giovedì 14 febbraio 2008

Fiera del Libro: sui concetti di boicottaggio, marketing politico, guerriglia comunicativa

Versione 1.9

Non sono e non mi dichiaro uno stratega. Ho aderito all'appello per il Boicottaggio di Israele alla Fiera del Libro in quanto spero possa essere utile per Gaza e nel nome di Gaza aderirò ad ogni altra iniziativa di cui verrò a conoscenza: fai quel che devi accada quel che può. Così come ogni giorno il popolo di Gaza muore, ho anche la consapevolezza della modestia delle nostre forze per impedirlo. Ma proprio per questo aderisco ad ogni iniziativa utile o meno che sia e quale ne sia il successo e l’efficacia: gli avversari hanno per me così poco credito che poco mi curo dei loro miseri argomenti. Confido unicamente sul fatto che chi assume iniziativa le abbia ben studiata, almeno per non ottenere un effetto controproducente: se sarà riuscito in questo, sarà già stato un successo, per quanto modesto. Un granellino è stato gettato.

Il solo concetto che a me è relativamente chiaro è quello di “guerra ideologica”. Vale a dire la guerra nel comune senso della parola è quella che si combatte con armi storicamente in uso: spade, fucili, cannoni, aeroplani, carri armati, bombe a grappolo, atomiche, ecc. Si è meno consapevoli di una guerra, vera e propria guerra, che si combatte nella testa della gente, facendo ad essa credere una cosa piuttosto che un'altra. Per poter far scattare la guerra in Iraq è stato prima necessario, o è parso che fosse necessario, convincere la gente che quella guerra la si dovesse fare. Si è fatto ricorso alla menzogna vera e propria. Adesso volendo fare la guerra contro l’Iran si sta ritornando alla stessa identica menzogna, evidentemente non riuscendo a trovarne altre di più plausibili. Mi ha fatto un'immensa pena vedere pochi minuti fa vedere una giovane donna piangere per il padre morto in Afghanistan, andato lì – a suo dire – per portare la pace. Da che mondo e mondo i soldati esistono e sono tali per fare la guerra, non per fare la pace. Quando si vive in pace non si portano le armi e si gioca a briscola o a tresette nelle osterie, magari fra genti di diversa nazionalità. Più probabilmente, in Afghanistan i nostri soldati ci stanno per combattere la disoccupazione nella madre patria. Insomma, ho cercato di dare alcuni esempi di un mio personale concetto di “guerra ideologica”, con la quale si tenta o di giustificare situazioni di fatto, legittimandole, ovvero di mascherarle e presentarle in una luce diversa da quella oggettivamente vera.


Qui di seguito riporto un documento che mi è giunto a proposito della “guerra ideologica” che si sta combattendo intorno alla Fiera del Libro, dove a mio avviso l'obiettivo non è riuscire ad impedire che la Fiera si faccia: non credo che si riuscirà in questo. Sarà invece un modesto successo se intorno all'evento sarà per lo meno cresciuto di un poco il dissenso critico e la demistificazione che ci vuole presentare con faccia pulita un regime che gronda sangue da ogni parte. Il documento che segue mi è giunto per posta, si trova online in altro sito, ed io ne do qui nuova circolazione per i Lettori di questo Blog. Il documento rinvia a sua volta ad altri siti che offrono un’analisi dell’azione di contrasto ad Israele in Torino. Che il nostro governo sia schierato con Israele e contro il mondo arabo, ahimé è cosa ben nota. L'avventura in Iraq ed in Afghanistan non ha ancora fatto maturare abbastanza quanti ripetono la solfa di un esercito che va a portare la pace. Per una più ampia gamma di opinioni ricordo il link di Forum Palestina.

Antonio Caracciolo

Sommario: 1. Ambito concettuale. – 2. Chiarimento di Tariq ramadan. – 3. Mass-media e Mossad. – 4. Odifreddi: equivoco l’invito ad Israele. – 5. Ragioni per le quali si contesta la Fiera torinese.

* * *
1.
Ambito concettuale

Dei boicottaggi e della guerriglia comunicativa

Febbraio 14, 2008 at 07:07 · Filed under Gli Editoriali

Fonte

Hawiyya è stata ed è impegnata molto dalla Campagna “Il Pessottimista” in favore di Mohammad Bakri – tutt’ora in corso – una campagna basata sul principio della libertà di espressione; inoltre dall’aver dato vita a “MediAzione, progetti per il diritto all’informazione” attiva da gennaio, per ora, su Siena.
Due progetti con un filo conduttore: il diritto. Alla massima libertà di espressione; ad una informazione completa e non “suggestiva”.
Con questa premessa vorremmo dare, oggi, un nostro contributo a quanto emerso sulla questione della Fiera del Libro di Torino.

Solo oggi, anche grazie in particolare a due “sollecitazioni”.

La prima, proveniente da “Nazione indiana” ; la seconda da un intervento di Sherif El Sebaie sul proprio blog in cui vi sono precisazioni non di poco conto.

Potremmo iniziare proprio dal concetto “boicottaggio”.

Quello operato da atenei britannici nei confronti di atenei israeliani è un boicottaggio. Ha conseguenze oggettive, pratiche, fastidiose (per chi lo subisce).

Parte, cioè, da chi è in grado di boicottare.

Ancora.
Annuncio un boicottaggio quando so che, dal punto di vista (secondario?) della comunicazione so e posso raggiungere altri da coloro che, comunque, boicotterebbero: cioè eviterebbero l’oggetto del boicottaggio.

Infine.
Tengo conto, a monte, delle armi e delle forze che ho – effettivamente – per avere una ragionevole certezza che le motivazioni di detto boicottaggio giungano correttamente all’opinione pubblica “altra” (la stragrande maggioranza) da chi mi legge/ascolta già.

Le motivazioni del boicottaggio.
Sacrosante.
Israele ottiene l’ennesima vetrina internazionale attraverso una classica operazione di marketing politico.
… E allora? Israele è tra gli “inventori” del marketing politico. Lo pratica, ante litteram, dall’inizio del ‘900.
Ogni sua azione, dichiarazione, pensiero è marketing politico.

La questione, quindi, è ben altra.
Come possiamo seriamente e realisticamente (oggettivazione delle forze disponibili) portare a conoscenza la “gente” che si tratta, appunto, di marketing politico?

Affrontandolo di petto (scontro in campo aperto) oppure “aggirandolo” (tecnica da guerriglia)?

Il boicottaggio equivale ad accettare lo scontro in campo aperto, cosa che per sparuti gruppi di guerriglieri equivale al suicidio (e neanche con l’onore delle armi).

Il motivo è semplice ed antico (quindi conosciuto e riconosciuto): i mezzi d’informazione sono scorretti. Sono condizionati, sono comprati, sono codardi, sono ignoranti. Da oggi?

Le motivazioni del “boicottaggio” arriveranno davvero alla “gente”?
Ovviamente no.
Arriveranno invece le INEVITABILI accuse di antisemitismo, di insensibilità, di attacco alla cultura.
Per di più, se quanto scrive Sherif El Sebaie è esatto (rinuncia dell’Egitto non “scippo” israeliano) avranno la ciliegina sulla torta: che, cioè, è stato il pretesto per l’ennesimo attacco al povero e piccolo Israele, quindi al sionismo, ergo all’ebraismo tutto.

Risultati: il tutto, e non certo per la prima volta, si trasformerà in un boomerang … che colpirà non noi, ma i palestinesi: la percezione dei loro diritti, degli orrori subiti, della loro confermata negazione, ancora una volta risulterà (agli occhi della “gente”) stravolta, capovolta, contraddetta.

Proviamo ad ipotizzare quale poteva/potrebbe essere un’azione che utilizzi metodi da guerriglia.
Il presupposto è il senso della misura: la consapevolezza che non è altro che una battaglia, una delle tante. Momento tattico e, come tutte le fasi tattiche, con potenzialità strategiche, se saputo utilizzare con intelligenza e saggezza.
Conoscendo e riconoscendo i metodi e le finalità dell’avversario, l’obiettivo dovrebbe essere quello di ribaltare la situazione – utilizzare una sorta di judo comunicativo: uso la sua forza/argomento per favorire la sua caduta/sputtanamento.

Gli amici di “Nazione indiana” lo hanno indicato chiaramente: la Fiera è dedicata ad Israele? Si. Noi possiamo – realisticamente – impedirlo? No.

Bene, in nome della vera libertà di espressione – quella di cui si vanta Israele – vogliamo che tutta intelligencija israeliana possa farsi conoscere: anche “the other side of Israel” (come titola il libro dell’israeliana Susan Nathan, che sicuramente andrebbe fatta ascoltare). Vogliamo che sionisti critici, post-sionisti, anti-sionisti, palestinesi d’Israele abbiano uguale dignità (giusto qualche nome oltre quelli ricordati dall’intervento in “Nazione indiana”: Michel Warshawski, Akiva Orr, Moshe Machover, Lenni Brenner, Meron Benvenisti, Noel Ignatiev, Benjamin Mehrav, Antony Loewenstein, Yael Lerer, (che pubblica testi arabi in ebraico), Tom Segev - ha appena pubblicato un libro sul ’67, Oren Yiftachel, Moshe Zuckermann, Smadar Lavie; e ancora, suggerire che si espongano e si dibattano libri di Martin Buber e Anna Arendt, come quelli di Emil Habibi [e perché non trovare un teatro che, nei giorni della Fiera, ospiti “Il pessottimista” con Mohammad Bakri, e/o organizzare proiezioni di film: invitando Eyal Sivan, Osnat Trabelsi, Juliano Mer, Benny Brunner] ….).

Insomma chiedere e lottare, informare e comunicare che non siamo affatto contro cultura ed arte, ne vogliamo “censurare” nessuno (quella è arte loro), anzi!
Chiedere, un po’ stupiti, agli organizzatori “volete forse voi censurare arte e cultura?” Volete tener fuori pensatori ed artisti non-allineati? In un Paese cotanto democratico?

Se riuscissimo a concentrare e far convergere tutte le voci che in Italia hanno sinora protestato contro, in una protesta “pro”, in favore della massima libertà di espressione culturale-artistica il boomerang chi se lo piglierà in testa?


* * *

Risposta alle obiezioni su “Dei boicottaggi e della guerriglia comunicativa”

Febbraio 14, 2008 at 07:07 · Filed under Gli Editoriali


Le molte mail giunte come obiezione alla nostra “provocazione”, escludendo insulti e sciocchezze, avevano un punto in comune: “Così si riconosce di fatto dignità allo Stato di Israele non alla letteratura israeliana“.

Rispondiamo attraverso quanto scritto ad un’amica:

Cara XXX, credo che si continui a discutere di 2 cose diverse: Israele e cosa il mondo sa di Israele.

Noi continuiamo ad illuderci di combattere Israele come se non ci accorgessimo che in realtà combattiamo contro un muro: quello mediatico.

Pensiamo di parlare alla “gente” in realtà ci parliamo addosso e ciò che arriva alla “gente” di quanto diciamo o facciamo arriva attraverso il filtro di quel muro.

Allora: quando a maggio si accenderanno i riflettori sulla Fiera coloro che andranno, ascolteranno, vedranno e, la stragrande maggioranza, “sapranno” dai media, cosa percepiranno? I pubblic relations come Grosmann, Oz & company! Che “mostreranno” quanto Israele è democratico, pluralista, evoluto.

Questo sarà il risultato. Anzi, migliore, per loro: perché tutte le proteste verranno “filtrate” mediaticamente come espressioni di “oscurantismo”, di anti-sionismo ergo di antisemitismo.
Una meraviglia!!

La nostra proposta-provocazione vorrebbe ribaltare mediaticamente il terreno: far apparire loro oscurantisti, razzisti, ecc.

Non invitano i veri dissidenti? Quanti siamo in Italia a volere il boicottaggio? Mettiamoci le mani nelle nostre magre tasche e facciamo un extra Fiera: in cui i Pappe, gli Atzmon, i Shabtai raccontino cosa è Israele. In cui Bakri reciti il Pessottimista; in cui in un cinema si mostrino Route 181, Il Muro, Arna’s Children …. ma senza urlare: apparendo come coloro che vogliono “aprire” non “chiudere”; in cui proponiamo, non neghiamo; in cui chi censura saranno ed appariranno loro!

