giovedì 14 febbraio 2008

Gaza come Auschwitz? No, peggio!

Versione 1.5
Testo in progress

Il vantaggio della scrittura digitale di un blog è la possibilità di potersi sempre correggere, non solo nelle forma linguistica, ma anche negli errori concettuali. Tutto ciò non sarebbe possibile con la carta stampata, dove gli errori rimarrebbero fissati per l'eternità. Proprio per questo ero piuttosto avaro nel licenziare miei articoli per la stampa cartacea. Caduto questo timore, nella certezza di poter sempre riformare i miei testi digitali, la mia creatività è letteralmente esplosa ed ho creato fino a 23 blogs tematici, di contenuto assai diverso l’uno dall’altro e variamente sviluppati, alcuni appena abbozzati, ma non per questo a me meno cari. Mi sposto dall'uno all'altro a secondo del mio stato d'animo o degli interessi o delle circostanze. L'errore insidia continuamente le nostre menti e la nostra vita. La lotta contro l'errore è una lotta per la vita e per la verità.

Ho fatto questa premessa perché ho offerto la facoltà di controllo preventivo di quanto verrò scrivendo ad un noto esponente dell'ebraismo romano, che cercherò di non citare, se non ve ne sarà bisogno e constatata l'intrattabilità e la pericolosità di simili personaggi, per cui potendo è bene stare quanto da loro più possibile alla larga. L’offerta è stata rifiutata in quanto giustamente assurda, ma ciò testimonia anche la malafede con la quale viene ad ogni piè sospinto usata l’accusa strumentale di antisemitismo ogni volta che si toccano determinati temi quasi esistesse un tabù. La stampa italiana, pronta su comando alla creazione di bolle mediatiche, ben si è guardata dal dare copertura mediatica all’incredibile episodio di un docente torinese sottoposto a visita psichiatrica per aver osato criticare Israele, cioè lo Stato di Israele, non qualche insigne personaggio che ne porta il cognome. Ritengo che non siano pochi i casi come quelli del prof. Pallavidini, ma il regime – ben oltre i sistemi artigianali di Goebbels – preferisce silenziarli. Un sistema dell’informazione che per fortuna si svaluta da solo ogni giorni per la stupidità, la faziosità, la contradditorietà che ogni giorno rivela. La sua sola funzione sembra essere l'effetto pubblicitario, il ripetere sempre lo stesso nome o far vedere la stessa faccia in modo da produrre l’effetto notorietà. Chi vuol pensare e capire sa bene che non deve né guardare la televisione né leggere i giornali o meglio lo deve fare cum grano salis. E qui io cerco di dare quel granellino di sale che occorre, nel caso di specie per neutralizzare le assurdità notturne di radio radicale, dedita alla caccia del mostro da sbattere in prima pagina, con riferimente alle liste “nere” di vergogna.

Verrebbe da chiedersi perché mai la stampa opera di queste parzialità, perché mai pende una parte, sostenendone faziosamente le ragioni, e trascura del tutto la campana avversa, capace di rivelare una ben più consistente verità. Per saperlo sarebbe necessario fare una radiografia della stampa italiana, e non solo italiana, elencando i nomi di proprietari di giornali, quelli dei giornalisti stipendiati e svelare l'identità che si cela dietro ad ogni combinazione di lettere alfabetiche che danno vita alla cosiddetta opinione “pubblica” che un mio amico chiamava significativamente opinione “pubblicata”, lasciando intendere che questa sia solo l'opinione di chi scrive l'articolo, coartando la formazione del libero giudizio altrui, ma per fortuna non l'opinione di chi legge o ascolta, il quale ormai ha perfettamente compreso l'esistenza di una stampa “di regime”, alla quale prestare poco credito e da dover sempre valutare con beneficio d'inventario.

Ma fare una simile ricerca atta a spiegare la parzialità e faziosità di gran parte dei media e dei politici che danno copertura significherebbe stilare elenchi di nomi e cognomi, compilando apposite liste non già per esporle al linciaggio, ma per spiegarne le connessioni ed i patti scellerati di potere, non certo volto al pubblico bene, ma al bene privato di ristrette fasce di persone. Apriti cielo! Una simile indagine sarebbe subito stroncata sul nascere invocando leggi preclusive create allo scopo. Si griderebbe subito ai “rigurgiti” di antisemitismo, quando io ho potuto dire in privato all’Innoninato personaggio che io posso testimoniare lungo tutto l’arco della mia vita l’inesistenza dell'antisemitismo: personalemente, vivendo in Italiano, in tutta la penisola, in coscienza posso dire di non aver MAI riscontrato un solo caso di antisemitismo, ossia di una qualsiasi forma di discriminazione verso ebrei in quanto ebrei. Solo per caso ho potuto accorgermi di molti miei amici e colleghi che fossero ebrei, ma ciò non ha mai in alcun modo influito nelle nostre relazioni. Anzi, con i miei vecchio compagno di liceo, ebreo, di cui avevo perso traccia, ho già scritto un testo di solidarietà per essere stato lui ignobilmente e vilmente attaccato non da non-ebrei, ma proprio da ebrei. La sua colpa sarebbe infatti di riconoscere le cose di Palestina per quello che sono, cioè secondo il mio assunto che vado via via illustrando qualcosa di assai peggio che non Auschwitz.

Nelle condizioni odierne l'antisemitismo è una pura invenzione che serve a far lucrare vantaggi a soggetti individuabili, ma che non si possono indicare con nome e cognome per le note ragioni che sono agli occhi di tutti proprio grazie al clamore suscitato dalla stampa (lobbistica o non lobbistica?) in questi giorni. Né del resto che la cosa a me interessi minimamente. Non sono affatto curioso di conoscere i nomi di questi o di tal altro. La cosa non mi procura nessun piacere. Ma se scienza vuol dire fare nomi e cognomi, allora si deve scegliere se si vuole scienza certa conseguente ad inchiesta, beninteso con tutti i crismi e le tutele e protezioni possibili, oppure se si ci si vuole accontentare di stime e generalizzazione. Ma ecco che in questo caso scatto un altro meccanismo. Si dice che siffatte generalizzazioni costituiscono pregiudizio antisemita. Esiste un apposito, foraggiatissimo istituto, forse di diritto pubblico, il cui scopo è di redigere annualmente esilaranti quanto antiscientifici rapporti, dove magari una barzelletta da osteria diventa “rigurgito” di antisemitismo. Un circolo vizioso, una cappa di piombo che ben rivela la restrizione dei diritti di libertà della stragrande maggioranza dei cittadini a tutto vantaggio di una ristretta lobby, il cui contrasto con l'art. 3 della nostra costituzione è evidente a quanti non facciano parte della sunnominata segreta lobby, sulla quale è pure proibito indagare. E si badi bene la Lobby le sue “liste nere” le compila e le tiene costantemente aggiornate. Ognuno di noi che abbia starnutito in qualche luogo pubblico, accompagnato da qualche innocente ed ambigua espressione, può essere abbastanza certo di trovarsi schedato da qualche parte. Per non dire poi di quanti – compreso il sottoscritto – osano esprimere le loro opinabili opinioni in internet. Non credo frutto del caso, o del banale errore, il tentativo di un certo personaggio, guarda caso dal cognome Levi, che ha tentato di mettere il bavaglio alla rete, finora l'unica forma di libertà di espressione ancora non controllata dal regime.

Nel libro di Mearsheimer e Walt, interamente dedicata alla Israel lobby ed alla sua nefasta influenza sulla politica estera americana, un libro osteggiata in tutti i modi, è significativo (non ricordo ahimé il numero di pagina) l'episodio narrato di un vescovo, il quale aveva sommessamente fatto presente agli ebrei che purtroppo in fatto di “dolore” essi non detengono il monopolio. È ricorrente per chi abbia a che fare con i personaggi della Lobby sentirsi continuamente sbattere in faccia dolori e tragedie archeologiche, non verificabili, e per definizione inconfutabile, com se ognuno di noi nella sua esistenza e nella sua vita quotidiana non avesse da poter narrare sofferenze, dolori, tragedie, umiliazioni, offese, smacchi, tradimenti, ecc. ecc., che in quanto intimamente personali sono di per se fatti unici ed incomparabili. Giustamente, l’ebreo Norman G. Finkelstein ha denunciato nel suo libro L’industria dell’Olocausto l'uso strumentale di un dolore di cui ahimé non vi è chi possa reclamarne il monopolio, essendo esso distribuito in tutto l’arco temporale e geografico della specie umana.


(segue: la cosa è lunga. Se potessi scrivere in un istante il discorso che ho già chiaro in mente, sarebbe fatta. Ma invece occorre snocciolare i concetti e fare molto attenzione alle graduazioni e sfumature, poiché i miei nemici e detrattori mi osservano pronti a scattare. I mie Cinque affezionati Lettori abbiano pazienza e ritornino su questo post di tanto in tanto. Gli svolgimenti, miglioramenti ed ampliamenti sono indicati in alto dal numero progressivo della versione).

Nessun commento: