domenica 24 ottobre 2010

Petizione per l’abrogazione della legge Gayssot e la liberazione di Vincent Reynouard, nuovo “martire” della libertà di pensiero in Europa.


Il blog e la Societas “Civium Libertas” nonché il Comitato europeo per la difesa della libertà di pensiero ricevono da Eugenie Blanrue la Circolare che segue e che pubblichiamo senza indugio nel testo francese. La petizione per l’abrogazione della legge Gayssot ci giunge, mentre in Italia il presidente della comunità ebraica romana si rivolge alle massime cariche istituzionali per chiedere l’introduzione anche in Italia di una siffatta legislazione liberticida, vigente in Francia, Germania, Austria e altri paesi. Ci auguriamo che di analoghe petizioni se ne attivino in ogni paese dove esistono leggi liberticide: noi le firmeremo tutte! Non è purtroppo concesso sapere quanti cittadini europei siano stati finora perseguiti per meri reati di opinione. Saremmo oltremodo lieti di essere smentiti nella stima di diverse centinaia di migliaia di persone, ma sembra che gli stessi governi vogliano mantenere nascosto il numero di concittadini ancora una volta perseguitati e discriminati, in nome di un orrore passato che si dice non si vuol far ripetere: un “mai più” che è invece un “ancora oggi”! I “martiri” della libertà di pensiero – di cui si paventa in alcune dichiarazioni – esistono già e sono centinaia di migliaia e con il tempo diventeranno sempre di più e saranno sempre “martiri” di quella religione della libertà, di cui parlava Benedetto Croce. Si ricorda che “martire” è per definizione, come già nella tradizione cristiana, il testimone di una verità, anche a prezzo della vita e del carcere... Come dimostra il caso Vincent Reynouard, padre di otto figli, si tratta di una nuova religione a fronte di un’altra religione, che in nome di “vittime” di cui si professa erede vuol produrre nuove vittime. Siamo fermamente convinti che una “opinione”, quale che sia, è di per sé sempre una manifestazione di “pensiero”, ed in quanto “pensiero” non potrà mai essere un “crimine”.

CIVIUM LIBERTAS
Comitato Europeo per la Difesa della Libertà di Pensiero

* * *

Salut à tous !

La liste des signataires de la pétition pour l'abrogation de la loi Gayssot et la libération de Vincent Reynouard sera rendue publique dans moins de 15 jours... Il vous reste encore quelques heures pour la signer et faire partie de l'avant-garde des défenseurs de la liberté en France !

PÉTITION POUR L'ABROGATION DE LA LOI GAYSSOT
ET LA LIBÉRATION DE VINCENT REYNOUARD

(omissis)

Pour signer cette pétition, merci d'indiquer vos nom et prénom, ainsi que votre ville (et votre profession si vous le désirez) à cette adresse:

eugenie.blanrue@laposte.net

APPENDICE


Ci giunge questa mattina del 28 ottobre 2010 la notizia della ufficializzazione e pubblicazione della prima lista di firmatari dell’Appello per la richiesta di abrogazione della legge Gayssot, in Francia. Eccone il link:


Salvo distrazione, non leggo il mio nome, che mi era stato chiesto ed era stato concesso nella prima fase di raccolta di adesioni. Poco importa. Dichiaro qui la mia personale adesione ad ogni petizione che si svolga in Europa per l’abolizione di leggi liberticide, il cui vero scopo è quello di colpire il dissenso politico. Simili petizioni non possono raccogliersi con contatti via email o appelli sulla rete. Richiedono incontri fisici reali e apposite discussioni. Solo in ultimo avrà senso una raccolta di adesioni anche virtuali. Mi auguro che anche in Germania, Austria, Spagna, Svizzera e altri paesi si tengano di questi incontri e ci si organizzi in un’ottica europea. Il “Comitato europeo per la difesa della liberta di pensiero” è stato concepito per questo scopo. In Italia, sarebbe opportuno incominciare ad interrogarsi sulla nascita della legge Mancino e sulle sue vere finalità. Presumere che per legge possa comandarsi l’amore e proibire l’odio contrasta con l’idea stessa del diritto, che nasce per regolare rapporti concreti e reali fra i soggetti di una collettività. Il diritto diventa esso stesso fonte di ingiustizia ed arbitrio, quando abbandona la concretezza e la razionalità che le è propria. Se andiamo ad indagare su chi pensa di servirsi della legge Mancino come strumento di lotta politica, ci risultano evidenti i pregiudizi ideologici e le finalità politiche per le quali la legge è stata commissionata e prodotta. Naturalmente, nessuno più di noi desidera una società improntata ai precetti evangelici dell’amore del prossimo, ma sappiamo che non è in forza del diritto positivo o con la pena del carcere e della “gogna” mediatica che può essere imposto il regno dell’Amore. Noi dunque restiamo in attesa di notizie che ci informano dello spontaneo costituirsi in ogni paese d’Europa e fuori d’Europa di Circoli della Libertà, dove la prima libertà è la libertà di pensiero e le libertà derivate di ricerca scientifica, di espressione filosofica e artistica, di insegnamento, di riunione per poter ascoltare ciò che altri dicono. Infatti, viene sempre ignorato che la libertà di espressione ha senso solo se esiste la libertà di poter ascoltare chi pensa di avere qualcosa da dire a qualcuno o non semplicemente ad un muro o alle lucertole del deserto.

In questo spirito, essendo pur sempre la legge Gayssot, una legge francese fortunatamente non vigente in Italia, ma tale da colpire anche un cittadino italiano che si trovi in Francia, apriamo in questo post un dibattito operativo sul da farsi. Per contrastare l’esercito dei Troll il dibattito sarà moderato. Gli interventi e le proposte che giungeranno all’indirizzo email del blog, se ne giungeranno, saranno selezionate e filtrate e ove giudicate pertinenti e opportune verranno pubblicate qui di seguito. Per chi vuole registrarsi ed inviare direttamente suoi testi nello spazio Commenti, si avverte che vi sarà un eguale giudizio di opportunità sull’approvazione del testo, che si consiglia di formulare con la massima attenzione ed accuratezza. Messaggi non approvati in una formulazione, potranno esserlo in una diversa formulazione, se reiterati.

RASSEGNA STAMPA E AGGIORNAMENTI

1. Tous contre Gayssot. –
2. Yann Moix: Pourqoi je suis contre la loi Gayssot. –
3. Yann Moix le menteur. – Non essendo francese ed interno al mondo culturale francese, ignoravo fino ad oggi e dell’esistenza e di chi fosse il tal Yann Moix. Probabilmente, si tratta di una mia grave ignoranza. Ne posso però vedere la faccia, di questo signore, andando al link che mi giunge da Blanrue, dove si spiegano i termini della questione che cerco qui di riassumere. In una lista di firmatari esiste per alcuni il problema di chi sta accanto a chi. Si dice: io il mio nome non lo voglio righe sotto o sopra quel tale altro nome. Anche fosse una lista per la promozione della sobrietà nel bere, favorendo l’uso dell’acqua minerale e scoraggiando gli alcolici, uno si potrebbe sempre trovare in “cattiva” compagnia. Per farla breve, credo che si tratti di una forma eclatante di “razzismo”. Non si può essere sostenitori della libertà di pensiero, ma non riconoscere dignità alcuna a chi sostiene opinioni che non si condivono o da cui si è fortemente distanti. Se la “colpa” altrui consiste semplicemente in un’opinione, e non in un’azione spregevole come omicidio, stupro, furto e simili, non si ha il diritto di discriminare il prossimo per niente altro che le sue opinioni. L’articolo 3 della costituzione italiana è chiaro al riguardo:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Non so chi sia, e sono ben felice di non aver mai conosciuto, questo individuo di nome Yann Moix, ma mando a dire qui pubblicamente a Eugenie Blanrue che sono io, cittadino italiano ed europeo, a non volere il mio nome accanto a quello di costui. Quanto alla petizione e alla raccolta delle firme credo che la sua grande importanza consista nell’aver avviato una riflessione su un piano europeo. Mi auguro e formulo nuovamente l’invito affinché di analoghe petizioni se ne svolgano in contemporanea per ognuno dei paesi dove vigono leggi come la Gayssot. In Germania, mi sembra che la situazione sia non meno grave che in Francia, ma non odo segnali da quella parte. Tanto forte è la repressione tedesca: oggi più di ieri. Eppure, bisogna reagire!

4. Moix, le touriste pétitionarie.
5. Steve Wozniak, cofondateur d’Apple avec Steve Jobs, a signé la petition.
6. Charlie Hebdo: qui sont les cons?

venerdì 15 ottobre 2010

Il Terrore che avanza: campane a morto per la libertà di pensiero?


In Germania – e lo stesso orrore si chiede ora per l’Italia – non si riescono a trovare le statistiche delle persone che dal 1994 ad oggi sono state penalmente perseguite per reati di opinione, connessi a vicende storiche della Seconda guerra mondiale. L’ultimo caso che mi era stato comunicato, per telefono, riguardava un padre di famiglia con due figli a carico, al quale sono stati inflitti 9 mesi di carcere senza condizionale, per la sola colpa di aver passato un libro ad un amico. L’autore di quel libro, a sua volta, sta scontando otto anni di carcere. Il padre di famiglia in questione, per giunta, disse al giudice che lui quel libro non lo condivideva neppure, ma riteneva che la libertà di pensiero dovesse essere riconosciuta ad ogni persona, in rispetto della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo che, proprio nella libertà di pensiero, riconosce il più umano e il più fondamentale dei diritti dell’uomo.

Malgrado mie ripetute richieste di dati ufficiali, non ho potuto avere smentite alla mia stima di probabili 200.000 persone che nella sola Germania, dal 1994 ad oggi, sono state penalmente perseguite con pene variabili fino ad otto anni di carcere. Sembra che il governo tedesco non voglia intenzionalmente far conoscere questi dati. Del resto, se dobbiamo credere a Noam Chomsky, i governi non hanno nessuna remora a ridurre in una condizione carceraria milioni e milioni di loro concittadini, ritenuti potenziali oppositori: altro che Iran! Se poi in Iraq possono contarsi oltre un milione di vittime in conseguenza di una guerra dichiarata e condotta sulla base di una forzatura propagandistica, ormai acclarata, come possiamo dubitare che un simile trattamento non abbia a essere rivolto contro i propri concittadini?

In questi minuti, mentre scrivo, una stessa “follia” percorre tutti gli schieramenti politici. In questi anni, in cui ho condiviso la “rivoluzione” di internet mi sono permesso di sostenere il sacrosanto principio della libertà di pensiero. Intendiamoci… Può benissimo darsi che fra qualche mese nessuno di noi potrà più aprire bocca, se non per dire: sissignore! Sperando che la legge che viene annunciata non abbia effetto retroattivo, possiamo già da adesso comprare l’attrezzatura per la pesca e per tutti quegli hobbies che non comportino esercizio della libertà di pensiero e di espressione. Costoro contano sull’efficacia di una stessa frottola ripetuta coralmente un milione di volte, in contrapposizione ad una realtà visibile e tangibile che, purtroppo, può esser detta solo una volta.

Una resistenza, se ve ne sarà una, potrà venire solo dal seno della società civile. Da questa classe politica, purtroppo, se ho ben capito… non vi è assolutamente più nulla da sperare. Chi avrebbe avuto il compito di difendere la costituzione vigente, si è già dichiarato disponibile per trovare il modo di aggirarla. A mio avviso, se confermata negli atti annunciati, potrebbe essere questa una crisi di legittimità irreversibile. Nessuno di noi potrà dire più apertamente quel che pensa e dovrà abituarsi all’idea di essere spiato dalla mattina alla sera e di essere in balìa di ogni possibile delatore? Ognuno dovrà mantenersi circospetto in ogni luogo pubblico e dovrà guardarsi bene dallo sbilanciarsi di fronte ad estranei? Questa è l’Italia di fine 2010?

domenica 10 ottobre 2010

Verso Gaza 18: E la nave partirà: dall’Italia “Per la Verità, per Gaza”.

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Agli organizzatori della nave che dall’Italia partirà con la “Freedom Flotilla 2” suggerisco di optare nella scelta del nome in «Per la Verità, per Gaza» anzichè quello annunciato di «Stefano Chiarini», che in pochi sanno chi sia. Naturalmente, nessuno vuol qui togliere meriti a Stefano Chiarini! Ma per farli conoscere credo sia meglio aspettare altra occasione. «Stefano Chiarini» come nome di una nave non è la stessa cosa che «Rachel Corrie». A chi chiedesse chi fosse Rachel Corrie si può subito e facilmente rispondere: una giovane americana di 23 anni uccisa da un soldatino israeliano, mentre con il suo corpo faceva scudo alla distruzione delle case dei palestinesi. Ed è subito e presto detto l’essenziale: non occorre sapere e spiegare altro. Inoltre, dando per nome alla nave «Per la Verità, per Gaza» si potranno rimbeccare sul loro stesso terreno i media che hanno già strombazzato e strombazzeranno a più non posso la kermesse della signora Nirenstein, che ha certamente dimostrato la potenza della Israel lobby in Italia organizzando uno spettacolo di fiction storico-politica, al Tempio di Adriano, recante per titolo: «Per la Verità, per Israele». Già! Ma quale verità? Quello di uno Stato che si autodefinisce «ebraico e democratico» e pretende con la sua nuova legge sulla cittadinanza che ogni suo cittadino, anche non ebreo o perfino ateo, debba giurare fedeltà ad un siffatto stato, «ebraico e democratico», ma saldamente fondato sulla «Pulizia etnica della Palestina» e sull’apartheid.

Alle loro sfacciate pretese, che magari per legge, venga proibita anche la denominazione di «Terra Santa» da parte dei cattolici si dovrebbe rispondere, almeno sul piano morale e intellettuale, ripristinando il nome di Palestina e rifiutando il concetto di «Stato di Israele», che merita tutti i connotati di quello «Stato criminale», che Karl Jaspers aveva pensato per lo Stato nazista. Se Jaspers avesse avuto occhi filosofici poteva volgere lo sguardo verso Oriente e vedere cosa lì succedeva: ad esempio, l’eccidio di Khan Younis nel novembre del 1956, così orribile da far impallidire i propagandisti nostrani delle “Fosse Ardeatine”. Ma si sa, lo si è sempre detto: i vincitori scrivono la storia e chi ha il potere, pretende perfino di fissare per legge quale possa e debba essere la nostra Memoria e cosa ci è permesso o non permesso pensare. I docenti di ogni ordine e grado di istruzione sono fatti ridotti ope legis dalla condizione di educatori a quelli di agenti di propaganda di regime. Solo degli incauti ed ingenui docenti conservano la dignità della loro funzione, ritenendo che sia loro composto addestrare i loro allievi alla conoscenza critica, tale da poter confutare e contraddire gli stessi maestri, la cui più grande ambizione è quella di essere superato dagli allievi. Qui invece la situazione evolve passando da una classe docente, minacciata affinchè non osi pensare, ad allievi il più possibile resi incapace di pensare.

Al limite, se è già stato deciso irrevocabilmente il nome «Stefano Chiarini», si potrebbe aggiungere da qualche parte, in bella evidenza il nome: «PER LA VERITA’, PER GAZA». Non credo che ci siano limiti di caratteri per la titolazione di una nave, che probabilmente cesserà la sua funzione appena giunta a destinazione, augurandoci che la marina e le forze armate israeliane lo consentano. Su una nave così intitolata si potrebbero offrire tanti posti in classe turistica ad ognuno dei 60 oratori che al Tempio di Adriano hanno fatto conoscere la loro percezione della Verità. Se anche su questa nave, come già sulla “Mavi Marmara”, si caleranno incappucciati i tiratori scelti israeliani, che sparano nel buio su ogni cosa che si muova, gli Onorevoli Deputati potranno recitare la loro verità al suono delle artiglierie israeliane e potranno sapere cosa si prova e cosa possono aver provato i nove morti della Flotilla 1. E se mai giungeranno a Gaza, si potrà far loro dono di una copia del volume di Joe Sacco, «Gaza 1956. Note in margine», portandoli a Khan Younis, che bisognerebbe mettere a confronto ogni volta che da noi le stesse persone, gli stessi “Amici di Israele” celebrano le “Fosse Ardeatine”, sempre pronti alla commozione e indignazione a senso unico, sprangando le porte del cuore per i mille morti prodotto dai loro “amici” per ogni morto israelo-sionista, in nome della Santa “Sicurezza di Israele”: un’espressione sempre in bocca al ministro Frattini. Potremmo efficacemente contraccambiare ogni spot di Saviano, vero “eroe di carta”, con una sola pagina di Sacco: per un Saviano un Sacco! Viviamo nell’epoca della globalizzazione e la cultura è fatta di comparazioni e di scambi, fino a quando ci consentiranno di comunicare liberamente. Ancora non sono riusciti a metterci il bavaglio, anche se la signora Fiammetta sta lavorando alacremente a questo scopo, in omaggio ad una sua idea di verità che non ammette contraddittorio, se è vero che 200.000 persone nella sola Germania, dal 1994 ad oggi, hanno sperimentato cosa vuol dire pretendere di avere un pensiero libero e indipendente.

Avvertenza

È più volte che questo video, di cui ho copiato e incorporato il codice, non si avvia dopo un certo uso. Ricolloco ogni volta il codice. Non saprei dire se si tratta di un intenzionale sabotaggio. Il messaggio video di Arrigoni si trova riportato in vari siti, che elenco, indicando per il numero di visualizzazioni e gli annessi commenti: 1°) postato da “antimafiamilitante”, con al momento 40.207 visualizzazioni, da una settimana e 356 commenti; 2°) stopthewaritalia, con 35 visualizzazioni e 0 commenti, postato 4 giorni fa; 3°)... Bastano questi dati (visualizzazioni e commenti) per dedurne che la manifestazione sionista di Fiamma Nirenstein sia stato un boomerang che ha rivelato anche ai più distratti l’esistenza di una “Israel Lobby” che ritiene di poterla fare da padrone sulla politica estera italiana. Inutile, cercare traccia di opposizione in parlamento: la Lobby si gloria di essere bipartisan! Ma nel Paese l’opposizione invece esiste ed è consistente. Questo dato la dice lunga sulla democraticità e rappresentatività di questo Parlamento, dove i rappresentanti sionisti sono stati “nominati” ovvero “auto-nominatisi” e giammai eletti dal popolo italiano.

Si potranno poi stabilire perfino comparazioni con l’incomparabile, per vedere innanzitutto se esiste l’Incomparabile. Se rispetto all’Evento Innominabile proviamo a fissare criteri di comparazione come “durata” della sofferenza, “intensità” della sofferenza, “numeri” della sofferenza, “intenzionalità” della sofferenza ad altri inflitta, nonchè sulla “innocenza” delle vittime rigorosamente accertate e sulle “coperture” e “complicità” di cui i carnefici si sono avvantaggiati, e non per ultimo la funzione avuta dai media e dall’informazione in genere, nonché le dichiarazioni di “opinionisti”, “scrittori”, cantanti, attori e ballerine, ecc. ecc., per la verità, ad occhio e croce io non avrei dubbio di sorta su chi assegnare il Gran Premio o Primo Premio per la sofferenza e l’ingiustizia subita. È difficile immaginare che un “genocidio” – ormai normativamente equiparato alla “pulizia etnica”, perché in entrambi i casi si uccide una intera etnia, si fa scomparire un popolo dalla faccia della terra – la cui semplice durata copre un periodo di oltre 100 anni (1882-2010) possa essere inferiore ad una “narrazione” su una sofferenza in ogni caso durata non più di un paio di anni e sulla quale per giunta è proibito indagare, allo stesso modo in cui ai giornalisti non embedded fu preclusa la copertura giornalista di Gaza durante “Piombo Fuso”, per non dire del sequesto di cineprese e filmati fatti dagli stessi aggrediti della Mavi Marmara. Sembrerebbe trattarsi di una stessa politica dell’informazione: giornalistica, storica e memorialistica. Infatti, chi ha in mano il potere controlla il discorso, la memoria, l’informazione, la formazione della cosiddetta “opinione pubblica”, ma in realtà solo opinione “pubblicata” o “pubblicabile”.

Qualsiasi sofferenza inflitta al nostro prossimo non può che essere esecrabile e venire da noi rifiutata, perseguendo noi l’immanine utopica e mai raggiunta di un’umanità che vive in pace e dove vige l’amore anziché l’odio e la ferocia. Ciò però non ci impedisce di interrogarci sul perché mai l’uomo infligge sofferenza al suo simile. Sgombrato il campo da queste nostre riflessioni dell’istituto della “pena” in sé, con la quale ogni sistema penale sanziona singoli soggetti (mai interi popoli!) per singoli atti (furto, omicidio, stupro, abigeato, ecc.) che non possono essere ammessi in un consorzio umano, resta da chiedersi non se certe cose siano o non siano mai avvenute, ma perché sarebbero avvenute. Chi vuol capire, ha già le chiavi per cogliere l’allusione, senza scatenare qui di nuovo una reazione artatamente isterica. Ma non vado qui a scavare oltre per non rischiare di far fuoruscire verità dal sottosuolo, difficili e imbarazzanti da rinchiudere nelle viscere della terra o nelle prigioni degli stati. Preme qui far risaltare l’assoluta innocenza della vittima sacrificale designata per l’«olocausto»: il popolo palestinese!

Se ne stava pacifico sulla sua terra, con i suoi costumi contadini e preindustriali: hanno detto che erano dei “selvaggi” e che bisognava cancellarli per portare il “progresso” e la “modernità”. Quando la Palestina fu formalmente assegnata in “Mandato” alla Gran Bretagna, ciò avveniva all’interno di un istituto giuridico tipicamente coloniale e razzista: il Mandato. Vale a dire questo istituto suppone che esistano popoli selvaggi, minorenni, incapaci di darsi da sé proprie istituzioni, di modellare la loro propria cultura, le proprie leggi, i propri costumi. Occorre che uno stato venuto dall’Occidente li educhi alla “civiltà” ed un giorno forse conceda loro emancipazione ed autonomia, se faranno i bravi e dimostreranno di averlo meritato. Era questo il ruolo della Gran Bretagna, la cui cultura della doppiezza politica e morale prometteva agli uni, ingannando e mentendo agli altri. Non devo qui fare una lezioni di storia per ricordare a chi sa già la genesi e gli svolgimenti della spartizione dell’Impero Ottomano e sulla base di quali menzogne l’Inghilterra abbia spinto gli arabi alla ribellione, promettendo loro un’indipendenza che non avrebbero mai avuto per mano inglese. Il gusto della menzogna è sopravvissuto all’Impero, se dobbiamo a Tony Blair e non solo a lui la menzogna dei falsi armamenti di Saddam, costati fino ad oggi oltre un milioni di vittime e danni materiali incalcolabili.

Si dice: il giudizio ai posteri. Ma adesso siamo noi quei posteri. Possiamo emettere il nostro responso? Ebbene, per il solo Vicino Oriente, o Medio Oriente (come dicono inglesi e americani dal loro punto di osservazione), a fronte di infinite tragedie costate all’umanità guerre infinite e mai tanto feroci e distruttive, non sarebbe stato meglio se l’Impero Ottomano non fosse stato mai smembrato? Conosco la risposta: la storia non si fa con i se. Obiezione: ma noi qui non abbiamo la pretesa di scrivere la storia che non è stata. Noi diamo il giudizio dei posteri. E possiamo anche osservare la fine ingloriosa e turpe che in pochi decenni ha cancellato i grandi imperi coloniali di Inghilterra e di Francia, i cui appetiti coloniali si erano spartiti tutto il Vicino Oriente. Poveretti, l’ultimo tentativo di rivincita coloniale l’hanno tentato nel 1956, con la guerra anglo-francese-israeliana per il canale di Suez. Ma ormai il padrone del mondo era un’altro, che astutamente ha fatto sì che la vecchia Europa si dilianasse dal suo interno, riducendosi ad un condominio russo-americano. Ed i sionisti - prima e dopo Balfour - in tutta questa storia non c’entrano nulla? Non lo si può dire...

Or dunque, fatto sta che gli inglesi con il loro Mandato giocarono sporco, ma sporco assai, preparando di fatto quello “stato ebraico” che poi diede loro il classico calcio dell’asino, per passare a nuovo padrone: gli Usa, dove una forte Lobby ebraica è in grado di influenzare e condizionare la “politica estera americana” non meno di come la Lobby nostrana è in grado di determinare la “politica estera italiana”, dimostrandolo proprio l’altro ieri, in una sala a ridosso di palazzo Montecitorio, dove il ministro degli esteri, se ancora ve ne era bisogno, ha dimostrato anche ai ciechi di essere uno di loro: non diversamente da quella funzione di terzietà che pretendeva di avere, per gli ingenui e i fessi, l’Alto Commissario inglese nel Mandato britannico di Palestina!

E qui ci fermiamo, per non rischiare di dover scrivere un libro di storia, l’ennesimo libro di storia sulla Palestina. Le mie conoscenze al riguardo sono quelle che ricavo dai libri esistenti e dalla mia capacità di interpretazione critica. Le mie ultime letture mi portano a riflettere che la «Pulizia etnica della Palestina» non è da collocare nel 1948, come si può apprendere dal libro ormai fondamentale di Ilan Pappe a questo riguardo. Ma inizia molto prima ed è implicita nell’idea stessa di sionismo, che per davvero è una forma di “razzismo” oltre che di colonialismo, come si disse in Durban I. Che poi questa dichiarazione stata stata fatta ritirare nulla toglie alla sua “verità”. Anzi, ne dà ulteriore conferma nella misura in cui si riesce a ricostruire la storia delle pressioni, dei maneggi, dei ricatti, di tutto ciò che avvenne dietro le quinte per far ritirare il riconoscimento di una verità che resta tale.

Appare come un segno della provvidenza, a 12 giorni esatti dalla “verità” interpretata dalla Israel Lobby del Tempio di Adriano, un ben diverso «momento di verità», contenuto in un documento sinodale redatto in tredici lingue e disponibile da oggi sulla rete, dove i cristiani di Palestina lanciano un grido di dolore al mondo intero... Un grido che la gli agenti della Lobby già cercano di silenziare, ma su cui passiamo oltre: di costoro meno si parla, è meglio è. Almeno finchè non vengano ripristinati per tutti, in modo eguale, i diritti costituzionali di libertà di pensiero e di espressione. È allucinante il lavaggio del cervello che si annuncia come sostitutivo del carcere. Il documento sinodale tuttavia non lascia scampo davanti all’oggettività dei fatti e alla larga gamma di misure repressive e di occultamento davanti ad una violenza chiara e manifesta, che dura da oltre un secolo e che tenta di nascondersi nelle pieghe di ogni evento che la storia produce.

Su “Kairos” è in corso in queste ore una ridda di smentite diplomatiche, dopo che un’agenzia, la Misna, ha riferito di pressioni di Israele sulla Santa Sede per mettere a tacere gli autori del documento sinodale. Naturalmente, noi sappiamo e chi credere e di cosa sia capace Israele, per il quale diritto, giustizia e verità hanno un’accezione tutta propria. Ma ecco una dichiarazione di don Nandino Capovilla:
…Con così tante pubblicazioni sul Medio Oriente in circolazione, perché ‘Kairos Palestina’ dà così fastidio? «E’ facile stampare pubblicazioni, parlare sempre e non turbare nessuno - ha detto ieri don Nandino - perché si cerca di far finta di non vedere la realtà e soprattutto di non udire il grido disperato dei palestinesi. ‘Kairos Palestina’ dà fastidio perché ha costituito un momento di verità. Perché quando questa parola, la parola ‘verità’, viene usata per indicare la realtà dell’occupazione militare israeliana che dura da 60 anni, allora essa immediatamente non si può usare».
Verità, verità, verità... questa parola è tanto contesa in questi giorni. Ma nel corso di oltre un secolo, dal 1882, anno del primo insediamento coloniale sionista, in poi, ha avuto tanti volti e tante versioni. Il 7 ottobre la Signora Fiamma Nirenstein ha presentato uno show “Per la verità, per Israele”. Da Gaza Vittorio Arrigoni ha mandato un video-verità al suo coetaneo Saviano, mobilitato come una star di grido alla manifestazione sionista del Tempio di Adriano. Ed in ultimo arriva, il 19 ottobre, “Un momento di verità”, in un mare di informazione controllata da Israele, che ancora una volta ha usato i suoi noti mezzi di pressione. È difficile capire dove sta la Verità? Qual è la nostra Verità? E soprattutto qual è la nostra posizione davanti ad essa?

È divertente notare come abbia concorso allo show del Tempio di Adriano anche l’«ateo devoto» Giuliano Ferrara, per il quale chiaramente la Chiesa ha un suo pregio in quanto possa essere rivolta in funzione antislamica e pro Israel. È rivelatore un pezzo di oggi, dove fa scendere in campo il rabbino Rosen, che come già Pacifici con lo stato italiano, pretende di dettare lui cosa la Chiesa può fare, anzi cosa le “conviene” fare, adottando un linguaggio mercantile là dove normalmente si parla di fede e devozione. Infatti, ogni modesto fedele cattolico – ma non l’opportunista “ateo devoto” – sa che la Santa Sede ovvero lo Stato Vaticano non sono la Chiesa, di cui fanno parte tutti i fedeli cristiani del mondo, anche quelli di Palestina o di Israele, i cui numeri e la cui storia hanno una ben diversa spiegazione da quella fatta passare dalla propaganda israeliana. Numeri e “convenienze” in ogni caso sono ininfluenti rispetto a questioni di giustizia, umanità, carità.

Anche se occorre turarsi il naso, siamo tuttavia giunti alla conclusione che sia opportuno un costante monitoraggio della propaganda sionista ed un osservatorio sui modi, i tempi e gli uomini con cui la Israel Lobby agisce sui nostri governi e sulle istituzioni, agendo per un verso con la mistificazione e con l’altro con l’intimidazione, il ricatto, la violenza. È utile sapere chi sta con chi contro chi. Lo studio e l’analisi consentono di capire dove sta l’inganno ed è sempre più facile in una realtà come quella palestinese e mediorientale, afflitta di oltre un secolo di indubbia oppressione coloniale, che niente può giustificare. È divertente l’imbarazzo che qui traspare da parte dell’«ateo devoto» Giuliano Ferrara, che sembra dover operare una scelta fra Roma e Tel Aviv, non già Gerusalemme cosa il cui nome avrebbe già delle implicazioni e indicherebbe uno schieramento. Si può ben dire che a due settimane dal tentativo propagandistico della Nirenstein, che parla perfino di “negazionismo” sinodale (!), esce forte e chiara la risposta del vescovi. Si chiede la fine all’occupazione israeliana, si invita l’ONU a far rispettare le sue risoluzione ed in primis quella che riconosce il ritorno dei profughi dal 1948 in poi. Forse si apre una nuova epoca e le azioni delle lobbies possono essere contrastate non da un manipolo di persone, ma da ogni coscienza libera, informata e capace di discernere gli inganni e le menzogne.

Anche se non dismettiamo il nostro monitoraggio della propaganda sionista, sempre più avvelenat e ipocrita, non ci soffermiamo su di essa. Basta soltanto rilevare come costoro si erano ormai abituati all’idea di una “chiesa universale” prona ai diktat del sionismo e delle diaspore, che ormai hanno pienamente di essere agenzie sioniste, portandone quindi tutta la responsabilità. È di una scandalosa e inaudita arroganza la pretesa di stabilire ciò che il papa e la Chiesa possano o non possano dire. Altrettanto scandaloso e irritante il sommo disprezzo per i fedeli cattolici, intesi come “pecore” o “bestiame” che può essere condotto dove si vuole, se appena ci si è lavorato i vertici, i “capi”. Pretendono costoro di riformare loro la dogmatica cattolica di duemila anni e di dire loro cosa i “goym” debbono correttamente credere o non credere! Naturalmente, non vale il reciproco: ché sarebbe “antisemitismo”! È una costante assoluta del lobbismo sionista quella di lavorare sui singoli, facendo loro giungere pressioni dai “superiori”, sui quali si esercitano recondite pressioni, qui - ad esempio – valutazioni mercantili di convenienza circa le sorti del cristianesimo in Medio Oriente da anteporre a semplici ed immocolate valutazioni spontanee di giustizia, umanità, pietà. Il “fedele” cattolico è inteso come un cliente nel supermarket delle religioni e della fede. Da anni viene condotta una propaganda volta a mettere tutto il cristianesimo in uno scontro frontale contro l’Islam: un miliardo nominale di cattolici contro un altro miliardo di islamici, spinti l’uno contro l’altro dal “fratello maggiore”. Un prelato ha però ben detto: la chiesa cattolica non è “minoranza” in Medio Oriente, ma è una parte della Chiesa universale che si trova in quei luoghi. E così sarebbe anche se vi rimanesse una sola persona. È un bellissimo concetto di teologia politica che si contrappone alla logica materialistica dei numeri. Vi è infine da augurarsi che il “momento di verità” che si è rischiarato sul Medio Oriente segni una svolta permanente nella politica religiosa della Chiesa cattolica. Ci troviamo davvero davanti ad una «svolta storica», come si legge nel messaggio conclusivo del Sinodo? Se così sarà – e ce lo auguriamo –, le conseguenze andranno molto più in là dell’ambito strettamente religioso.

Non è ancora trascorso il mese di ottobre, iniziato con una “verità” tutta israeliana, a suo uso e consumo, che ben altro verità si aggiunge ancora: quella della carovano VivaPalestina5, che per via terra ha voluto raggiungere con difficoltà e resistenze enorme il Lager di Gaza, dove si rinnovano e superano quegli orrori che si pretende siano confinati in un passato sempre più remoto e sempre più mistificato. È difficile trovare parole per esprimere la sensazione provata dai pacifisti entrati in Gaza. Forse le più adeguate sono queste: «Quando la libertà si restringe in un posto del mondo, la libertà di tutto il mondo un poco si restringe, per questo ho deciso di unirmi al convoglio». Ed è proprio così! Ma qui si può leggere una cronaca aggiornata del convoglio VivaPalestina5, l’altra verità che non trova spazio sui nostri media sionisti. È come se tutti noi fossimo rinchiusi nella prigione di Gaza. Noi patiamo nei nostri paesi la stessa oppressione, la stessa sofferenza dei palestinesi. Addirittura forse una sofferenza maggiore nella misura in cui si può dire che viene sovvertita la nostra coscienza morale, piegata la nostra autonoma capacità di giudizio, vilipesa la nostra volontà, corrotto il nostro cuore, la nostra spontanea inclinazione al sentimento di equità e pietà. È la potenza della propaganda per un verso e l’occultamento della realtà tangibile per l’altro ciò che ci impedisce la generale comprensione della nostra quotidianità e della nostra epoca. Non siamo soggetti di diritto, ma di noi si dispone come meglio si crede e come ad altri torna utile. I popoli d’Europa e del Vicino Oriente soffrono di un’identica oppressione.

Per concludere, pare indubbio che nel caso di “Israele” si tratti dell’ultimo residuo di avventura coloniale in un mondo che ha rigorosamente respinto tutta l’esperienza storica del colonialismo e del razzismo in esso implicito, impersonato in primo luogo da Inghilterra, Francia, USA. Contro questo residuo odierno di razzismo e colonialismo siamo chiamati ad esprimere il nostro giudizio morale di uomini liberi. È probabile che politicamente saremo sconfitti dalla Israel lobby che si è rivelata l’altra giorno al Tempio di Adriano, ma la nostra forza è tutta nella nostra capacità di resistenza, mantendoci dentro la massima evangelica del “sia il vostro dire: si si no no”.

Per questo propongo alla nave italiana che salperà per Gaza, in nome del popolo italiano, di portare con sé una grande scritta, visibile da lontano, dove si possa leggere a caratteri cubitali:

PER LA VERITA’, PER GAZA


giovedì 7 ottobre 2010

Freschi di stampa: 49. Shlomo Sand, «L’invenzione del popolo ebraico» (Rizzoli, 2010). - Nascita e morte di un mito.

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Avvertenza: si avvisano quanti intendono riprendere sul loro blog questo mio testo, come già tanti altri, che la mia scrittura è in tempo reale ed online: vi sono perciò tanti refusi che devo correggere, ed anche parti sostanziali che posso decidere o di sopprimere o di formulare meglio. Lo stile poi e la buona forma sono l’ultima cosa di cui mi curo. L’avviso vale anche per i “nemici”, e mi affido alla loro onestà, se mai ne hanno avuto una. I tempi previsti sono lunghi e seguono la recezione nel tempo del libro testo. Si trova qui utile raccogliere in un solo post tutto ciò che troviamo sulla rete, sempre unito ad un nostro commento critico. Il libro è importante e merita tutta la nostra attenzione. Lo abbiamo già letto in francese e in traduzione italiana. Considero il libro di Sand un libro di studio e di base per ulteriori approfondimenti. Senza di esso ci sfuggirebbe distinzioni concettuali estremamente importanti.

Non avrei mai pensato che il libro di Shlomo Sand, di cui ho già redatto una scheda sull’edizione francese, sarebbe apparso anche in italiano. Ed invece eccolo uscito presso Rizzoli, in una collana ad ampia tiratura e per questo al costo di soli 21,50 euro per un volume rilegato di 540 pagine. Se avessi lo stipendio del senatore Della Seta, credo non meno di 20.000 euro mensili con infiniti altri privilegi, invierei in dono a 314 + 1 (Ciarrapico) una copia del libro di Shlomo Sand anziché le 315 - 1 (Ciarrapico) “kippah”, come il detto senatore ha fatto sapere ai media. Non so se una “kippah” costi di più o di meno di 21,50 euro: non mi sono mai posto il problema. Ma il costo di 315 copie del libro sarebbe di 6772,5 euro, sopportabile su uno stipendio mensile di 20.000 euro. Il libro giunge nelle mie mani il giorno stesso in cui la signora Fiamma Nirenstein annuncia una “maratona oratoria”, dove un un nutrito gruppo di parlamentari ci racconteranno la loro “Verità per Israele”. Intanto, possono leggersela qui, nel libro, tradotto in italiano, di Shlomo Sand, dove in modo inconfutabile si illustra e divulga al gran pubblico una “verità” già nota negli stessi ambienti accademici israeliani: che il “popolo” ebraico è una creazione sionista nel contesto del dibattito sul nazionalismo che infuriò nella seconda metà del XIX secolo. Sono pure menzogne le leggende della deportazione degli ebrei dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. Vi fu già prima di quella data una spontanea emigrazione di giudei, che si sparsero per ogni dove, tentando anche loro di fare proselitismo. Il maggior successo lo ebbero in Kazaria, nell’VIII-IX secolo, da cui traggono origine la maggior parte degli ebrei attuali. Se proprio vogliamo andare alla ricerca dei più diretti discendenti di quanti abitavano in Palestina nel 70 d.C., questi sono proprio gli odierni palestinesi, contro i quali gli ebrei ovvero sionisti di Kazaria hanno sempre condotto una politica di pulizia etnica. Se ci dovessimo esprime con una formula matematica, allora l’equazione sintetica ed inconfutabile sarebbe la seguente:

Israele = pulizia etnica della Palestina

L’arco temporale dell’equazione va dal 1880 al 2010, distinguendo due periodizzazioni principali: prima e dopo il 1948. Il “prima” concide con la preparazione ideologica e tecnica della “pulizia etnica”, che equivale al “genocidio”, mentre il “dopo” corrisponde alla sua esecuzione tecnica, che si avvale anche e soprattutto di una copertura mediatica e politica.

Erano visibilmente in lutto gli agenti della propaganda sionista per la lingua italiana che ne hanno dato la notizia con questi termini:
«Da leggere con molto senso critico la recensione di Paolo Mieli sul Corriere alla traduzione italiana del libro negazionista del solito intellettuale israeliano della sinistra antisionista Shlomo Sand, che sostiene, fuori dal suo campo disciplinare e usando argomenti che sono stati refutati dagli storici seri e perfino dalle prove biologiche al momento dell’uscita del libro in Israele, che quello ebraico non sarebbe un popolo, ma il frutto di ondate di conversioni, che i veri discendenti degli ebrei biblici sarebbero probabilmente i palestinesi, che gli ebrei europei discenderebbero dai turchi Kuzari e non dalla stirpe di Israele. Tutte storie che hanno un evidente fine politico e che Mieli approva con entusiasmo.»
Per la verità, non noto nessun entusiasmo in Mieli, che si limite a redigere non una “recensione” in senso tecnico, una scheda informativa sul contenuto del libro, rinviando ad altra occasione una sua possibile e credibile neutralizzazione. Addirittura, con estensione del senso diffamatorio del termine, anche Shlomo Sand è gratificato come “negazionista”. Il termine ormai oltre ad essere applicato agli storici revisionisti che da anni ed in misura sempre più traboccante si dedicano alla storia critica dei campi di concentramento, lo si applica anche a quegli archeologi che hanno scosso dalle fondamenta la narrazione biblica costitutiva di buona parte del fondamento mitologico dello stato ebraico di Israele, che nasce su una “Pulizia etnica della Palestina”, rivelata al gran pubblico da un altro storico ebreo e israeliano, Ilan Pappe, che in seguito a minacce ricevute ha dovuto lasciare quel “paese civile”, di cui Mieli parla a conclusione della sua scheda.

