domenica 20 settembre 2009

Inattuali: 1. Paolo Orano: «Gli Ebrei in Italia» (Roma, Casa editrice Pinciana, 1938)

Vers. 1.2 /28.9.09

Questa nuova serie di post è speculare all’altra contrassegnata come “Freschi di stampa” ed intermedia all’altra “Testi di studio”. Mentre i “Freschi di stampa” sono spesso libri usciti il giorno stessa nella Libreria che ho sotto casa, gli “Inattuali” sono libri di cui si è persa la memoria, di cui non si parla più se non per qualche citazione erudita o totalmente sepolti in poche Biblioteche che li conservano nei loro cataloghi. Se di pubblico dominio, cioè senza Copyright, non escludo di poterne dare il testo completo, conferendo loro nuova vita, se appena rientrano nei miei interessi o nelle mie ricerche. Se – come in questo caso di Orano – non risulta ancora scaduto il Copyright (70 anni dalla morte dell’autore, salvo liberatoria da parte degli aventi diritto) – ne farò una sorta di ampio riassunto con citazioni ed estratti. Su Paolo Orano la mia attenzione è stata richiamata da una citazione piuttosto riduttiva da parte di Sergio Romano nel suo volume Lettera ad un amico ebreo, alla quale io vorrei contrapporre idealmente una mia Lettera ad un nemico ebreo. Inizio qui un percorso di ricerca, di cui conosco l’inizio ma non la fine. Ho in mente di esplorare la letteratura italiana in anni a noi non vicini e soprattutto non seguendo la cartellonistica delle interpretazioni recenti del nostro passato pure recente, con le sue censure e demonizzazioni. Non mi fido di nessuno se non del mio stesso giudizio che si forma dalla lettura diretta dei testi. La scrittura su Internet è per me diventata ormai una prassi acquisita e congeniale. Se in questo mio viaggio a ritroso nel tempo non più attuale avrà dei compagni, cioè dei Lettori interessati, ne sarò lieto. Ma l’essere solo nel viaggio non mi scoraggia affatto. Anzi mi esalta. Per il testo di Paolo Orano, Gli Ebrei in Italia, procedo con una lettura sequenziale, cioè pagina dopo pagina, riassumendo, saltando, soffermandomi ovvero interrompendo per andare alla ricerca di altri autori chiamati in causa. Mi sembra un viaggio interessante e lo inizio senza altro indugio. Prego i miei Quattro Lettori di essere pertinenti nei loro eventuali commenti. Sono uno spirito liberale della massima apertura, ma non credo che abbia senso per un malinteso senso di libertà ospitare commenti illegali fatti di insulti, volgarità, minacce e repertorio da porto di mare. Tolti questi casi saranno bene accetti tutti i contributi, anche e specialmente se critici. È tutto – mi pare – quanto si possa e si debba dire in un’Avvertenza introduttiva. La forma grafica e redazionale sarà quella ormai propria d “Civium Libertas”, che prevede post necessariamente lunghi in forma di libri veri e propri ed altri post più agili che possono essere divisi per capitoli collegati da links.

Sommario: 1. Gli Ebrei in Italia ieri e oggi. – 2. Risalendo nei tempi. – 3. Il danaro e Israele. –

1. Gli Ebrei in Italia ieri e oggi. – Cercherò di citare dal testo il meno possibile, per ragioni di Copyright, ma non posso omettere le frasi iniziali di Orano:
«In Italia si scrive pochissimo degli ebrei, dei loro problemi, delle teoriche e delle polemiche che nel mondo attuale li riguardano» (p. 9).
A settant’anni dall’emanazione delle leggi razziali che nel decorso 2008 ci hanno inondato di manifestazioni rievocative dove la retorica è stata padrona e l’intelligenza ridotta a Cenerentola mi paiono tre le interpretazioni che si possono isolare e classificare sul perché delle leggi razziali, il cui contenuto e l’esatta portata andrebbe studiato a parte, ed in parte abbiamo iniziato a farlo criticando un libro antologico uscito sull’argomento: a) le leggi razziali sono espressione metafisica del Male; b) le leggi del 1938 sono un prodotto dell’incipiente e determinante influenza della Germania nazista sull’Italia fascista; c) Mussolini ed il fascismo scoprirono l’esistenza di una Lobby ebraica ed i suoi collegamenti con il sionismo, ovvero mutuando da Mearsheimer e Walt potremmo dire La Israel lobby e la politica estera italiana. Il testo di Paolo Orano ha il grande pregio di essere stato scritto nel 1938, o meglio di essere uscito nel 1938 e quindi di essere stato pensato ancora prima di quest’anno.

Dico subito che io propendo per la terza ipotesi e ringrazio Alberto B. Mariantoni per avermi aperto questa nuova prospettiva di ricerca. Per una sua verifica mi aspetto molto dalla lettura di Paolo Orano, il quale di certo non ignora quanto succedeva in Germania a proposito degli ebrei, ma ne testimonia la scarsa o nessuna incidenza in Italia:
«Gli stessi avvenimenti derivati dalla politica del Reich nazista nei confronti dell’ebraismo e dalla sollevazione degli arabi di Palestina contro l’immigrazione israelitica intesa a ricostituire lo Stato sionistico, sono appena commentati e i commenti non rivelano non dico qualche preoccupazione, ma neppure una speciale attenzione sulla entità del fatto e quelle che potrebbero essere le conseguenze politiche nei riguardi dell’Italia» (p. 9).
Caspita! Qui lo scrittore ha presente con grande lucidità la natura del conflitto palestinese negli anni 1936-1939, in corso mentre scriveva. Si trattava di una sollevazione degli arabi contro la costruzione dello stato sionista che dalla dichiarazione Balfour veniva perseguita. La responsabilità inglese era già evidente. La feroce repressione degli inglesi decapitò la dirigenza politica dei palestinesi, che si trovarono senza i loro leaders quando nel 1948 i capi sionisti passarono all’attuazione del loro piano D già pronto da tempo, cioè alla pulizia etnica della Palestina, allo sterminio ben più efficace del popolo palestinese del quale si voleva annullare ogni consistenza politica. Per “genocidio” non occorre qui intendere necessariamente l’uccisione fisica di tutti i palestinesi che abitavano i loro villaggi al momento dell’insediamento coloniale ebraico. Ha più senso e maggiore efficacia trasformare un popolo politicamente unito in una moltitudine dispersa di disperati, di profughi, di sciancati sparsi per il mondo a popolare le bidonville occidentali. Era ed è questo l’obiettivo del “processo di pace”, cioè di un tempo sufficientemente lungo per la dispersione del popolo che è stato spogliato di ogni suo bene e di ogni sua identità. Paolo Orano nel 1938 – prima che l’«Olocausto» fosse – aveva già capito tutto questo. Il vero “Olocausto” era già in atto ed era quello del popolo palestinese.

Nelle pagine di Orano non possono mancare di echi del recente Concordato fra il fascismo e la chiesa cattolica, i cui Patti vengono collocati un’amplissima prospettiva storica dove la Chiesa cattolica riveste un ruolo sempre centrale. Anche il Risorgimento italiano è in qualche modo svalutato e ridimensionato nella misura in cui poteva avere un significato anticattolico. Il mazzinianesimo, a cui si tenta oggi di collegare il sionismo, nobilitandolo e spogliandolo del suo contenuto criminale, è visto negativamente per il supposto ruolo di scardinamento del cattolicesimo:
«…fallito il programma carbonaro, massonico, repubblicano, mazziniano e di una nazione che sostituisce un Dio razionalistico ed un’etica esclusivamente civile al dogma, al culto, al sacerdozio, alla Chiesa» (p. 11).
E non vi può essere dubbio che questo potrebbe essere un punto di attracco del sionismo nel movimento risorgimentale italiano, ma sarebbe un ruolo dissolvitore in contrasto con le prevalenti ispirazione unitarie, libertarie, egualitarie, solidaristiche. Non anticipiamo qui quelli che dovranno essere i risultati di una lunga esplorazione dell’opera di Mazzini, vasta di cento volumi e di cui l’edizione nazionale delle Opere non era ancora conclusa ai tempi di Paolo Orano. Qui basti solo un accenno al problema ermeneutico delle asserite fonti risorgimentali e mazziniane del sionismo. Di certo i recenti
«Patti del Laterano chiudendo e risolvendo il dissidio tra Stato e Vaticano in Italia, pongono come obbligo assoluto al cittadino, alla scuola, alla cultura di non riaccenderlo. Lo Stato, e più che lo Stato, il Regime Nazionale Fascista intende con ciò esclusa ogni possibilità alla ripresa della polemica religiosa» (p. 11).
Si può trovare in questo brano una spiegazione plausibile a quello che sarà da quel momento in poi l’atteggiamento dell’ebraismo verso il regime fascista e verso la Chiesa cattolica, che dal 1870 non dispone più di un potere temporale e con la caduta del fascismo di un regime che gli assicurasse la massima protezione istituzionale possibile. Il Concilio Vaticano II lo si può leggere come un’intrusione, un assalto dell’ebraismo nel corpo millenario della dogmatica cattolica, uno scardinamento condotto dal suo interno. Le accuse a Pio XII appaiono in una prospettiva storica di lungo periodo quanto mai strumentali.

Orano prosegue nel suo testo attestando come fino ad allora non vi fossero mai stati nei rapporti personali di amicizia con gli israeliti romani screzio alcuno. Riferisce di una signora israelita che era “ardentissima mazziniana” ma anche la “più cara amica di [sua] Madre”. Ciò tuttavia nella comune «vibrazione patriottica della “nostra” entrata in Roma nel settembre 1870» (p. 13). Al di là dei vincoli personali di amicizia esistenti nella generazione di Paolo Orano (1875-1945) non poteva non mutare il quadro generale dei rapporti fra ebraismo nazione cattolica italiana dopo l’entrare in vigore del Patti e la creazione dello Stato del Vaticano. Sempre in una prospettiva storica di amplissima visuale si pone il problema della posizione di uno strato socio-culturale italiano, di grande consistenza, che poteva starsene distanziato dai problemi di natura propriamente religiosa e della cui presenza si può aver sentore dal celebre opuscolo crociano “Perché non possiamo non dirci cristiani” piuttosto che doversi dire “ebrei” o “atei devoti”.

Non voglio ampliare l’analisi che qui sarebbe da fare, ma mi limito ad enunciare il concetto con l’immagine del Kat-echon cattolico di fronte all’irrompere sulla scena politica della minaccia ebraica. Per chi, essendo soltanto battezzato e senza particolare devozione ecclesiale, si fosse trovato a riflettere ieri, come oggi, sul nuovo scenario politico-teologico aperto dalla composizione del secolare dissidio risorgimentale fra Stato e Chiesa, si poneva concretamente il problema se restare cattolico, sia pure formalmente, o diventare sostanzialmente ebreo, assistendo inerte agli assalti distruttivi dell’ebraismo, la cui liturgia, per lo più segreta ed impenetrabile ai goym, non era mai stata tenera verso il cristianesimo, che come riconosce Paolo Orano era nato non a Gerusalemme, ma a Roma in un sincretismo religioso che accoglie in sé molti più elementi provenienti dalla religiosità e dalla liturgia greco-romana che non dalla tradizione giudaica. Il problema conserva tutta la sua attualità, ma la sua consapevolezza anche all’interno del clero cattolico, sempre più ignorante e disorientato, resta quanto mai basso. Il caso Williamson è per molti versi illuminante. Quello che avrebbe dovuto essere un fatto tutto interno alla chiesa cattolica, di nessuna rilevanza sotto il profilo teologico, dommatico, pastorale, è stata invece una rivelazione eclatante del grado di ingerenza dei poteri ebraici all’interno dell’edificio cattolico.

Un personaggio pittoresco come Elie Wiesel pretendeva dal papa che lasciasse Williamson nella condizione teologica di scomunicato dalla chiesa Chiesa cattolica per un nuovo reato di lesa Shoah. Almeno Wiesel fosse stato un cattolico, ma è un notissimo ebreo. Invece, per il semplice battezzato cattolico, per nulla voglioso di bazzicare in sagrestia e negli edifici della Curia, si pone il drammatico problema se al tradizionale battesimo per se ed i suoi figli debba ora venir sostituita la circoncisione virtuale obbligatoria per tutti, se come ha rilasciato alle agenzie un noto politico possiamo certamente non dirci più cristiani, giacché «siamo tutti ebrei». Apprezzo il lavoro di Piergiorgio Odifreddi, per certi versi liberatorio, il quale se non si professa cristiano e meno che mai cattolico, penso che non abbia nessuna intenzione di convertirsi all’ebraismo e farsi circoncidere, come del resto hanno già fatto non pochi parlamentari del centro-destra, di fatto voltando le spalle al cattolicesimo. E se dovesse per forza scegliere tra l’essere cattolico e l’essere ebreo, io credo che sceglierebbe l’essere cattolico. Gli giro la domando con una email di questo post, richiamando la sua attenzione su questo paragrafo dove pongo la tesi del cattolicesimo come un Kat-echon di fronte all’avanzare dell’ebraismo nel mondo per le ebraicissime armi della superpotenza (speriamo declinante) degli USA.

Dopo questa nostra digressione ritorniamo al testo di Orano, il quale ha ben presente che la partecipazione degli ebrei italiani al Risorgimento non era gratuita, ma era largamente influenza dalla lotta al potere temporale cattolico, dalla cui caduta molto si aspettavano:
«L’Austria confessionale e la temporalità del Papato erano i due ostacoli da far cadere» (p. 13).
Segue dunque una lista di nomi di ebrei che presero parte attiva e rilevante nei moti risorgimentali: Daniele Manin, Gustavo Modena, Isacco Pesaro Maurogonato. L’abbattimento dell’Austria imperiale e cattolica e l’obiettivo di Roma capitale d’Italia erano due passi essenziali e necessari. Ma ciò spiega anche la predilezione per Giuseppe Mazzini:
«Giuseppe Mazzini era intimamente legato all’ambiente ebraico; casa Nathan-Rosselli era la sua famiglia e senza dubbio la formazione e la trasformazione del suo pensiero debbono qualche cosa alla perenne suggestione così in Isvizzera come a Londra della mentalità umanitaria democratica repubblicana di quell’ambiente. D’origine ebraica sono oggi in Italia gli studiosi di Mazzini e li trovate impegnati con passione a dar rilievo alle idee universalistiche e per rispetto alla Chiesa ed alla Monarchia emancipatrici, dell’agitatore genovese. Si deve forse prevalentemente all’azione degli israeliti se la massoneria italiana ha fatto di Mazzini il suo testo e se con gli anni non soltanto la famiglia massonica, ma anche la città di Roma sono stati governati dall’erede ufficiale della casa ospitale di Mazzini, Ernesto Nathan, sindaco della capitale del Regno, gran maestro dell’Ordine massonico. Ricordo, a proposito del Nathan, come la voce popolare la riconoscesse rassomigliantissimo al celebre amico della sua famiglia» (p. 14).
Le cose sono effettivamente cambiate, ma qualche volta il diavolo ci mette la coda e non sempre vanno per il verso giusto ossia per il verso programmato. Dall’unità d’Italia e fino ai Patti lateranensi ed alla nuova politica dello Stato italiano verso la Chiesa si era realizzata una fusione fra cristiani ed ebrei in costanza di assenza di un potere temporale del Papato. Non esistevano frizioni e fenomeni di intolleranza.

Torna al Sommario.

2. Risalendo nei tempi. – In questo paragrafo Orano ricostruisce per somma capi la storia della presenza in Roma degli Ebrei. Nota come ai tempi di Pompeo era cresciuto il loro numero nell’Urbe, ma subito si fece notare anche la loro “turbolenta immistione” nella vita politica. Il dato più interessante di questo capitolo del libro di Paolo Orano, che si rifà ampiamente se non intergralmente a Lazare, è l’accenno all’iniziale, vasto, penetrante proselitismo degli ebrei, cosa che oggi contrasta con quanto le stesse comunità ebraiche danno ad intendere, cioè che l’ebraismo non pratica il proselitismo e non è interessato a far proseliti. Si infastisce tremendamente se i critiani pregano per la conversione degli ebrei. Lo considerano una forma di antisemitismo, termine quanto mai vago e pericoloso, avendo ricevuto in molte legislazioni una qualificazione penalistica. Non è però vero che oggi l’ebraismo non sia dedito ad una vasta campagna di proselitismo: il mito della Shoah, le sanzioni che perseguono e perseguitano gli strici revisionisti, le “giornate della Memoria”, etc. etc., sono le infinite forme con le quali oggi è in atto una massiccia campagna di proselitismo che ha addirittura intaccato il corpus dommatico-dottrinale della chiesa cattolica, il principale concorrente e avversario storico del giudaismo. L’ambigua e contradditoria formula delle radici giudaico-cristiane ne è un esempio palese. Adottando la terminologia di cui ci rende edotti Orano, diciamo pure che si preferisce il proselitismo «della porta», senza obbligo di circoncisione, rispetto a quello «di giustizia», che richiede necessariamente la circoncisione. La nostra classe politica conosce molti proseliti nell’uno o nell’altro senso.

Per liberarsi di un proprio avversario o di uno scrittore non gradito, ma anche di un politico, o di un candidato a cariche pubbliche, ad esempio l’egiziano Hosni, basta far circolare la voce che è un antisemita ed il gioco è fatto. Scattano poi le sanzioni nazionali e sono chiamate a raccolta le comunità ebraiche presenti nei vari paesi e spesso assai influenti all’interno della società civile e politica, nelle istituzioni edicative e nei gangli economici. Il fenomeno del proselitismo ebraico esisteva fin dalle origini ed ebbe un novevole successo, sulle cui cause e sulle sue evoluzione è certamente interessante indagare in altra sede. Qui basta accennare che le diverse comunità oggi esistenti non possono farsi discendere geneticamente tutti da una dispersione dopo il 70 d. C. La deportazione o dispersione non vi fu e non avrebbe potuto essersi per le condizione tecnologiche dell’epoca. Dunque gli odierni ebrei sono discendenti degli antichi convertiti o recenti convertiti. Sono dunque russi e slavi, africani, iberici e così via. Certo, al pari di altre comunità nomadi, non hanno mai voluto fare intergralmente parte del popolo presso cui si trovavano: la “separatezza” era loro essenziale non solo per conservare la loro identità, ma per poter continuare ad esercitare le funzioni socio-economiche che li ha caratterizzati nel tempo. Da qui più che da cause religiose nacque nel tempo l’avversione dei popoli. Esisteva però una distinta causa religiosa che già si manifestò sotto i romani che ha a differenza dei greci erano più legalità alla ritualità liturgica che non alla simbolica e mistica nella raffigurazione della divinità. Nella loro grande tolleranza avevano concesso un posto nel Pantheon ad ogni divinità straniera, ma pretendevano che in Roma si rispettassero gli dei romani e non si facesse loro opposizione o li si tenesse in dispregio. È facile dunque capire come dovesse sorgere un contrasto con l’ebraismo, per il quale tutti gli altri popoli sono “idolatri”, termine certamente non ossequioso anche se l’esegesi diplomatica dei testi ebraici è capace di ogni volo pindarico. Ovviamente l’incompatibilità religiosa – che si tenta pericolosamente di oscurare dal Concilio Vaticano II in poi – è cosa diversa dalla conflittualità e dalle reazioni popolari e sociali che si presentano nel corso dei secoli, anzi dei millenni.

