mercoledì 28 ottobre 2009

Lettera dal Rettore Frati e mia risposta a Gigi Rettore: «Andiamo insieme non ad Auschwitz, ma a Gaza».

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Vers. 1.7 del 2.11.09

Più passano o giorni e più mi diventa chiara la situazione, la sua genesi, la regia occulta, mandanti, esecutori, ispiratori, tecniche, astuzie, e quanto altro. La difficoltà che avverto è quella di descrivere tutto ciò avvalendomi dell’unico strumento mediatico che ho per esprimermi, cioè questo blog e la rete, che non a caso si vuole controllare, si vuole chiudere. Il direttore di Repubblica, da dove il 22 ottobre è partito l’attacco, è persona troppa importante – dice la sua segretaria – perché chiunque lo possa chiamare al telefono e lui doversi degnare di rispondere. Delle tre lettere di smentita all’articolo di Pasqua nulla ho saputo in merito alla pubblicazione che dovrebbe essere obbligatorio. Avrebbe avuto senso una smentita se fosse avvenuta immediatamente il giorno dopo. Più passa il tempo, meno ha senso l’avvenuta pubblicazione. Si voleva fare un colpo. Qualcuno mi ha risposto, non importa se abbia o non abbia detto una “sciocchezza”, che la prassi seguita da Repubblica per le lettere consiste nel girare la smentita allo stesso giornalista che si vuole smentire, il quale decide se pubblicare o meno la lettera. Chiunque può capire con quale garanzia per diffamati e malcapitati. Nessuno può rimproverarmi in questo blog di non aver avuto diritto di replica su ciò che poteva personalmente riguardarlo, trollismo a parte.

È davvero una difficoltà notevole per me rispondere ad una potenza di fuoco esorbitante tutta su di me concentrata. Si noti che in senso non metaforico la voce del Signor Pacifici chiedeva la mia testa mentre era fisicamente in Gerusalemme, cioè nello stato di Israele. Questo signore che dovrebbe essere un privato cittadino si rivolge alle massime cariche dello stato italiano dando loro del tu e dicendo cosa devono fare o non devono fare. Chiedono la testa di docenti, presi di mira e di cui poco ci si preoccupa di sapere cosa effettivamente abbiano detto. Se vogliono replicare, non ne hanno il diritto. È sufficiente che si sappia che non hanno fede sionista, che non sono incondizionatamente fedeli allo stato di Israele e siano riluttanti, anzi espressamenti contraria a quella identità da costruire tutta su Auschwitz, come si descrive nelle pagine finali del limpido Manuale di oltre 1000 pagine di Tony Judt, Dopoguerra. Come è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi. Mentre facevano riprese negli scaffali della mia biblioteca alla ricerca di testi “negazionisti” (senza trovarne) non hanno segnato questo volume ben visibile su un tavolino.

Tante le cose che mi passano per la mente, tante le cose da dire. È un romanzo come quelle di Augias, di cui mi dicono sia sceso in campo per imbavagliare la rete, cioè la possibilità che ho io adesso di scrivere, avendo qualche lettore disposto a leggermi. Ho sperimentato che a Repubblica non ne vogliono neppure sapere di pubblicare le mie repliche all’infame campagna di linciaggio da loro programmata e concertata sulla mia testa, che evidentemente non deve essere libera di pensare se non dopo autorizzazione rettorale e ministeriale... Riprendo su un concetto che intendevo sviluppare: l’identità europea costruita su Auschwitz. Mi oppongo decisamente. Ma osservo che un autore come Avraham Burg dal canto suo , in quanto ebreo, respinge questa identità che considera patologica. Noi siamo arrivati all’assurdo nel quale in Francia si pretendeva di far adottare a 60 anni di distanza ad ogni bambino francese un bambino ebreo, morto in Auschwitz.

E veniamo ad Auschwitz che tanto infiamma i cuori e le menti in molti che guardano al passato, un passato sempre più remoto e sottratto al vaglio storico-critico, mentre ignorano il presente che ci è sotto gli occhi. Auschwitz, dunque. Ho fatto un giro per la rete dove ormai il mio nome circola così tanto che mi è impossibile visitare tutte le pagine, abbastanza ripetitive secondo lo stesso cliché: il professore negazionista che non ha mai visitato Auschwitz. Smentire una visione comoda e demonizzante della mia persona sarebbe un gratuito difendersi. Ma perché ci si deve difendere da colpe fantastiche che ti vogliono attribuire a tutti i costi? Caro Gigi, perché non andiamo insieme in folta delegazione, sul bilancio dell’università, a quella marcia della pace che ogni anno si teneva ad Assisi e quest’anno invece a Gaza. Ti dice niente questo nome: Gaza? Ti ricordo che nello scorso gennaio negasti l’aula per un seminario nella nostra università sulla guerra israelo-palestinese che nella sua operazione “Piombo Fuso” si concluse il 18 gennaio. Successivamente il “rapporto Goldstone” accertò che da parte di Israele vi sono stati “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Infine, il Consiglio ginevrino sui diritti umani ha approvato a maggioranza assoluta questo rapporto. Hanno votato contro deplorevolmente pochi paesi, fra cui l’Italia. È da chiedersi perché. Di questo rapporto ho pubblicato il testo integrale in inglese. Ne ho iniziato la traduzione e il commento.

Fermo restando la parte di lettera formale che ho già redatto, dove ribadisco la totale estraneità dei temi addebitati come oggetto delle mie lezioni, stante la mia incompetenza in una siffatta materia storica nonchè la totale ignoranza degli archivi e delle fonti e la mia mancanza di interesse per la materia, non intendo tuttavia eludere una mia esternazione sui temi che da soggetti politici esterni ti sono stati imposti, ritengo con grave sacrificio delle prerogative universitarie. Devo però rifarmi a miei studi precedenti dove mi sono occupato di un filosofo mio conterraneo, Francesco Antonio Grimaldi, che negli 1779-80 pubblicò a Napoli in tre volumi le sue Riflessioni sopra l’ineguaglianza fra gli uomini. Anche qui, se dovessimo giudicare solo dal titolo senza leggere il libro ed il contesto in cui il libro è sorto, così come si è voluto fraintendere in malafede il titolo di alcuni miei vecchi post, se ne dovrebbe concludere che il filosofo calabrese sia stato un teorico del razzismo ed un anticipatore di Gobinau. Ed invece non è così! È stato semmai un anticipatore della teoria della differenza, che non è né ineguaglianza né discriminazione razziale o di altro genere. La realtà apparente del titolo è totalmente diversa dal. contenuto dei tre tomi. Non posso riassumere in poche parole le 800 pagine dell’opera, ma l’autore dichiara espressamente con grande senso di umanità che se fosse dipeso da lui abolire tutte le ingiustizie che urtano con il nostro senso morale lui lo avrebbe fatto. Tuttavia, con grande rincrescimento egli deve constatare che l’ineguaglianza risorge continuamente. Ho parlato finora degli articoli 21 e 33 della nostra costituzione, ma consideravo implicito il nome fondamentale articolo 3 che dice essere di voler rimuovere ogni ostacolo, ogni discriminazione. Non ho mai negato che nel corso della storia del Novecento, ma anche ai giorni nostri, vi siano stati e vi siano forme gravi e gravissime di discriminazione. Chi durante la seconda guerra mondiale finì nei campi di concentramento era chiaramente oggetto di una discriminazione. Sulla discriminazione, di ieri e di oggi, la condanna morale è generale e che io sappia non vi è controversia storica per il passato. Da un punto di vista morale ed etico non ho mai avuti dubbi sulla inconciliabiltà di ogni forma di discriminazione con l’idea stessa della democrazia.

Se mi si chiede se io abbia mai plaudito a qualsiasi forma di genocidio, pulizia etnica, discriminazione o se io stesso addirittura abbia commesso genocidi, pulizie etniche o attuato forme di discriminazione in contrasto con l’art. 3 della costituzione italiana o in contrasto con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è cosa assolutamente assurda solo il pensarlo. Trovo offensivo che mi venga rivolta una simile domanda. Tuttavia, altro è il proprio sentimento morale di condanna e di repulsione per ogni forma di violenza e discriminazione, altro è il lavoro dello studioso che deve indagare i fatti, ove egli sia uno storico, ovvero indagarne le matrici ideologiche, ove sia un filosofo. In questi casi, per poter accertare la verità o le verità, gli storici e i filosofi nel rispettivo ambito devo avere la garanzia della piena libertà per poter operare. A mio modo di vedere, in nessun campo esistono verità acquisite che non abbiano bisogno di continue verifiche. Ed anche la trasmissione delle conoscenze da una generazione all’altra non può avvenire per mera trasmissione dogmatica o peggio ancora una verità storica venir trasformata in una nuova religione verso la quale si pretende una fede cieca e assoluta. Si esce in tal caso dal campo della storia e della filosofia.

Uno dei libri presenti nella mia biblioteca, scrutata dalla telecamera della tv di stato alla ricerca di corpi di reato, ha per titolo Il Novecento come secolo di genocidi. Non uno ve ne sarebbero stati, ma molti. La nozione di “genocidio” è stata elaborata in epoca relativamente recente e non sempre i governi accettano che gli studiosi qualifichino come “genocidio” epoche o momenti nella storia di un determinato paese. Purtroppo la storia, che è si basa su documenti, non può mai prescindere dall’interpretazione che il singolo storico dà di volta in volta. Non è sempre facile portare alla luce eventi passati o perfino conoscere eventi a noi contemporanei che i governi hanno interesse a tenere celati. Ma l’imposizione per legge di una qualsiasi verità storica, non più lasciata al libero convincento di chi ne va alla ricerca, getta necessariamente su di essa un’aura di sospetto e non credibilità per il solo fatto di essere imposta e sanzionata penalmente, come ahime succede in taluni paesi e come si chieda avvenga anche in Italia. In tali casi per poter ristabilire la verità nella sua forma autentica e incontaminata è necessario ripristinare condizioni di libertà di pensiero e di ricerca dove non esistano più. Ciò che vado dicendo e che mi ha procurato qualche problema è che non l’Italia si deve adeguare alla Germania, ma la Germania all’Italia fintantoché esistono da noi condizioni di maggiore libertà.

Tornando a “Repubblica” e ai media in genere ho maturato ormai una solida convinzione, ed è forse il vero motivo per il quale non vogliono pubblicare la mia replica. Dicevo infatti che esiste una contrapposizione fra libertà di stampa e libertà di pensiero. Lo avevamo già detto a proposito della guerra di Gaza. In questa occasione la stampa, nel sua quasi totalità, è divenuta essa stessa parte della guerra. Niente a che fare con un’onesta informazione. Quella stampa che era complice durante il massacro di Gaza è la stessa stampa che mi ha fatto il servizio. Poco mi risolve la pubblicazione della mia replica in Repubblica ad oltre una settimana dal fatto. Più importante per me avere scritto tempestivamente la replica, la smentita, la totale sconfessione di Pasqua, e poterla allegare ai miei atti. Sarà un documento perpetuo che potrà esibire riguardo a giornali come Repubblica, che nulla hanno a che fare con l’informazione e molto con la disinformazione, la diffamazione, il killeraggio. Mi auguro che la previsione sul declino della carta stampa come forma di comunicazione verticale (da uno a molti che non possono replicare) si attui il più presto possibile. Comprare del resto qualche etto di carta stampata che non si può neppure leggere è gravoso per la tasca (un euro) e controproducente come acquisizione di informazioni false e manipolate: non dobbiamo comprare i quotidiani. O meglio: salvo giustificato motivo, ma non pensando che siano la Verità per antonomasia e sempre riuscendo a comprendere la specificità della loro natura.

(segue: testo in elaborazione che richiede pause di riposo e di revisione di quanto già scritto e per quanto ancora da scrivere. Devo ancora svolgere delle riflessioni importanti sul tema di questo post. Non ne ho però ora nè il tempo nè la voglia. Prego i miei abituali lettori di restare in attesa.)

giovedì 22 ottobre 2009

Mi dicono che sono in prima pagina su “Repubblica”... Come un mostro?

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Vers. 2.4 del 2.11.09

Stavo ancora dormendo ed il telefono continuava a squillare. Ho avuto paura. Temevo per una mia anziana zia, l’unica sorella di mio padre rimasta ancora in vita. Era invece un amico che mi avvisava di aver sentito da una rassegna stampa che sarei finito in prima pagina su Repubblica e forse anche altrove. Io non ne so ancora nulla e non muterò le mie abitudini: non compro giornali all’edicola. Aspettavo ieri per la verità una telefonata da parte di un giornalista di Repubblica che però non vi è stata. Aveva trovato il mio cellulare su facebook (che mi sono affrettato a cancellare) e mi aveva chiamato ed io avevo risposto qualcosa ma senza poter approfondire. Gli ho dato il fisso dichiarandomi disponibile a rispondere a sue domande purché deontologicamente corrette e non mi facesse poi dire il contrario di quel che penso, come è successo un’altra volta con un giornalista, la cui disonestà resta per me esemplare e istruttiva.

Riguardo ai temi caldi, oggetto di possibile speculazione, preciso per comodità dei pigri o di chi non ha tempo per leggere le migliaia di pagine scritte su questo blog o non vuol seguire tutto il polverone preciso quanto segue in dieci punti costantemente rivisti e aggiornati.

1. Professionalmente parlando non sono uno storico revisionista, etc. etc. Non mi intendo e non mi occupo di camere a gas e cose simili. Naturalmente ho letto e vado leggendo libri a sostegno dell’una e dell’altra posizione. Sarei un timido se dicessi che una qualche opinione non me la vado formando, ma ribadisco che sono io il primo a non dare importanza ad una mia opinione che non è mai diventata posizione sul merito delle questioni. E quindi ben conoscendo la malafede dei miei detrattori rivendico il diritto a non rispondere sulle mie private opinioni, mentre invece mi batto con tutte le mie forze sulla posizione di vuol difendere il sacro principio della libertà di pensiero e di ricerca. Uso i termini “concetti” e “posizioni” nell’accezione di Carl Schmitt formulati e applicati nell’omonimo volume da me tradotto e prefato.

2. La mia posizione come cittadino e come studioso è che debbano avere tutta la loro vigenza costituzionale gli artt. 21 e 33 della costituzione, cioè: libertà di pensiero e libertà di ricerca. Nel mio monitoraggio mi è capitato di imbattermi in un parlamentare che diceva grosso modo “Purtroppo c’è l’art. 21 che...”. Ma mia posizione è: “Per fortuna che c’è ancora l’art. 21...”. Ma la libertà di pensiero è sempre più minacciata ed è di ieri una notizia che mette l’Italia agli ultimi posti nelle difesa di questa libertà che non deve essere confusa con la libertà di pensiero. Ormai è chiaro come libertà di stampa e libertà di pensiero sono antitetici. La carta stampata è il canale, lo strumento di regime per la formazione del consenso.

3. Sono vivamente allarmato di vedere come questi articoli fondamentali per la nostra democrazia vengano sempre più elusi e disattesi. In Torino un docente di liceo è stato sottoposto a visita psichiatrica per aver osato criticare Israele a seguito di una domanda, forse fraudolenta, a lui posta da una sua allieva. In Roma un professore di liceo è stato sospeso a seguito di campagna di stampa abilmente orchestrata. Spedizioni punitive vengono fatte da squadracce che nulla hanno da invidiare ad altre squadracce di triste memoria. E si potrebbe continuare. Di quanto sta succedendo vado a fare monitoraggio ed ho di che essere preoccupato. Sui nostri politici in quanto custodi delle nostre libertà non vi è da fare nessun affidamento. Sono molto più interessati ai loro privilegi, alle loro prebende, che non alle libertà dei cittadini, di cui invece dispongono le potenti lobbies.

4. In paesi di antica civiltà come Germania e Francia si mandano in galera con estrema facilità persone di nulla responsabili che di avere le loro opinioni e le loro tesi, opinabili quanto si vuole, ma certamente non “reati” o “crimini in sé”, come taluni cattivi spiriti da me monitorati vorrebbero e pretenderebbero. Manco i cani stanno più tranquilli: si vada alla storia del cane Adolf narrata da Maurizio Blondet.

5. Io sono sì un docente ricercatore alla Sapienza – sono più fiero e orgoglioso della parte “ricercatore” che non di quella “docente –, ma qui in questa scrivania sono a casa mia. Più avanti a destra vi è una porta blindata che mi dovrebbe proteggere dall’esterno.

6. Poiché ho imparato a essere sospettoso, dico ai malpensanti che il programma dei miei corsi degli ultimi anni va dalla fine della prima guerra mondiale all’inizio della seconda. Spiego i contenuti del volume di Carl Schmitt, Posizioni e concetti in lotta con Weimar-Ginevra-Versailles 1933-1939, dove di “Olocausto” e simili non si tratta. Sconfinamenti casuali riguardano altre opere di Schmitt da me tradotte e prefate, in particolare la Dottrina della costituzione, che è del 1928 e che sarà forse oggetto della mia occupazione didattica nel prossimo semestre. Tra gli ultimi argomenti trattati vi è stata la Tirannia dei valori nelle diverse edizioni apparse in italiano e confrontata con l’originale tedesco.

7. Sono sempre stato assolutamente ligio ai miei doveri universitari: ciò mi si chiede di fare o di non fare io faccio o non faccio, ma ho sempre saputo e sempre mi è stato detto che libertà di pensiero e di ricerca sono valori sacri per ogni studioso, grande o piccolo che sia, ma degno di questo nome. I miei pochi studenti sono liberi di frequentare i miei corsi. Non solo hanno piena libertà di intervenire e contraddirmi, ma sono sollecitati da me a farlo ed insegno loro anche le regole del corretto dibattito scientifico: ad argomento si risponde con argomento. Come “ricercatore” non rigorosamente tenuto alla “docenza” e sulla base dell’intricata normativa che non ha mai veramente disciplinato lo status di ricercatore, posso liberarmi della “docenza”. Per cui vi è una situazione ideale dove docenti e discenti si possono incontrare sulla libera scelta e accettazione reciproca. Un grande filosofo spagnolo, che mi onorava della sua amicizia, soleva dire e scrivere che l’autorità di un docente si basa sulla fiducia dei suoi studenti, non sul registro di classe e sul potere di dare voti. Mi dice un mio amico Avvocato, che ha letto l’articolo e me ne ha dato un parere legale, che vi sarebbe soltanto di censurabile un certo ad una sorta di incitamento alla violenza nei miei confronti a mezzo stampa. Ho già ricevuto qualche telefonata non proprio cortese, ma anche più numerose attestazioni di solidarietà per le quali ringrazio. Diffido pubblicamente chiunque a recarmi molestie di alcun genere. Intuisco la malafede altrui e forse le intenzioni. Io sono fiero di essere un Ricercatore e non mi piace chiamarmi Professore. Ma cionostante ho sempre goduto della stima e dell’affetto dei miei studenti, che non ho mai voluto fossero numerosi. Non avrei potuto curarli. Chi deve capire spero capisca.

8. In rete, ho trovato e trovo molte sciocchezze su Carl Schmitt. In ultime dette da un illustre accademico francese. Ho incominciato a farne la critica, ma distratto da altre cose ho poi trascurato un altro mio blog tematico: i Carl Schmitt Studien, dove tratto i temi e la letteratura schmittiana. Trovo però più utile e produttivo verificare la validità delle analisi di Carl Schmitt attraverso l’esame della contemporaneità che non attraverso lo sfoglio e la classificazione di una letteratura, certamente abbondante, ma spesso ripetitiva oltre che strumentalmente denigratoria. Già a suo tempo Carl Schmitt scriveva che la lettura di Bodin e di Hobbes lo aiutavano meglio a comprendere il presente che non gli scrittori contemporanei. Per non parlare poi dei giornalisti o degli ascari assoldati per scopi politici. In America vi è stato un indebito appropriamento del pensiero di Schmitt, che però è il nostro Machiavelli, certamente avente a cuore più di ogni altro la libertà dei nostri popoli d’Europa, da lui già presagita come obiettivo irrangiungibile negli scritti dal 1923 al 1939. Ho ripetutamente spiegato – come già possono sperimentare i lettori di questo post – che considera la scrittura sulla rete del tutto diversa dalla scrittura sulla carta stampa. Qui è un pensiero rigido e morto. Sulla rete, volendo, è un pensiero perennemente in formazione e revisione. Non credo che questa distinzione che mi sono sforzata di spiegare ad alcuni giornalisti sia compresa. Si adottano per la scrittura sulla rete le stesse rigidità della carta stampata e spesso la rete imita la carta stampata. Ho spiegato che per me non è così. Chi può vuoel conoscere il mio pensiero lo deve conoscere da me direttamente, non su bozze in costante elaborazione e di cui data la vastità spesso mi dimentico.

9. A differenza di molti miei colleghi, che ancora diffidano del mezzo, io mi servo di internet, in particolare, di un sistema di oltre 30 blogs fra loro collegati, dove ancora in forma di bozza e di ipotesi traccio pubblicamente le linee dei miei interessi teorici e delle mie ricerche. È come se fosse una bottega di lavoro aperta, dove chi lo desidera può curiosare. Ed è per questa via che sono oggi finito sulla prima pagina di Repubblica. Se si parli bene o male, non so. In pratica, per ogni nuovo interesse anziché pensare alla solita pubblicazione accademica, apro un nuovo blog, cui se del caso seguirà la carta stampata.

10. Io sono qui a disposizione di chiunque abbia argomenti da porre. Non considero ricevibili insulti, stupidaggini e tutto ciò che è perdita di tempo. Le critiche sono state da me sempre bene accette, quando però sono critiche. Spesso non lo sono... Sul piano del metodo scientifico e del dibattito franco ed onesto non mi sento inferiore a nessuno. Aspetto. Pubblico i commenti pubblicabili, ma avverto che potrò rispondere a tutti solo cumulativamente. In particolare avverto che l’articolo di Repubblica non è filologicamente affidabile e quindi lo disconosco interamente per ciò che vorrebbe far credere.

RASSEGNA STAMPA COMMENTATA

1. Prima scorrettezza: il titolo di Repubblica. – Io non ho detto quella frase che si legge nel titolo, in prima pagina di Repubblica, il quale da il senso dell’insieme. Posso arguire che il giornalista Pasqua, che non ho telefonato, abbia commesso la prima grave scorrettezza. Ho detto e ripetuto ad abundantiam che come cittadino oltre che come studioso io mi attesto sul principio della libertà di pensiero e di ricerca. Non sono un ricercatore di camere a gas e simili. Denuncio una mala fede ed un’orchestrazione di stampa e di media come altre ve ne sono state. Dove essa appoderò, non lo so bene ancora.

2. Non solo il titolo: anche il contenuto è falso e scorretto. – Si tratta di un’accozzaglia di frasi slegate estratte fra migliaia e migliaia di pagine. Già in passato, durante i processi medievali davanti all’Inquisizione, si poteva mandare sul rogo chiunque adottando questo sistema. Dubito fortemente che chi ha confezionato l’articolo abbia la minima intelligenza dei problemi sfiorati. Come ha detto Berlusconi, di cui mi sono professato strenuo sostenitore, da questo giornalismo non possiamo aspettarci nulla di buono. Credo che l’articolo possa essere da me respinto nella sua interezza non perché le frasi virgolettate, per lo più bozze provvisorie, non possano essere state scritte, ma perché nel modo in cui sono combinate, travisano completamente la mia posizione contenuta in due numeri: articoli 21 e 33 della costituzione. Il resto è tutto opinabile. Capisco anche perché il giornalista Pasqua non ha fatto quella telefonata che doveva fare. Mah! In che paese viviamo. A caccia di escort, di macchiette e di mostri da sbattere in prima pagina.

3. Interviste concesse. Già due. Sta diventando faticoso spiegare a tutti le stesse cose, invero piuttosto semplici. Andiamo avanti. Siamo in guerra. Adesso arriva il tg3. Ma sono stanco. È sleale. Sono stanco. Se questo è un pugilato, chiedo una pausa. E per i prossimi combattimenti chiedo un avversario alla volta. Non tutti insieme: questa è una operazione piombo fuso. Tutti hanno lo stesso chiodo fisso: mettermi all’angolo senza tenere minimamente in conto le spiegazioni e le posizione espresse, cioè di una posizione a rigida tutela della libertà di pensiero e di ricerca. È davvero regime, e del genere più brutto.

4. Il Corriere della Sera. – È stata istruttiva la lunga telefonata con un giornalista del Corriere della Sera, che si presentava con aria sorniona, ma che alla fine voleva che io gli dicessi per forza cosa ne pensavo sull’Olocausto e simili, dove chiaramente l’unica risposta lecita era quella che lui voleva sentire da me. A nulla serviva ripetergli cento volte che io non mi occupo professionalemente di questi temi e che se mai avrebbe dovuto recarsi presso quelli che se ne occupano. Mi sono sgolato per una mezz’ora a spiegarmi che la mia discesa in campo, pubblica, era per la libertà di pensiero e di ricerca, che è distinta, nettamente distinta dal suo oggetto, che può spaziare alla migliore coltinavazione delle patate ai più astrusi problemi di astrofisica. L’insolenza e la fraudolenza del personaggio si è rivelato alla fine. Gli ho anche spiegato che la libertà di pensiero non è la libertà di stampa, cioè la sua libertà di pubblicare sul mio conto quello che gli pare senza tener conto delle mie delucidazioni. Non concederò più altre interviste se non a giornalisti che mi siano noti personalmente o della cui serietà e professionalità non ho da mettere. Sono visibilemente stanco. Sto pensando a una conferenza stampa, ma prima vorrei un poco lasciar decantare la cosa e soprattutto riposarmi e recuperare la mia serenità. Stacco la spina per questa sera. Domani si vedrà. Insisto nel denunciare una vera e propria campagna preparata a tavolino.

L’articolaccio è apparso. Me lo ha letto per telefono un amico torinese. Non ho comprato né comprerò il Corriere, ma ecco la lettera che mi ero premunito di scrivere al suo direttore prima che sapessi dell’avvenuta pubblicazione:
Al Direttore del Corriere della Sera

A titolo cautelativo avverto di essere stato raggiunto ieri telefonicamente, nella mia abitazione, da un giornalista di nome Griso, se ben ricordo, il quale intendeva in pratica estorcermi un’intervista per me lesiva, facendo seguito e in linea a quanto già apparso su Repubblica, testé da me smentita.

Con il giornalista Griso vi è stata una lunga e snervante conversazione dove ho dovuto fare una lezione di deontologia giornalistica. In sostanza, il giornalista non voleva riportare ciò che io effettivamente penso, ma ciò che lui voleva artatamente io dicessi. Purtroppo questo scherzo mi è stato fatto nelle interviste televisive che ho forse incautamente concesso, fidando nella correttezza della stampa e della televisione italiana. Ho autorizzato Griso a riportare testutalmente una mia affermazione, da lui a me forsennatamente richiesta: “Non sono un negazionista” e pur sganciata dal suo contesto.

Non trovando però affidabile deontologia, né cultura in chi mi voleva intervistare, giudicare e condannare, deve intendersi NON AUTORIZZATA qualsiasi eventuale intervista o cosa su di me riferita ed a me attribuita senza che da me sia stata vidimata e sottoscritta.

Non leggo abitualmente il Corriere, ma vi sarà ulteriore mio intervento se qualcosa dovesse apparire.

Distintamente
Antonio Caracciolo
Filosofo del diritto

Di questo giornalista stupido, ignorante, disonesto mi occuperò dopo. . E forse non vale neppure altro mio tempo. Se saranno necessari toni polemici a polemica si risponde con polemica: di norma non incomincio mai io, ma me la rimproverano quando la faccio io. Anche la polemica è cosa lecita in quanto forma di pensiero. Costoro non conoscono neppure lontamente la differenza fra un “dato di scienza”, frutto di infiniti studi e verifiche che ognuno deve rinnovare ogni volta personalmente, e non semplicemente ereditare, e una “professione di fede”, che io cattolico battezzato e cresimato, ma non praticante ormai non faccio più da non so quanti anni. Ma anche la “professione di fede” della messa domenicale è libera. Se dovesse venire imposta con tutta la forza del potere secolare e dei suoi strumenti di tortura, saremmo tornati agli anni più tristi e bui di epoche passate e superate, speriamo non invano.

5. Linea notte. – Ahimé sono proprio sotto tiro. Giudicate voi. Alla Paone che mi aveva chiesto se sono “Antisemita” ho subito risposto con decisione che Non sono antisemita! Ma ha taglia questa mia parte essenziale della risposta, anzi La risposta, ed ha lasciato solo quella parte , esplicativa, dove dico che sarei grato a chi mi spiegasse il significato del termine antisemitica che è oggi quanto mai abusato. Ho poi detto (ed anche questo è stato tagliato) che ho aperto un apposito post per raccogliere tutti i contesti in cui il termine viene usato e cercare in questo modo di enuclerarne un significato linguistico. La Paone è poi andata a trovare su 150.000 studenti iscritti di cui le interessava dicessero le cose che lei voleva. Quanto al Rettore, che è un medico e non uno storico, ho appena scritto una lettera ricordandogli che gli avevo chiesto il permesso di andare non a Dachau, ma a Gaza. Per fortuna non mi ha risposto perché sarei stato sorpreso da "Piombo Fuso” e probabilmente sarei perito sotto le macere dell’università islamica di Gaza. Ho ringraziato il mio Rettore per avermi salvato la vita. Ho insistito nuovamente nel dirgli che professionalmente non mi occupo di Olocausto e simili, ma che sto denunciando un serio pericolo per la libertà di pensiero e di ricerca. Quali siani le evidenze storiche maggioritarie o minoritarie, mi rimetto anche io alle opinioni che gli storici credono di poter dare su questa o su altre questione, ma nell’intesa irrinunciabili che siano tutti liberi nelle loro ricerche. Sappiamo che in Germania, Francia, Svizzera, non è così. Ad estendere anche all’Italia questa legislazione ci si è provato qualche anno fa con il progetto Mastella, contro il quale sono insorti tutti gli storici. Credo che a governo mutato chi allora aveva tentato questa operazione ci voglia riprovare contando forse su un governo più favorevole. Come elettore fedele di Berlusconi mi appello al Capo del governo per essere da lui difeso per il contenuto dell’art. 21 e 33 della costizione, ribadendo per la millesima volta che io non mi occupo di questioni relative ai campi di concentramente, ma di libertà di pensiero connessa anche a questi temi, di cui dichiaro di non aver specifiche competenze. Spero che qualcuno al governo legga queste mie dichiarazione autentiche. Sconfesso e smentisco tutte le interviste che ho potuto ascoltare in quanto risultano falsate e manipolate rispetto al pensiero che avevo inteso esprimere.