* * *


Mia Postilla

Pensavo di svolgere in un distinto post una riflessione che mi è venuta sentendo per radio un tentativo di boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino, per protestare contro la pretesa violazione dei diritti umani da parte del governo cinese con riguardo sia alla situazione interna sia al Darfur, dove si sarebbe una responsabilità del governo cinese per il fatto che compra il petrolo del Sudan, ossia non attua sanzioni economiche, quasi che queste possano far resuscitare i morti o condizionare il comportamento di un governo. Non svolgo specifiche osservazioni sulla nozione di “diritti umani”, affatto ignota alla mentalità cinese per la quale non esistono per un individuo diritti che siano avulsi dal contesto sociale e politico di cui fa parte. Nozioni come questa sono peraltro parte costitutiva di quell’«imperialismo umanitario» che consente all’Occidente ogni ingerenza negli affari interni di altri Stati, mentre si guarda bene dal consentire reciprocità al proprio interno, dove proprio quei diritti vengono maggiormente e sottilmente violati: sembrerebbe che siano stati creati apposta per venire violati, incapaci come sono i governi di tradurre concretamente in atto al loro proprio interno i principi ipocritamente sbandierati.

Ma tornando alla «Cultura del Libro» in Torino quale differenza si può ravvisare con ciò che si va orchestrando contro il governo cinese? Perché contro la Cina la cosa si può fare e contro Israele non si può? Che l'una abbia successo e l'altra no non mi pare che sia un argomento. Nella storia le cause giuste sono quelle che subiscono le maggiori sconfitte. Dobbiamo soltanto sostenere le cause che hanno speranza di successo? A mio modestissimo avviso, ritengo che sia bene fare in Torino tutta quella contestazione contro Israele che è possibile fare. Che i media rivolteranno le cose in modo da far apparire il tutto come una nuova manifestazione di antisemitismo, ben lo sappiamo. Ma ormai dobbiamo imparare a convivere con un'informazione falsa. Rispetto al passato esistono possibilità di contrasto, come internet, un tempo impensabili. Finché queste forme espressive non saranno pure esse imbavagliate, potremo farne saggio uso e combattere su questo piano, sperando che non resti puramente virtuale ma sia invece il punto di partenza per un'aggregazione reale: “fai quel devi accada quel che può”.

Antonio Caracciolo

2.
Chiarimento di Tariq Ramadan

Dibattito sul boicottaggio della Fiera del libro di Torino dedicata a Israele
Fonte: Forum Palestina

A proposito dell’appello al boicottaggio

di Tariq Ramadan

E’ sempre molto difficile elaborare una posizione critica su una questione relativa ad Israele, senza vedere i propri discorsi mal interpretati, deformati e spesso traditi. Un’accesa polemica è scoppiata oggi in Italia a proposito della Fiera del Libro di Torino (si sente di tutto e di più) ed ecco che Pierre Assouline dà un resoconto dei fatti nel suo blog (monde.fr) in modo tendenzioso, deformando scientemente, assolutamente e semplicemente i termini del dibattito.

Ricordiamo i fatti. La Fiera del libro di Torino aveva in prima battuta designato l’Egitto come invitato d’onore, poi si è cambiata opinione e scelto di celebrare Israele, poiché quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della creazione di questo Stato. Da ciò è nato un movimento, avviato da partiti politici, personalità e associazioni che militano per i diritti dei palestinesi, che chiede di cambiare l’invitato d’onore della Fiera, poiché, ai loro occhi, è indecente celebrare uno Stato – facendone un « invitato d’onore » - quando il suo governo non rispetta minimamente i diritti umani e umilia quotidianamente il popolo palestinese. Davanti al rifiuto dei responsabili della Fiera di Torino, il movimento ha invitato gli scrittori e il pubblico a boicottarla. Intervistato da una primaria agenzia di stampa italiana su questo « appello al boicottaggio », ho chiaramente sostenuto che non era normale, né umanamente accettabile, celebrare Israele dal momento che siamo a conoscenza della politica che conduce questo Stato e il suo governo nei territori occupati e devastati.

Si è trattato, quindi chiaramente, della questione di criticare la scelta dell’ « Invitato d’onore » e non di impedire agli autori israeliani di esprimersi o anche di dibattere con loro ! La propaganda menzognera si è allora messa in marcia: si tratta di una iniziativa antisemita ! Un rifiuto della libertà di espressione ! O ancora, come scritto da Pierre Assouline, « un boicottaggio degli scrittori israeliani » attribuendomi poi una citazione totalmente inventata. Avrei secondo lui « risposto a La Repubblica :”E’ chiaro che non possiamo approvare nulla di ciò che viene da Israele” » Prima di tutto io non ho mai parlato a qualcuno del quotidiano La Repubblica e non ho mai pronunciato discorsi di tale fatta !!! Ho, invece, detto e ripetuto che tutte le donne e gli uomini di coscienza – e ciò non riguarda solo Palestinesi o Arabi - dovevano, secondo me, boicottare la Fiera (come il Salone di Parigi d’altra parte) di cui l’invitato d’onore è un Paese che non rispetta il diritto e la dignità dei popoli. Ho precisato che il nostro rifiuto di associarci al silenzio complice della scena internazionale era il solo, vero modo di fare cessare la violenza nel Medio-Oriente !

Non è strano, forse, vedere i difensori ciechi della politica israeliana deformare i discorsi, mentire e affermare che una tale posizione è assimilabile all’antisemitismo o al diniego del diritto di parola degli autori israeliani!? Ma chi ha mai parlato di quello ! Rifiutare di « celebrare » Israele e la sua politica di oppressione non ha niente a che vedere con l’antisemitismo o il diniego della libertà di espressione. Dovremmo ascoltare la voce del poeta israeliano Aaron Shabtaï che ha dichiarato di voler boicottare a titolo personale « sia la Fiera del Libro di Torino, che il Salon du Livre di Parigi, non unendosi alla delegazione del suo Paese ». Egli precisa : ”Non penso che uno Stato che mantiene un’occupazione, commettendo quotidianamente crimini contro i civili, meriti di essere invitato a un qualunque evento culturale. Questo è anti-culturale ; è un atto barbaro cinicamente camuffato da cultura. Ciò manifesta un sostegno a Israele, e forse anche alla Francia, che appoggia l’occupazione. Ed io non intendo parteciparvi.”

Si dirà certo che Aaron Shabtaï è affetto dall’odio per se stesso e questo fa sì che si unisca al partito degli « antisemiti » della terra… Conosciamo già il ritornello. Invece, forse si tratta di semplice buon senso… il silenzio della comunità internazionale davanti al modo di trattare i Palestinesi è già sufficientemente vergognoso, perché non si debba aggiungere l’offesa all’indegnità. Una coscienza umana con un minimo di valori, di principi e di dignità, non può associarsi a questo tributo d’onore ad uno Stato le cui prassi politiche e militari sono un insulto alle nostre coscienze e al nostro onore.

Londra, 5 febbraio

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3.
Mass-media e Mossad


Dibattito sul boicottaggio della Fiera del libro di Torino dedicata a Israele
Fonte: Forum Palestina
“Alla Fiera del Libro di Torino avranno il coraggio di discutere il libro di James Petras? Ne dubito”

di Stefania Limiti *

Il potere di Israele “si basa sulla Diaspora, i circoli sionisti economicamente e politicamente influenti che hanno accesso diretto e indiretto ai centri di potere e di propaganda del paese più imperialista e dominante del mondo”. Sono parole James Petras autore di un saggio illuminante dal significativo titolo Usa: padroni o servi del sionismo che suona come un nuovo atto di accusa nei confronti del piccolo ma strapotente stato sionista - dopo quello dei due docenti universitari americani John Mearsheimer e Stephen Walt che in libro molto chiacchierato hanno denunciato senza ambiguità il peso della lobby israeliana nella politica estera statunitense.

Petras, anch’egli docente statunitense e certamente non super partes ma schieratissimo militante radicale contro tante ingiustizie, dalla Palestina all’America Latina, ben noto il Italia per le sue battaglie e analisi dell’imperialismo, analizza la «relazione strutturale storica» tra Stati Uniti e Israele ma i meccanismi di controllo esercitati dal piccolo stato sionista sulla super-potenza sono gli stessi messi in pratica in tutto il resto del mondo, almeno là dove gli viene consentito.

L’Italia, come è noto non è esente.

Gli esempi sono tanti: l’ultimo è la decisione di dedicare ad Israele la prossima edizione della Fiera internazionale del Libro di Torino. L’indiscrezione era trapelata gia da qualche mese ma ora si tratta di una certezza. Israele sarà ospite d’onore nel più importante salone libraio del nostro paese. La decisione, inutile sottolinearlo, è assai contestabile, anzi piuttosto preoccupante.

La scelta di rendere Israele il paese protagonista della Fiera arriva nell’anno in cui a livello mondiale sarà commemorata la Nakba, cioè la pulizia etnica con cui questo Stato ha iniziato la costruzione della propria identità nazionale e che fino ai nostri giorni non è mai stata interrotta, né ha mai pagato almeno uno dei responsabili dei crimini commessi nei confronti del popolo palestinese. Anzi, proprio recentemente il progetto di annientamento di Gaza e della Cisgiornadia ha assunto caratteri disumani e intollerabili e tutto ciò che mette a tacere questa realtà, compresa la kermesse torinese, è complice di questa aberrazione.

Ciò che sta avvenendo a Torino è proprio la dimostrazione di quanto ci sia bisogno anche in Italia di una analisi più approfondita dei meccanismi di controllo e persuasione esercitata dalle nostrane lobby sioniste: vi immaginate un evento, anche meno esposto all’attenzione internazionale, magari anche meno autorevole, dedicato alle sofferenze delle genti palestinesi? Si aprirebbe una preventiva caccia al terrorista – sinonimo del palestinese-tipo – e l’iniziativa sarebbe affossata prima ancora di nascere. Invece, nel caso della Fiera di Torino, la scelta di dedicarla ad Israele non ha trovato critiche nella grande stampa e negli acuti editorialisti: perfino Liberazione rivendica l’autonomia dello spazio della Cultura (che orrore!! Praticamente sarebbe una invenzione tutta la problematica del rapporto conoscenza-potere), rinunciando ad una presa di posizione chiara e non subalterna.

Petras, come Mearsheimer e Walt, incarna quella figura di “intellettuale pubblico” – definizione attribuita al compianto Edward Said – che tenta di rompere le barriere che dividono il mondo dell’erudizione e della ricerca scientifica dall’opinione pubblica.

Il risultato è una denuncia implacabile e incontrovertibile: la lobby pro israeliana – dice Petras - controlla gran parte dei mezzi d’informazione, l’opinione pubblica ed il meccanismo elettorale negli Usa. Nel parlamento statunitense ci sono più sionisti che in quello israeliano, tanto che gli Usa conducono una guerra in Medioriente che è addirittura in contrasto con i loro stessi interessi imperiali – “l’unico potenziale beneficiario delle sanzioni economiche o di un attacco militare contro l’Iran sarebbe Israele”.

L’alleanza Usa-Israele, insomma, non è giustificabile in termini di razionalità strategica o come presa di posizione morale ma è motivata dall’influenza che un raggruppamento di persone e istituzioni, una vera e propria lobby pro-Israele, e, aggiunge Petras ‘sionista’, ha, e ha sempre avuto, sui diversi governi americani sui quali esercita una vera e propria «tirannia». La straordinaria potenza del controllo della lobby israeliana negli Stati Uniti, la capacità di persuasione e orientamento di una elite che non si limita a fare pressione, come ogni lobby, arriva a forgiare i meccanismi decisionali, tanto da trasformare «la causa di Israele nella causa dell’America».

A differenza degli altri due più cauti autori, Petras parla apertamente della natura coloniale dello Stato israeliano e critica con veemenza molti intellettuali nordamericani «subalterni al ricatto di ‘antisemitismo’» - questione che ‘sentiamo’ assai vicina alle problematiche nostrane. Per i lettori italiani il suo libro è interessante anche perché la maggior parte delle fonti su cui l’autore basa le sue analisi sono giornali e documenti, confidenze e notizie riservate raccolte sul campo, dunque se non inaccessibili, almeno di difficile reperibilità nel nostro paese, perché il Web non è tutto.

«Quale paese – si chiede l’autore - continua ad avere negli Usa centinaia di spie, talpe e collaboratori che da oltre trent’anni lavorano senza impunità per un governo straniero?». Petras racconta che nel solo 2006, in una delle più grosse inchieste spionistiche mai effettuate, oltre 100 agenti dell’FBI provenienti da tutto il paese hanno intervistato migliaia di potenziali testimoni, informatori e sospetti collegati allo spionaggio israeliano nel territorio degli Stati Uniti. «Un ex giornalista di cronaca che lavorava per un autorevole settimanale inglese mi ha detto – dice Petras - di essere stato interrogato per ben due volte in dodici ore sulla collaborazione tra mass media e Mossad nel trasmettere informazioni tendenziose e propaganda filo-israeliana come ‘notizia di cronaca’. Da alcune conversazioni con i giornalisti intervistati dall’Fbi, emerge il quadro di una penetrazione ampia e ramificata nella società e nel governo americani per mano di spie israeliane e loro collaboratori». Sempre secondo le fonti dell’autore, l’Fbi avrebbe condotto indagini sulle reti spionistiche israeliane per oltre trent’anni ma le inchieste sono state ostacolate dai rappresentanti di entrambi gli schieramenti politici che in qualche modo sono soggetti alle lobby israeliane o ai loro finanziatori di campagne filoisraeliane, un trasversalismo non certo sconosciuto tra le fila dei nostri politici.

Un libro da studiare bene. Ne discuteranno alla Fiera del Libro di Torino?

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4.
Odifreddi: equivoco l’invito ad Israele

Dibattito sul boicottaggio della Fiera del libro di Torino dedicata a Israele
Fonte: Forum Palestina

Odifreddi. Equivoco quell'invito a Israele alla Fiera del Libro

Intervista de La Repubblica a Piergiorgio Odifreddi

Si è già guadagnato la fama di «cattivo maestro» per le proteste contro la ventilata visita di Papa Benedetto XVI all´Università La Sapienza di Roma. Ora il matematico torinese Piergiorgio Odifreddi rischia di peggiorare la sua nomea, come ci anticipa con un po´ di ironia, ragionando sulle polemiche che stanno arroventando la Fiera del libro a causa dell´invito a Israele in veste di ospite d´onore. Una querelle, dice, «fondata su due piccoli equivoci di fondo».

Quali sono questi equivoci?
«Il primo piccolo equivoco è basato sulla considerazione che l´invito è stato fatto come un invito allo stato di Israele. Una cosa è invitare uno stato, un´altra cosa è chiamare i suoi intellettuali».

Ma gli organizzatori della manifestazione del Lingotto, da Picchioni a Ferrero, hanno più volte affermato che si tratta di un invito alla cultura israeliana, non alla sua entità politica.
«In ogni caso quell´invito viene presentato così, oppure si legge in quel modo. Ed è chiaro che si polemizzi. Lo si fa non contro il popolo israeliano, bensì contro il suo governo. Quando ero giovane, non si andava in vacanza in Spagna per il regime di Franco. Non è che ce l´avessimo con gli spagnoli, naturalmente, ma con il regime dittatoriale di quel paese. Mi chiedo: se la Fiera del libro avesse deciso di invitare l´Iran, non ci sarebbero state forse delle polemiche? L´Iran ha pure un premio Nobel, però è una cosa diversa dalla natura del suo governo, no? Anche l´Italia, ai tempi del governo di Silvio Berlusconi, venne boicottata a Parigi. Avvenne. E ritengo che sia stato giusto. Umberto Eco disse allora di vergognarsi di essere italiano».

Non è detto che avesse davvero ragione. Comunque passiamo al secondo equivoco. Di che cosa si tratta?
«Si continua a citare alcuni grandi scrittori israeliani, come Abraham Yehoshua o Amos Oz, oppure David Grossman, per dire: ecco, questi scrittori sono critici verso il loro paese, verso il loro governo. Sarà. Io tuttavia ricordo un articolo di Yehoshua, in cui si esprimeva a favore dell´erezione di un muro verso i territori palestinesi. Devo dire che, al di là del fatto specifico di Israele, mi sta poco bene un intellettuale che propone di erigere dei muri. E poi c´è un´altra questione, che magari mi procurerà nuovamente l´accusa di essere un cattivo maestro».

Quale questione?
«Quando c´è di mezzo Israele, si usano due pesi e due misure. Voglio dire che se uno critica questo paese, corre il rischio di essere accusato di antisemitismo. I politici fanno bene a prestare attenzione ai fenomeni di antisemitismo, ma fare confusione non è una buona cosa, anzi: è pericolosissimo».

Andiamo al sodo: lei parteciperà alla Fiera del libro di quest´anno? Oppure la diserterà?
«No, non potrò esserci. Però non è perché la voglio boicottare, e del resto trovo eccessivo questo boicottaggio. In quei giorni, invece, sarò in pellegrinaggio verso Santiago de Compostela».

Non è possibile. Ma come? Un´icona del laicismo e dell´ateismo come lei...
«Non sono stato folgorato sulla via di Damasco. Non si preoccupi: ci vado da ateo e ritornerò da ateo».

La Repubblica del 7 febbraio

5.
Ragioni per le quali si contesta la Fiera torinese

Dibattito sul boicottaggio della Fiera del libro di Torino dedicata a Israele

Fonte: Forum Palestina

A Torino .....c'è poco da essere fieri...

di Germano Monti *

Una doverosa premessa: la proposta di contestare la scelta degli organizzatori della Fiera del Libro di dedicare l’edizione 2008 allo Stato di Israele non è un fatto isolato. Questa iniziativa si inscrive nella campagna “2008 Anno della Palestina”, promossa dal Forum Palestina e da altri comitati e associazioni di solidarietà con il popolo palestinese, fra i quali l’International Solidarity Movement, il movimento pacifista internazionale cui apparteneva Rachel Corrie, la ragazza statunitense uccisa da un bulldozer militare israeliano mentre cercava di difendere con il proprio corpo una casa palestinese di cui i militari di Tel Aviv avevano deciso la demolizione. A marzo saranno passati cinque anni dall’assassinio di Rachel, ed anche questo anniversario farà parte della serie di iniziative che vedranno, fra l’altro, due manifestazioni nazionali (la prima, il prossimo 29 marzo a Roma), un campeggio estivo in Versilia e, già nelle prossime settimane, una manifestazione internazionale al valico di Rafah, per denunciare le complicità italiane ed europee nel genocidio di un milione e mezzo di persone, sotto embargo da quasi due anni e vittime quotidianamente delle incursioni e dei bombardamenti israeliani, vergognosamente taciuti dalla maggior parte dei media italiani.

Contestiamo la scelta della Fiera del Libro perché troviamo inaccettabile onorare un evento storico,quale la fondazione dello Stato di Israele, che ha significato la pulizia etnica di centinaia di migliaia di Palestinesi, ancora oggi condannati ad una vita grama da ospiti indesiderati nei vari campi profughi, come quelli in Libano, al cui sostegno ha dedicato tanti anni della sua vita il nostro amico e compagno Stefano Chiarini; contestiamo quella scelta perché non si può legittimare culturalmente un’occupazione militare e coloniale che dura da decenni, le distruzioni, i massacri, da Deir Yassin a Jenin, passando per Sabra e Chatila; contestiamo quella scelta perché non si può ospitare con tutti gli onori uno Stato che ha violato sistematicamente tutte le Risoluzioni dell’ONU, che è la sola potenza militare nucleare della regione e che ha costruito il Muro della Vergogna, rinchiudendo in lager a cielo aperto i Palestinesi della Cisgiordania; contestiamo quella scelta, infine, perché uno Stato razzista, che discrimina anche i propri cittadini non ebrei (o ebrei di pelle nera, come i falasha), non merita quella tribuna prestigiosa che qualcuno intende offrirgli.

Non condivido, quindi, quanto scritto da Simon Levis Sullam sul “Manifesto” del 16 gennaio. In primo luogo, le università israeliane non sono mai state oggetto di boicottaggio in quanto “luoghi di costruzione della conoscenza” o per il loro essere settori “impegnati sulla strada del dialogo, del cambiamento e della pace”. Quelle università sono contestate da associazioni accademiche e sindacati di vari Paesi (Gran Bretagna, ma anche Canada e Sudafrica, per dire) per il contributo che forniscono alla macchina da guerra israeliana, in termini di ricerca e sperimentazione di nuove e più micidiali armi e sistemi d’arma da impiegare contro i Palestinesi e contro gli altri popoli della regione, come hanno sperimentato i Libanesi poco più di un anno or sono.

Analogamente, quindi, il dissenso che manifesteremo a Torino sarà la testimonianza della nostra opposizione alla logica di guerra che informa lo Stato di Israele sin dalla sua nascita, avvenuta anche sulla base di un’ideologia perversa – il sionismo – fondata sull’assunto che la Palestina fosse “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, in altre parole fondata sulla negazione financo dell’esistenza del popolo palestinese, negazione ribadita a più riprese dallo stesso padre fondatore dello Stato ebraico, David Ben Gurion, e dai suoi successori.

Il fatto che qualcuno (non Levis Sullam, beninteso) abbia già qualificato la nostra iniziativa come “antisemita” e nazistoide mi indigna, ma non mi sorprende: è prassi consueta e bipartisan criminalizzare ogni critica allo Stato di Israele ed ogni forma di sostegno e solidarietà ai Palestinesi ed ai loro diritti inalienabili. Questa intossicazione non ci ha fermato negli anni scorsi e non ci fermerà neanche nell’Anno della Palestina.

*Forum Palestina

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