lunedì 22 novembre 2010

Carlo Mattogno: «Pierre Vidal-Naquet e “Gli Assassini della Memoria”».

Testo in editing:
vers. 1.1 del 22.11.10

Solo qui qualche parola di una mia Prefazione dal testo provvisorio, per non frapporre altro indugio ad un nuovo testo di Carlo Mattogno, dove è ripresa aggiornata una critica allo storico francese Pierre Vidal-Naquet, autore di un libello dal titolo “Assassini della Memoria”, utilizzato alcuni anni fa in una delle consuete campagne per tentare di introdurre anche in Italia la legislazione liberticida già esistente in Germania, in Francia e il altri paesi. Se non è chiaro come si possa “assassinare” “la” Memoria e chi sia l’autore di un simile reato e quale la vittima, è invece ben chiaro cosa significhino 200.000 persone penalmente perseguite nella sola Germania dal 1994 ad oggi e quali immensi interessi economici e geopolitici vi siano dietro. Sono dati per i quali desidero una smentita, essendo il risultato di una mia stima complessiva basata su dati parziali. Mi mancano invece del tutto i dati per la Francia, dove è in corso una Petizione per l’abolizione della legge Gayssot. L’unico assassinio che qui mi sembra certo è quella della libertà di pensiero, di espressione, di ricerca. Come filosofo del diritto non ho competenza specifica per entrare nel merito delle questioni storiografiche trattate dagli storici che si occupano della spinosa materia dei campi di concentramento, ma ho certamente titolo e come filosofo e come cittadino per affermare il principio della libertà di pensiero come fondamento di ogni sapere e di ogni autentica democrazia, dove non solo la libertà di pensiero deve essere garantiti a tutti, incominciando dai più deboli, ma insieme alla libertà di pensiero anche il rispetto delle opinioni di ognuno in campo scientifico, filosofico, storico, letterario, artistico, siano esse condivisibili o meno. Diremmo anzi che maggiore debba essere il rispetto quanto minore possa essere la condivisibilità. Nel procedere all’editing del testo di Mattogno, che ci richiede un tempo tecnico diverso dal mero copia e incolla, ci riserviamo – come abbiamo detto – di ritornare su questa Prefazione e di rinviare ad altro distinto post le nostre considerazioni, di carattere filosofico, sul libro di Pierre Vidal-Naquet e sulla sua recezione italiana.

Antonio Caracciolo





CARLO MATTOGNO

PIERRE VIDAL-NAQUET E “GLI ASSASSINI DELLA MEMORIA

Sommario: Presentazione. – 1. Il «professionista della verità». – 2. Chi sono i revisionisti. –

Sommario1 Lettura orizzontale

Presentazione

Pierre Vidal-Naquet (1930-2006), prestigioso storico dell’antichità classica sconsideratamente prestato alla storia dell’Olocausto, si può ritenere a buon diritto il creatore del “negazionismo” – questa grottesca parodia del revisionismo storico.

Sebbene si atteggiasse a maestro, egli era in realtà un dilettante della storia contemporanea, una specie di passivo e umbratile replicante di Georges Wellers, dal quale traeva la sua linfa vitale metodologico-argomentativa. Alla morte di questi, avvenuta nel 1991, egli annaspò penosamente come un pesce fuor d’acqua olocaustica e, dopo un insulso saggio datato 1992, i suoi ardori polemici si spensero definitivamente. In campo olocaustico, egli è ricordato esclusivamente per un libro apparso nel 1987: Gli assassini della memoria (Editori Riuniti. Roma, 1993) (1).

E sebbene fosse un dilettante della storia contemporanea, Vidal-Naquet trovò nondimeno – soprattutto in Italia – entusiastici proseliti della porta che, ripetendo all’indefinito il verbo del maestro, fino al saccheggio spudorato (2), screditarono nella cultura ufficiale il revisionismo, accreditando al suo posto il farsesco “negazionismo”.

In considerazione del livello pietoso dell’ “antinegazionismo” nostrano, che non riesce ad andare oltre Vidal-Naquet, non è forse inutile riproporre, con gli opportuni aggiornamenti, questo scritto, già apparso nel 1996 nella mia opera Olocausto: dilettanti allo sbaraglio. Pierre Vidal-Naquet, Georges Wellers, Deborah Lipstadt, Till Bastian, Florent Brayard et alii contro il revisionismo storico (Edizioni di Ar).

Anche perché nel 2005 è apparsa una riedizione del libro di Vidal-Naquet (3) che ha dato nuova baldanza ai suddetti proseliti (4). Di essa mi occuperò alla fine di questo studio.