6. Ho iniziato questa mattina con una prima lettera a Repubblica e per conoscenza al mio Rettore. La giornata di ieri, dopo aver concesso un paio di interviste a due televisioni, mi hanno comprendere le astuzie dei cosiddetti giornalisti, soprattutto quando hanno deciso di mettere qualcuno alla gogna. Non saprei se è stato un errore essermi offerto alle televisioni. Sapevo però cosa avrei detto e cosa intendevo dire. Quando però mi sono rivisto, ad esempio la sera a Linea Notte, ho visto che hanno totalmente tagliata la parte che io intendevo comunicare e intendevo che apparisse. Loro sono decisamente provocanti nelle domande ed io quasi certamente sono caduto nel tranello che avevano già deciso di tendermi. Nulla però impedisce una controffensiva. Abbiamo ancora questa cosa che è la Rete e che pure ci vogliono togliere. Ho pensato di cominciare questa mattina da lì dove la cosa è partita, cioè Repubblica. Ho mandato la lettera che qui segue e che a causa della stanchezza che incomincio ad avvertire non è nel mio migliore stile. Ho avvertito la segretaria di Repubblica che avrei pubblicato anche qui nel blog il testo della lettera, con riserva successiva di miglioramente formali e sostanziali. Ecco il testo della Lettera:
Al Direttore della Repubblica,
e p.c. Al Rettore Luigi Frati

Ho trovato nella vostra edizione di ieri 22 ottobre un articolo di tal Pasqua interamente a me dedicato. Trattasi di una totale alterazione e falsificazione del mio pensiero non perché le frasi riportate non possano essere a me riconducibili, ma perché trattasi di una collazione di frasi staccate dal loro contesto organico di migliaia e migliaia di pagine in continua elaborazione e modificazione. Il tutto deve essere inteso unitariamente se si vuole conoscere il mio pensiero. Stante la continua elaborazione e l’ingente mole di testi e di argomenti trattati, è però sempre necessaria la mia interpretazione autentica per chi ne voglia fare un uso esterno ai miei blogs: non ho autorizzato né estratti né manipolazioni. Simili metodi venivano usati dal Tribunale dell’Inquisizione per mandare sul rogo moltissime persone. In un certo senso vi ringrazio per avermi fatto intendere come mai prima d’ora la differenza abissale fra la libertà di stampa che è solo vostra (a mio danno) e la libertà di pensiero che è mia e di ogni comune cittadino, anche analfabeta. Non ho dunque che da sconfessare interamente il contenuto dell’articolo di Pasqua in quanto manipolato nel senso sopra detto.

Peraltro il Pasqua, che mi aveva inizialmente raggiunto sul cellulare, nel quale ho fornito spiegazioni essenziali da lui comunque non riportate nell’articolo, ha poi omesso di chiamarmi il giorno successivo sul mio telefono fisso, avendo io consentito di chiarirgli meglio quanto necessario e di seguito sinteticamente riportato.

Non mi occupo professionalmente e scientificamente di temi riguardanti i campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Come filosofo del diritto mi occupo invece dei temi attinenti la libertà di pensiero e di ricerca. Essendo a me noto che sui temi suddetti in paesi come Germania, Francia, Svizzera e spero non anche in Italia esiste una lunga detenzione penale per quelle che io ritengo mere opinioni o tesi o ipotesi di lavoro in quanto tali lecite e garantite non solo dalla nostra costituzione ma dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, io ho inteso scendere pubblicamente in campo per la strenua difesa di questi valori costituzionali che sento minacciati: libertà di pensiero e libertà di ricerca, che chiaramente suppongono un loro oggetto, che potrà essere mutevole nel tempo e che nel caso specifico riguarda i campi di concentramento, non oggetto di mia occupazione scientifica e professionale.

Questo e quanto: nulla di più e nulla di meno. Il resto è dettaglio e strumentalizzazione, alla quale credo il vostro giornale sia uso.

Antonio Caracciolo
Filosofo del diritto
Per un poco di tempo non scriverò altri post concentrando tutti gli sviluppi della campagna su questo unico post, che mando nella sua interezza anche a Repubblica. Ringrazio per i numerosi messaggi di solidarietà. Ho lavorato anche oggi. Sono stanco. Mi arrivo anche qualche messaggio da parte di provocatori: hanno tanto altro spazio a disposizione da dove lanciare i loro strali! Avverto che non ho tempo per leggere accuratamente tutti i testi che ricevo. Ove vi fosse qualche isolata frase non pubblicabile, su cui non posso redazionalmente intervenire, verrà rimosso l’intero testo, ringraziando io suo autore.

7. In Germania, nove mesi di carcere ad un padre di famiglia. – La notizia è telefonica, ma si trova sulla rete. Il fatto brutto, dattagli a parte, è il seguente. Un padre di famiglia con due figli che si era dichiarato semplicemente a favore della libertà di pensiero e ricerca, pur non condividendo i contenuti di un libro “negazionista”, ma avendolo però dato a suoi amici in lettura, è stato per questo condannato senza condizionale a nove mesi di carcere. Il modello tedesco è quello invocato da Pacifici che può contare su tutti i personaggi, Marrazzo compreso, che in questi giorni si sono cimentati in una ridda di dichiarazioni tanto false quanto ipocrite. Spero di far capire ai più che questa è la partita che è in gioco. Come in tempi passati il cui ricordo ci appare assurdo diventerà un reato anche solo leggere libri e prestarli il lettura. Figuriamoci averli scritti e stampati. Ma come è possibile tanta barbarie? Io non riesco a capacitarmene. Ma dico fermamente: no!

8. La “leggenda” dello scandalo. – La massa imponente dei miei scritti in rete sfugge alla mia memoria. Tra il Club Tiberino e Civium Libertas, blogs entrambi politici e di militanza politica, vi saranno oltre 1500 post (articoli), di cui moltissimi veri e propri saggi e perfino libri. Ricordare tutto quello che ho scritto spesso di getto mi è ormai impossibile. A farmeli ricordare sono spesso gli stessi lettori che magari dopo due anni lasciano un commento su un vecchio post che devo così andare a rivedere. E può diventare questa occasione per un suo aggiornamento e perfino superamento o cancellazione. È una nuova forma di scrittura non comparabile a quella sulla carta stampata. Offro qui di seguito una prosa seducente, che mi piace e di cui sono soddisfatto. È la mia, ma me ne ero del tutto dimenticato. A farmela ricordare è un lettore attento ed eccezionale. Ma ecco il brano che è una mia autocitazione di un vecchio testo:
Il tema del “cosiddetto Olocausto” era per me poco più di una curiosità intellettuale, ma dopo gli incredibili attentati alle libertà democratiche a proposito del caso teramano, che è soltanto un fatto di provincia, diventa per me un obbligo morale conoscere in modo diretto tutta quella letteratura che è stata posta sotto divieto da una ben individuabile lobby.
Per l’uso dell’espressione “cosiddetto Olocausto” posso rinviare allo storico ebreo Sion Segre Amar, ma i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché: sulla semplice espressione linguistica si è costruita un’incredibile polemica da caccia alle streghe finita su uno dei maggiori quotidiani d’Italia!
Le mie espressioni esprimevano soltanto l’incomprensibilità linguistica e storica di un termine a valenza religiosa e la mia riluttanza e fastidio ad utilizzarlo per definire un semplice “sterminio” di popolazioni, ammesso che vi sia stato. Non immaginavo le reazioni che avrei scatenato. Invece “leggenda” vuole alludere ad un misto di verità confuso con falsità e soprattutto strumentalizzazioni. Potrei anche usare l’espressione “mito” nel senso soreliano. Infatti, non mi pare dubbio che sull’Olocausto il neo stato d’Israele abbia inteso fabbricare il suo mito fondativo. Ed i miti, si sa, non bisogna toccarli e disturbarli.
Lo si trova nel contesto filologicamente magistrale dal titolo La “Repubblica del linciaggio”, alla cui lettura rinvio particolarmente ma senza ulteriori commenti che potrebbero scatenari altri putiferi.

9. Rottura del riserbo. – Penso di avere il senso delle istituzioni. Avevo mantenuta riservata la corrispondenza ufficiale tra me, il rettore, ed il prof. Lanchester, professore incaricato dell’istruttoria, ma avendo il prorettore Bartolomeo Azzaro non rispettato lui il necessario riservo su un’istruttoria in corso, non vedo perché dovrei farlo io. Egli si pronuncia in pratica già emettendo sentenza ed assumendo una versione dei fatti da me tempestivamente smentita presso il Rettore Frati, che troppo occupato ad andare in trasmissioni televisive dove si parla di me, non trova il tempo per leggere la corrispondenza che pure gli mando. Lui medico, che sulla materia olocaustica non va oltre l’Enciclopedia Britannica vuole da me una dimostrazione, con letteraura, su un ambito disciplinare (campi di concentramento) dove mi sono dichiarato sempre estraneo, ma nel quale non hanno certo maggiori conoscenze delle mie rettore e prorettore, entrambi medici, valentissimi quanto si vuole nelle loro competenze, ma sprovvisti di cultura storica. Qui si prepara il mio linciaggio. Dunque anche io rendo pubblico ciò che doveva restare riservato e mi appello alla società civile:
Si trasmette la nota del 23/10/2009 prot. n. 133/09 a firma del Rettore.
Ripartizione II Settore II
Personale docente, ricercatori e assistenti.

Ripartizione II Settore I
Personale docente, ricercatori e assistenti.
Caro Rettore, Caro Prof. Lanchster,
Ho già inviato ieri sera all’indirizzo di Luigi Frati una lettera di carattere più privato.

Questa mattina mi ero già autonomamente attivato per smentire quanto apparso su Repubblica ed ho tempestivamente inviato copia a Luigi Frati con eguale posta. Mi giunge adesso questa richiesta alla quale posso rispondere tempestivamente allegando copia della Lettera già inviata a Repubblica. Vi sono e vi saranno altre mie smentite ad altri organi, ma non mi vengono ora richieste.

Tutti gli addebiti e le contestazioni che mi vengono fatte in sede extrauniversitaria, vengono da me respinti e confutati in sede extrauniversitaria nei tempi tecnici necessari.

Circa le interviste televisive (due concesse e altre rifiutate) debbo lamentarmi di come sia stato totalmente espunto il contenuto essenziale di ciò che intendevo dire, riassunto nell’allegata lettera, compresa la parte sulla “cittadina” di Dachau che si inseriva in un ampio contesto e che in verità quando parecchi anni fa visitai Dachau mi diede quella impressione comparativa che mi è sfuggita in un contesto di pressione indebita da parte degli intervistatori che cercavano lo scandalo a tutti i costi. Non era una deliberata provocazione, ma era davvero una forma di sconforto che all’epoca ebbi per il degrado secolare della mia Calabria che amo molto. Non sostenendo io tesi “negazioniste” in quanto non mi occupo di questa materia non mi sono chiare le richieste fatte, e verrò a chiedere di persona quale ne sia il senso, ma se l’università pensa di organizzare un convegno, ove i tempi siano maturi, sarò lieto di venire ad ascoltare.

In merito allo specifico richiesto posso rassicurare che i temi che hanno suscitato tanto scalpore non vengono né mai sono stati trattati nei miei corsi per il semplice fatto che non rientrano nelle mie competenze e nei miei interessi. Non mi stanco invece mai di ribadire, nelle sedi appropriate, in quanto filosofo del diritto, che è mio vivo interesse la tutela massima del diritto alla libertà di pensiero e di ricerca, un diritto che vedo sempre più minacciato e per il quale sono in forte apprensione. Da qui credo sia nata una voluta strumentalizzazione. Prego vivamente il Rettore di farsi lui latore presso il ministro di queste mie fondate preoccupazioni e magari di trovare per me un margine di tempo durante il quale io possa riferire a lui su quei pericoli che sento imminenti.

Nel mio ultimo di corso la didattica ha riguardato: a) Posizione e Concetti, etc, di Carl Schmitt, da me tradotto e prefato; b) La Tirannia dei Valori. Ho purtroppo avuto quest’anno un solo studente assiduo e altri non assidui, anzi pochissimo assidui (una sola volta venuti).

È con amarezza che debbo constatare che il Rettore non abbia sentito il bisogno di ascoltarmi prima di rilasciare le dichiarazioni che ha rilasciato e che suppongo siano tagliate come quelle a me estorte. Colgo qui occasione per rispondergli sulla ricerca storica nel senso che la materia in oggetto è di competenza degli storici di professione. Devo però aggiungere come a tutti gli storici debba essere garantita un’assoluta ed eguale libertà di ricerca e di pensiero. Come filosofo del diritto a me questa loro libertà sta ancora più a cuore di quanto forse gli stessi storici non siano consapevoli.

Resto in attesa di un appuntamento per un incontro con il prof. Lanchester e con lo stesso Rettore, durante il quale io possa dare ogni chiarimento desiderato.

Cordialmente
Antonio Caracciolo
Filosofo del diritto

Allegato 1:
Al Direttore della Repubblica,
e p.c. Al Rettore Luigi Frati

Ho trovato nella vostra edizione di ieri 22 ottobre un articolo di tal Pasqua interamente a me dedicato. Trattasi di una totale alterazione e falsificazione del mio pensiero non perché le frasi riportate non possano essere a me riconducibili, ma perché trattasi di una collazione di frasi staccate dal loro contesto organico di migliaia e migliaia di pagine in continua elaborazione e modificazione. Il tutto deve essere inteso unitariamente se si vuole conoscere il mio pensiero. Stante la continua elaborazione e l’ingente mole di testi e di argomenti trattati, è però sempre necessaria la mia interpretazione autentica per chi ne voglia fare un uso esterno ai miei blogs: non ho autorizzato né estratti né manipolazioni. Simili metodi venivano usati dal Tribunale dell’Inquisizione per mandare sul rogo moltissime persone. In un certo senso vi ringrazio per avermi fatto intendere come mai prima d’ora la differenza abissale fra la libertà di stampa che è solo vostra (a mio danno) e la libertà di pensiero che è mia e di ogni comune cittadino, anche analfabeta. Non ho dunque che da sconfessare interamente il contenuto dell’articolo di Pasqua in quanto manipolato nel senso sopra detto.

Peraltro il Pasqua, che mi aveva inizialmente raggiunto sul cellulare, nel quale ho fornito spiegazioni essenziali da lui comunque non riportate nell’articolo, ha poi omesso di chiamarmi il giorno successivo sul mio telefono fisso, avendo io consentito di chiarirgli meglio quanto necessario e di seguito sinteticamente riportato.

Non mi occupo professionalmente e scientificamente di temi riguardanti i campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Come filosofo del diritto mi occupo invece dei temi attinenti la libertà di pensiero e di ricerca. Essendo a me noto che sui temi suddetti in paesi come Germania, Francia, Svizzera e spero non anche in Italia esiste una lunga detenzione penale per quelle che io ritengo mere opinioni o tesi o ipotesi di lavoro in quanto tali lecite e garantite non solo dalla nostra costituzione ma anche dalla dichiarazione universale dei diritti dell3uomo, io ho inteso scendere pubblicamente in campo per la strenua difesa di questi valori costituzionali che sento minacciati: libertà di pensiero e libertà di ricerca, che chiaramente suppongono un loro oggetto, che potrà essere mutevole nel tempo e che nel caso specifico riguarda i campi di concentramento, non oggetto di mia occupazione scientifica e professionale.

Questo è quanto: nulla di più e nulla di meno. Il resto è dettaglio e strumentalizzazione, alla quale credo il vostro giornale sia uso.

Antonio Caracciolo
- Filosofo del diritto
Allegato 2:
Al Direttore del Corriere della Sera

A titolo cautelativo avverto di essere stato raggiunto ieri telefonicamente, nella mia abitazione, da un giornalista di nome Griso, se ben ricordo, il quale intendeva in pratica estorcermi un’intervista per me lesiva, facendo seguito e in linea a quanto già apparso su Repubblica, testé da me smentita.

Con il giornalista Griso vi è stata una lunga e snervante conversazione dove ho dovuto fare una lezione di deontologia giornalistica. In sostanza, il giornalista non voleva riportare ciò che io effettivamente penso, ma ciò che lui voleva artatamente io dicessi. Purtroppo questo scherzo mi è stato fatto nelle interviste televisive che ho forse incautamente concesso, fidando nella correttezza della stampa e della televisione italiana. Ho autorizzato Griso a riportare testualmente una sola mia affermazione, da lui a me forsennatamente richiesta: “Non sono un negazionista” e pur sganciata dal suo contesto.

Non trovando però affidabile deontologia, né cultura in chi mi voleva intervistare, giudicare e condannare, deve intendersi NON AUTORIZZATA qualsiasi eventuale intervista o cosa venga su di me riferita ed a me attribuita senza che da me sia stata vidimata e sottoscritta.

Non leggo abitualmente il Corriere, ma vi sarà ulteriore mio intervento se qualcosa dovesse apparire.

Distintamente
Antonio Caracciolo
- Filosofo del diritto

La posizione dei professore incaricato della procedura sembra sostenere che io neppure nella mia vita privata, neppure nella mia casa privata, beninteso al di fuori dell’università io abbia diritto ad una vita privata di essere autonomamente pensante. Ma un’eguale pretesa non mi pare sia stata imposta ad un illustre Collega della Sapienza che è parte organica di quell’«Informazione Corretta” da cui è partita l’operazione: posso essere attaccato impunemente, ma non posso e non devo difendermi. Il Rettore Frati, come ho potuto constatare, non legge la corrispondenza che io gli mando. Insiste con le sue letture dell’Enciclopedia Britannica che è la sola fonte di conoscenza di cui dispone. La mia linea di difesa sulla quale non debordo, oltre a quella nota, è che la materia “Campi di concentramento” non rientra nell’ambito disciplinare IUS 20, cioè filosofia del diritto. Io non mi sono mai occupato e mai mi occuperò professionalmente di “campi di concentramento”, al cui riguardo la mia competenza professionale è uno zero assoluto, per cui nulla possa negare e nulla posso affermare. Diverso se mi si vuol chiedere una professione di fede, ma la professione di fede non è un atto di scienza. Rientra invece perfettamente nel mio ambito disciplinare tutta la problematica della libertàdi pensiero e di ricerca, che io vedo violate in paesi come la Germania e la cui identica legislazione si sta tentando di introdurre in Italia. Io qui mi trovo ad essere il capro espiatorio di questa operazione. Lancio l’allarme a tutta la società che è possibile raggiungere e allertare.

10. Dibattito fra un architetto e un filosofo su argomento storico. – Nella campagna di linciaggio che purtroppo mi riguarda scende in campo un collega ricercatore, ma architetto nonchè prorettore, il quale ieri alle 14.10 ha diffuso un suo testo nella rete di Ateneo che qui di seguito riporto. Gli ho giò risposto su quella rete, sperando che il messaggio circoli e non venga silenziato. Dalla replica concessami o meno saprò quanto sia estesa la congiura.«

Cari colleghi ricercatori,

proprio nel momento in cui la Sapienza vive un confronto democratico nell’Ateneo attorno al momento delle elezioni per il rinnovo dei suoi Organi rappresentativi, la nostra comunità è stata scossa dalla notizia che uno dei ricercatori di questo ateneo nega verità storiche dolorose che hanno informato la storia del XX secolo.
[Per l’esattezza questo ricercatore con lettera già giunta al Rettore non ha negato nessuna di queste “verità storiche dolorose”, ma ha tentato di avvertire la comunità che ben presto vi saranno altre verità dolorose, come quella che ieri mi giunta telefonicamente dalla Germania: un padre di famiglia, con due figli a carico, è stato condannato a nove mesi di carcere senza condizionale per aver solo passato ad amici il libro di uno storico “negazionista”, già in galera per aver scritto un libro, che presente verità diverse da quelle ammesse. Il filosofo del diritti non nega né afferma nulla sul merito del fatto storico, ma ritiene che né l’autore del libro né chi lo ha prestato debbano finire in galera per non aver commesso altro che esprimere una loro verità storica, che almeno da loro è creduta, altrimenti non avrebbero rischiato il carcere. Mi correggo chi ha prestato il libro si è difeso con il giudice dicendo che lui non condivide le tesi del libro, ma ritiene che debba valere la libertà di pensiero e di ricerca. Il giudice lo ha condannato. L’architetto Azzaro ne sia consapevole o meno sta collaborando all’introduzione di un’analoga legge anche in Italia. Esiste un’ampia e diffusa concertazione, come vado sempre più verificando]
Pur nel rispetto dovuto alla persona
[Non vi è stato nessun rispetto, ma molta malafede, inganno, manipolazione. Ne sia consapevole o meno, l’architetto Azzaro ne fa parte]

del ricercatore Caracciolo protagonista di questo episodio, così come ad ogni altro docente e ricercatore, di fronte a simili posizioni come prorettore e Coordinatore dei Ricercatori della Sapienza mi sento di chiedere a tutti i colleghi di essere uniti nel ribadire l’impegno civile e democratico della comunità scientifica nell'esercizio della memoria di eventi tragici della storia del Novecento e nella considerazione del metodo scientifico della ricerca.
[Quali eventi tragici in quello che è stato definito un secolo di genocidi? Vi è forse qualche genocidio più genocidio di altri? Quello degli armeni, che il governo turco contesta vi sia mai stato? La pulizia etnica in Palestina nel 1948, descritta in ultimo dallo storico ebreo israeliano Ilàn Pappe, il quale rispondendo al presidente Napolitano ebbe a dire nel gennaio scorso che si è antisemiti se non si è antisionisti? So bene a quale genocidio l’architetto Azzaro allude, ma non pensa che i morti meritino tutti rispetto e che non esiste nessun monopolio della sofferenza umana? Sa l’architetto Azzaro che in Israele nella recente legislazione si vuol vietare di ricordare la Nakba del 1948? Sa cosa è la Nakba? La “memoria” è qui concetto storico, psicologico, valoriale? La memoria è uguale per tutti noi o possono esservi diverse memorie?]
La Sapienza costituisce un luogo in cui la ricerca scientifica è libera,
[Non mi sembra affatto. E mi sembra che l’architetto Azzaro che non fa il mestiere dello storico stia svendendo il mestiere dei suoi colleghi storici, il cui ambito scientifico si vuole limitare per legge. La concertazione dell’architetto Azzaro, che continerò a fare l’architetto senza nulla dover rischiare, mi sembra evidente.]
come prescritto dall'art. 33 della nostra Costituzione.
[Il filosofo del diritto Antonio Caracciolo crede di avere una maggiore competenza su questo articolo di quanto ne possa avere l’architetto Bartolomeno Azzaro]
Il ricercatore Antonio Caracciolo afferma che:“io sono un ricercatore e ho l'obbligo e il diritto di ricerca”.
Tuttavia si deve precisare che, in questo caso, il nostro collega credo che non abbia colto appieno la differenza tra l’attività di ricerca e l’oggetto stesso della ricerca.
[Lo dice l’architetto Azzaro? E con quali argomenti?]
La ricerca storica prende le mosse sempre da un dato di partenza acquisito che è l’oggetto della ricerca stessa.
[Ma che vuol dire? È architettura moderna? Un ricercatore storico può ad esempio ordinare un archivio vergine. Non si sa cosa potrà trovare. Ne ho fatto esperienza con un archivio parrocchiale dal seicento in poi? I dati di partenza non sono necessariamente acquisiti ma possono essere oggetto di verifica. Guai se i dati che si ritengono acquisiti non vengono continuamente verificati. Probabilmente non si sarebbe andati oltre nel progresso scientifico se non vi fosse stata una costante verifica dei dati acquisiti. Una verifica dei dati acquisiti non è mai un crimine e non porta nessun danno. L’acquisizione dei dati non è poi mai e poi mai un fatto sacrale, ma una mera acquisizione scientifica. Il collega Azzaro mi sembra abbia detta una mera banalità per approdare all’idea che una verità storica deve assunta come verità di stato. Altra amenità: ma se il dato di partenza è acquisito una volta per tutte come fa ad essere oggetto della ricerca? La ricerca di un dato acquisito? Chi capisce l’architetto Azzaro è bravo. Spero che chi non lo capisce non debba per questo andare in galera o essere licenziato.]
Quel dato è acquisito in quanto documentato da varie fonti scritte e visive, da testimonianze di vario genere, da luoghi che ne testimoniano l’esistenza.
[Se vado al Colosseo, non per questo trovo oggi i leoni, ed i cristiani che ne sono divorati. Per ricostruire ciò che in quelle mura antiche accadeva occorre disporre di una mole di fonti che ce lo dicono. Il mero andare al Colosseo non ci fa sapere nulla. Possiamo solo vedere un edificio imponente senza magari sapere a cosa serviva. Per i luoghi cui qui si allude, da allievo di Armando Saitta, immagino che si incominci gli archivi, conoscendo necessariamente le lingue in cui i documenti sono scritti: tedesco, russo, ecc. In ultimo se esiste una letteratura la si vaglia criticamente e non la si assume pedissequamente. Su quali testi Azzaro basa le sue conoscenze. A me come filosofo del diritto non è necessario leggerli, ma mi basta sapere che il capisaldo della letteratura cui Azzaro allude è il volume di Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa. Questo libro pare sia poi quello che tutti gli altri, o quasi hanno semplicemte ripetuto, dando luogo a quelle che un ebreo piuttosto critico chiama paccottiglia da suermercato. Ma a me come filosofo del diritto interessa solo sapere che un altro libro di critica a Hilberg, intitolato “Il gigante dai piedi di argilla”, costa al suo autore, un svizzero, di nome Jürgen Graf l’esilio in Russia. Se torna in Svizzera lo arrestano per avere scritto un libro che ne critica un altro. A me non interessa chi dice il vero. A me come filosofo del diritto interessa che chiunque possa criticare un qualuque altro libro senza per questo finire in galera, come fra poco sembra debba capitare anche in Italia. Questo ho inteso dire e avvertire nei miei blogs, attività privata]
La ricerca poi dovrà capire il fenomeno e spiegarlo, spiegarne la genesi, indagare sulle cause del suo sorgere e sulle conseguenze che esso ha prodotto.
[Perfetto! Concordo a pieno!]
Nascono così le varie interpretazioni che mai, però, possono prescindere dal dato di partenza della ricerca stessa.
[E che significa? Chi stabilisce il punto di partenza? E se qualcuno vuol prescindere dai termini del discorso che qualcuno ha imposto o vuole imporre va per questo in galera? Come in effetti succede in Germania e si vuole succeda anche in Italia. Ma dove sta allora la libertà di ricerca e di pensiero se uno non puà ridiscutere proprio i punti di partenza? I risultati più spettacolari del progresso scientifico sono ottenuto dalla discussione dei punti di partenza. Naturalmente, non vuol dire che i punti di partenza possano essere sempre con successo venire discussi e perdere la loro verità. Ma lo si deve poter fare! Se qualcuno non avesse pensato a ridiscutere il punto di partenza del sistema tolemaico noi saremmo sempre rimasto a quella concezione del mondo e nessun altro progresso sarebbe stato possibile]
Le “tante verità da verificare” sull’Olocausto, come ipotesi di ricerca di cui parla Caracciolo, possono riguardare la interpretazione del fatto ma mai negare il dato di partenza della ricerca storica sull’Olocausto: che è costituito dalla verità (questa volta unica) del genocidio di milioni di ebrei, fatto inconfutabile.
[Ribadisco per la millesima volta in questa orchestrazione che il Caracciolo non si è mai pronunciato in questo senso, dichiarandosi filosofo e non storico. Il Caracciolo distingue fra i dati acquisiti per scienza propria e le professioni di fede su cose che altri ci dicono. Ma anche le professione di fede, in ambito religioso, sono e devono essere libere, non estorte con la tortura e il supplizio. Al di là della sua storicità, su cui il filosofo Caracciolo non si è mai pronunciato, sembra di poter assistere alla formazione di una nuova religio, che certamente può avre i suoi fedeli, ma a condizione che gli infedeli non debbano finire in galera. Il filosofo Caracciolo ha già inviato, dopo l’infame articolo di un giornale infame, al Rettorato l’esatto stato della questione. Trovo strano come il Rettore e il prorettore trovino il tempo di occuparsi del ricercatore Caracciolo senza tenere in nessun conto la corrispondenza loro inviata. Che devo pensare?]

Credo che la presa di coscienza delle verità storiche e del metodo della ricerca a cui oggi siamo richiamati da questo episodio, possano costituire un monito per il lavoro di ciascuno di noi e per la concezione democratica dell’istituzione universitaria cui apparteniamo.
[Che vuol dire questa nuova amenità: la presa di coscienza delle verità storiche? E perché la presa di coscienza dei pericoli che incombe sulla nostra libertà ha forse meno valore di una presa di coscienza delle verità storiche? Quali verità storiche? Quelle dei vinti o quelle dei vincitori? Degli oppressori o degli oppressi? E così via. Si prende anche coscienza della propria esistenza. La vita è coscienza o incoscienza.]
Bartolomeo Azzaro
Coordinamento Ricercatori della Sapienza
Prorettore per lo Sviluppo delle Attività Formative e di Ricerca

Avevo dapprima preso Bartolemo Azzaro per un medico, poi ho letto architetto. Come devo intendere il testo di Azzaro? Una prosa di filosofia? Opera storica? Testo politico? Non riesco ad apprezzarlo in nessuna accezione che le si voglia dare. Avrei preferito che sulla questione fosse intervenuto uno storico o un filosofo.

11. Alemanno a «via degli Scipioni»? – Ho avuto oggi conoscenza di una lettera aperta che ha una diffusione sulla rete, non giunta a me, personalmente, fino ad oggi. Non pubblico la lettera per ragioni di opportunità, ma da questa risulta con testimonianze inoppugnabili un passato politico di Gianni Alemanno dove sarebbe stato lui uno strenuo assertore di quelle posizioni politiche e ideologiche che imputa a me senza che siano mai state mie. Della biografia politica di Alemanno, dei suoi lunghi studi universitari, della sua laurea perugina, conseguita già da ministro ecc. non ho mai avuto il benché minimo interesse. Ho avuto la disgrazia di essere stato suo elettore, non essendovi stata grande possibilità di scelta sul menu fornito al cittadino. Credo tuttavia che non occorra una grande e appreofondita ricerca per scoprire il passato politico di Alemanno nonché per giudicare le sue presenti prese pubbliche di posizione. Se Alemanno vorrà misurare il suo passato con il mio sono certo di non sfigurare sul piano della legalità costituzionale senza tener conto dei vantaggi nell’esercizio del potere politico di cui egli ha goduto e continua a godere.

12. Gli “occhi” di Marrazzo. – L’ex presidente della regione Marrazzo aveva appena preso parte al gioco al massacro della mia persona e della mia dignità, dicendo che avrebbe “voluto guardarmi negli occhi” per non si sa bene quale motivo ed a quale scopo. Non amo nominare il Cielo nei miei scritti, ma posso dire che in questo caso ho l’impressione che la giustizia divina sia stata davvero tempestiva. Soprattutto se posso leggere in un articolo di stampa il seguente brano:

All’uscita dall'ufficio dei magistrati, in piazza Adriana, l'ex presidente è passato in macchina davanti ai giornalisti coprendosi il volto…
E chissà… se altri personaggi che su di me si sono gratuitamente sbizzariti sfruttando una semplice diffamazione a mezzo stampa non siano destinati a ricevere un similare “trattamento”?

mercoledì 21 ottobre 2009

Israele e i clandestini. Il loro centro di accoglienza: il cimitero di Hatzor!

Vers. 1.0/21.10.09
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Nel monitorare l’hasbarotica torinese «Informazione Corretta» mi era quasi sfuggita la notizia, che non è quella che gli hasbarotici pensano di far passare, ma una ben diversa da ricavare per successive deduzioni. È stato reso noto come lo stato maggiore israeliano si stia mosso e stia dando disposizioni per un’operazione “piombo fuso” sull’«ebreo rinnegato» Richard Goldstone allo stesso modo in cui credo secondo identica strategia mediatica erat stata scatenata un’operazione “piombo fuso” sul vescovo Williamson. Ma andiamo per ordine. Qual è uno degli argomenti che si tenta di far valere contro il rapporto Goldstone, la Commissione dei Diritti Umani e l’ONU che contro Israele ha emesse oltre 70 risoluzioni di condanna. Poco importa che siano vincolanti o non vincolanti, secondo quanto amano distinguere gli istruiti. Resta intatto tutto il loro valore politico, malgrado le pressioni, le minacce, i ricatti che subiscono i numerosi nuovi stati usciti dalla dominazione coloniale occidentale ed assurti a membri delle Nazioni Uniti. Resta intatto il valore politica anche della risoluzione che nel 1974 equiparava sionismo e razzismo. Il fatto che questa sia stata “ritirata” è cosa che resta semplicemente da capire, andandosi a studiare che cosa è successo per far ritirare quella risoluzione, che è stata sostanzialmente riproposta in Durban I e Durban II. Che lo stato ebraico sionista sia una costruzione che fa a pugni con la nozione di stato di diritto è cosa facile da evincere con un minimo di riflessione, giungendo per questa via all’ovvietà dell’equiparazione di sionismo e razzismo.

Che così sia sempre stato per il sionismo emerge facilmente, appena ci si addentra nei Padri sionisti, tutti concordi nel progetto genocida, pur con diversi varianti da attuazione. La documentazione di ciò che affermiano è sempre meglio darla. Qui la prendiamo da Jeff Halper e riguarda una dichiarazione del 1923 di Ze’ev Jabotinsky, il risorgimentalista, il Mazzini ebreo-sionista, anticipatore del Muro d’Acciaio, oggi detto con mutato terminologia hasbarotica “Barriera difensiva”. Sottolinea Halper che l’anno è il 1923: molto prima del lancio dei sigari Kassam, delle Intifade ovvero lancio di pietre contro carri armati israeliani, ma anche prima della passeggiate turistico-diplomatiche del mufti esule dopo gli anni 1936-39, durante i quali i civilizzatori inglesi decapitarono tutta la dirigenza politica palestinesi che non aveva capi quando nel 1948 i sionisti applicarono il loro premeditassimo piano Dalet della pulizia etnica. L’incredibile propaganda hasbarota di questi giorni vuol far passare “Piombo Fuso” come la giusta vendetta per il fatto che durante il suo esilio l’impotente e disperato Muftì era andato a farsi ricevere da Hitler. Non diversamente da come il papà Jabotinsky aveva bussato alla porta di Mussolini, che non si sa se lo abbia ricevuto, ma di cui esiste una dichiarazione entusiasta sul razzismo sionista. L’incredibile faccia tosta degli hasbaroti pretende che i palestinesi fossero davanti ai forni crematori negli anni tragici per l’Europa 1943-45. Gli hasbaroti passano sotto silenzio il fatto che i più longevi sionisti furono in affari per tutta la durata del breve nazismo (1933-1945), al quale peraltro l’Agenzia ebraica già nel marzo 1933 aveva fatto una vera e propria dichiarazione di guerra, i cui soldati combattenti avrebbero dovuto essere anche gli ebrei tedeschi. Con quale risultato lo si può arguire facilmente, anche se i libri scolastici di storia non ce lo dicono. Ma diamo la parola al Jabotinsky del 1923 ed al suo Muro d’Acciaio:
Ogni popolazione indigena resisterà ai coloni finché avrà una qualche speranza di sbarazzarsi dei loro insediamenti. È così che gli arabi si comporteranno e continueranno a comportarsi finché ci sarà una minima speranza di poter impedire alla Palestina di diventare Terra d’Israele. [Dunque, l’unica via possibile per un accordo] è la costruzione di un muro d’acciaio, vale a dire, l’istituzione in Palestina di una forza che non possa subire l’influenza araba… un accordo volontario è impraticabile. Possiamo scegliere se sospendere i nostri sforzi di colonizzazione o continuarli senza aprestare attenzione ai nativi. Gli insediamenti potrebbero così svilupparsi sotto la protezione di una forza indipendente dalla popolazione locale, dietro un muro d’acciaio che non riusciranno mai ad infrangere.
Citato in
Jeff Halper, Ostacoli alla pace, Edizioni “Una Città”. 2009, p. 17-18.
Si noti lo stile “mazziniano”. Una operazione politico-culturale con autorevole avallo pretende di farci digerire tutta l’avventura coloniale e razzista del sionismo come una filiazione del Risorgimento italiano, che già ha a che fare con un certo revisionismo storiografico. Se per disgrazia dovesse risultare ulteriormente accredita e accettata una simile figliolanza, credo che resterebbe ben poco del nostro Risorgimento e la Padania da una parte, lo stato borbonico dall’altra potrebbero con fondamento richiedere il ritorno allo status quo ante il 1861. Ma io non credo che le cose stiano così e rinvio ad altro blog dove mi sono impegnato nel lungo lavoro di rivisitazione dell’opera omnia di Mazzini. Ma torniamo all’oggi. Se Goldstone avesse incorporato nella sua documentazione anche questo brano di Jabotinsky, non avrebbe sentito il bisogno per dimostrare la sua imparzialità di addossare una parte della colpa anche ad Hamas, secondo la migliore tradizione giudiziaria: un po’ di colpa per tutti. Già nel 1923 il sionismo progettava che agli “indigeni” non dovesse restare neppure la speranza. I sionisti della porta nostrani si affannano a sostenere la non sproporzione del piombo fuso versato, ignorando che la sproporzione era già programmata in questo testo del 1923 per la penna del Mazzini sionista. È da notare che “i nostri sforzi” del brano citato non avrebbero fruttato un bel nulla se non avessero avuto (fino ad oggi) il sostegno esterno della Lobby Eterna, entro la quale sono da includere non pochi uomini politici italiani, i cui nomi ognuno può conoscere facilmente. A fronte di questo “sostegno” il totale abbandono delle vittime sacrificali, la cui grande colpa è di non essere spariti in silenzio come gli “indigeni” d’America.

Non vogliamo però anticipare adesso i temi di un interessante studio da fare in altra serie di post. Qui vorrei far soffermare i miei Cinque lettori su un aspetto, anzi sull’asse portante dell’Hasbara israelo-torinese. Si dice che nel mondo esistono ben altri panni sporchi che non quelli israeliani. E che è “antisemitismo” oltre che “antisionismo” voler guardare solo le sozzure israeliane: nel mondo ci sono ben altre sozzure! Dove? In Africa, ad esempio! Già, quell’Africa che è ampiamente rappresentata in quella fascia di un miliardo, dicasi un miliardo di persone che soffrono la fame e che muoiono di fame, mentre USA e Israele dilapidano migliaia e migliaia di miliardi di dollari in guerre ed armanenti. Pensavo che fossero 280 le testate nucleari israeliane, invece ieri sera nel libro di Jeff Halper che continuo a leggere son giunto alla pagina dove dice che sono 500. Ma Israele non vuole che si sappia e tutti i suoi fedeli amici – fra cui l’Italia di Frattini, ubicata sulla Luna, ma non nel nostro spirito – fanno finta di non saperlo e mai ne parlano nei loro discorsi ufficiali. Quest stati con i panni sporchi a casa loro e che osano parlar male di Israele sono quelli che in qualità di nuovi stati sono andati via via occupando un seggio all’ONU e quindi in Commissioni come quella sui Diritti umani, dove siedono in 47 su quasi 300 stati esistenti nel mondo. Corromperli tutti in una sola volta è cosa troppo laboriosa per la strapotente coppia USA-Israele e per le loro code europee.

Veniamo rapidamente al punto. Se in Africa, dove le guerre e i massacri sono endemici come le malattie infettive su cui il civilissimo Occidente specula arricchendosi, i superstiti scappano, da qualche parte devono pur andare. In Italia ne sappiamo qualcosa con gli sbarchi dei clandestini che qualche volta muoiono in mare in carrette stracolme o per tempeste o per i più svariati motivi. I nostri militari non hanno avuto l’ordine di sparare loro addosso prima ancora di toccare le nostre sacre sponde. Se poi riescono ad approdare e non li si può rispedire indietro, magari in Libia, da dove i più vengono, e se bisogna proprio trattenerli, li si manda in moderni lager detti “centri di accoglienza”, che si cerca di abbellire con questa terminologia allo stesso stesso modo in cui in altri Lager del passato noi leggiamo la scritta: Arbeit macht frei: il lavoro rende liberi. Ed in effetti questi disgraziati vengono da noi con la speranza di trovarlo un lavoro.

Ho detto: da noi. In Israele non ci vanno? Nell’«unica» – fortunatamente – democrazia del Medio Oriente, il cui esercito ha il più alto standard di moralità del mondo! Il Sudan dove si trova? Se guardiamo la carta geografica, vediamo che è più vicino all’Egitto e a Israele che non all’Italia. Il Darfur dove sta? In Sudan! Se scappano da lì, perché dovrebbero venire solo in Italia? Cosa ha di speciale l’Italia per uno che scappa e certo non può scegliersi la destinazione in una comoda agenzia di viaggi. Questi disgraziati scappano dove capita, dove la loro malasorte li conduce. Ed in parte arrivano alla frontiera israeliana. Già! E qual è l’accoglienza che ricevono nella terra del latte e del miele? Lasciamo parlare Michele Giorgio in un articolo del 20 ottobre che traiamo dagli hasbaroti che ringraziamo per averci fatto risparmiare l’abbonamento al Manifesto. L’infame commento che abitualmente accompagna gli articoli di Michele Giorgio lo trascuriamo, ma lo segnaliamo come un ordininario brano di colore hasbarotico. L’articolo di Giorgio appare però, senza il sapiente e corretto commento hasbarotico, anche in Eco, il sito degli Ebrei contro l’occupazione, ebrei che non potendo essere definiti “antisemiti”, come i goym, vengono tacciati di “rinnegati” (in ultimo tale sarebbe Goldstone, ma la qualificazione si trova anche in Poliakov) oppure psichiatricamente come “ebrei che odiano se stessi”. Peccato che siano abbastanza numerosi da richiedere non pochi ospedali psichiatrici per poter adeguatamente venir curati e ridotti alla normalità sionista.
Il sudanese ignoto.
L’unità speciale Oz a caccia d’illegali

Fino a qualche tempo fa Hatzor,
nel sud di Israele, era noto solo per essere stato uno degli ultimi kibbutz ad abbandonare il socialismo per «l’economia di mercato» e per aver dato nome ad un’importante base aerea situata a qualche chilometro di distanza. Qualcuno lo conosce anche perché ha ospitato per qualche tempo Uri Geller, il «sensitivo » israeliano che gira da tre decenni per il mondo cercando di far credere di poter piegare con la forza della mente cucchiai e forchette. Oltre a ciò sono ben pochi i motivi per parlare di Hatzor.

Eppure il nome di questo kibbutz, dove vivono poco meno di 600 israeliani e qualche decina di «volontari» stranieri, da un paio di anni appare occasionalmente negli articoli sui migranti uccisi alla frontiera tra Israele ed Egitto. Appare con discrezione, senza far clamore. Ad Hatzor infatti sono stati sepolti dal 2007 a oggi almeno 25 sudanim almonim, sudanesi ignoti, migranti forse non solo del Sudan, uccisi negli ultimi due anni dal fuoco delle guardie di frontiera egiziane. I corpi senza vita ritrovati sul versante israeliano vengono portati prima a Bersheeva e poi ad Hatzor. Il cimitero all’esterno del kibbutz, destinato ad atei, laici e sconosciuti non è segreto e neppure nascosto. Ma non è accessibile senza l’aiuto degli abitanti e noi non troviamo disponibilità tra le rare persone che incontriamo lì intorno. «Quelli del kibbutz sono tutti al lavoro» ci dice un uomo alla guida di un fuoristrada, consigliandoci di dare un’occhiata da lontano. Lo facciamo e ci sembra di scorgere tra le tombe anche quelle dei sudanim almonim, piccoli cumuli di terra come quelli ritratti nelle foto scattate dai ricercatori di Moked-Hotline for MigrantWorkers, una coalizione di otto associazioni israeliane che cercano di tutelare i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo politico. Ad un responsabile del kibbutz ci sarebbe piaciuto chiedere conferma delle indiscrezioni che descrivono la sepoltura dei migranti uccisi sul confine come un «business» per Hatzor, pagato dallo stato per questo «servizio funebre». Un dato comunque è certo. Quelle tombe rappresentano solo una minima parte dei sudanesi, eritrei e altri africani che cadono sotto il fuoco dei militari egiziani, solerti esecutori dell’ordine ricevuto dai loro comandanti di impedire ai migranti l’ingresso clandestino in Israele.

Secondo statistiche ufficiali ma parziali, nel 2007-08 sul lato egiziano del confine sono stati uccisi una quarantina di africani. Quest’anno almeno 16. Settembre è stato uno dei mesi più insanguinati. «Il numero delle vittime è molto più alto – dice al manifesto Sigal Rosen, portavoce di Moked – sono convinta che tanti altri migranti siano stati colpiti a morte ma non riusciamo a saperlo perché le autorità egiziane non lo dicono. E non dimentichiamo che tanti altri vengono feriti o arrestati». E se a sparare sono gli egiziani, gli israeliani non restano a guardare, anche se hanno firmato le convenzioni internazionali sull’asilo politico. I migranti catturati nel Neghev - tranne, pare, un numero limitato di quelli provenienti dal Darfur - vengono immediatamente rispediti in Egitto dove, dopo un processo sommario e una detenzione durissima sono obbligati a tornare nei loro paesi d’origine. Le ong israeliane del settore denunciano quanto accade alla frontiera, hanno anche presentato un appello alla Corte Suprema, ma le autorità di governo si guardano bene dall’aprire bocca. Al contrario, appaiono soddisfatte dal lavoro che fanno gli egiziani «per garantire la sicurezza ». «La carneficina si è aggravata nel 2007 – spiega Sigal Rosen – quando Israele ha fatto la voce grossa con il Cairo affinché venissero fermati gli ingressi clandestini di sudanesi e altri africani. L’Egitto da allora applica misure durissime con il plauso dei governanti israeliani. Diversi nostri uomini politici hanno espresso apprezzamento per la collaborazione dell’Egitto alla frontiera tra i due paesi».

Coloro che si avvicinano al confine (lungo 250 km) quindi rischiano la vita. Non importa se fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla morte. Poco importa se sono donne e bambini. A nulla sono serviti gli ultimi appelli a fermare le uccisioni rivolti da Amnesty international e Human rightswatch (Hrw) all’Egitto e, indirettamente, a Israele. Le raffiche contro i migranti non cessano. E in risposta alla critiche, il portavoce del ministero degli affari esteri egiziano, Houssam Zaki, ha difeso l’uso della forza letale contro persone che pure non minacciano in alcun modo i militari. «Abbiamo il diritto e il dovere di proteggere la frontiera del nostro paese dalla criminalità, dal traffico di armi e dal contrabbando», ha dichiarato Zaki, aggiungendo che i migranti uccisi «non avevano rispettato l’intimazione a fermarsi fatta dai soldati». Più esplicito è stato lo scorso 9 settembre, sulle pagine del quotidiano al Masry al Youm, il governatore del Sinai, generale Mohammed Shousha. «Non è sbagliato aprire il fuoco – ha detto – intimare l’alt non serve a molto perché (i migranti) non si fermano e provano sempre ad entrare in Israele». La cooperazione al confine tra Tel Aviv e il Cairo quindi non è limitata alla chiusura che soffoca la Striscia di Gaza. Include anche il blocco di povera gente proveniente da Sudan, Eritrea e altri paesi dell’Africa subsahariana alla ricerca di una vita migliore o dell’asilo politico.

Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, da 2 a 3 milioni di cittadini sudanesi, in buona parte migranti ma anche rifugiati in fuga dalla persecuzione, si trovano in Egitto. L’aumento dei morti alla frontiera peraltro indica un mutamento delle rotte della migrazione africana, dopo che la strada verso l’Europa si è fatta più difficile, anche a causa degli accordi tra Italia e Libia. Per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, attualmente gli eritrei rappresentano il gruppo nazionale più numeroso tra i migranti che cercano di entrare in Israele. Sanno di poter morire eppure non rinunciano ad infiltrarsi in quello che considerano un pezzo d’Europa in Medio Oriente.
Dopo appena tre mesi di lavoro, l’Alto funzionario del ministero dell’interno Tziki Sela pochi giorni fa ha rassegnato le dimissioni. Ma nei sobborghi più poveri di Tel Aviv e delle cittadine emarginate nel nord e nel sud del paese nessuno se l’è sentita di festeggiare l’evento.

In attesa del suo nuovo comandante, l’unità speciale «Oz» creata da Sela continuerà a dare la caccia a migranti e lavoratori senza permesso. Dal primo luglio a oggi, la «Oz» ha avuto modo di «mettersi in luce» per aver individuato un gran numero di stranieri che si trovavano illegalmente in Israele: almeno 220 nelle prime due settimane di lavoro. Fra questi non pochi sono già stati espulsi, mentre gli accertamenti proseguono ovunque. In pericolo anche 1.200 bambini, figli di lavoratori stranieri. Il ministro dell’interno Eli Yishai (del partito ultraortodosso dello Shas) intende espellerli alla fine dell’anno scolastico, ma il governo non ha ancora preso una decisione definitiva. L’incertezza ha scatenato la protesta di Yishai che ha minacciato di lasciare l’incarico se l’esecutivo non approverà il suo piano di individuazione ed espulsione dei clandestini di ogni età. Obiettivo di Yishai è allontanare tutti gli stranieri entrati o residenti illegalmente in Israele. Non è chiaro però come l’unità «Oz» potrà portare a termine l’incarico di fare piazza pulita degli «alieni».

Secondo dati del ministero dell’interno sono circa 280 mila i clandestini in Israele: 118mila sono lavoratori stranieri (soprattutto asiatici e dell’Europa dell’est) entrati regolarmente nel paese ma che sono rimasti oltre la data di scadenza del visto di lavoro (cinque anni). Altri 90mila sono «turisti» rimasti al termine del visto di tre mesi. Ventiquattromila, in gran parte «asilanti », sono entrati dall’Egitto mentre 2.000 bambini nati in Israele da genitori stranieri non hanno uno status preciso e diritto ad un permesso. «I governanti israeliani prima hanno fatto entrare un gran numero di lavoratori stranieri (per sostituire quelli palestinesi, ndr) o ora pensano di mandarli a casa con la forza - ha protestato il deputato comunista Dov Henin - non è giusto, il lavoro straniero è stato il motore della crescita economica di questo paese, ha dato enormi vantaggi a tutti gli israeliani». Henin ha anche ricordato i riflessi negativi in economia dell’espulsione di circa 40.000 manovali africani una decina di anni fa. Ma la «Oz» non è a caccia soltanto di sans papier, cerca anche i lavoratori giunti agli sgoccioli del loro visto di lavoro, per garantire che lasceranno Israele alla scadenza del permesso. E chi finisce in manette non viene certo trattato con i guanti di velluto nella prigione di Givon, dove giungono buona parte dei clandestini arrestati. Tra questi, ha riferito la stampa israeliana, c’erano nelle settimane passate anche otto ragazzini (sette egiziani e un sudanese).


Michele Giorgio
il Manifesto, 20 ottobre 2009, p. 7
Insomma, gli israeliani che hanno il più alto indice di moralità del mondo loro ai clandestini sparano o fanno sparare: come a Sabra e Shatila. Si noti il neofariseismo dei nostri giorni. Sembra di leggere il Vangelo in una edizione aggiornata all’anno 2009 di Nostro Signore. Insomma, la propaganda hasbarota ci dice che in Africa succedono ben altri genocidi, grossolani e non discreti, che non quelli raffinati di Palestina in funzione a ciclo continuo dal 1882 in fase preparatorio e dal 1948 in fase industriale ed in grande stile.In questo contesto ci si soffermi su un dettaglio. Nella fase di progettazione (1882-1947) e nella fase esecutiva (piano Dalet: 1948-2009, fino al piano “Piombo Fuso”) si poneva il problema di cosa farne degli indigeni che fossero “sopravvissuti”, malgrado le massicce operazioni di sterminio e pulizia etnica. Era prevista una sorta di condizione schiavistica da cui attingere per lavoro a basso prezzo. Negli ultimi tempi però si è valutata la convenienza politica di togliere la manovalanza schiavistica indigena sostituendola con una manovalanza non-palestinese ma neppure ebraica. Solo che una simile operazione ha senso solo se è “usa e getta”. Nello stato “ebraico” si ripresenterebbe il problema dell’integrazione e la facile soluzione della circoncisione e della conversione forzata all’ebraismo delle manodopera stagionale o a tempo determinato forse non è stata ancora pensata. Chissà che non si possa per questa via torna al periodo d’oro della Kazaria, caratterizzato da un vasto numero di conversione all’ebraismo, i cui probabili discendente sono i russi e gli slavi, in buona parte oggi in Israele.

Ecco qui che il fenomeno dei “clandestini” si ripresenta anche per Israele. Loro però al posto dei nostri “centri di accoglienza” hanno i cimiteri, o fosse e cumuli funerari davanti ai muri dei cimiteri, dove scaricano i disgraziati ai quali si spara a vista subito alla frontiera. Non si è ancora pensato alla loro cremazione che farebbe risparmiare terra preziosa. E che diamine! Era stato intimato loro l’alt! Non si sono fermati e dunque è legittimo sparargli addosso. Se la son voluta. Lo stato ebraico razzista e sionista über alles! La “sicurezza” di Israele vale bene la vita di miserabili straccioni che scappano dal Darfur o da altri luoghi dell’Africa devastata, ma le cui risorse fanno gola allo stato ebraico, come ci ha fatto sapere Geddafi, quella malalingua.