheid imposto su chiunque non sia ebreo.

Le politiche ufficiali di Israele seguono criteri di discriminazione, repressione, isolamento e altre forme di abuso. Nonostante la persecuzione sia un crimine contro l’umanità, Israele la pratica con impunità.

Il Russel Tribunal e altre organizzazioni sono decisi a mettere fine ad ogni forma di ingiustizia perpetrata da Israele. Niente al di sotto sotto della piena giustizia è accettabile e tollerabile. 

martedì 13 dicembre 2011

Teodoro Klitsche de la Grange: «Glosse al Nomos della Terra», di Emanuele Castrucci

Emanuele Castrucci, Nomos e guerra. Glosse al Nomos della terra di Carl Schmitt, La Scuola di Pitagora, pp. 180, € 14,00.

Questo interessante saggio, dovuto al curatore dell’edizione italiana de “Il nomos della terra” di Carl Schmitt, nella forma di “glosse” al testo si confronta con le più note (spesso profetiche) tesi esposte dal grande giurista tedesco.

Stimolante, in particolare la tesi del parallelismo tra le idee di Schmitt sulla guerra e quelle di René Girard sulla violenza e il sacrificio; tema, questo, preso ripetutamente in esame sul “Behemoth”.

Scrive Castrucci che la guerre en forme dello jus publicum europeaum “classico” è una forma di ritualizzazione della violenza analoga al sacrificio: la guerre en dentelles dell’Europa dell’ancien régime otteneva lo stesso effetto di economizzare il sangue versato attraverso la limitazione della guerra: “Il contrappasso che il mondo deve subire per l’allontanamento delle modalità classiche di ritualizzazione della violenza (come era stata la guerre en forme dello jus publicum Europeaum) è quindi chiaramente rappresentato dall’estensione, di fatto incontrollabile, della medesima violenza all’intero corpo della società: la violenza endemica e senza volto che riconduce il mondo all’indifferenziato, invertendo quello che la storia dell’umanità aveva conosciuto come processo filogenetico di individuazione e differenziazione”.

Altro tema – d’attualità - che Catrucci glossa è quello delle forme atipiche di ostilità “Il pensiero classico concepisce la pace come assenza della guerra, e per guerra intende l’uso diretto della forza armata. Schmitt ritiene invece necessario soffermarsi anche sugli atti informali di ostilità, sulle misure di forza e sui mezzi di coercizione non militari. Sottile distinzione che gli permette di spiegare la possibilità di uno stato intermedio tra la guerra e la pace”. E qua l’intuizione del giurista di Plettenberg potrebb’essere completata con il confronto tra la prima definizione della guerra di Clausewitz, condivisa da Gentile che “la guerra è un atto di forza per costringere il nemico a fare la nostra volontà” e la tesi di Sun Zu secondo il quale “ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Sulla quale, e sulle tesi esposte dai due “bravi colonnelli” cinesi, autori de “La guerra senza limiti” occorre riflettere, in tempi di aggressioni finanziarie di occulta provenienza.

Con la conseguenza che se la guerra come atto di forza “ritualizzato” è meno frequente, dall’altro, sono in parte incrementati gli atti di ostilità non riducibili a una violenza bellica (tipo embargo, boicottaggio economico, violazioni dello spazio “interno” degli Stati) come le guerre non “ritualizzate”, condotte da soggetti non titolari dello jus belli, senza le forme dello jus belli.

Questo e molto altro c’è nel saggio di Castrucci: dato che tuttavia gli spunti sono vari, e non riassumibili in una recensione, non resta che consigliarne la lettura.

Teodoro Klitsche de la Grange

mercoledì 7 dicembre 2011

Stefano Gatti: chi è costui? E quale il suo mestiere? - Risposta ad un attacco calunnioso e diffamatorio.

Post particolarmente collegati:
1) Seminario di Exeter.
2) Recensione documento Nirenstein.

Leggiamo sulla rete, in data odierna, nel sito sionista di «Informazione Corretta» un brano che chiaramente ci riguarda, direttamente ed inequivocabilmente, anche se non viene fatto il nostro nome (troppo “onore” il farlo, secondo un certo signor Qualcuno, alle cui direttive la Commissione Nirenstein si è attenuta, e con essa anche il “Ricercatore CDEC” (?) Stefano Gatti):
«…Questi siti hanno preso di mira numerose volte, con minacce e insulti, gli esperti e i membri del Comitato di indagine, e addirittura il gestore di un sito antiebraico ha seguito personalmente il Convegno del 17 ottobre e poi sul suo blog ha scritto una cronaca innervata di pregiudizi e insulti…».
Se come pare questo personaggio legge il mio blog, lo sfidiamo apertamente e pubblicamente a spiegare quali sono gli “insulti” e quali i miei “pregiudizi” e naturalmente in che senso questo sarebbe un sito “antiebraico”. Ci deve cioè dire se le cose sono perché le dice lui  o chi gliele mette in bocca (senza contraddittorio dei contro-interessati) o lui le dice perché lo sono in base ad un’essenza filosofica, dove lui riesce a penetrare ed a condurre pure a noi. Non vorrei qui dare lezioni di logica al presunto “scienziato”. Per adesso, con la tecnica di scrittura che ci è abituale, cioè una scrittura di getto ed estemporanea, ci occupiamo in prima battuta delle innumerevoli corbellerie, per non dire di peggio, contenute nel testo di Gatti, le cui argomentazioni in sede scientifica assolutamente non sono neppure lontanamente apprezzabili. Se però questo signore darà risposta ai nostri testuali quesiti, che si ricollegano alla ricerca di Atzmon, ci farà cosa gradita, che compensano le calunnie e le diffamazioni a cui è normalmente dedito. Se ci dirà, lui con la sua testa, cosa è “antisemitismo”, gliene saremo davvero molto grati, perché ci avrà dato una base di riflessione, sulla quale credo che anche l’amico Gilad potrà lavorare. Aspettiamo fiduciosi e sereni. Rinviamo anche al precedente post di Egeria, che è la traduzione/trascrizione di un dibattito svoltosi nell’università di Exterer, dove insegna ora Ilan Pappe, dopo che a seguito di minacce ha dovuto lasciare Israele. Questa università non è di terza o quarta categoria, come si legge, sempre nel “web ebraico”, in lingua italiana. Ma è invece un’università che onora quanti vi insegnano e studiano. La libertà del confronto e del dibattito, impossibile altrove, ne è la è più chiara dimostrazione. Mi riservo di modificare, ampliare, integrare questo post, scritto sotto l’urgenza di rispondere alle calunnie e diffamazioni del signor Stefano Gatti. Lo invitiamo ancora a leggere la “Memoria difensiva” pubblicata a margine, dove parlo effettivamente di “macchinazioni” a mio danno, il cui soggetti vado progressivamente scoprendo: complottismo? Mah! È da sapere che le testate “ebraiche” a cui è stata inviata regolare smentita, a suo tempo, non ne hanno voluto sapere di pubblicare. Hanno il loro “antisemita” e non lo vogliono mollare.



Intanto questo signore, che era presente alla riunione di famiglia, nella sala della Lupa di Montecitorio, dove la signora Fiammetta presentava il suo stupefacente, fatto in casa, rapporto sull’antisemitismo, non ha neppure la più pallida idea di cosa con questo termine i cittadini italiani debbano intendere. L’unica accezione che per costoro conti è una sola: chi mi sta contro deve finire in galera, non importa come e perché, le scuse si trovano, se stiamo noi al potere. Nel suo pezzo questo signore di nome Stefano Gatti, specializzato in diffamazione con garanzia di impunità, si preoccupa del fatto che vi sono persone che si limitano a constatare l’evidenza ed i fatti, accertati ed inconfutabili. Ad esempio, che Monti è un uomo della Goldman Sachs e che è espressione del mondo finanziario. Rilevare questo dato di fatto significa fare dell’antisemitismo. Per cui se non vogliamo incorrere in questa tremenda scomunica ci dobbiamo tenere Monti ed accettare senza fiatare tutto quello che le banche e la finanza vorrà fare di noi: carne da macello. Le armi di cui questi signori dispongono sono principalmente due:
a) la menzogna con la quale mirano a convincerci che tutto il male che ci fanno è per il nostro bene.
b) Se la menzogna non basta sopraggiungono i manganelli della polizia ed il carcere.
Un supporter di entrambi i metodi è questo signor Stefano Gatti, il quale se vuole applicare a se stesso il suo stesso metodo farebbe bene a dirci con quali soldi è pagato per diffamare i cittadini italiani, i quali in questi tempi di sacrifici avrebbero bene il diritto di ficcare il naso sui meccanismi con il quale il parlamento italiano, su iniziativa (guarda caso) di un certo Ruben ha erogato 300.000 euro all’ente in cui lavora il signor Gatti, il quale appunto con i nostri soldi svolge con piena impunità la sua attività diffamatoria, volta a far chiudere tutte le voci critiche, anche del suo operato.

Il presunto “ricercatore” Stefano Gatti farebbe bene a spiegarci una buona volta chi sono e cosa sono questi “ebrei”, che sarebbero vittime di non si sa chi e perché. Forse la sua testa non è adatta a recepire le profondità filosofiche di un testo decisivo sull’argomento delle politiche identitarie ebraiche. Fino adesso questi signori, che godono di altissime coperture e protezioni, hanno potuto contare sulla confusione, indistinzione ed ignoranza di termini come: «ebreo», «giudeo», «sionista», «antisionista sionista», «israeliano», «colono», «palestinese», «arabo», «sayanim», ecc. Ma adesso è finito e chi si sente accusato ha perlomeno il diritto di conoscere ciò di cui è accusato e da chi è accusato e perché è accusato.

Il documento Nirenstein è un monumento all’ignoranza, alla faziosità ed all’intolleranza, che proviene addirittura dal parlamento italiano, la cui legittimità non è mai stata così bassa come oggi. Partorisce di simili mostri (il governo Monti) e mostriciattoli autoreferenziali (il documento Nirenstein). Quanto al «monitoraggio scientifico» di cui si legge nel pezzo diffamatorio vi è da ridere a creparelle: assolutamente nulla di scientifico. Costoro non sanno neppure dove sta di casa la scienza obiettiva, fondata sui fatti e sulla chiarezza delle definizioni, oltre che sulla verifica e sul contraddittorio, cosa quest’ultima che costoro evitano accuratamente spedendo nelle patrie galere migliaia e migliaia di possibili contraddittori.

I “13 incontri” sono tutti di parte! È stato perfino testualmente detto ed accolto la direttive extra-parlamentare che non si doveva concedere l’«onore» di essere ascoltati agli oggetti umani di cui appunto ci si stava occupando. Quanto al ministro della Istruzione Gelmini, quella della tunnel dalla Svizzera al Gran Sasso, è tutto dire! E gli altri 12 non sono da meno.

Il 17 di ottobre c’ero, seppure giunto in incognito e in ritardo. Avrei anche potuto parlare, se mi fosse stato concesso. Insieme ad altri, di me assai più esperti, sarei andato alle “audizioni”, se questo “onore” ci fosse stato concesso, visto che a quanto pare di noi si voleva parlare. Ma in nostro rigorosa ed assoluta assenza. Ed è stato penoso vedere le facce di una ristretta lobby, fra cui quella del Gatti, che attenta alla democrazia italiana e di cui il popolo italiano si dovrebbe accorgere.

Perché non hanno invitato Gilad Atzmon a parlare di ebraismo? O anche Ilan Pappe? Quest’ultimo era venuto a  Roma, ma non ha potuto parlare all’università. A Monaco di Baviera si è scoperto che l’ostracismo veniva dalla comunità ebraica locale. Costoro non vogliono proprio sentire l’altra campana, manco se fatta da ebrei regolarmente circoncisi. Si, sul tavolo c’era un testo di Napolitano, forse scritto dal suo Alto Consulente, pure ebreo, Arrigo Levi… Mah! Insomma! Il presidente non si tocca! Ma non è che siamo per questo più convinti. Se mai continuiamo a pensare male sulle infiltrazioni evidenti di una lobby che certamente non ama le nostre libertà e che si cura non solo dei suoi privilegi, ma fa principalmente gli interessi di uno stato estero.

Come ben ha detto Gilad Atzmon, la rete non è così facilmente controllabile come i grandi media che hanno struttura proprietaria e possono essere comprati e ricattati con molti mezzi. La rete è fatta da tante persone che possono permettersi il lusso (finché dura) di pensare liberamente ed in modo del tutto indipendente. L’antisemitismo nella rete in realtà NON ESISTE. È solo un’invenzione di questi signori a cui torna estremanemente utile che l’antisemitismo ci sia. Ma per essere credibili dovrebbero dirci innanzitutto cosa esso sia. Ed una definizione scientifica invano la si cerca nel Documento Nirenstein o nelle volgari diffamazioni (pure in rete) del presunto “ricercatore” Stefano Gatti, ovvero diffamatore di professione. Magari il «filtro» ed il «controllo» di cui parla il Gatti lo vorrebbe esercitare proprio lui, che ad esempio son certo non riuscirebbe neppure a comprendere il linguaggio filosofico del libro di Gilad Atzmon, che getta in aria tutte le isteriche corbellerie della signora Nirenstein, nella cui scrittura invano si cercherebbe il lume di un concetto che non sia reiterata propaganda, uno sproloquio continuo che giusto nella stampa embedded si può trovare.  Invitiamo l’«ebrea» Nirenstein ad un pubblico confronto con l’«ebreo» Gilad Atzmon, magari in occasione della presentazione dell’edizione italiana del libro di Atzmon sull’identità ebraica. Vogliamo vedere all’opera la “bravura” di Fiammetta.

Il CDEC ha trovato “60 spazi”, poco curandosi di cosa ne pensano gli “inquisiti”, il cui diritto alla replica e alla difesa non è neppure lontanamente contemplato. Costoro cercano “mostri” che producono essi stessi. Questo esilarante personaggio di nome Gatti si ostina a parlarci di “pregiudizio antiebraico” senza lontanamente preoccuparsi di dirci cosa è «ebraico» e meno che mai senza accorgersi di un ben più corposo «pregiudizio ebraico». È stato detto del “negazionismo” che nessuno degli autori tacciati di “negazionismo” si ritiene “negazionista”. Il termine “negazionismo” è appunto una costruzione artificiosa con finalità pratiche: denigrazione, diffamazione, delazione.  Aspetto pubblica e quanto mai gradita smentita alla mia stima di 200.000 incriminazioni penali nella sola Germania dal 1994 ad oggi per null’altro che reati di opinione. Se il “ricercatore” Gatti si facesse in Germania, per verificare o smentire questi dati, ci farebbe un grande piacere, non avendo noi avuti 300.000 per fare una simile importante ricerca.

Con il concorso di una stampa compiacente e complice si fa credere agli ignari che esistano storici i quali “negano” che siano mai esistiti i “campi di concentramento” già nazisti, ma che poi Israele ha ricostituito tali e quali in Palestina per metterci i Palestinesi: si legga Ghada Karmi che cita una documentazione della Croce Rossa degli anni Cinquanta. E l’odierno blocco di Gaza cosa è se non un Lager che dal 2006 ad oggi supera in durata i lager nazisti del periodo bellico? Le persone appena un poco informate sanno che in questa materia dei “campi di concentramento” (la cui esistenza nessuno “nega”) vi sono tre punti di controversia, che andrebbero appianate con la discussione e la ricerca, non con il carcere e la gogna: 1) Il numero delle vittime: si pretende che debbano essere 6.000.000, con cifra non contestabile, pena la galera; 2) l’esistenza delle camere a gas; 3) l’intenzionalità del genocidio. È questo ciò di cui si occupa un numero crescente di “storici”, il cui lavoro è soggetto a galera, non a contraddittorio scientifico e dibattito.

Da un punto di vista filosofico la questione “storica” ha minore importanza, perché si tratterebbe da un punto di vista filosofico perché il fatto controverso sarebbe mai successo, su quali basi, in quale contesto, per quali scopi, ecc. Un dibattito quest’ultimo non meno inquietante di quello storico, se lo si potesse fare liberamente. Se io fossi un «ebreo», mi augurerei che gli storici “revisionisti” bollati come “negazionisti” abbiano tutta la libertà di poter svolgere le loro ricerche, perché altrimenti mi toccherebbe chiedermi perché mai qualcuno possa nutrire tanto “odio” verso gli «ebrei».

È da dubitare che il Gatti, presunto ricercatore, abbia la più pallida idea di queste problematiche: non è il suo mestiere. A lui altro si chiede. Ed è ciò che egli fa: diffamare persone che non possono replicare. Quanto alla Polizia Postale farebbe meglio ad occuparsi delle lettere e dei pacchi che non arrivano a destinazione, o del fishing: l’incompetenza storica e filosofica a trattare il tema è assoluta. Sarebbe come prendere un macellaio e portarlo in camera operatoria. Gli “insulti” e le “minacce” di cui parla il presunto ricercatore sono della assolute “calunnie”. Possono essere facilmente restituite al mittente con l’aggravante della violazione delle garanzie costituzionali dei comuni cittadini, messe in atto da parlamentari nella stessa Camera! Se fossero stati appena appena un poco onesti, anziché audire consulenti di parte, avrebbero potuto e dovuto chiamare e sentire in Aula le persone che si vogliono “incolpare”, senza loro concedere neppure il più elementare diritto di difesa e replica: questa è assoluta barbarie giuridica, indegna di un paese dove si dice sia nato il diritto.

L’operazione “Piombo Fuso” e “Mavi Marmara” e le reazioni da questi fatti suscitati non hanno assolutamente nulla a che fare con le corbellerie di cui parla Stefano Gatti: sono atti criminali dello stato di Israele, che nasce sulla “Pulizia etnica della Palestina”, descritta in ultimo anche dall’ebreo israeliano Ilan Pappe, costretto ad emigrare per minacce ricevute. Se gli “ebrei” di cui parla Gatti si identificano con la politica criminale di Israele, il problema riguarda questo genere di “ebrei” (si legga Atzmon), non quanti legittimanente criticano e si oppongono a veri e propri atti di genocidio.

La Commissione ha brillato per la sua ignoranza, faziosità e scorrettezza formale e sostanziale. Ne è prova il fatto che è stata espressamente esclusa qualsiasi consulenza che non fosse di parte e che è del tutto mancato qualsiasi contraddittorio. Addirittura sono stata palesamente falsificati gli stessi sondaggi su cui la Commessione dice di basarsi: la “non simpatia” rilevata viene tradotta come “ostilità”. Più beceri e antiscientifici non si poteva essere. Giunge quanto mai opportuna la notizia di una edizione italiana del recente libro di Atzmon sulle politiche identicarie ebraiche, un libro utile per spazzare via con un colpo solo le corbellerie diffamatorie di uno Stefano Gatti, di cui siamo assai curiosi di vedere se sarà in grado di leggere questo libro e di capirci qualcosa. Ne prevediamo la strategia elusiva, ma non la annunciamo.

*  *

Non per infierire contro il nostro “nemico” privato Stefano Gatti, ma solo per esaurire gli argomenti che ci vengono via via in mente in conseguenza del chiaro attacco alla nostra persona ed a questo blog, proseguiamo nel loro ordinato e sereno svolgimento. Intanto abbiamo mandato nella giornata di ieri, come atto dovuto, una email al Bollettino della Comunità Ebraica di Milano, con esplicito richiamo alla legge sulla stampa, che sancisce il diritto di replica. Come per altre testate “ebraiche”, dubitiamo che vi ottemperi. Ma l’atto era dovuto e non farlo da parte nostra poteva essere pregiudizievole. Fare la stessa cosa per «Informazione Corretta» è cosa vana. Ma veniamo al discorso da dipanare in questa mattina successiva all’evento. Nella lettera sintetica (trenta righe previste dalla giurisprudenza) inviata al Bollettino abbiamo scritto che ci appare “stupida” la qualificazione “antiebraico”. Tocca qui spiegarne il senso compiuto, altrimenti lo stesso Gatti potrebbe dire che è un “insulto”, cosa di cui discutiamo più avanti. Cosa può mai significare “antiebraico”? L’unica cosa che posso immaginare è che sarei “contro” la religione ebraica. Si può definire un “ebreo” indipendentemente dalla religione ebraica? Ho appreso in altro circostanze che può essere rischioso dire ad un “ebreo” che è un “ebreo”. Occorre dire spendendo molto fiato: “cittadino italiano di religione ebraica”.

 E sia! Ma perché mai mi dovrebbe importare se uno è di religione ebraica, musulmana, luterana, anglicana, cattolica, cristiana, buddista? Proprio non riesco ad immaginarlo per quanto mi ci sforzi. Quindi una simile contestazione mi appare fondata su nulla, strampalata ed in questo senso “stupida”. È ben vero che in altro mio blog, che non aggiorno da tempo, mi occupo di “storia critica delle religioni”, ed in altro ancora ho intrapreso la rivisitazione e lo studio delle religione greco-romana, che storicamente precedettero quella ebraica e giudaica e che riscuote la nostra simpatia a preferenza di altre. Ma si tratta in ogni caso di studio. Mai si sono sognato di far cambiare religione a nessuno o di denigrare la sua religione. Certamente, io non intendo convertirmi all’ebraismo e subire la mutilazione genitale della circoncisione. Neppure provo attrazione per i tanti “crimini” che si leggono nell’Antico Testamento, che costituisce la base della religione ebraica. Ma di questi temi in questo blog non mi pare di aver mai trattato. O meglio vi sono autori come Giulio Morosini, a cui ha attinto Ariel Toaff per il suo contestatissimo libro “Pasque di sangue”, che mi interesserebbe leggere, insieme ad altri poco accessibili. Ma assolutamente nulla di “antiebraico” da parte mia, che mai ho pensato di fare l’apostolo di una qualsiasi fede a preferenza e in contrapposizione ad altre. Dunque, “stupido” l’addebito che mi viene fatto.

Se poi “ebraico” di cui io sarei “anti” significa qualche altra cosa, bisogna che lo stesso Gatti me lo spieghi. Io non riesco ad immaginare un “ebreo” del tutto scisso dalla sua “religione ebraica”, che più propriamente ho appreso a chiamare “giudaismo”, soprattutto dopo la lettura del libro di Jacob Rabkin, che introduce a tante interessanti distinzioni di cui non si trova traccia nel calderone della stampa pressoche tutta controllata da Israele. Ed «Informazione Corretta» nasce dieci anni fa proprio per controllare il “corretto” allineamento filo-israeliano della stampa italiana. Se invece Gatti per “antiebraico” intende “antisionista”, allora si tratta di tutt’altro discorso che ora ci porterebbe lontano. Non possiamo però ragionare per congetture e illazioni e dobbiamo aspettare che lo stesso Gatti raccolga il guanto di sfida rispondendo alle nostre repliche, essendo noi stati da lui più volte chiamato in causa.

Veniamo agli “insulti” che mi vengono attribuiti. Se si va a leggere il mio testo incriminato, si trova certamente il tono canzonatorio, anche la satira, ma l’«insulto» che è personale e rivolto a qualcuno cosa c’azzecca, per dirla con Di Pietro, di cui mi occupo nello stesso post contestato e con il quale mi sono imbattuto viso a viso all’uscita di Montecitorio: pure lui non meno “canzonato”, ma che però non si è fatto sentire. Avremmo continuato con lui per iscritto il “discorso” che non ha voluto sentire dal vivo.  Ad un relatore che – durante un convegno dove sono inchiodato alla sedia del pubblico, costretto a religioso silenzio – mi imputa in quanto “goi” di provare “invidia” per il fascino delle donne ebree cosa devo obiettare? Che forse le uniche donne ebree che ho potuto conoscere (non in senso biblico) erano quelle che si trovavano in sala e che - costretto ad osservarle - a me uomo di costumi orgogliosamente eterosessuali non trovavo per nulla piene di fascino! Che dire poi di un altro Tizio che nella sua relazione blaterava che “uccidere” un ebreo, piuttosto che non un musulmano o un palestinese (cosa che Israele fa quotidianamente) significa uccidere Dio stesso? Per fortuna, monsignor Fisichella se ne era già andato... Ma se ben ricordo nel racconto evangelico Gesù Cristo fu mandato a morte dal Sinedrio proprio per la pretesa di essere lui stesso Dio e Figlio di Dio. Mi ricordo dal mio Catechismo che per gli Ebrei di allora questo era il massimo della bestemmia che si potesse fare.

Ma se proprio “insulti” personali si vogliono cercare, basta leggere un qualsiasi numero di “Informazione Corretta” dove gli insulti ad personam sono a migliaia. Cito per tutti le quotidiane contumelie contro l’Ambasciatore Sergio Romano o contro tutti i giornalisti del quotidiano il Manifesto, che sprezzantemente chiamano sempre il “quotidiano di Rocca Cannuccia”. Il povero Michele Giorgio credo non abbia mai risposto a così volgari “nemici”, le cui fonti di finanziamento e dipendenze meriterebbero qualche inchiesta giornalistica. Dopo i 300.000 euro dati su iniziativa di parlamentari “ebrei” (absit iniura a verbo), volevano pure loro il finanziamento pubblico, come si legge nel loro geloso archivio, di cui sono appunto orgogliosi, ma che è soltanto un enorme deposito di fango, sul quale non mi risulta che la polizia postale abbia mai indagato, per applicare a costoro la deprecabile e faziosa legge Mancino – patrocinata e voluta dagli stessi Eletti Signori –, che quotidianamente invocano per i loro avversari e contraddittori. L’immensa bufala della signora Nirenstein, che aveva subito attribuito la strage di Oslo agli islamici, nasce da radicati “pregiudizi” islamofobici, ma poiché in questo paese, come si sa, la legge è uguale per tutti, il suo rispetto non è stato invocato per la Signora Fiammetta. L’«islamofobia» che si trova su «Informazione Corretta» non ha un «Osservatorio sul pregiudizio antislamico», come il CDEC, finanziato con i soldi di noi poveri “goym”. La polizia postale così solerte a prestarsi alle operazioni sioniste ben si guarda dall’indagare questo aspetto. Ma l’Italia è appunto una «colonia», come si legge in un brillante e lucido articolo apparso in questi giorni. Vi è da aggiungere che è una “colonia” non tanto degli Usa, quanto di Israele, cosa che spiega perfettamente tanta arroganza e tanto servilismo.

Non abbiamo esaurito le nostre osservazioni, ma rimandiamo ad altra seduta. Ora urgono altre incombenze ed i i testi di cui sopra devo essere riletti e corretti nella forma ovvero integrati con specifiche. Da tutti questi Signori il mondo non solo è visto con lenti deformati, ma hanno l’incredibile pretesa (e ci riescono!) che almeno la principale catena mediatica inforchi i loro stessi occhiali. Per dare un solo esempio, fresco di giornata, si vada qui e dopo aver visto si passi oltre.


* * *

È ben vero che il nome e la faccia di Stefano Gatti non sono in cima ai miei pensieri, ma a tutt’oggi, ad un mese circa, non è stata raccolta la sfida. Ne ha avuto tempo per prepararsi, considenrando che i miei interventi sono sempre estemporanei e per questo un poco rischiosi. Ma non riesco ad immaginare quali argomenti questo signore possa ancora inventarsi. Non ne ha chiaramente trovati. Credo che lui e l’organizzazione di cui fa parte facciano pieno affidamento sull’innocuità della vittima di volta in volta scelta per alimentare un chimerico “antisemitismo”, la cui definizione – soprattutto dopo il libro di Atzmon –  diventa sempre più impalpabile. La sua voce però si è sentita in occasione del nuovo sacrificio rituale imbastito sulla pelle del povero Pallavidini, evidentemente mai perso di vista e del quale si fa di tutto, mediaticamente, per far saltare il sistema nervoso. Sono questi i metodi che Lor Signori usano abitualmente. Sono assai civili e tecnologicamente avanzati. Usano i termini alla rovescia: parlano di crescente “aggressività” di un inesistente “antisemitismo”, mentre l’unica aggressività che si può rilevare è proprio la loro che hanno bisogno sempre di nuove “vittime” per alimentare tutta la loro lucrosa impalcatura, una vera industria che al CDEC ha fruttato in ultimo 300.000 euro, dalle nostre tasche, che servono probabilmente per pagare uno stipendio proprio a Gatti. Se è lui il principale o l’unico “ricercatore” dell’Osservatorio dei pregiudizi altrui, ma non dei propri, non vi è molto di che lavorare per mostrane l’inconsistenza scientifica e documentale.