Considerati le pratiche religiose e non religiose ebraiche, già nella Roma precristiana vi furono reazioni alla presenza ebraica, molto prima che Hitler e Cristo potessero venir caricati dell’accusa rituale di antisemitismo. Considero troppo note per ripeterle qui le citazioni di Cicerone, Tacito ed altri scrittori classici. La loro importanza consiste essenzialmente nel fatto che ciò che oggi viene, con rilevanza penale, classificato come “antisemitismo” non è stato né una prerogativa storica del cattolicesimo e meno che mai un’esclusiva del nazismo, che in realtà doveva fare i conti già dal marzo 1933 con una formale “dichiarazione di guerra” che il sionismo ovvero ebraismo aveva rivolto al regime appena insediatosi. Difficile per il regime non vedere in ogni suo cittadino ebreo una quinta colonna del nemico. Probabilmente, non pochi ebrei tedeschi o europei devono ringraziare per la loro sorte la loro componente sionista. Sono certo che non pochi ebrei finiti nei campi di concentramente sarebbero stati lieti di essere fedeli, assolutamente fedeli senza riserve, agli stati di cui facevano parte. La loro condizione è stato irrimediabilmente compromessa dal sionismo che a tutti i costi li voleva estirpare dalla fedeltà agli stati di cui facevano parte e quindi dall’inevitabile assimilazione. In fondo, l’essenza dell‘ebraismo è la separatezza da tutto ciò che lo circonda. Questo particolare è quasi sempre taciuto e sembra che la reazione, anche violenta, da parte del nazismo sia sorta improvvisamente dal nulla. Non la si può ricondurre nella sua genesi alla tradizione cristiana e cattolica, perché come è stato giustamente rilevato il nazismo fu un movimento politico che più di ogni altro nella costruzione della sua ideologia si andava distaccando dal cristianesimo e si orientava verso forme politeistiche di neopaganesimo. È assurdo pensare che il nazismo, addirittura Hitler, che pensava ad altro, volesse fare quel lavoro che mai nessun papa, avendone tutti i mezzi, aveva voluto fare nel corso di oltre un millennio. Le ragioni dell’antisemitismo nazista vanno certamente indagate, ma non in direzione di una matrice cristiana.

Torna al Sommario.

3. Il danaro e Israele. – La mancata volontà di fusione con i popoli indigeni sia da parte dei mori sia da parte degli ebrei vengono individuati da Paolo Orano come i fattori ideologici che portarono all’espulsione dalla Spagna sia degli arabi sia degli ebrei. A distanza di secoli questo eventi è ancora oggi ricordato dall’ebraismo trionfante come una “colpa” degli spagnoli odierni ed è addirittura valutato per una richiesta di risarcimento danni sia economici sia politici. È assurdo e ridicolo il solo pernsarlo, ma è così e ne raccoglierò i testi via via che li incontrerò nuovamente, collandoli magari qui in un sottoparagrafo. La spiegazione di Orano che rifugge dalla casistica che si può riscontare nei libri di storia merita di essere tenuta a mente per una successiva riflessione. Dunque, sia arabi sia ebrei non volevano integrarsi con la restante popolazione iberica. La tesi è da studiare come pure sono da indagare i rapporti a due fra ebrei ed arabi. Non credo che fossero rapporti idilliaci. Colloco qui una citazione che prendo da Piero Sella, il quale getta una luce inconsueta sui rapporti fra mori ed ebrei nella Spagna ante 1492:
…La sconfitta dei mori è la premessa per saldare i conti anche con i giudei; un decreto reale di fine marzo li espelle in blocco: è lo scotto inevitabile di secoli di collaborazionismo con l’occupante musulmano, il quale, fin dall’inizio, aveva posto gli ebrei in posizioni sociali di grande rilevo, lasciando di fatto in loro mani il governo della cosa pubblica. Uno stato di cose che non poteva passare inosservato e che aveva suscitato vivo malcontento tra gli stessi mori. Abu Ishaq da Elvira, in visita a Granada alla fine dell’XI secolo, aveva così scritto degli ebrei: «Essi sono i padroni della capitale e delle provincie; questi maledetti sono dappertutto a capo dell’amministrazione; riscuotono le tasse, gozzovigliano e portano vesti sfarzose, mentre i vostri abiti, o musulmani, sono vecchi e logori. Non c’è segreto di stato che essi non conoscano e, mentre i seguaci della vera religione si devono contentare di un nutrimento assai scarso, i giudei siedono nel palazzi a suntuosi banchetti» (24).

P. Sella, Prima di Israele,
Edizioni dell’Uomo libero, 2006, p. 153.
Nota 24:
Herman Schreiber, Gli arabi in Spagna, Garzanti 1984, p. 245.
Ad un grosso convegno che si tenne in Napoli sui tre monoteismi mediterranei ricordo che veniva citato proprio il caso della Spagna come esempio di mirabile convivenza di popoli diversi. Forse le cose non stavano così e chi voleva così rappresentarli aveva una sua propria visione ideologica di un problema attuale che trasportava di peso nel passato. Del resto, se le cose finirono come sappiamo evidentemente il principio non funzionava. Non possiamo spiegare il 1492 come un’opera del diavolo che ci mise la coda.

Dice Orano, a proposito di quelle illusioni e delle loro tragiche conseguenze, di cui ancora oggi si conserva la memoria:
«Come gli arabi, gli ebrei di Spagna s’erano illusi nei riguardi del mondo cristiano. Credevano ad un’ospitalità che desse, senza transazione di culto, senza diretta mescolanza, ogni possibilità d’essere e d’avere» (p. 31).
All’indomani della conquista dell’Alhambra, dove fu posto a vessillo la bandiera di San Giacomo, le attenzione si fissarono sulle «enormi ricchezze accumulate dagli ebrei» (ivi, 32), i quali «s’illusero fosse anche quello un affare da assestare mediante un’offerta ed eccoli dinanzi Ferdinando e Isabella con i loro famosi trentamila ducati a indennizzare, semplicemente delle spese di guerra» (ivi). Sembra oggi, ma è ieri. Era ieri, ma è ancora oggi. Allora era presente Torquemada che disse alle Loro Maestà Cattoliche Ferdinando ed Isabella: «Cristo fu venduto per trenta denari. Non lo rivenderete per trentamila» (ivi). Oggi bastano trenta euro e la forma consueta è quella della premiazione per un qualche merito che non è difficile motivare ovvero una qualche contribuzione per una nobile e lecita causa. L’uso spregiudicato del denaro è una caratteristica costante dell’ebreo. Non credo che il pregiudizio sia del tutto infondato. Persino, un ebreo di nome Norman G. Finkelstein ha riconosciuto questa inveterata, atavica prassi e abitudine mentale e religiosa nel suo volume «L’Industria dell’Olocausto», che gli è valso la scomunica politica, sociale, economica da parte dell’ebraismo e della Israel lobby.

«Spagna voleva dire allora anche Sardegna…”: così Orano inizia a tratteggiare la storia della presenza ebraica nell’isola, ad incominciare da quando Tiberio relegò qui egiziani ed ebrei che si erano resi invisi nell’Urbe. Non riassumiamo qui tutto il testo di Orano eccetto che nelle sue conclusioni. Sempre la fortuna ebraica appare collegata all’esercizio dell’usura, alle guerre fra i sovrani europei, dal loro conseguente indebitamento e dalla concessione di privilegi e benefici agli ebrei in cambio dei finanziamenti ottenuti e a detrimento delle popolazioni, che fatalmente insorgevano contro la rapacità degli esattori ebrei. Dalla protesta popolare seguiva poi una legislazione espulsiva da parte dei sovrani che nel popolo avevano la loro unica fonte reale di legittimazione. La storia si ripete in ogni tempo e sotto ogni cielo. Sempre gli ebrei mantengono un rapporto di estraneità e separatezza rispetto ai popoli nei quali si trovano come eterni ospiti, pronti ad abbandonarli appena gli affari si mettono male. Non il sangue, non la razza nè motivazioni autenticamente religiose, ma un modo di vivere a spese altrui è ciò che caratterizza l’ebraismo nel tempo. Oggi questo sostanziale sradicamento è ostentato come un pregio e un vanto, eccetto che nel caso della Palestina dove per mettere radici vi si sradicano quelle dei legittimi e autoctoni abitanti, cioè i palestinesi, pretendendo che essi non siano mai esistiti, non esistano ovvero siano irrilevanti. Per ottenere la massa demografica da contrapporre agli indigeni abbiamo assistito nel corso del XX secolo fino ai nostri giorni ad una sorta di richiamo di tutti gli avventurieri, piuttosto malridotti, che in ogni parte del mondo abbiano conservata appena la loro caratterizzazione ebraica. Ecco dunque venire dalla Russia gli sterminatori dei Kulachi, dalla Polonia, da ogni dove, avendo assicurato una terra, una casa, risorse e ricchezze mai guadagnate. Caspita, se conviene emigrare a spese altrui in Israele! Proviamo cosa sarebbe per i nostri immigrati clandestini, se non solo venissero invitati e accolti a braccia aperte, ma venisse loro offerta una casa, le case migliori, tolte a quelli che fini ad oggi sono italiani, ma che dal giorno dopo si verrebbero a trovare nella condizione degli odierni profughi palestinesi: decimati, espulsi, derisi, dispersi, estraniati a loro stessi togliendo loro ogni elemento identitario.

Questa è la superiore civiltà ebraica, i cui sacerdoti e ministri sono fra di noi e parlano per bocca dei nostri sindaci, dei nostri onorevoli, del nostri presidenti. A noi toccano sanzioni e discriminazioni di ogni genere se appena osiamo lamentarci e opporre qualche resistenza alla nuova memoria che ci viene instillata. Ci si dice, da uno storico ebreo, Tony Judt, che la nostra nuova identità deve essere costruita su “Auschwitz”, ossia sulla nostra confessione di colpevolezza e di indegnità morale per le passate, presenti e future generazioni. Le città d’Europa brulicano di faranoici monumenti e musei destinati a cucirci addosso questa nuova identità. Per scoprire il disegno non vi è d’uopo di molto studio e ricerca. Ecco dunque imporre nelle scuole programmi coercitivi, punire gli insegnanti recalcitranti, mandare in galera storici che offrono un diverso racconto di come andarono le cose vissute dai nostri padri e dai nostri nonni.

Il denaro e la corruzione sono gli strumenti di sempre per volgere gli uomini di governo contro i popoli che dovrebbero rappresentare. Un parlamentare, che in un mese può guadagnare quanto un normale cittadino non guadagna in un anno, ha interesse unicamente per chi gli può offrire i mezzi economici e politici per montare in sella. La democrazia – come ha ben detto il regista del “Mio Bush” – non esiste affatto. È un’invenzione dei giornali, della televisione, dei media. Per far vedere che non parlo a vuoto basta citare l’organizzazione ebraica americana AIPAC, che è in grado di fare e disfare parlamentari e presidenti. L’AIPAC non è che una sigla che opera alla luce del sole e che non ha bisogno di nascondersi. Accanto ad essa ve ne sono di innumerevoli che a noi non è neppure concesso di conoscere. Se li individuiamo e li elenchiamo, scattano le rituali accuse di antisemitismo con sanzioni più o meno gravi. Insomma, nel 1938 già Paolo Orano aveva riconosciuto l’esistenza di un problema che noi oggi sperimentiamo sulla nostra pelle.

4. La fede cattolica. –

(segue)

Nessun commento: