sabato 10 gennaio 2009

L’incipit di Benny Morris, ma Gaza chiama Auschwitz. Sulla manifestazione sionista di piazza Montecitorio.


Non saprei se dirmi orgoglioso per aver dato vita a questo blog e se dover rimpiangere il tempo dedicato ad un nuovo strumento di comunicazione che la maggior parte dei miei più saggi colleghi snobbano come una cosa da ragazzini e perditempo. Non trovo in rete niente che sia comparabile a quanto da me qui creato: non vi è in questa constatazione né autocompiacimento né rimpianto. Il giudizio resta sospeso. La premessa mi serve per dire che ho qui fra le mie mani un grosso volume di Benny Morris: La prima guerra di Israele. Dalla fondazione al conflitto con gli stati arabi 1947-1949. Ho anche altri libri di Morris e non solo di Morris. Vado raccogliendo tutti gli autori che considero ideologi del sionismo e ne vado facendo altrove una lettura critica. In diverse circostanze ad un libro stampato si risponde con un libro stampato. Ho l’onere professionale di produrre stampati nel mi specifico ambito. Non amo produrre carta stampata ed amo invece di più gli alberi e la natura che fornisce il materiale di cui i libri si servono per il loro supporto cartaceo. Non ho poi nessun specifico interesse professionale a scrivere su Benny Morris, di cui mi accorgo che è un grosso nome in campo sionista. E dunque se afferro per le corna il toro più grosso, non mi occorre poi un particolare dispendio di energie per trattare i “ragazzi del focolare”, le “boccucie di rosa”, le madonne Fiammette e simile genia. Tutti costoro dipendono dai loro maggiori ideologi. Basta liquidare questi e poi per i minori è sufficiente un soffio.

Naturalemte per trattare tutti questi autori occorre un tempo di lavoro, anche se spesso il giudizio può essere dato con un colpo d’occhio. Ed è qui che mi soffermo su un colpo d’occhio sufficiente a valutare come “ideologica”, cioè non scientifica, l’intera opera di Morris. La prima riga di Morris: «La guerra del 1948 fu il risultato quasi inevitabile di oltre mezzo secolo di attriti e scontri arabo-israeliani». No, mio caro! Per me si tratta non di “attriti e scontri”, ma di un’impresa coloniale, di una guerra di conquista che inizia per lo meno dal 1882, da quando vi fu il primo sbarco di coloni, un contingente di 25.000 uomini. L’impresa non è diversa da quella dei padri pellegrini che sbarcarono in America convinti di arrivare ad una Terra Promessa che il Signore avevo loro concesso con implicita licenza di sterminio di quanti si trovano loro dinnanzi. E sappiamo come finì. Io penso con autentico orrore come da ragazzi ci siano stati propinati infiniti films americani dove si vedevano da una parte selvaggi armati di freccie che gridavano come scimmie e dall’altra divise militari con cannoni e fucili che facevano vere e proprie carneficine. Non aggiungo altro all’immagine: ognuno può scrivere le righe che salto.

Vengo invece allo scopo di questo post che è per un verso il rinvio ad un lavoro che si trova in questo stesso blog, dove è letta e commentata la letteratura sionista. Al riguardo ho ricevuto dalla Presidenza della Repubblica una curiosa risposta bibliografica sul “sionismo”, quasi che mi fosse occorso scrivere al Presidente per sapere quali libri leggere. Al Presidente intendevo far capire da umile suddito che non stanno né in cielo nè in terra le sue note affermazioni sul tema. Ma questa è un’altra storia. Qui invece voglio soffermarmi sui nodi in Gaza giunti al pettine: genocidio è! Il più spudorato genocidio del XX secolo che si proietta sul nuovo millennio. Se il genocidio degli indiani d’America o degli aborigeni australiani, ovvero la tratta dei negri, poteva avvenire lontano dai nostri occhi e dalla nostra coscienza morale sorretta da una scienza non inquinata da propaganda e falsificazioni di ogni genere, oggi grazie a internet che supera perfino l’epoca della carta stampata non è più possibile nascondere i “crimini” o almeno quelli che noi stessi abbiamo detto esser “crimini”, intendendo in generi che sono “crimini” quelli commessi dall’avversario, mentre le stesse identiche se non peggiori cose da noi fatte non sono da definirsi “crimini”. È questa la bella pretesa dell’Hasbara, l’ufficio di propaganda di Israele, che ci ha tormentato, speculandosi, per mezzo secolo installandoci un senso di colpa per Auschwizt, mentre ora Gaza ha superato di gran lunga in orrore il mito di Auschwitz, della Shoa, dell’Olocausto.

Sempre più spesso capita di leggere articoli di Morris sul Corriere della Sera. Qui lo “storico” appare nella sua veste di “ideologo”, ma lo storico non è per noi né Tacito né Tucidide. Ed in fondo fra certi giornalisti e certi storici vi è soltanto una differenze di pagine. Non a caso molti giornalisti raccolgono i loro articoli per proporli e venderli come libri. Nei libri di Morris è istruttiva la pagina dei ringraziamenti, da cui si evince la mole dei finanziamenti ottenuti per produrre quella che resta la giustificazione ideologica alla più infame operazione coloniale del XX secolo: la fondazione dello Stato di Israele. Per converso, non solo vengono negati finanziamenti a storici e ricercatori cosiddetti “revisionisti”, anzi “negazionisti”, ma viene loro addirittura comminato il carcere duro oltre all’emarginazione sociale, al pubblico disprezzo, all’infamia. Uno di loro ha per fortuna ottenuto in Francia uno specifico premio e riconoscimento: quello dell’Insolenza. Ma neppure questo sembra bastare ai Censori post-nazisti. Hanno così ben interiorizzato l’ideologia dello sterminio che vorrebbero ridotti alla “non esistenza” quanti già condatti ad anni di carcere. Non essendo prevista la pena di morte, se ne studia però una più sottile come pena accessoria non dichiarata ma sottintesa alla sentenza di condanna.

Con Gaza però, già adesso, mentre i morti continuano a morire ammazzati la nostra coscienza non ne verrà fuori tanto facilmente. Il «Manifesto del mondo intellettuale italiano contro l’aggressione israeliana a Gaza» che ha superato quota 1000 – come i famosi Mille di Garibaldi –, impegna virtualmente ogni firmatario, ciascuno nel suo ambito specifico e senza alcuna necessità di coordinamento sul modello costoso dell’Hasbara israeliana, a condurre la sua battaglia per la verità e la liberazione della coscienza dai parassiti della falsa informazione, che sono essi stessi non già strumenti ma aspetti della guerra ideologica del nostro tempo. Non è concessa a nessuno la “neutralità” perché il silenzio davanti al delitto è già complicità. Il “silenzio”, la “neutralità”, l’«equidistana» è già una forma di partecipazione al conflitto: si tace mentre altri compie il fatto. La nostra classe politica che per un intero anni si è dato ai festivan del 70° delle leggi razziali o al 60° dell’anniversario di Israele rivela nel momento presente la sua complicità, che avrà un suo momento simbolico in una prossima manifestazione davanti a Montecitorio, indetta da deputati sionisti per conto e nell’interesse dello stato aggressore e genocida di Israele. Dovremo ricordare i volti e i nomi di quanti si succederanno al microfono, gli stessi già da noi visti in analoghe occasioni, dove però il popolo italiano esa assente ed estraneo.

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