NOTE

(1) Cito l’opera di Vidal Naquet in questa traduzione indicando soltanto le pagine tra parentesi tonda. L’edizione originale (
Les assassins de la mémoire. La Découverte) è uscita nel 1987. Lo scritto Un Eichmann di carta, che costituisce il primo saggio del libro, era già apparso nell’opera Les Juifs, la mémoire et le présent. PCM/ petite collection Maspero, Parigi, 1981 (trad. it.: Gli Ebrei, la memoria e il presente, Editori Riuniti, Roma, 1985) col titolo Un Eichmann de papier. Anatomie d’un mensonge. Vidal-Naquet scrisse anche un articolo intitolato «Tesi sul revisionismo», pubblicato in italiano nel 1983 (Rivista di storia contemporanea, Fascicolo 1, gennaio 1983, pp. 3-24), in cui anticipava qualcuno dei temi sviluppati successivamente. Si tratta della relazione da lui presentata al Colloque de l’École des Hautes Études en Sciences Sociales che si tenne a Parigi nel 1982 e che fu pubblicato nei relativi atti. L’Allemagne nazie et le génocide juif. Gallimard-Le Seuil, 1985, pp. 496-516. - Torna al testo.
(2) Ho esposto un caso esemplare di questo saccheggio inverecondo nel libro L’ “irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad... Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty, in: http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grande-emozione-con-veltroni-e.html PDF in: http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf. - Torna al testo.
(3) L’edizione italiana è uscita nel 2008 col titolo
Gli assassini della memoria. Saggi sul revisionismo e la Shoah. Viella libreria editrice, Roma. - Torna al testo.
(4) Valga per tutti la seguente dichiarazione di Carlo Ginzburg: «Il documento sul negazionismo più profondo e più drammatico, anche per le sue implicazioni personali, è il saggio di Pierre Vidal-Naquet,
Un Eichmann di carta, contenuto nella raccolta Gli assassini della memoria. I suoi genitori erano stati uccisi ad Auschwitz. Ho immaginato quanto gli fosse costato scrivere questo saggio. Devo dire che leggendolo al principio ho provato una profonda perplessità, che però è scomparsa quasi subito. Quel libro andava scritto, e solo Vidal-Naquet poteva scriverlo. Più efficace Vidal-Naquet di una sentenza».«La verità non è di Stato. Intervista a Carlo Ginzburg di Simonetta Fiori», in: La Repubblica, 21 ottobre 2010. - Torna al testo.

Top Presentazione 1.2

Il «professionista della verità» (5)

Prima di accingersi allo «smantellamento» delle «menzogne» di Faurisson (p. 63) e di tutto il revisionismo, «ad analizzare i loro testi come si fa l’anatomia di un falso» (p. X), Vidal-Naquet previene l’ovvia domanda che si pone qualunque lettore conosca la sua fama di ellenista; egli spiega dunque che, prima di intraprendere l’impresa, ha esitato a lungo: «Storico dell’antichità, che ci facevo in un periodo che non era “il mio”?» (p. 3). Ma questo argomento non lo preoccupava molto:
«Avendo sempre combattuto la superspecializzazione delle corporazioni storiche, avendo sempre lottato per una storia libera da lacci e lacciuoli, avevo l’occasione, per nulla nuova, di mettere in pratica le mie teorie. Per di più l’argomento non è così difficile da precludere ogni rapida indagine informativa» (p. 3). [Corsivo mio].
Parole sacrosante. Se ci si pone sul piano superficiale di una «rapida indagine informativa», qualcosa di simile ad una sbrigativa inchiesta giornalistica, nessun argomento risulta difficile; nella fattispecie, se invece di studiare i documenti nel loro testo originale e integrale e nel loro contesto storico si leggono i libri e gli articoli che ne riportano solo qualche stralcio; se sul valore e sul significato di tali documenti ci si affida ciecamente al giudizio altrui, allora non c’è dubbio, lo studio dell’argomento «non è così difficile». L’accusa di dilettantismo che muovo a Vidal-Naquet è più che giustificata. Nell’impianto delle note del suo libro – redatto con pomposa ostentazione di erudizione pedantesca – non appare un solo riferimento a un documento originale: tutte le conoscenze di Vidal-Naquet derivano dagli scritti e sono filtrate dai giudizi di altri autori, primo fra tutti Georges Wellers, al quale non si poteva certo rimproverare l’ignoranza dei documenti originali (anche se la sua capacità di interpretarli correttamente era oltremodo dubbia) (6); il suo impianto argomentativo è invece tratto in massima parte dall’articolo di Nadine Fresco Les redresseurs de morts (7), uno dei primi saggi contro il revisionismo in cui era già fissato quasi tutto l’arsenale degli argomenti capziosi adottati dai propagandisti successivi, articolo che egli, da buon discepolo, giudica «un’eccellente analisi dei metodi della storia revisionista»! (p. 143, nota 31).

Ma qui sorge un’altra domanda alla quale Vidal-Naquet non fornisce risposta: visto che, contro il revisionismo, si era già pronunciato uno specialista dell’olocausto, Wellers appunto, che necessità c’era della fiera presa di posizione di un dilettante, semplice compilatore di idee altrui?

Sceso in campo, Vidal-Naquet rivendica subito la sua rigorosa dirittura morale in ambito storiografico:
«Sono cresciuto con un’alta, alcuni diranno forse con una megalomaniaca, concezione del lavoro dello storico» (p. 55).
«Che i fatti siano accertati con il massimo di precisione possibile, che lo storico abbia cura di purgare la sua opera di ogni elemento inventato, leggendario, mitico, è il minimo dei requisiti ed è un compito evidentemente senza fine» (p. 102).
In virtù di questi sani princìpi, la sua trattazione del revisionismo sarà svolta sine ira et studio:
«Ma a questa accusa globale non intendo rispondere mettendomi sul piano dell’affettività. Qui non si tratta di sentimenti ma di storia» (p. X).
Ma se poi egli dà molto spazio ai sentimenti, pochissimo alla storia, e si abbandona ad espressioni non propriamente scevre di affettività (8) – ciò non è altro che il prorompere della virtuosa indignazione di colui che sa:
«Noi che, dal 1945, sappiamo, siamo tenuti a dimostrare, a essere eloquenti, a usare le armi della retorica, a entrare nel mondo di quella che i greci chiamavano la peithô, la persuasione, di cui essi avevano fatto una dea che non è la nostra» (p. 21).
Contrapponendosi con la sua possente statura morale a Faurisson, che «non cerca il vero ma il falso» (pp. 67-68), Vidal-Naquet persegue nobilmente il vero e rifugge con orrore dal falso.

Nobili intenti, nobili parole: ma i fatti?

Cominciamo da ciò che lo storico francese dice di me:
«Il revisionismo italiano si è sviluppato in seguito intorno a due personaggi: un discepolo di Rassinier, Cesare Saletta, autore in particolare di un opuscolo intitolato Il caso Rassinier, 1981, e di altri due diretti contro il sottoscritto, L’onestà polemica del signor Vidal-Naquet e In margine ad una recensione, 1985 e 1986; e un fascista dichiarato, Carlo Mattogno, le cui opere principali sono state pubblicate da La Sentinella d’Italia. I due autori sviluppano gli stessi temi; ed è un testo dello scrittore fascista che La Vieille Taupe ha deciso di pubblicare nel n.1 delle Annales d’histoire révisionniste (primavera 1987): Le mythe de l’extermination des Juifs. Introduction historico-bibliographique à l’historiographie révisionniste, pp. 15-107» (p. 158).
«Fascista dichiarato»: dichiarato da chi? Da Vidal-Naquet, ovviamente. Per le persone che conservano ancora un minimo di onestà intellettuale non è difficile subodorare la menzogna: il nostro ellenista, che riempie i suoi scritti olocaustici di riferimenti bibliografici insulsi quanto fastidiosi, che in massima parte non hanno alcuna relazione, neppure lontana, con il revisionismo, per documentare – in modo megalomaniaco, è il caso di dirlo – anche le sue affermazioni più irrilevanti, riguardo a questa grave accusa, formulata essa stessa in nota, tace: nessuna citazione, nessun riferimento che documenti la sua affermazione. Dov’è finito il dovere dello storico «di purgare la sua opera di ogni elemento inventato, leggendario, mitico»?

Nell’edizione del 2008 della sua opera Vidal-Naquet mi onora di qualche altra menzione.

A p. 227 sono semplicemente nominato insieme ad alcuni altri revisionisti; due pagine dopo egli afferma che in Italia «sono all’opera personaggi quali Carlo Mattogno e Cesare Saletta che coprono il campo aperto che sta tra il fascismo e l’ultrasinistra»; infine a p. 232 egli si limita ad affermare:
«Confesso di ignorare la professione di Carlo Mattogno che rappresenta l’Italia in questa piccola, spregevole banda».
A parte queste scarne parole, arroganti e menzognere, dov’è lo «smantellamento» dei miei scritti?

Sulla questione ritornerò successivamente.

Qui è il caso di narrare un piccolo aneddoto. Nel marzo del 1990, quando mi recai in Francia in occasione di un invito da parte di Jean-Claude Pressac, fui per qualche giorno ospite a Parigi di Michel Sergent, che aveva fondato una Association pour la défense de la libre recherche historique, il cui scopo era di conciliare revisionismo e storiografia olocaustica. In questa prospettiva, Sergent volle farmi incontrare con Vidal-Naquet, che conosceva bene essendo stato in gioventù suo compagno di scuola. Non avendo io nulla in contrario, ci recammo nei pressi della sua abitazione e lo scorgemmo a distanza tra la folla. Sergent mi chiese di aspettare in disparte mentre si recava da lui per esporgli la proposta. Appena iniziato il colloquio, Vidal-Naquet si volse verso di me con aria spaventata e corse via. Una reazione decisamente spropositata. Cattiva coscienza? Oppure semplice attuazione del suo principio che bisogna (s)parlare del revisionismo ma non con i revisionisti?

NOTE

(5) Gli assassini della memoria. Saggi sul revisionismo e la Shoah, op. cit., p. 11. - Torna al testo.
(6 Vedi al riguardo
Olocausto: dilettanti allo sbaraglio, op. cit., cap. II, “Georges Wellers”, pp. 91-144. - Torna al testo.
(7) Nadine Fresco, «Les redresseurs de morts. Chambres à gaz: la bonne nouvelle. Comment on révise l'histoire», in: Les Temps Modernes, annata 35, n. 407, giugno 1980, pp. 2150-2211. - Torna al testo.
(8) Vedi sotto, paragrafo 2. Faurisson elenca diligentemente le oltre quaranta espressioni ingiuriose proferite da Vidal-Naquet contro di lui.
Réponse à Pierre-Vidal-Naquet. La Vieille Taupe, Parigi, 1982, pp. 15-16. - Torna al testo.

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Chi sono i revisionisti?

A questa domanda Vidal-Naquet risponde con il linguaggio spassionato del puro ricercatore della verità che non si lascia turbare dall’affettività: i revisionisti sono «una setta minuscola ma tenace» che
«consacra tutti i suoi sforzi e usa ogni mezzo (volantini, storielle, fumetti, studi sedicenti scientifici e critici, riviste specializzate) al fine di distruggere, non la verità, che è indistruttibile, ma la presa di coscienza della verità» (p. IX);
essi sono dei «falsari» (p. 31) in preda a «deliri ideologici» (p. 53), e in loro «la parte dell’antisemitismo, dell’odio patologico per gli ebrei, è enorme» (pp. 20-21). I revisionisti costituiscono una «piccola banda abietta» che si accanisce a negare la realtà delle camere a gas omicide (9) o, come si è visto sopra, una «piccola, spregevole banda».

Con la profondità di pensiero che compete ad uno storico del suo calibro, e con la sua notoria obiettività, Vidal-Naquet schizza lapidariamente le origini della «setta» faurissoniana :
«Un adepto del metodo paranoico ipercritico, per plagiare un’espressione di Dalì, si sforza di dimostrare che le camere a gas hitleriane non sono mai esistite. Il tentativo è assurdo, ma poiché avviene a proposito di altre assurdità, una piccola setta si raccoglie intorno al professore in vena di delirio e di pubblicità. Questa setta raggruppa, come altre, qualche pazzoide, qualche pervertito e qualche flagellante, oltre alla consueta percentuale di creduloni e di imbecilli che fanno capo a organismi del genere» (p. 74).
Si osserverà che di questa «consueta percentuale di creduloni e di imbecilli», secondo la logica di Vidal-Naquet, faceva parte anche la Corte di Appello di Parigi la quale, il 26 aprile 1983, «ha riconosciuto la serietà del lavoro di Faurisson», e lo ha condannato «solo per aver agito dolosamente col riassumere in slogan le sue tesi» (p. 133).

La sentenza di questa Corte smentiva clamorosamente l’intero impianto argomentativo di Vidal-Naquet:
«Considerato che, attenendosi provvisoriamente al problema storico che il sig. Faurisson ha voluto sollevare su questi punti precisi, bisogna constatare che le accuse di leggerezza formulate contro di lui mancano di pertinenza e non sono sufficientemente stabilite; che in effetti il procedimento logico del sig. Faurisson consiste nel tentare di dimostrare, con un’argomentazione [che egli ritiene (10)] di natura scientifica che l’esistenza delle camere a gas, come sono descritte abitualmente dal 1945, cozza contro un’impossibilità assoluta che basterebbe da sola a invalidare tutte le testimonianze esistenti o almeno a renderle sospette; che anche se non spetta alla corte pronunciarsi sulla legittimità di un tale metodo e sul valore degli argomenti esposti dal sig. Faurisson, non è comunque permesso affermare, riguardo alla natura degli studi ai quali si è dedicato, che abbia escluso le testimonianze per leggerezza o negligenza o abbia scelto deliberatamente di ignorarle; che inoltre nessuno allo stato attuale può convincerlo di menzogna quando enumera i molteplici documenti che afferma di aver studiato e le istituzioni presso le quali avrebbe fatto ricerche per più di quattordici anni; che il valore delle conclusioni sostenute dal sig. Faurisson è di competenza soltanto del giudizio degli esperti, degli storici e del pubblico».
A Faurisson veniva imputato soltanto di aver approfittato
«del suo lavoro critico per tentare di giustificare sotto la sua copertura, ma superando largamente il suo oggetto, asserzioni d’ordine generale che non presentano più alcun carattere scientifico e rientrano nella polemica pura»
e di essere
«uscito deliberatamente dal dominio della ricerca storica e [di avere] superato un limite che nulla, nei suoi lavori anteriori, autorizzava»,
riassumendo il suo pensiero in forma di slogan e cercando «di attenuare il carattere criminale della deportazione» (11), che era un’ovvia conseguenza della contestazione delle camere a gas omicide.

Torniamo a Vidal-Naquet. Il revisionismo, per il nostro integerrimo storico, è semplice «impostura» (p. 5); esso porta «alla follia e alla menzogna» (p. 94), è una «perfidia» che consiste «nell’apparire ciò che non è, un tentativo di scrivere e di pensare la storia» (p. 108), anzi, di più, il bieco tentativo «di sostituire l’insopportabile verità con la rassicurante menzogna» (p. 18), o addirittura «un tentativo di sterminio sulla carta che si sostituisce allo sterminio effettivo (12)» (p. 24).

Per questo motivo Faurisson è «un Eichmann di carta» (13) (p. 3, 55, 74); non appena ha potuto esprimersi su Le Monde, si è visto «immediatamente confutato», in modo tanto radicale che Vidal-Naquet ha sentito il bisogno di riconfutarlo; animato da una «delirante passione antisemita» (p. 114), Faurisson «ha al suo centro l’impostura» (p. 54), è «alla ricerca, non come si vorrebbe, della verità, ma del falso» (p. 24), «non cerca il vero ma il falso» (pp. 67-68), è «un falsario» e il suo libro Mèmoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire. La question des chambres à gaz (14) «non è né più né meno menzognero e disonesto dei precedenti» (p. 63).

Per sua sfortuna, Faurisson è incappato in un fiero paladino della verità che ha demolito «i meccanismi delle sue menzogne e dei suoi falsi» (p. 74) e ha operato lo «smantellamento» delle sue «menzogne» (p. 63): Pierre Vidal-Naquet.

Si rileverà che, se uno scrittore revisionista è animato da «una delirante passione antisemita», da «odio patologico per gli ebrei», le sue affermazioni valgono meno di nulla; se invece uno scrittore olocaustico è animato da una delirante passione antirevisionistica e da un odio patologico per i revisionisti, le sue affermazioni sono sacrosanta verità. Nobile esempio di doppia morale.

NOTE

(9) «La piccola banda abietta che si accanisce ancora oggi a negare la realtà del crimine di genocidio prendendosela con ciò che fu, durante la seconda guerra mondiale, il suo strumento privilegiato – la camera a gas – ha scelto bene il suo obiettivo, perché fu effettivamente uno strumento dello sterminio». Pierre Vidal-Naquet, «Les degrés dans le crime», in:
Le Monde, 16 giugno 1987, p. 2. - Torna al testo.
(10) Parole aggiunte a penna nel testo della sentenza. - Torna al testo.
(11) Corte d'Appello di Parigi, 1ª camera, sezione A. Sentenza del 26 aprile 1983, in: R. Faurisson,
Écrits révisionnistes (1974-1998). Edizione privata fuori commercio, 1999, vol. I, pp. 387-388. - Torna al testo.
(12) Affermazione alquanto sciocca; eventualmente avrebbe dovuto imputare ai revisionisti un tentativo di resurrectio mortuorum, di voler far rivivere i morti. - Torna al testo.
(13) Faurisson rispose definendo Vidal-Naquet uno «storico di carta». Réponse à Pierre Vidal-Naquet. La Vieille Taupe, Parigi, 1982, p. 19. - Torna al testo.
(14) La Vieille Taupe, Parigi, 1980. - Torna al testo.






(segue)

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