In effetti, mi soprende l’uscita di una traduzione in lingua italiana che avevo auspicato e che mi sembrava difficile, anche per la limitata estensione dei lettori italiani e quindi per il minore margine di profitto commerciale rispetto alla lingua inglese o francese ma anche spagnola. Ma era già apparsa presso Mondadori la traduzione del grosso volume di Mearheimer e Walt sulla “Israel lobby e la politica estera americana”. Almeno altri due libri, disponibile per il pubblico che vuole essere informato ed è immune alla propaganda, stanno assestando un formidabile colpo al sionismo: di Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina, e di Avraham Burg un libro dal titolo un poco strano, Vincere Hitler, ma che sostanzialmente è incentrato sulla mistica della Shoah come attuale fondazione ideologica dello stato di Israele. In soldoni il messaggio di questa mistica puà essere riassunto in questo modo: noi siamo quelli che “hanno sofferto”, decisamente più di tutti, e guai se qualcuno dice che ha sofferto di più; dunque, lasciateci fare con i palestinesi quel che vogliamo, abbiamo diritto a quell’atomica che nessun altro e meno che mai l’Iran deve avere, e che le carceri europee vengano stipate al massimo con quanti, “negazionisti”, pensino di fare le pulci sui fatti storici della seconda guerra mondiale; le loro “opinioni” non sono “pensiero” protetto dalle costituzioni e dalle dichiarazioni dei diritti universali dell’uomo, ma sono in se stesse “crimini” e quindi sanzionabili con il massimo delle pene, e per giunta a pena scontata simili criminali non sono “rieducabili” e non possono più essere ammessi nel contesto sociale con parità di diritti e di dignità. Per chi sa leggere il libro di Burg, che ha definito lo stato di Israele uno stato alla nitroglicerina, si traggono verità che i mediatori culturali (traduttrice, recensori, ecc.) cercano di sviare e ridimensionare. Faccio un torto a Jacob Rabkin, e non solo a lui, se ometto il suo fondamentale libro sul “nemico interno”, che ci fa capire meglio di altre fonti la distinzione fra giudeo, ebreo, sionismo, ed in sintesi chiarisce molto bene l’opposizione radicale e irriducibile fra il giudaismo fondato sulla Torah, dei vecchi ebrei praticanti e autenticamente religiosi, e gli “ebrei” (?) che hanno sposato la causa del sionismo, per non dire i lestofanti religiosi che interpretano alla lettera passi biblici che inneggiano al genocidio e dove sono descritte pratiche che oggi verrebbero condannate da qualsiasi tribunale internazionale per i crimini di guerra.

Avendo già dedicato al libro di Sand una scheda relativa all’edizione francese, svolgeremo su questa scheda le considerazioni e le riflessioni che nascono dalla lettura e rilettura del testo, mentre in questa scheda seguiremo con attenzione quella che sarà la recezione italiana del libro, per la quale oltre al lutto dei “Corretti Informatori” si segnala una recensione del sionista Paolo Mieli, la cui presenza è annunciata oggi sul palco della signora Nirenstein. Abbiamo già dato una scorsa alla recensioni di Mieli e ci è parsa un mero sunteggio, in attesa che qualcuno si faccia avanti per tentarne una stroncatura e facendo buon viso ad un colpo formidabile alla propaganda sionista:
«Scritto da un israeliano, per il pubblico israeliano, a dispetto della storia ufficiale che si insegna nelle scuole di Israele. E contestato da coloro che non sono d' accordo in punta d’argomento e senza ricorrere a tentativi di screditare l' autore. Così si dibatte del passato in un Paese civile».
È un rinvio ellittico al paese “incivile”, di cui non è detto chiaramente quale sarebbe, ma non è difficile intuire. Probabilmente, tutti quelli dell’area, eccetto Israele stesso. Il sionismo di Mieli resta sempre sempre in agguato e non ci si deve lasciar ingannare dalla scheda riassuntiva, dove il suo pensiero lo si può cogliere solo in impercettibili incisi.

Il libro esce poi addirittura presso Rizzoli, dove lo stesso Mieli riveste forse un ruolo importante. Esisteva una volta in un settimanale a larga diffusione una rubrica intitolata “segreti degli editori”. Sarebbe veramente intereressante sapere come si è giunti ad un’edizione italiana, a cui non speravo e che mi sorprende. Può darsi che siano state esclusivamente valutazioni di carattere commerciale, ma non si può escludere che in questo modo si pensi forse di controllarne meglio l’influsso sul pubblico italiano.

Ecco che qui troviamo, in ordine causale, un primo tentativo di quella neutralizzazione del libro di cui appunto parlavamo testè. Ed ora finalmente appena uscito in traduzione italiana e quindi direttamente disponibile al giudizio del lettore interessato. È buona regola leggere i libri che ci interessano e non affidarci mai al giudizio di un recensore, più o meno interessato. Non bisogna lasciarsi ingannare dal sunteggio di Mieli, che in realtà è ostile al libro. Il fuoco di sbarramento contro il libro inizia almeno un anno prima dalla sua uscita in italiano. Ne è un esempio questo tentativo di stroncatura che troviamo immancabilmente “Giornale”, a firma di un certo Segre, sul quale è bene leggere quanto in altro contesto ne dice Blondet. Sand – per chi legge il libro – non è «l’asino» che Segre vorrebbe, mentre l’«altoparlante» Segre è chiaramente uno di quei sionisti che il libro ci consente appunto di conoscere in tutta l’ideologia di cui sono portatori. I “commenti” de il “Giornale” riflettono la linea editoriale del quotidiano, anche se viene fatto passare qualche intervento “nemico”.

Utili le informazioni che si ricavano dalla pagina di Arianna Editrice, che mette insieme una scheda del Corriere con la traduzione di una recensione di Tom Segev a cura del compianto Mauro Manno. Siamo all’aprile del 2008, ben prima dell’edizione italiana (ottobre 2010) del libro, che certamente segnerà una fase nuova della sua recezione presso il pubblico italiano. Possiamo considerare il periodo precedente come “esorcistico” o di “annuncio” e quello che verrà come vero periodo della recezione critica del libro. Da notare quali siano le preoccupazioni di una certa parte della intellettualità accademica.
«Dina Porat, storica dell’Olocausto, gli ha detto di aver completamente trascurato la realtà politica dopo la Shoah».
Appunto! Abbiamo qui una nuova conferma di come tutta la storiografia ebraica sia sempre stata condizionata dalle sue finalità politiche. Si legga al riguardo questo bel saggio di Gilad Atzmon, tradotto da Gianluca Freda. Nel testo di Atzmon si trova anche una citazione di Shlomo Sand. Quanto per rispondere idealmente a Dina Porat si può ricordare sulla “realtà politica dopo la Shoah” il libro di Abraham Burg, ben diverso e pur complementare. Ma non poteva chiedere a Sand quello che ha invece fatto Burg per un verso, o Pappe per l’altro, e Jakob Rabkin ancora per un altro. Tutti questi libri vanno letti in modo complementare. Ne manco forse uno ancora sulla cosiddetta «unica democrazia del Medio Oriente», quale appunto si pretende sia Israele. Si tratta in realtà di un mostro giuridico, al quale ben si adatterebbe la nozione di “Stato criminale”, proposta da Karl Jaspers per lo stato nazista. Manca però – che io sappia – una trattazione adeguata per questo aspetto e tale da poter affiancare alle opere qui citate, tutte efficaci per darci un’immagine di Israele finalmente sottratta alla propaganda.

* * *

Non è stata cattiva l’idea di postare questa scheda, appena avuto notizia dell’uscita di un’edizione italiana del libro di Shlomo Sand. Non ci speravano ed abbiamo dovuto leggerlo in traduzione francese. Una sorpresa nella sorpresa è stata l’uscita presso Rizzoli, diretta dal sionista Mieli, che ne ha fatto non una recensione, ma una scheda riassuntiva condita da qualche inciso dove si coglie la posizione sionista del Mieli. Non credo di aver capito fino in fondo la strategia editoriale del Mieli o della Rizzoli. Probabilmente, se ne vuol fare un fatto commerciale – se il libro tira e può tirare –, ma non un fatto culturale. Se Shlomo Sand vorrà dare un peso al suo libro, dovrà fare come ha fatto Ilan Pappe, cioè fare una tourné promozionale del libro in Europa. E che farà l’editore? Metterà a disposizione i suoi circuiti? Mah! Ma non anticipiamo. Stiamo stiamo soltanto ad osservare.

Ed ecco qui che appare un intervento dello specialista in Eurarabica, che conduce una quotidiana guerra a tutto ciò che scalfisce la sua amata Israele. L’Italia è solo terra di occupazione e questi signori non concepiscono che qualcuno in un paese controllato da ben 114 basi americane possa non piegarsi ai voleri e desideri di Israele. Viviamo in tempi di guerra ed ogni parola deve qui essere misura e preferibilmente evitata. Ma vediamo cosa dice la “stroncatura”. Il libro di Shlomo Sand sarebbe “brutto”. Dicevano gli antichi: de gustibus ne dipundam est. Ho letto il libro in francese e in italiano. E non l’ho trovato per nulla brutto. Per chi appena un poco conosce la prosa velenosa e astiosa dello “stroncatore” salta subito un: “senti chi parla!”. E non sono il solo a dirlo. Persino dal suo stesso campo si è sollevata una voce al riguardo, potendosene concludere che un simile propagandista alla fine avrebbe prodotto verso Israele ed il sionismo molte più antipatie che non simpatie.

Quanto al “forte lancio pubblicitario” per la verità non me ne sono accorto. E non ne avrei avuto notizia, se non avessi appreso dallo stesso propagandista l’uscita del libro che si tentava subito di esorcizzare. Devo ringraziare l’Esorcista per avermi consentito di poter comprare subito il libro e finirlo di leggere prima che lui potesse scriverne. Una prima stonatura è il collegamento del libro di Sand con la recente legge sul giuramento di fedeltà al presuto stato “ebraico e democratico”, un ossimoro che sfugge al semiologo. Direbbe Di Pietro nella sua lingua italiana riformata: « E che c’azzecca?» Ma andiamo avanti.

Da notare che il sinodo sul Medio Oriente, appena concluso, è un sinodo «famigerato». Poco ci manca che venga indicato come un raduno di criminali di guerra, se non mafiosi e camorrista. Ma questo è l’uomo e questa la sua quotidiana e postale limpidità e obiettività di giudizio. Lasciamo pure stare la “serenità” di giudizio, giacché neppure io sono capace di “serenità” davanti a tanti sproloqui che offendono l’intelligenza prima ancora che il diverso sentire politico. La lettura del libro sembra non vada oltre la quarta di copertina. Quanto a “popolo” e “religione” ne voglio raccontare una che è inedita quanto vera. Chi legge è libero di crederci o meno.

Per la formazione del cosiddetto “popolo” ebraico e o sionista si era creato un flusso emigratorio che partiva dalla ex-Unione Sovietica e paesi satelliti. Le persone coinvolte venivano attirate con una falsa promessa di emigrazione negli USA. Ad un certo punto si scoprivano le carte ed il paese di destinazione non erano più gli USA, ma Israele, dove appunto bisognava costituire e rafforzare i ranghi del “popolo ebraico”. Un riscontro a questa storia, sulla cui veridicità non ho dubbi, la si può trovare nel saldo negativo fra immigrazione ed emigrazione in e da Israele. È probabile che chi non aveva nessuna intenzione di arruolarsi nel “popolo ebraico”, potendo cerchi di evadere. Ma, come diceva Pasolini, siamo in un campo dove si sa tutto senza poterlo provare. Per noi è qui sufficiente sapere. Ma cerchiamo di trovare qualcosa di pertinente nell’analisi eurabica del libro.

Di “bizzarro” vi è l’incomprensione del libro, unito all’abituale saccenza. Sul carattere religioso dell’ebraismo ovvero del giudaismo è quanto mai utile la citazione del libro di Jakob Rabkin, dove sono chiariti e distinti molti termini (giudaismo, ebraismo, sionismo) che nell’uso giornalistico e propagandistico vengono mantenuti in una deliberata confusione. Non possiamo qui adesso entrare rigorosamente nella problematica svelata da Rabkin, ma ne ricordiamo l’assunto principale: la radicale e assoluta opposizione di giudaismo e sionismo, dove per giudaismo si intende la rigida ortodossia con la tradizione religiosa giudaica, che non è il nazionalismo religioso di incredibili personaggi che vivono e prosperano in Israele. Quanto poi al tasso di religiosità e di nazionalità presente oggi in Israele basta leggere la tipologia riportata da Shlomo Sand in apertura del libro.

Altra distinzione andrebbe fatta fra “popolo” e “nazione”, ma usciremmo forse fuori dal libro stesso di Shlomo Sand, che in modo egregio in buona parte del libro riporta il dibattito che vi fu, soprattutto in Germania, nella seconda metà del XIX secolo sulla formazione dei concetti di “nazione”, “nazionalismo”, “razzismo”. Sand spiega bene ed in modo convincente come da questo coacervo uscì fuori il sionismo e con esso l’«invenzione» del popolo ebraico, cosa che ovviamente non significa che in Palestina dal 1882 ad oggi non vi sia stata una conquista coloniale ad opera di concrete persone in carne ed ossa. Come essi si chiamino o intendano chiamarsi può interessare relativamente. Di fronte alla realtà di una “pulizia etnica” che dura fino ai nostri giorni poco interessano gli ideologismi con i quali si pretende di giustificare e legittimare un vero e proprio sterminio che la nostra coscienza morale giustamente rifiuta. Non ci si può chiedere di fissare la nostra attenzione sulla narrazione di “stermini” di epoche sempre più remote per poi chiudere gli occhi sugli “stermini” presenti ad opera degli stessi narratori.

L’argomento che sembra più fondato all’argomentazione del libro di Sand è di quanti si baserebbero sui dati della genetica per affermare una comune etnia del popolo ebraico. Non è che Sand non sia a conoscenza degli ultimi ritrovati della scienza, ma nota come già per l’archeologia o la storia i dati siano spesso piegati ai dettami della politica. Sembra tuttavia indubbio che “conversioni” all’ebraismo vi siano stati nel tempo. Anche oggi sono possibili, anche se io francamente non riesco ad immaginarmi circonciso. Ma ognuno di noi che lo volesse potrebbe presentarsi per l’operazione. In ogni caso, ed è ciò che maggiormente importa, niente autorizza la pulizia etnica della Palestina dal 1882 in poi, all’insegna del sionismo. Se una siffatta operazione venisse giustificata con l’impiego della Bibbia, bene ha fatto il “famigerato” sinodo che non può invocarsi la Bibbia ovvero la teologia per giustificare palesi ingiustizie riconosciute come tali dal diritto naturale. Avremmo tutto il diritto di ritenere “criminale” una simile teologia.

La comunanza genetica dell’etnia ebraica non sarebbe diversa da quella degli zingari o simile etnie, che però non reclamano una stato tutto per loro e meno che mai rivendicano il diritto a scacciare dai loro villaggi le popolazioni autoctone, come ha documentato un altro ebreo israeliano, Ilan Pappe, anche lui un “ebreo che odia se stesso”, secondo una curiosa “invenzione” che bolla con questa terminologia ogni ebreo che esce fuori dagli schemi e dalle parole d’ordine del sionismo. Ma comunque simili argomentazioni, basate sulla genetica, non invalidano le tesi portanti del libro di Sand. Quanto agli «storici seri» che avrebbero «stroncato le tesi di Sand» bisognerebbe sapere chi sono e quanto possono dirsi “seri”. Mi viene da pensare ad un noto giornalista di parte sionista, che in passaggio televisivo, parlando delle prime reazioni al libro di Mearsheimer e Walt, La Israel Lobby e la politica estera americana, disse che era stato “demolito”, senza indicare da chi, come e in base a quali argomenti. Uno di questi personaggi, anzi il principale, Alan Dershowitz, è poi venuto in Italia per continuare l’opera di demolizione. Le sue argomentazioni, ad uso edificatorio interno, erano esilaranti e ce ne siamo occupati altrove: il testo da me scritto a caldo è ancora da rivedere e lo farò quando ne avrò il tempo. Ma comunque è chiara la tecnica: quando esce un buon libro, come quello di Sand o di Pappe, dicono che “storici seri” lo avrebbero già “demolito”: basta crederci! Che poi ognuno sia capace di proprio ed autonomo giudizio, leggendo direttamente il libro, non è da costoro minimamente considerato: chi sei tu che pretendi di giudicare con la tua testa!

Quanto poi alla nozione di “popolo eletto”, vero mistero della Fede, bisognerebbe spiegarlo a tutti i popoli, veri e concreti, presso i quali i “cittadini di religione ebraica” hanno convissuto con alterne vicende durante i secoli. È difficile che capiscano questo mistero di fede, se non lo si impone con la forza, o non si convertano loro stessi – come i Kazari – ad una simile religione, diventando così essi stessi degli “eletti”. Ma qui non vi è proprio nulla da capire: vi è solo da “credere”, salvo a non offendersi, indignarsi e reagire di conseguenza.

Insomma, il semiologo non ci sembra abbia alcuna intelligenza del libro di Sand, se mai è andato oltre la lettura della quarta di copertina o la scheda riassuntiva che ne ha fatto Paolo Mieli. Si limita a rilevare le conseguenze per lui indesiderabili del libro. È una tecnica, altamente scientifica, che viene abitualmente seguita dai propagandisti: la tesi è utile o non utile a Israele? Se non porta acqua al proprio mulino, allora è da respingere con ogni mezzo, lecito o illecito. È infine da osservare: ma se il semiologo è così fermamente convinto di appartenere ad un “altro” popolo, per giunta “eletto”, perché mai si ostina a stare presso di noi, poveri e derelitti “goym”?

* * *

Segnalo una discussione del libro in “Stampa Libera”. Per ragioni di opportunità, adotto la decisione di non intervenire nei forum di discussione, come non intervengo e neppure leggo più “escaton”, dove vengo chiamato in causa. È mio interesse di osservatore seguire la recezione italiana del libro. Non è mio il ruolo del promotore. In questa mia scheda annoterò di volta in volta ciò che mi parrà più interessante. Vi è chi cerca deliberatamente la polemica, che però io non ritengo sempre produttiva. Altra cosa è il confronto critico, quando ve ne siano i presupposti. Ritengo comunque che il libro di Sand, se non sarà silenziato – il che mi sembra difficile – conserverà i suoi effetti nel medio lungo periodo, dopo aver demolito parecchio lavoro fatto dallo propaganda israeliana. Agli argomenti solidi e seri del libro non possono opporsi se non altri argomenti solidi e seri: al momento non ne vedo!

***

Abbiamo detto esser scopo di questa pagina il monitoraggio della recezione italiana del libro di Sand. Ebbene, senza fare il nome e cercando di evitare una facile polemica, è da dire che la propaganda sionista sembra proprio a corto di argomenti, se per trovare il “popolo” ebraico deve risalire alla Torah, un testo di oltre duemila anni fa, che al massimo poteva riguardare un bacino di utenza proprio di quell’epoca. Inoltre, tutti quegli ebrei che hanno considerato se stessi per la loro appartenenza religiosa non avevano e non hanno nessun bisogno di essere e sentirsi un “popolo” nell’accezione sionista. Nel libro di Sand si parla appunto del processo storico che dall’epoca della Kazaria ha visto formarsi un agglomerato religioso, vissuto in prevalenza nell’Europa orientale. Non esistono i paesi della “dispersione”, come in modo colorito si esprime il linguaggio sionista. Esiste certamente un movimento coloniale di rapina e conquista che doveva reclutare adepti, attingendo quanto più possibile nell’area dell’ebraismo laico, che non riusciva a sentire più il richiamo religioso appunto della Torah, assai malamente invocata. Insomma, se mai l’articolista del Moked e di IC ha letto il libro di Sand, non si direbbe proprio che ci abbia capito qualcosa. Pretendere infine una continuità storica ininterrotta fra un popolo forse vissuto tremila anni fa e l’attuale popolazione sionista di Israele significa mancare del tutto di senso e cultura storica.

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Questa scheda, che non aggiorno da qualche tempo, è nata espressamente per seguire la recezione italiana del libro di Shomo Sand. Avendo letto e riletto il libro, sono quanto mai interessato alle critiche serie che se ne possano fare. Non ne ho finora trovate. A voce ho sentito da qualche amico osservazioni sugli aspetti genetici della discendenza ebraica. anzi della monogenesi: tutti da Adamo, Abramo, Mosé e simili baggianate, che non sono la sostanza del libro. Ho anche letto di analisi taroccate da parte ebraica. E ci credo come non credo alla mitologia archeologica. Continua ad insospettirmi il fatto che il libro sia uscito presso Rizzoli e che a farne una sorta di recensione che non è tale (ma solo una scheda riassuntiva del libro con qualche frecciatina) sia stato Paolo Mieli, l’ultima persona adatta a parlare del libro. Se si considera che l’editore non ha fatto nessuna opera di promozione, paragonabile a quella che pure vi è stata in Italia del libro di Ilan Pappe, si può sospettare che possa essere stata una strategia per silenziare il libro. Ma comunque il libro è disponibile prezzo un grande editore italiano e se finisse esaurito lo si può trovare nelle biblioteche. Chi vuol leggerlo, in italiano, può farlo. E poco possono le contumelie del cartolinaro Volli che non sembra proprio aver letto il libro. E se lo ha letto, non ci ha capito nulla. È vero le menzogne ripetute rischiano di apparire per vere a chi è disinformato. Ma a ripetere menzogne da dieci anni a queste parte sono Lor Signori. Per fortuna, le menzogne possono raccontarsele giusto fra di loro, se pure ci credono. Oltre alla diligente segnalazione, in fase di repertorio, non crediamo di dover aggiungere altro, non volendo scadere in una facile polemica ed attirarci l’ormai becera e spuntata taccia di “antisemitismo”, un gruppo di sillabe ormai del tutto privo di senso.

Quanto poi al “tal” Khalid Amayred è un giornalista che merita di essere ricordato per la grave violazione dei suoi diritti sotto l’Eletto Impero sionista: nel maggio del 2008 era stata aperta una petizione in suo favore, venendo impedito di potersi recare dalla Cisgiordiania, dove risiedeva, in Germania, per fare il suo lavoro di giornalista. Grazie al capillare controllo della nostra informazione – i telegiornali, e Claudio Pagliara, non mi pare ne abbiano allora parlato – solo adesso vengo a conoscenza della sorte che oggi tocca a quanti sono i felici eredi della Diciarazione Balfour, contrattata con i circoli sionisti in un’epoca in cui e il fascismo e il nazismo erano ancora ben lungi dal poter essere invocati come fonte indiretta di legittimazione per l’occupazione coloniale che era già nella mente dei suoi ideatori ancora prima che Hitler nascesse. Ma si sa che la propaganda sistematica può perfino sovvertire la cronologia. E già allora le risorse sionisti prevedevano appositi bilanci (cospicui) per la propaganda e l’attività lobbistica. Il gran pubblico non sa ancora ciò che già il Morning Post diceva “non confessabile”, nel 1920, a fronte della promessa Balfour. Shlomo Sand non è uno storico dell’Ottocento, ma è tuttora vivente, prossimo pensionato e quindi libero da ritorsioni accademiche, ed ha tracciato gli esiti finali di una colonizzazione che iniziava appunto nell’anno 1882 e dove era già implicita la “pulizia etnica”, cioè il “genocidio” – secondo equiparazione ONU, di cui in Pappe –, ma del... popolo palestinese!

Nella “corretta”, quotidiana contumelia, a mezzo posta, si tace del fatto che Shlomo Sand è un ebreo, oltre che un israeliano, come ebrei sono tanti altri che sostengono tesi condivise da molti non ebrei: la “verità”, o più semplicemente la realtà evidente dei fatti e delle cose, non è né ebrea né goym. Basti qui ricordare una lista di nomi che demoliscono i fondamenti ideologici dei sionismo: Jakob Rabkin, Norman G. Finkelstein, Ilan Pappe, Gilad Atzmon, Avraham Burg e tanti tanti altri. Ed è curioso come per poter scrivere e pubblicare i loro libri bisogna essere “ebrei”. Gli editori si rifiutano di pubblicare libri sullo stesso argomento se non sono scritti da ebrei. Ritengono in questo modo di poter scongiurare l’accusa (con valenza penale) di antisemitismo o di razzismo. Quanto poi, per chiudere, alla critica di “incompetenza” è un semplice insulto, piuttosto incostistente, con cui malamente si nasconde la propria mancanza di argomenti. Alle idiozie si ha poco da rispondere. La migliore risposta ad una propaganda forsennata, fatta di diffamazioni e delazioni, è lo studio e la lettura di libri come quello di Shlomo Sand, oltre a rifuggire quella polemica che è cercata per poi rilanciare la solita solfa dell’antisemitismo e bla bla bla.

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Addì 7 aprile 2011 l’occasione per un aggiornamento di questa scheda mi è stata data dall’ultimo commento che ho approvato senza tuttavia capire molto a cosa esattamente il suo autore si riferisse esattamente. Ho quindi dato una scorsa ai motori di ricerca per vedere se sul tema era nel frattempo uscito qualcosa. Ho trovato del 2 marzo scorso un’intervista di Shlomo Sand, edita in italiano. Ne sto leggendo il testo per ricavarne qualche eventuale osservazione. Oggi mi sento di buon umore e voglio fare una chiosa a quanto Shloma Sand dice in questo brano:
Negli anni Novanta del secolo scorso, diversi archeologi israeliani hanno però cominciato a dimostrare che molte delle vicende raccontate nella Bibbia non sono che leggende: per esempio, non esiste alcuna prova che l’esodo dall’Egitto sia realmente avvenuto, né che sia esistito il regno di Davide e Salomone.
Lasciamo perdere Davide e Salomone. Invece, sull’«esodo» riferisco un fatto reale, raccontatomi da un mio amico e risalente ad qualche decina di anni addietro. Il mio amico partecipava come relatore ad un convegno in Parigi, alla Sorbona. La sua tesi era appunto che l’Esodo ed i quaranta anni di permanenza nel deserto non fossero in realtà mai esistiti e che si trattava di pura invenzione o leggenda. Come argomentava? Se ricordo bene, come egli mi riferii, sosteneva che ogni essere umano da sempre ha una fisiologia imprescindibile: deve mangiare e bere, e quindi di conseguenza espellere liquidi i solidi: ogni giorno per tutta l’arco della vita. Quindi faceva i conti del numero di persone che per quaranta anni avrebbe vagato nel deserto biblico. E si chiedeva: non avrebbero dovuto esistere le tracce organiche di questa loro permanenza? Era presente nella sala un rabbino che subito diede in escandescenze, dicendo che certe affermazioni non potevano farsi senza prove scientifiche. Ossia lui ragionava, partendo dalla indiscutibile realtà del racconto biblico e della necessità di fornire prove del fatto che esso non fosse mai avvenuto. La verità era presunta e non doveva essere dimostrata. Ciò che invece doveva essere dimostrato era il suo contrario. È un modo di ragionare ancora in auge addirittura per eventi della seconda guerra mondiale. Il mio amico, però, non si scompose. Le prove? Certo! Eccole! Ed esibii le analisi del carotaggio del terreno del deserto fatto proprio in Tel Aviv presso centro specializzati. Era certificato che i campioni, le “carote”, non conteneva nessuna traccia di escrementi umani o di urina. Il mio amico mi spiego che queste tracce resistono nell’arco dei millenni, se mai vi fossero state. La scena suscitò l’ilarità generale ed ancora con il mio amico ne ridiamo, quando egli me la racconta. Alla prossima occasione gli chiederò maggiori dettagli per poterli qui trascrivere.

Un’altro episodio collegato a questo ed espressione dello stesso archeologismo (e si parla con orrore perfino di un “negazionismo archelogico”) è quanto lessi mesi addietro, ma senza annotare. Avevano portato a Netanyahu un reperto archeologico, appena scoperto, una tavoletta, dove era appunto inciso in nome “Netanyahu”. E lui subito, a dire ai giornalisti: ecco, vedete, un mio antenato! Senonché a leggere le annate dell’Osservatore Romano degli anni venti e trenta si apprende di un curioso fenomeno. Tutti o quasi i nuovi immigrati ebrei All’Ufficio anagrafe. En passant, si trattà di un flusso immigratorio che passa da poche decine nel 1882 ad una vera e propria, di nome e di fatto, invasione di massa negli anni del mandato britannico ed a partire dal 1948, quando in una botta sola il 50 per cento della popolazione palestinese autoctone fi espulsa dalle case e dai villaggi: vera e propria pulizia etnica, come ha ben documento il collega di Sand, lo storico Ilan pappe, costretto ad emigrare in Inghilterra. Cosa andavano a fare all’anagrafe? A cambiarsi il cognome con il quale erano immigrati ed assumerne uno di valenza biblica! Sembra che neppure Netanyahu abbia fatto eccezione e non ricordo il suo cognome originario. Ma se la memoria mi dovesse ingannare aggiungo che qui intendo solo riferire il fenomeno diffuso e documentato del cambio di cognome in epoca di occupazione coloniale. Chiusa la digressione.

Interessante, nell’Intervista, l’affermazione di Sand secondo cui i cristiani e i protestanti sarebbero i veri inventori del popolo ebraico. Cosa perfettamente plausibile. Come il cristianesimo avrebbe potuto svolgere le sue narrazioni senza risalire agli ebrei, al “popolo deicida”? Anche se oggi, mutati i rapporti di forza politici e geopolitici, la Chiesa tende ad addolcire ed ammorbire la sua fondazione teologica, sarà arduo convincere i fedeli, perlomeno quelli cattolici, che Gesù Cristo sia morto sulla croce di… raffreddore e polmonite, giacché lo vediamo sempre rappresentato praticamente nudo. E mi dicono che da quelle parti, di notte, il freddo si sente! Dunque, nel suo processo di “superamento” dell’ebraismo il cristianesimo non poteva abbandonare la sua “base” ebraica. Questo spiegherebbe anche, forse, perché mai perfino nella stessa Roma gli “ebrei” non siano mai scomparsi. Non vi era scampo per streghe e per eretici di ogni genere, ma gli “ebrei” continuavano a prosperare più o meno indisturbati.

martedì 5 ottobre 2010

Libertà di pensiero a senso unico: quella che Wilders reclama e quella che i suoi fan negano ad altri: contraddizione palese in una stessa pagina.


Non mi attrae il tema Wilders e non credo meriti molta attenzione. E così pure una serie di movimenti politici che in Europa appaiono qua e là: non sono uno storico dei partiti e dei movimenti politici, né di quelli del passato né di quelli in gestazione. Tuttavia, quanto sta succedendo in Olanda, dove Wilders è sotto processo per islamofobia e odio razziale, mi offre lo spunto per un commento che vuole essere breve, salvo che poi la tastiera non vada avanti da sola. Intanto, credo che anche per l’Olanda sia eguale la genesi della legislazione sull’istigazione all’odio razziale, e simili. Naturalmente, non ritengo qui di dover spendere parole per dire quanto sia insensato e piuttosto difficile da definire l’«odio razziale». Non credo neppure che l’«odio» sia un fenomeno sociale effettivamente esistente: può essere solo una passione, una malattia dell’animo, individuale, di breve durata. I concreti fenomeni ad esso associato devono essere spiegati con ben diverse categorie sociologiche. Credo però che la sua architettura giuridico-penale sia opera della Lobby che non esiste, la quale pensava inizialmente di poterla applicare come un’arma contro i suoi critici, avversari, oppositori, nemici. Si dovrebbe qui fare una cronologia di tutte le legislazione europee sull’«odio», studiare i lavori parlamentari, la sociologia politica dei soggetti e delle forze che si trovano dietro la produzione di siffatte leggi. Qualcosa però deve essere andato storto rispetto ai piani e alla progettazione della Lobby. Pur essendo in via di estinzione tutto l’edificio secolare dello stato di diritto, permangono tuttavia alcuni criteri tecnici: la legge – spiegano i manuali di diritto – deve essere astratta e generale. Altrimenti non è legge, ma qualcosa d’altro: un provvedimento amministrativo, una misura di polizia e simili. Ebbene, Lor Signori non potevano far scrivere: vogliamo una legge per discriminare e perseguitare chi vogliamo noi, magari indicandoli per nome, o meglio una “lettre de cachet” da poter usare noi quando e contro chi vogliamo.

Le galere tedesche ed europee brulicano di cittadini europei, la cui unica colpa è quella di non essere graditi alla Lobby che non esiste. I media ben si guardano dal darci le statistiche. Io ho dato la cifra dei 200.000 casi di persone penalmente perseguite nella sola Germania per meri reati di opinione, ma non trovo un’inchiesta giornalistica su questo diffuso fenomeno né se ne ha la consapevolezza. Ricordo un nostro telegiornale come tempo addietro avesse riportato con una certa aria sguaiata e divertita la notizia che al vescono Williamson fosse stata comminata in Germania la multa di 12.000 euro. Neppure lontanamente il mezzobusto di regime si poneva il quesito se si potesse infliggere una sanzione ad una persona non per aver stuprato magari lo stesso mezzobusto, ma per un semplice opinione, poco importa quanto fondata. In Francia, in Austria, in Svizzera, in altri paesi vi è una moltitudine di casi, su cui regna regna il silenzio: abbiamo i nostri desaparacidos. Ma torniamo a Wilders ed ai suoi deliranti discorsi, che per quel mi riguarda possono restare confinati al festival del delirio con i suoi appassionati. L’Europa conosce in questi ultimi decennio una crescente presenza islamica o musulmana. Il mio ottimo barbiere è un egiziano. Mi è simpatico e non vi è conflittualità di sorta.

Con ciò che da sempre Israele fa agli islamici, agli arabi, verso i quali esiste un autentico razzismo israeliano, diventa chiaro che la Lobby non può fare in Europa agli arabi, islamici, musulmani o come li si voglia chiamare quello che in Palestina fa ai palestinesi, ovvero come loro li chiamano “arabi”, giacchè nel loro razzismo negano il concetto e l’esistenza di un “popolo palestinese”: nel loro lessico si evita la parola “palesitinese”, sostituita da “arabo”. Mentre una siffatta Lobby può chiedere a non pochi politici, loro “amici”, di adottare una politica antislamica, non può però chiedere agli stessi islamici (salvo qualche “collaborazionista”) un atteggiamento islamofobo e antipalestinese. Ecco, dunque, che per quel carattere generale e astratto che la legge tecnicamente deve avere, la trappola che era stata approntata per i propri oppositori in Europa si ritorce qualche rara volta contro loro stessi. A farne le spese è stata in passato la defunta Oriana Fallaci, una santa dell’islamofobia. Wilders, beniamimo dei sionisti nostrani, è ora caduto nelle stessa trappola, nella stessa tagliola, accuratamente e lungamente preparata per gli altri.

Ma il colmo della vicenda lo si tocca nelle motivazioni che Wilders, ed i suoi fan, adottano per la difesa davanti al giudice olandese: la libertà di pensiero! Una libertà di pensiero che è invece tenacemente negata a chi minimante si discosta dal placet ebraico/sionista: in ultimo, per chi la sa leggere e la vuole leggere, è quanto mai istruttivo il discorso senatoriale di Ciarrapico, il quale solo per aver usato del tutto marginalmente il termine “kippah”, che molti italiani non sanno neppure cosa significhi, si è visto chiedere l’espulsione dal senato e dal PdL. Costoro teorizzano che le “opinioni” non gradite o approvate dalla Lobby non debbano considerarsi una normale manifestazione di “pensiero”, ma sono vere e propri “crimini” e quindi come tali da perseguire. L’indecenza, la disonestà, la prepotenza raramente raggiungono simili livelli. Noi qui li registriamo, svolgendo il compito che ci siamo assunti di vigilare nei limiti del possibile in tutti i casi in cui viene violato il diritto fondamentale della libertà di pensiero, qui invocato da questo pittoresco personaggio perché gli risulta comodo, ma altrove pesantemente negato e conculcato.

sabato 2 ottobre 2010

Le rondini di ottobre ovvero i falsi stormi dell’informazione


Come pare avvenisse in Cina, la carta stampata suscitava in me una certa soggezione. E carta stampata nella nostra vita quotidiana sono principalmente i giornali, che vivono non tanto di lettori e per i lettori quanto di pubblicità commerciale ed al servizio di potenti, cui può tornare utile un megafono con cui rompere i timpani della gente e inquinare la libera formazione del pensiero altrui. Più mi diventa chiara la funzione di gran parte o di tutti i media, che dico la loro natura intrinseca, e più diminuisce la soggezione ed il rispetto che ne provo. Intendiamoci: non sto affatto dicendo che conoscenza e informazione non siano un bene primario e necessario. Sto dicendo che se mai i media ne sono la negazione. L’ipocrisia di non pochi direttori di giornali in questi giorni posso toccarla con mano. Si smentiscono nell’arco delle 24 ore. Dicono una cosa, come l’altra sera nella trasmissione di Santoro, e poi subito ne fanno un’altra. Esilaranti sono le loro litanie sulla libertà di pensiero. Ed è inutile rinfacciarle loro, scrivendo la classica lettera al direttore che ne legittima la funzione e finisce nel cestino se non peggio. Costoro intendono rigorosamente e tassativamente che la libertà di pensiero e di espressione di cui parlano è esclusivamente la loro. E per questo ricevono perfino finanziamenti pubblici e addirittura la scorta a spese del contribuente, quando con quel che guadagnano potrebbero benissimo pagarsi delle guardie del corpo, se proprio ne hanno bisogno.

Hanno perfino teorizzato che un’opinione altrui dissenziente non è “pensiero” (ex art. 21 cost. nonché dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) ma un “crimine” e come tale penalmente perseguibile o comunque da additare pubblicamente in quanto disvalore assoluto. E quindi: corali appelli a “cacciare”, “licenziare”, “espellere”... chi la pensa diversamente da loro. Ho dato la stima di 200.000 persone penalmente perseguite nella sola Germania per reati di opinione, ma la cosa passa sotto silenzio. Su ciò vige la consegna del segreto. I nostri regimi occidentali, strenui propagandisti dei diritti umani, non vogliono far sapere quante persone riempiono le nostre carceri, esercitando loro quella repressione della libertà di pensiero e di informazione che quotidianamente imputano ad un Ahmadinejad o alla Cina: tanto lontano va il loro sguardo da non riuscire a guardare più vicino in casa propria. Sembra incredibile, ma abbiamo quotidiani che titolano inneggiando all’omicidio di pacifisti o si rammaricano del fallito attentato ad un capo di stato. Mentre sistematicamente e ordinariamente diffamano dalle loro colonne di carta, apprendo anche che godono in parecchi di una scorta a spese del contribuente. Immaginate di avere il diritto di diffamare quotidianamente chi vi pare, persone spesso non in grado di difendersi o senza padrino, e di poter fruire perfino di una scorta di bravi per continuare ad offendere, ovvero a svolgere servizio pubblico di infangamento del prossimo. Mi tengo qui volutamente sulle generali per esprimere un giudizio negativo sulla stampa e sui media in generale. Mi auguro che internet, se lasciata libera, possa costituire una valida alternativa alla comunicazione verticale (da uno a molti senza che nessuno dei molti possa reagire a notizie spesso false e distorte) e liberare la capacità che ognuno di noi ha di poter pensare liberamente e criticamente. È questo l’unico antitodo contro la menzogna: la capacità di pensare con la propria testa, badando che sia davvero la testa propria ed al riparo da tecniche subliminali di condizionamento. Rinvio qui ad una interessante lettura, pertinente, fatta proprio ieri, da cui ho pure tratto spunto per questa mia riflessione che è venuta crescendo mentre scrivo in tempo reale. Un scuola ed una università che fossero al riparo dalla Gelmini o da antichi scolari, divenuti legislatori della memoria altrui, dovrebbe essere impostata non in funzione dell’indottrinamento di regime di turno, ma come addestramento alla capacità critica di acquisire informazione e di pensare autonomamente. Il potere non vuole questo genere di scuola e di università.

Ho notato come negli ultimi giorni le prime pagine dei giornali siano passate rapidamente da un tema all’altro e mi è venuta da pensare agli stormi di rondini che tutte insieme di primavera volano improvvisamente da un punto all’altro. Si è così passati in pochissimo tempo dai “porci” di Bossi alle kippah di Ciarrapico e adesso al misterioso attentatore di Belpietro. Sia che questi passaggi avvengano spontaneamente sia che vengano provocati ad arte denotano in entrambi i casi la vacuità del genere di informazione, atta più a suscitare emotività e sull’onda di questa a ispirare non di rado giri di vite sulle nostre libertà che non a farci crescere in conoscenza e matura capacità di decisione. È questa la nostra unica difesa: l’antica capacità di pensare, oggi più che mai insidiata in un apparente eccesso di istruzione e di notizie. E si badi bene: al fondo dell’arduo sentiero della conoscenza non ci attende un verde pascolo di serenità, ma un autentico inferno da cui si deve saper uscire.